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PATEK PHILIPPE / PISA OROLOGERIA
PATEK PHILIPPE / PISA OROLOGERIA.
LA STORIA NELLE SUE MANI
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PISA OROLOGERIA ha oltre 80 anni di storia. «Rispondendo a questa domanda mi viene in mente il mio primo discorso davanti ai miei collaboratori: mi tremava la voce. Avevo poco più di trent’anni, mia madre mi affidava una responsabilità importante e da quel momento le mie decisioni avrebbero influenzato la vita di tante famiglie che da tempo mettevano la loro esperienza al servizio della nostra azienda. In quell’istante, ho sentito tutto il peso della mia nuova responsabilità. Quando però i clienti si avvicinano e ti ringraziano per la gentilezza con cui li hai accolti, la professionalità con cui li hai consigliati, allora la paura svanisce, lasciando spazio alla soddisfazione.»
Onere o onore?
«Entrambi, perché entrambi concorrono a darmi la giusta motivazione.»
Tanti i cambiamenti in questi anni, quali sono state le vostre tappe più importanti? «Ci sono molti traguardi che hanno rappresentato capitoli importanti della nostra storia aziendale: di particolare rilevanza sono ovviamente l’inaugurazione delle Boutique monomarca, quella di Rolex nel 2008, allora la prima in Europa, quella di Patek Philippe nello stesso anno e, più recentemente, quelle di Vacheron Constantin e di Hublot. Penso anche ad alcuni eventi davvero unici e che hanno rappresentato il punto di unione fra i nostri clienti e le manifatture con cui collaboriamo. E come non citare l’apertura del nuovo Flagship Store, che ci ha dato non solo la possibilità di rendere Via Verri la “Via del Tempo”, ma che ci ha anche permesso, grazie agli ampi spazi, di offrire alla nostra clientela una vasta selezione dei migliori brand di alta gioielleria e la nascita di Pisa Diamanti, la nostra linea.»
Milano, la città del design, o meglio “i milanesi” amano gli orologi? «Per tanti anni, la linfa vitale di Via Montenapoleone è stata la clientela italiana. Negli ultimi 15 anni, in particolare dopo l’Expo 2015, i clienti esteri hanno rappresentato il 70% del nostro fatturato annuo e quando nella primavera del 2020 il turismo ha subìto la brusca frenata che tutti ricordiamo, i dubbi non sono mancati.
A fugarli è stato proprio il ritorno del cliente italiano, in particolar modo meneghino, con quella sua vasta cultura orologiera che rende sempre piacevolissimo lo scambio di informazioni durante la fase di vendita. Non a caso ricordo spesso quanto Milano e Pisa Orologeria siano come due lancette unite dallo stesso perno, simboleggiante l’amore per l’arte: la nostra storia recente lo ha ampiamente dimostrato.»
Voi siete storici concessionari Patek Philippe. Tanta tradizione ma anche tanta competenza per riuscire a trattare una marca così importante. Tutta esperienza sul campo, oppure bisogna studiare per raggiungere il necessario grado di competenza?
«Direi che l’una non esclude l’altra. La formazione è essenziale per conoscere a fondo il marchio trattato: dalla storia, ai volti, fino ai movimenti, è importante essere perfettamente preparati su ogni ambito al fine di offrire una corretta informazione al cliente. Proprio in virtù di ciò, il brand organizza periodicamente corsi di aggiornamento per i retailer autorizzati. Dalla teoria si sviluppa poi la pratica. Attraverso il confronto quotidiano con i nostri visitatori, la visione del prodotto e l’attività di vendita, si acquisisce quel savoir-faire che ci ha permesso, grazie alla lunga esperienza, di riuscire a comprendere fin da subito il desiderio del cliente. Il nostro compito è quello di guidarlo nella scelta del suo orologio della vita e di cercare di proporre valide alternative alla sua idea iniziale, nel caso non fosse possibile esaudire la sua richiesta.»
Cosa vi chiedono i vostri clienti Patek Philippe e cosa vorreste che vi chiedessero? «Gli sportivi rimangono indubbiamente l’oggetto del desiderio più richiesto… e anche quello più difficilmente accessibile, ahimè. Da rivenditori, ci fa sempre molto piacere quando un cliente mostra
Chiara Pisa Amministratore Delegato di Pisa Orologeria
interesse verso una grande complicazione, il capolavoro della tecnica orologiera, dando così inizio a un piacevole confronto che arricchisce tanto il visitatore quanto i nostri collaboratori. In questo, posso assolutamente dire che gli italiani si confermano tra i maggiori esperti delle lancette.»
Oggi il mondo sembra impazzito per alcuni modelli, uno di questi è il Nautilus. Come fate a gestire le mille richieste che sicuramente avrete? «Nautilus e Aquanaut rappresentano la gran parte delle richieste dei nostri visitatori. Negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto una tale portata da obbligarci a prendere decisioni difficili, ma necessarie per poter continuare a fornire un servizio di qualità. Il numero degli interessati è enormemente maggiore rispetto all’effettiva disponibilità. Comprendo questo interesse verso lo sportivo: tralasciando fenomeni di speculazione, che non condivido perché annientano il valore dell’arte a favore di quello unicamente finanziario, riconosco tuttavia ai modelli sportivi una versatilità e una personalità che li rende perfetti in ogni occasione. I modelli più classici sono spesso guardati come più limitanti, eppure hanno punti di forza importanti che cerchiamo sempre di sottolineare al cliente per far comprendere il loro valore.
Il nostro compito è offrire ai visitatori un’alternativa rispetto a quell’idea iniziale sfortunatamente non realizzabile: sta poi naturalmente a loro prendere la decisione finale.»
Lavorare in orologeria è un obbligo familiare oppure una scelta? «Assolutamente una scelta individuale e ben consapevole. Mia madre non mi ha mai imposto nulla; al contrario mi ha sempre dato la libertà di scegliere ciò che fosse meglio per il mio futuro e si è sempre dimostrata pronta a sostenermi, indipendentemente dalla decisone che alla fine avrei preso. Era ovviamente molto felice quando le ho detto che avrei proseguito l’attività avviata da mio nonno e saggiamente modellata da lei e da mia zia.»
Cosa le piace di più del mondo dell’orologeria e del suo lavoro?
«Difficile condensare tutto ciò che apprezzo in una risposta, perché si tratta innanzitutto di emozioni e le emozioni, più che raccontate, vanno vissute per essere comprese. Il mondo delle lancette è quello in cui sono nata. Il loro ticchettio mi ha accompagnata fin da bambina e da sempre mia mamma mi ha educata alla filosofia del bello artistico, al suo riconoscimento, al suo apprezzamento e al saperlo raccontare. È un mondo che da sempre fa parte di me. A livello più prettamente operativo, il confronto con clienti e fornitori è sempre entusiasmante e inoltre mi piace avere occhi su ogni ramo aziendale: amministrazione, logistica, marketing. Non si tratta solo del tanto discusso accentramento che spesso coinvolge gli AD, ma una sincera volontà di conoscere le basi di ogni reparto al fine di avere un confronto più completo possibile durante le consuete riunioni di aggiornamento.
È davvero affascinante.»
Cosa le piace di meno?
«L’ingiustificata smania di novità in cui, dopo la moda, anche l’orologeria sta cadendo sempre più. Ricordo quanto fossi concorde con le parole che Giorgio Armani scrisse durante il primo lockdown, nella primavera del 2020, invitando il suo comparto a distaccarsi dai ritmi incontrollati di questo mondo super fast che sembra non riuscire ad accontentarsi mai e pretende il nuovo senza avere alcuna attesa, dimenticando che l’arte necessiti di cura, dedizione e tempo per la sua creazione. La rincorsa frenetica dell’ultima novità, spoglia l’arte del suo vero valore. Si tende così ad acquistare solo per il gusto di possedere e sentirti appagati. È questo clima di ricambio continuo e spesso infondato a rendermi spesso scettica.»
Il suo primo orologio?
«Un Audemars Piguet che mi regalò mia zia Grazia in occasione della laurea.»
L’orologio dei sogni? «Non si può dire, altrimenti il sogno non si avvera.»
Patek Philippe ref. 5905-1A
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