6 minute read
Elisa Di Francisca – Io proprio io vi racconto Rio
from "Le Marche a 5 Cerchi" 3^ edizione, a cura di Andrea Carloni. Rio 2016 - PyeongChang 2018”
by GIOCOM
Io proprio io, vi racconto Rio Elisa DI FRANCISCA
Jesi (An) il 13/12/1982
Advertisement
Scherma – Fioretto individuale
Londra 2012 – Oro Fioretto Individuale Londra 2012 – Oro Fioretto a Squadre Rio de Janeiro 2016 – Argento Fioretto Individuale
di Elisa Di Francisca
Quando il Boeing 777 dell’Alitalia atterra all’Aeroporto di Rio de Janeiro, nell’agosto 2016, ricordo che non sbarcai a cuore leggero. La vigilia della mia gara individuale – l’unica possibile, dopo la cancellazione della gara di fioretto a squadre – non ha nulla a che fare con la spensieratezza con la quale avevo invece affrontato i Giochi di Londra, da dove arrivarono due ori. Quattro anni prima ero certa di aver fatto tutto senza trascurare nulla, senza lasciare nulla al caso, sotto tutti i punti di vista.
Al mio arrivo in Brasile, a ridosso della gara, nella mente ho mille pensieri, quasi non mi riconosco, sto spesso in silenzio e non ho alcuna voglia di rilasciare interviste, il che non mi appartiene. In compenso, la mia compagna di stanza, Arianna Errigo, che avevo battuto nella finale di Londra, ma che dopo aveva conquistato due titoli mondiali, non perde occasione per dirsi grande favorita per l’oro di Rio e che questo ruolo non le pesa per niente. Al contrario io sento una pressione tanto forte che non avrei mai immaginato. L’idea di dovermi nuovamente confrontare con lei, magari un’altra volta in finale, mi tortura. Non è tanto l’idea di affrontarla, mi preoccupa più sapere di dovermi confermare anche qui in Brasile, senza peraltro avere la prova d’appello di una gara a squadre che stavolta non ci sarà. Un pensiero, per fortuna solo quello, confesso di averlo avuto: e se piantassi baracca e burattini e me ne andassi in spiaggia a Ipanema, magari a bermi qualcosa di forte? Dico ad Elisa che sarà meglio pensare ad altro, magari a quel paio di chiletti in più che mi porto appresso rispetto a quattro anni prima e questo non va bene. Sono di muscoli, mi ricorda la mia preparatrice/amica Annalisa Coltorti, ma ho la
sensazione di essere appesantita. Ci penso e sento che, in realtà, questo senso di pesantezza viene da dentro, sono consumata dalla tensione e non so che fare per ritrovare calma e convinzione. La sera prima della gara all’Arena Carioca 3 mi lascio andare ad un fragoroso pianto fra le braccia di mamma Ombretta che mi stringe forte a sé, come mi faceva da piccola, per incoraggiarmi. Quando penso alla gara sento che mi manca qualcosa, una guida che cancelli le mie paure e mi regali qualche certezza in più, dovendo rimettere in gioco il mio titolo olimpico, come sempre in un giorno solo. Cerco, spero, ma non la trovo. Per giunta, il nostro team mi sembra un po’ spaesato anche dal punto di vista dell’organizzazione logistica e nell’affrontare quella giornata devo fare tutto io, così sento anche responsabilità che non dovrebbero essere le mie. E quando senti il peso di doverti confermare, la montagna diventa ancora più alta da scalare.
Meno male che c’è un diritto acquisito, sul campo. Per via della posizione conquistata nel ranking mondiale, il mio torneo comincia dai sedicesimi di finale, parte bassa del tabellone, Arianna è in quella sopra. Ergo: se andremo avanti, saremo una di fronte all’altra non in camera ma in pedana, in semifinale, togliendoci forse la possibilità di una medaglia. Sono tesa come una corda di violino, ma carica. Inizio con un 15-8 alla cinese Lin Po Heung, poi 15-6 alla polacca Hanna Lyczbinska. Sono nei quarti, mentre – sorpresa delle sorprese – la Errigo esce clamorosamente agli ottavi con la canadese Eleanor Harvey, che non avrebbe dovuto crearle alcun problema. Sulla carta. Meglio se Arianna è fuori? Non proprio, perché come unica italiana rimasta impensabilmente in gara già in quella fase, sento ancora più forte la pressione. Nei quarti, contro la cinese Liu Yongshi, spreco un sacco di energie. Lei scappa, sguscia furbescamente, ma alla fine vinco 15-10. La semifinale con la tunisina Ines Boubakri è sulla stessa falsariga, quasi tutte stoccate sporche. Lei arriva anche a simulare un infortunio per spezzare il ritmo degli assalti. Mi manda via di testa, poi ci ripenso e, in fondo, la capisco, una medaglia in Tunisia significherebbe per lei una nuova vita e per il suo Paese tanto orgoglio. Pensieri che fuggono, come ogni tanto fa lei, indietreggiando di fronte alla mia punta di fioretto. Mi riprendo, torno Elisa. E vinco 12-9. E’ finale, come a Londra. Come tante volte prima, ai mondiali, agli Europei, in Coppa del Mondo…. Mi gioco l’oro, contro la numero uno russa, Inna Deriglazova, detta “Ivan Drago” (ricordando l’avversario di Silvester Stallone nella sua interpretazione di Rocky Balboa, in Rocky 4, film del 1985 ndr). Lei è già fortissima e per giunta il suo CT è Stefano Cerioni che conosce la mia scherma con le sue tasche, destra e sinistra. Parto forte, sono determinata. Scatto sul 3-0, poi per un attimo torno col pensiero alle lacrime della sera prima, tra le braccia di mia madre, quando le chiesi se secondo lei avrei potuto vincere due Olimpiadi di seguito. Torna la paura di… vincere, è così che la chiamano. Mi disunisco, il braccio che mi deve portare l’oro al collo trema, mi è fatale. La Deriglazova rimonta, avrei
bisogno di una scossa, di un aiuto, di inventarmi cosa fare per fermare quel trend, farle staccare la spina. Ma niente. Ivan Drago mi sorpassa e finisce 12-11, come a Londra con la Errigo, ma stavolta è per me che c’è l’argento. Ci sono stati momenti in cui ho pensato tanto che andare sul podio anche a Rio sarebbe stata una bella impresa. Ma adesso no. L’argento è la medaglia di chi perde la finale: questa idea non mi è mai piaciuta. Ero delusa. Dico ero, perché oggi, trascorsi quasi cinque anni da quel 10 agosto, quell’argento invece brilla come i miei occhi quando penso ad Ivan, Ettore e presto anche a Brando, le mie medaglie d’oro della vita. Mi brillano gli occhi quando torno con la mente a quanto mi abbia aiutato a crescere lo Sport che ho amato e che avevo – ad un certo punto – anche deciso di lasciare, ormai tanto tempo fa. Ripenso a cosa ci metta davanti la vita. Ho vinto, perso, vissuto tante esperienze, incontrato
tante belle e meno belle persone, queste ultime soprattutto in gioventù, quando non hai consapevolezza e devi crescere, attraverso le esperienze, pagando però sempre tutto in prima persona. Come è giusto che sia. Com’è strana la vita. Quante prove ci pone di fronte. Potendo contare sul supporto della Polizia di Stato, di cui orgogliosamente faccio parte, dopo il rinvio dei Giochi di Tokyo, nonostante la pandemia che avrebbe potuto farmi cambiare idea, il desiderio di tornare ad essere madre è stato più forte di quello di provare a tornare sul podio per la mia terza Olimpiade. Eppure non sono ancora certa di voler dire alla mia sacca da scherma che se ne resterà a casa. Per sempre. Sarà perché dal fioretto è difficile staccarsi, sarà per il tanto che ha dato a me, alla mia famiglia e alle persone che amo. Già, sarà per quello.