NO. 6 I'GIORNALINO

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NO 6 Aprile 2020

I’ GIORNALINO


REDAZIONE 1

Direttrice GIULIA PROVVEDI (VA)

Vicedirettrice ELISA CIABATTI (IVB)

Redattori MATILDE MAZZOTTA (IVC), AURORA GORI (IVA), DANIELE GULIZIA (IVB), DIANA GASTALDI (IIA), DIEGO BRASCHI (IVA), PIETRO SANTI (IVA), RICCARDO MOSCATELLI (IVA), ALESSANDRO FRATINI (IIC), RACHELE MONACO (IB), ELETTRA MASONI (IB), GIULIA OTTINI (IA), IRENE SPALLETTI (IVA), GIULIA AGRESTI (IIIB), GIOVANNI CAVALIERI (IA), MARGHERITA ARENA (IIIB), MARIANNA CARNIANI (IIIB)

Fotografi SILVIA BRIZIOLI (caposervizio, IVA), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IIB), SOFIA ZOLLO (IIID), MATTIA DE NARDIS (VB), MARGHERITA CIACCIARELLI (IB)

Collaboratori ALLEGRA NICCOLI (IIB), MADDALENA GRILLO (IVB), ALICE ORETI (IVB), SOFIA DEL CHERICO (VB), ALESSIA ORETI (IIIA), COSIMO CALVELLI (VE), EDOARDO BUCCIARELLI (VA), MIRA NATI, IRENICK, BERNADETTE SILVA (VB), GIULIA BOLOGNESE (IIB), MATTEO SHINER (VA), VANESSA SANTI (VA), ELEONORA SARTI (IIIB)

Art Director DANIELE GULIZIA (IVB)

Disegnatori FRANCESCA TIRINNANZI (IIIB),

REBECCA POGGIALI (IVA)

Social Media MARGHERITA ARENA (IIIB), MARIANNA CARNIANI (IIIB)

Ufficio Comunicazioni AURORA GORI (IVA)

Referenti PROF. CASTELLANA, PROF.SSA TENDUCCI


TEMPI DA RACCONTARE…………………………………….3 CORONAVIRUS E FAMIGLIA…………………………………6 COMPLEANNO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS…………………………………………………7 LA NOSTRA GENERAZIONE LA POTEVANO SALTARE………………………………………………………..10 ENERGIA E MATERIA OSCURA: COSA SONO………………….……………………………..………….11 GIRAMONDO - CINA …………………….…………………..13 IL CACCIATORE DI TALENTI……..………………..……….16 ESPLORANDO IL MUGELLO - IL LAGO DI BILANCINO…………………………………………………….17

INDICE

DIAIRO DI VIAGGI - BULGARIA…………………………….19 HELIOS: RAGGI DI SOLE PER REALTÀ NELL’ OMBRA……………………………………………………….…23 I MIGLIORI 10 FILM DEL 2019………………….…….…….24 ESSERE UMANA - VIOLENZA.…………………………..…28 RACCONTI - CELLA SENZA CESSO……………….……..29 RECENSENDO - URLO………………………………………30 RECENSENDO - LE POESIE DI W. C. WILLIAMS…………………………………………………..…..31 L’ANGOLO DEL POETA………………………………………32

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TEMPI DA RACCONTARE di Vanessa Santi 3


È

tutto veloce nella vita di un adolescente, a volte fin troppo. Il tempo ti si avvolge attorno in un vortice di idee, frenesia, ti senti quasi sopraffatto, le persone e i luoghi si fondono davanti ai tuoi occhi come una nebbia. Sempre alla ricerca di nuovi stimoli, nuove esperienze, spingendosi sempre un po’ più in là, uccidendo ogni giorno un altro idolo. Poi tutto si ferma. È scattato il semaforo arancio. Come seduto nell’occhio del ciclone, vedi che attorno a te le raffiche cessano e la casa di Dorothy viene appoggiata di nuovo sull’ arido terreno del Kansas. Il fumo fuoriuscito dalla pistola dello starter, come nel frame di un film visto al contrario, torna velocemente all’interno della canna. La corsa si ferma, tutto è annullato. Pause. È così che descriverei la situazione che stiamo vivendo in questo esatto momento. Ci troviamo intrappolati nelle case, in cui tanto abbiamo desiderato rimanere durante le fredde mattine di novembre, quando invece eravamo costretti ad uscire ed andare a scuola; ci sentiamo strani, inadeguati alla delicata situazione, privati di momenti importanti ed incapaci di creare ricordi, magari dell’ultimo anno di liceo. Ma questo internamento forzato nelle nostre dimore potrebbe darci l’opportunità di sviluppare le nostre passioni, di concentrarci su noi stessi, di dedicarci a ciò che amiamo fare. Ma quando il tempo abbonda è l’ispirazione che viene a mancare. Ad inizio quarantena chi non si è ripromesso di finire quel libro che ormai è diventato parte integrante del comodino, tanto da dubitare se non sia il pezzo di mobilia ad essere sostenuto dal volume di carta; o di fare più esercizio fisico accompagnato magari da una nuova dieta; di diventare vegano o smettere con la nicotina. Mi ero promessa che avrei scritto. Un po’ tutti i giorni, quel poco che serve a tenersi in allenamento e magari estrapolarne qualcosa di decente. Ma alla nona ora del secondo giorno di quarantena i buoni propositi erano già stati dimenticati, come fosse il 3 gennaio. Non riuscendo a scrivere e trovando nauseante anche solo l’idea di uno sforzo,

decisi che mi sarei dedicata alla sola lettura. In fondo leggere aiuta a migliorare il proprio stile. Ed ecco che si insinua il tedio, la noia di vivere, la nausea di Sartre. Nell’immensa libreria di famiglia, tre scaffalature a parete con i ripiani in mogano inondati da libri stantii, non esiste un libro decente. Eppure potrei giurare di averne visti tanti che avrei voluto leggere qualche mese fa, quando però non avevo abbastanza tempo. Adesso tutte le storie sono noiose, tutti i personaggi sono stereotipi, leggo ma non riesco ad arrivare alla fine del libro (anche se questo è un problema che ho sempre avuto). La noia di vivere diventa noia di leggere. Dopo un’intensa osservazione e analisi di tutti i volumi di casa decido di dedicarmi ad Esercizi di stile di Raymond Queneau, credendo che un esercizio dei suoi al giorno mi possa far bene, anch’esso si rileva un mero fallimento. Alla fine ci lasciamo andare alla fatua promessa rimandare tutto a quando terminerà questo strano periodo, che sembra uscire da un sogno distopico. Sappiamo tutti che le promesse non sono fatte per essere mantenute. Ma al di là del mio rapporto problematico con la scrittura, sono i sentimenti il tema di oggi. Tutti sanno e sono pronti ad affermare, sentendosi psicologi, che gli adolescenti hanno bisogno di stimoli continui, così da poter crescere e trovare il loro posto nel mondo. Ma adesso, immersi in questa bolla insonorizza ed anestetizzati dal mondo esterno, sembra lontana la routine emotiva alla quale eravamo abituati. Chiusi in casa, con un principio di depressione che sale come un leggero brivido dalla spalla destra per poi insinuarsi come il peggiore degli insetti dentro la tua mente, diventa difficile trovare l’ispirazione per scrivere anche solo qualche riga, un mezzo periodo altalenante e malfermo, che arranca tra le righe del bloc notes. Le relazioni interpersonali sono ridotte ai minimi storici, non che l’avvento dei social abbia remato contro a ciò, e le uniche persone che abbiamo vicino sono i nostri genitori, talvolta amorevoli ma sempre pronti a critiche pungenti e ad esprimere il loro 4


disappunto verso i propri figli. Per chi è coinvolto in una relazione sentimentale lo scenario si complica ulteriormente: è difficile continuare ad amarsi tramite uno schermo senza il minimo contatto fisico ed è ancora più difficile voler bene a qualcuno quando ormai non ci importa più di nemmeno di noi stessi. Ah e vi prego di non abusare più dell’espressione “amore al tempo del corona” grazie, è penosa e a Marquez di certo non sarebbe piaciuta. Forse è necessario, in questo caos, trovarsi uno spazio mentale sicuro e pulito, nitido dove poter riflettere, analizzare le proprie sensazioni e poi, con un po’ di fortuna, riuscire a tradurle in parole scritte. In un periodo destabilizzante dove tutto somiglia ad un quadro cubista in cui il tempo si è veramente dilatato, forse la cosa migliore è sedersi ed aspettare: osservare il mondo, vedere che quando l’uomo rischia l’estinzione la natura torna rigogliosa e potente, comprenderne le dinamiche, metabolizzare l’emozioni e poi, come William Wordsworth ci insegna, quando tutto sarà finito, ci ricorderemo di queste sensazioni e finalmente riusciremo ad esprimerle con le parole più giuste. Chi adesso non ci riesce tornerà a dipingere, a cantare, ritroverà la motivazione e la voglia di continuare, la spinta verso il futuro. Io forse tornerò a scrivere e le persone torneranno a viaggiare. La corsa verso la vita riprenderà, e i corridori saranno più veloci che mai. On your marks, ready set go!

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Coronavirus e famiglia di Giulia Agresti Il coronavirus ha cambiato, ora più che mai, le nostre abitudini. Infatti già quando non si era diffuso così ampiamente come adesso, aveva alterato alcune parti della nostra vita quotidiana. Ad esempio, la mattina, io che solitamente utilizzo i mezzi pubblici, ero accompagnata da mio padre a scuola. Ero felicissima di non dover stare quaranta minuti in piedi attaccata ad altre persone: potevo stare a sedere, ma soprattutto ci mettevo molto meno. Tuttavia, dopo un po’ sono arrivate le dolenti note: a causa del coronavirus stavano per annullare l’assemblea di febbraio, quella in cui eravamo tutti travestiti, oserei dire la più bella di tutto l’anno. Ovviamente il grandissimo cambiamento è avvenuto il giorno dopo, quando hanno chiuso le scuole per un periodo di tempo indeterminato. Adesso che stiamo quarantena siamo tutti obbligati a passare un po’ più di tempo con la nostra famiglia, soprattutto per chi ha genitori che non lavorano o che lavorano da casa. E a volte, diciamocelo, ci danno estremamente noia, come quando entrano in camera o ci chiamano mentre siamo in videolezione, oppure quando ci obbligano ad aiutare il

fratellino o la sorellina a fare i compiti, quando entrano la mattina in camera urlando: ‘sono le 10:00’ anche se in realtà non sono nemmeno le 7:30, o ancora quando ci chiedono ogni 5 minuti cosa stiamo facendo, perché non stiamo studiando o si lamentano perché non li aiutiamo mai. Poi ci sono anche i fratelli e le sorelle, con cui si sviluppa il famoso rapporto amore-odio, così che prima vogliono stare, giocare e parlare con te, mentre dopo 5 minuti li ritrovi a urlarti dietro che non ti vogliono mai più vedere. Tuttavia, possiamo notare dei lati positivi in tutto questo. Come prima cosa, troviamo sempre il pranzo pronto, mentre quando tornavamo da scuola magari dovevamo cucinare da soli - e le nostre doti culinarie non saranno mai come quelle delle mamme. Inoltre, dal momento che non hanno nulla da fare, i genitori si stanno dedicando a pulizie e ristrutturazioni della casa, e magari finalmente aggiusteranno quella porta che cigola da due mesi. Possiamo cogliere questa occasione per passare un po’ di tempo in famiglia, cosa che ormai non fa più nessuno, guardando un film o riscoprendo qualche gioco da tavola che adesso sta solo prendendo polvere in fondo all’armadio. Una situazione come questa probabilmente non ricapiterà più, quindi dobbiamo sfruttare questi momenti per fare tutte quelle cose che non abbiamo mai il tempo di fare – e perché no, magari possiamo farci aiutare proprio dai nostri familiari! 6


COMPLEANNO AI TEMPI DEL CORONA VIRUS di Aurora Gori e disegni di Rebecca Poggiali Sono tre i giorni in cui alzarsi alle 6.00 del mattino non risulta una tortura: il 23 Dicembre, giorno prima delle vacanze di Natale, il 10 Giugno, giorno prima delle vacanze estive e il giorno del tuo compleanno. La sveglia suona sul comodino e non c’è bisogno che tua madre ti chiami altre quattro volte per farti alzare: sei già in piedi, sveglio e pimpante come un grillo. In cucina i tuoi ti hanno preparato la colazione, salutandoti con un bacio ognuno su una guancia, e il sole sembra sorriderti dalla finestra. In treno, invece di dormire accasciato sul finestrino con la bava alla bocca (o ancora peggio sulla spalla del vecchio signore seduto vicino a te!), non smetti di sorridere; il cellulare non la finisce di vibrare e te rispondi entusiasta ai messaggini di “AUGURI!!” e “BUON COMPLEANNO!” dei tuoi parenti e amici. Amici che magari non senti da una vita, ma che nel giorno del tuo compleanno, tutti gli anni, si ricordano di te. Una volta arrivato davanti a scuola, corri incontro ai tuoi compagni di classe, che iniziano a cantare “Tanti auguri a te” nel mezzo della via, attirando l’attenzione dei passanti e degli altri ragazzi, che per metterti ancor più in imbarazzo, iniziano a loro volta a cantare a squarcia gola, anche se non hanno la più pallida idea di chi tu sia. In classe c’è sempre qualcuno che riesce a tirar fuori l’argomento con i prof, e allora tu ti ritrovi a ringraziare impacciato ogni singolo insegnante, con i tuoi compagni che non la smettono di ridere. All’intervallo, a sorpresa, qualcuno tira fuori una torta, e tutti ripartono con gli auguri, per poi cercare, quasi sempre invano, di tenere lontani i ragazzi delle altre classi che ,attirati dalla confusione, tentano di sgraffignare un pezzo di dolce. Tornato a casa, sommerso di regali ma incredibilmente felice, scopri che tua madre ha preparato il tuo piatto preferito e la giornata passa veloce. La sera nonni, zii e 7

cugini si presentano a cena e tutto sembra ricominciare: auguri, torta, regali, baci e abbracci. A letto avverti già un labile senso di nostalgia per la giornata appena trascorsa, ma ti rincuori: nel fine settimana hai organizzato una super festa a casa tua con tutti i tuoi amici, e sebbene il giorno del tuo compleanno sia passato, hai ancora qualcosa da aspettare con eccitazione. Poi arriva il fine settimana, gli amici ti invadono casa, e tu ti chiedi perché ancora i vicini non siano venuti a protestare per il baccano infernale che fate. Ti ritrovi esausto e felice a fine serata e ti rendi conto che questa volta è davvero finita. Ma un poco ti rincuori: tutto ricomincerà l’anno prossimo! Il compleanno 2020 invece (che per me è stato niente meno che il diciottesimo!) non è andato proprio così. Alle 7.00 suona la sveglia e contemporaneamente un sospiro ti esce dalle labbra. Al buio in camera tua sblocchi lo schermo del cellulare e vieni quasi accecato dalla luce del display. Le tue amiche ti hanno già mandato gli auguri, accompagnati da migliaia di cuoricini e faccine felici. Mentalmente le ringrazi, ma in cuor tuo vorresti tanto poterle abbracciare. Mentre fai colazione anche il resto della famiglia si alza, ti baciano, ti fanno gli auguri: “Non è proprio come te lo eri immaginato, eh?”. Direi di no. Alle 8.00 ti aspetta una video lezione, così ti piazzi di fronte al computer con venti minuti d’anticipo. In tanto, sul gruppo di classe su WhatsApp, anche gli altri tuoi compagni ti hanno fatto gli auguri. Durante la lezione, nessuno parla, neppure un bisbiglio; la professoressa spiega le equazioni logaritmiche, e per un attimo ti dimentichi anche di che giorno è pur di cercare di starle dietro e riuscire a capire qualcosa. Alla fine saluti tutti e chiudi la chiamata. Passi tutta la mattina a fare compiti e video lezioni, osservandoti le mani tra una cosa e l’altra, fino all’ora di pranzo. Quando scendi in salotto, ti accorgi che tua madre ha cercato di rallegrare la casa, appendendo alle sedie e ai mobili qualche palloncino trovato nei meandri più nascosti dei cassetti della vecchia vetrina. Guardandoli meglio ti rendi conto che sono palloncini per i gavettoni, per niente adatti per essere


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gonfiati. Immaginando la fatica che deve aver fatto per gonfiarli scoppi a ridere. Mangiate tutti insieme e alla fine ti piazzano davanti una fetta della crostata che tua madre ha fatto tre giorni prima, dicendoti che “la torta seria” la conserviamo per la sera. In casa non c’erano abbastanza ingredienti per farne due. Così ti accontenti di spegnere diciotto candeline ammassate su quella piccola fetta. Non ti aspetti molto altro, e per questo ti sorprendi nel veder arrivare tua sorella con ben due regali in mano; all’occhiata incredula di tutta la famiglia, risponde con una scrollata di capelli: “Ho preso i regali con quasi un mese d’anticipo”, e ti sorride. Nel pomeriggio ti piazzi alla scrivania e inizi a scrivere la relazione di arte, non trovando meglio da fare, ma dopo poco ti viene a noia e chiudi il quaderno. Passi la mezz’ora successiva 9

fermo immobile, a meravigliarti di quante sfumature di bianco sia stato dipinto il muro della tua camera, quando una suoneria assordante ti sfonda quasi i timpani. Sul computer appare la notifica di una chiamata in arrivo da Skype e perplesso l’accetti. “Uno, due, tre… TANTI AUGURI A TE…”. I tuoi amici, scoordinati a causa della connessione scadente, iniziano a cantare, e tu rimani lì immaginandoteli in casa a urlare di fronte a uno schermo: e il pensiero ti fa morire dal ridere. Baci la webcam, sperando che arrivi anche a loro, e poi vi mettete a parlare del più e del meno. Quando ti salutano e riattaccate, ti è tornato il sorriso, così per non perdere lo slancio, ti ributti sui compiti. La sera nessuna orda di parenti arriva a casa. La cena si esaurisce in fretta e quando ti portano “la torta seria”, la tua preferita, i tuoi ti avvertono che hanno organizzato con nonni e zii una grande video chiamata collettiva su WhatsApp. Così, seduto a tavola, con due telefoni e tre facce felici che ti guardano, spegni le candeline per la seconda volta. E mangi la torta con i tuoi familiari. Una volta a letto, girato verso il muro, ti metti a pensare. Avevi organizzato una super festa nel fine settimana: avevi pensato di prendere una piccola villetta in affitto, spersa nei boschi sotto casa tua (per evitare di dare fastidio ai vicini). Con i tuoi amici avreste ballato e scherzato fino a notte fonda, poi vi sareste rannicchiati tutti insieme sul letto senza riuscire a dormire. Proprio come adesso non riesci a dormire solo nel tuo letto. Un sospiro ti esce dalle labbra. A tutti quelli che te l’hanno chiesto, hai detto che avresti recuperato la festa durante l’estate, ed è quello che hai intenzione di fare, ma sai che non sarà comunque la stessa cosa. Ti rendi conto che questa volta è finita prima del previsto. Però, anche se con un groppo in gola, un poco ti rincuori: perché tutto ricomincerà l’anno prossimo!


La nostra generazione la potevano saltare di Matteo Shiner Quanti di voi sanno cosa sia la teoria generazionale Strauss–Howe? L’idea è che la storia sociale umana si può dividere in quattro fasi (ciascuna dalla durata di circa vent’anni) che si ripetono ciclicamente. La prima fase è il “high”, in cui le istituzioni sono forti e c’è un clima di sicurezza in cui la popolazione ha chiari punti di riferimento culturali e sociali. La collettività è forte nel suo insieme e l’individualismo debole. Al “high” succede un “awakening”, un periodo in cui le istituzioni ed il conformismo vengono messi in crisi nel nome di autenticità individuale e spirituale. La fiducia nelle istituzioni si indebolisce e l’individualismo si rafforza. La terza fase è il cosidetto “unraveling”. Questa fase è antitetica al “high”. L’individualismo è al suo culmine e la fiducia nelle istituzioni è al minimo. Un consenso sulla direzione generale in cui portare la società è assente. La quarta fase, che precede il “high” successivo, è la “crisis”, in cui l’individualismo è nuovamente in calo, mentre la fiducia nelle istituzioni è in crescita. Questo porta ad un nuovo picco di sicurezza nella società, un nuovo “high”. La popolazione, categorizzata nello studio in quattro generazioni (infanzia, young adulthood, mezza età e vecchiaia), è divisa, in ogni fase, rispettivamente ad ogni generazione, in quattro archetipi generazionali: “profeti”, “artisti”, “eroi” e “nomadi”. Gli “young adults” di un high sono “artisti”, quelli di un awakening sono “profeti”,

quelli di un unraveling sono “nomadi” e quelli di una crisi sono “eroi”. L’ultimo high è considerato il periodo del boom tra il 1946 e l’assassinio di JFK nel 1963: gli anni ‘50 sostanzialmente. Gli young adults di questo periodo sono rappresentati dagli “artisti” Silent Generation, nota per il suo disciplinato conformismo. Il periodo successivo costituì l’awakening della consciousness revolution degli anni ‘60 e ‘70. I giovani del periodo erano i “profeti” baby boomers, esuberanti e idealisti. La generazione successiva fu rappresentata dalla gioventù “nomade” GenX che va dalla metà degli anni ‘80 all’inizio degli ‘00. Questi sono gli anni del grunge, degli skateboard e di Trainspotting. La fase nella quale stiamo vivendo ora e che si concluderà entro il prossimo decennio è una “crisis”. La gioventù “eroe” attuale sono i millenials. Arriverò al punto, lo prometto. Just bear with me. In questo schema di quattro fasi in eterna ripetizione è stata fatta tornare tutta la storia sociale anglo-sassone dal medioevo ai giorni nostri. Va detto, inoltre, che come ogni teoria sociale la Strauss-Howe Generational Theory non si può applicare universalmente e non si può assolutamente considerare scientifica. D’altronde si basa sostanzialmente sugli stereotipi delle generazioni. È solo, come dire, divertente. Il tipo di cosa che puoi indicare e dire: ah, io sarei (x). Oppure: mio nonno è proprio un (x). E così via. Io sto per fare proprio questo: guardare la tabella del link e dire, disgustato, “io sarei quello”. La cosiddetta Generazione Z, che è costituita bene o male da tutte le persone attualmente sotto i vent’anni, che cosa sarebbe? Secondo questo schema noi saremmo “artisti”, come le persone nate negli anni ‘20 e ‘30. Siamo così fortunati da essere l’equivalente del XXI secolo della Silent Generation. Siamo sostanzialmente una generazione fascista. Secondo questa schema, quando sarà finita la “crisis”, cominciata intorno al 2008 e che finirà intorno al 2025, ci sarà un nuovo “high” di conformismo e sicurezza nelle istituzioni, durante il quale noi saremo giovani adulti come i millenials oggi. In pratica siamo degli omologati senza identità che abbracciano la mediocrità della loro vita come se fosse 10


oro. Non finisce qua. Questo è come viene descritta una generazione di “artisti”: le unità familiari sono strette e gerarchiche. Le differenze tra ruoli gender sono al massimo, come negli anni ‘50. Gli ideali attualmente in formazione, che si saranno cristallizzati prima che la nostra generazione possa aver avuto un ruolo nella loro formazione, saranno “settled”, “stabiliti”. Ci sarà poco spazio per la ribellione. Saremo caratterizzati da un mentalità innocente ed una visione del mondo semplice. I nostri figli e nipoti ci derideranno, considerandoci ingenui e naif. Peggio di tutto, il nostro motivatore sociale sarà la vergogna. Saremo una generazione tranquilla e ottimista. La Silent Generation divenne adulta “troppo tardi per essere eroi di guerra” e “troppo presto per essere spiriti liberi” sessantottini. “Alcuni trovarono una voce come sensibili rock’n’rollers a civil rights advocates. Divennero, come James Dean, ‘ribelli senza causa’, parte di una ‘folla solitaria’ in cui il conformismo sembrava essere il biglietto al successo.” Il manifesto, per così dire, della gioventù anni ‘50 si può considerare Il giovane Holden. Tutte queste cose, rivisitate ai giorni nostri, hanno uno strano incanto nel loro ingenuo sentimentalismo. La Silent Generation cavalcò l’onda della vita civica istituzionale e della cultura convenzionale. Noi, come la Silent Generation, siamo troppo giovani per aver preso parte alla risposta alla crisi del 2008 e saremo troppo grandi per ribellarci nel prossimo awakening. Al contrario, saremo noi le persone a cui ci sarà da ribellarsi. Le nostre icone culturali strapperanno un sorriso alle generazioni future per il loro immaturo idealismo. I nostri idoli verranno derisi nelle generazioni successive. Le nostre conquiste sociali, se ne faremo, verranno fatte within the system attraverso un paziente e dimesso impegno civico, invece che in piazza. Tra cent’anni la nostra generazione sarà ricordata come noi ricordiamo gli Stati Uniti dagli anni ‘50, un periodo di segregazione razziale e gender legalizzata. Un periodo la cui musica nessuno ascolta al giorno d’oggi senza ironia. Il decennio dei drive-in e di 11

Jailhouse Rock. Il decennio in cui è ambientato Grease. Ottimo. I nostri figli e nipoti ci odieranno per essere stati inutili. L’awakening che si svilupperà quando noi saremo già cinquantenni, si guarderà alle spalle ai decenni della nostra giovinezza come un periodo di totale povertà culturale e ideologica. Siamo una generazione che si vuole ribellare senza sapere a cosa. E non sa a cosa perché tutte le sue battaglie sono o saranno già state combattute dai millenials, prima che noi si possa prenderne parte. Siamo una generazione inutile. I nostri genitori genX ci hanno infettato con le loro insicurezze, le quali noi però, a differenza loro, non abbiamo neanche il diritto di romanticizzare. Non ci sarà una versione GenZ di Trainspotting perché ci sposeremo tutti presto. Non ci sarà una versione GenZ del grunge perché, per quanto potrà essere insignificante, saremo tutti contenti della nostra vita. Forse il nostro scopo sarà di poter dare soddisfazione ai nostri figli e nipoti quando ci criticheranno per il nostro conformismo. A buon diritto, si potranno sentire migliori di noi, il che li farà stare bene. In un certo senso prendiamo “the worst of both worlds”: da una parte siamo colpevoli di essere “nati vecchi”, senza la possibilità di avere una gioventù combattiva e idealista. Dall’altra siamo “vecchi infantili”, nel senso che le manifestazioni culturali della nostra gioventù diventeranno fuori-moda molto velocemente e sembreranno immature e puerili alle generazioni successive. Siamo letteralmente una generazione inutile. Proprio in quanto tale, lo scopo della nostra generazione, forse, è solo essere criticata aspramente. Non ci sarà un nuovo Abbie Hoffman tra di noi. Non ci sarà neanche un nuovo Layne Staley. Ci sarà un nuovo Elvis Presley. *PG13, end rant*.


Energia e materia oscura: cosa sono? di Margherita Arena L’energia oscura e la materia oscura sono le due parti principali che compongono il nostro universo. Con precisione ne occupano il 96%, ma non possono essere misurate con esattezza. L’universo continua ad espandersi sempre più velocemente e gli scienziati hanno attribuito ciò a quella che chiamano energia oscura o dark energy. Scientificamente è una costante, una proprietà dell’universo stesso che lo sta ampliando probabilmente fino a quando non si dividerà. Gli scienziati sommando le varie osservazioni hanno calcolato che l’energia oscura è all’incirca più del 70% dell’universo. Un’altra qualità che rende ancora più interessante l’energia oscura, come del resto anche la materia oscura, è che non conosciamo il loro aspetto, infatti ai nostri occhi sono invisibili. In uno studio compiuto nel 2015 hanno sviluppato una teoria per la quale si pensa che l’energia oscura si trovi nei buchi neri. Invece la materia oscura o dark matter è l’84% di tutta la materia presente nello spazio, e si differenzia dall’altra materia perché non assorbe né emette energia. La prova dell’esistenza di essa la vediamo sugli effetti gravitazionali che ha sulla materia visibile. Cosa significa questo? Basta pensare alle stelle, la velocità orbitale di esse dovrebbe essere più lenta all’esterno e più veloce all’interno, però quando andiamo a effettuare i vari calcoli notiamo che la velocità non cambia in base alla distanza. E ciò significa per forza che resistono a forze gravitazionali anche all’esterno, ma sono invisibili a noi.

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di Auror Gori

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Questo mese, rimanendo nell’affascinante ed immenso mondo orientale, partiamo insieme per la Cina. Ho scovato un ragazzo, Yuri Bini, frequentante l’istituto Ginori Conte, che è stato entusiasta di condividere con noi la sua avventura… Che per essere precisi è durata meno del previsto! È partito alla fine di Agosto dell’anno scorso e il programma prevedeva il rientro in Italia a Giugno di quest’anno, ma all’inizio di Febbraio, Yuri era già tornato a casa: il Coronavirus lo ha rispedito indietro senza dargli il tempo di portare a termine il suo viaggio. Con la speranza di poter tornare in Cina al più presto, Yuri ci ha descritto ciò che ha avuto modo di imparare e vedere. E ricordatevi che per qualsiasi domanda potete scrivere al nostro account Instagram e posteremo un video-risposta. Per ora...Buon viaggio! 1. Quella di viaggiare è una tua passione o è stato il brivido di un momento? Sì, viaggiare è sempre stata una mia grande passione. Era il mio sogno nel cassetto e in futuro mi piacerebbe visitare tanti paesi diversi, per imparare a conoscere e comprendere le varie culture diverse dalla mia. 2. Da dov’è nata l’idea di andare in Cina? Era uno dei paesi che avevo indicato come preferenza programmando il viaggio con Intercultura: ero molto curioso di scoprire la differenza che c’è tra la loro cultura e la nostra. E poi sono da sempre affascinato dalla scrittura in caratteri cinesi! 3. La città/paese in cui hai soggiornato com’era? Ho soggiornato a Daqing, una città-prefettura nel nord-est della Cina. È una città piccola per gli standard cinesi ma veramente enorme per i nostri. Ci sono tantissimi laghi, anche se non ho potuto farci il bagno perché quando sono arrivato la temperatura era molto bassa. Uno era vicino alla mia scuola e lo vedevo anche da casa. In realtà avevamo una specie di piccolo lago anche a scuola, dove d’inverno, quando si ghiacciava, si poteva pattinare. In città ci sono grandissimi mercati dove è venduta una straordinaria varietà di prodotti. Il periodo in cui la città mi è piaciuta di più è stato quando è nevicato, e i tetti dei grattacieli si sono imbiancati scintillando alla luce del sole. Mi hanno detto che a primavera la scuola sarebbe stata molto bella per la fioritura dei fiori… Purtroppo come ben sai, non ho avuto il tempo di vederla! 4. Hai avuto problemi con la lingua? Il cinese non è una lingua facile, ma ci sono diversi aspetti da considerare: la pronuncia e la scrittura erano molto complicati ma in compenso la grammatica era veramente elementare. Facevamo tutti i giorni nove ore di cinese a scuola, quindi alla fine qualcosa, anche per sbaglio, l’ho imparata per forza! 5. Quello dei cinesi è uno stile di vita molto diverso dal nostro? Sì, lo stile di vita cinese è molto diverso. Contrariamente a quanto si possa pensare, la vita in Cina non è per niente frenetica. A differenza dell’Italia, la Cina ha una gerarchia sociale ben definita, per questo ovunque posassi lo sguardo, si notava in ognuno un comportamento diverso, come se tutti sapessero bene qual era il proprio posto, ecco. 6. Ci descrivi un po' il sistema scolastico cinese? Il sistema scolastico cinese è molto differente dal nostro, dato che agli studenti è richiesto di frequentare l’aula dall’inizio della mattina fino all’ora di pranzo, per poi avere una pausa per mangiare in mensa e riposarsi, prima di rientrare in aula. Le lezioni pomeridiane durano fino 14


all’ora di cena, quando gli studenti hanno nuovamente una pausa per mangiare e riposarsi prima di tornare in aula per lo studio individuale. Inoltre ogni settimana hanno un giorno fisso nel quale svolgono dei piccoli test, prima delle delle vacanze per il Capodanno hanno un test per ogni materia su tutti gli argomenti svolti fino a quel momento e alla fine dell’anno hanno appunto un test finale per ogni materia. Le materie che studiano sono le stesse che studiamo noi, con la differenza che le fanno molto in relazione al proprio paese. 7. La cosa che ti ha colpito di più dei cinesi. Sicuramente mi ha colpito molto la loro abitudine di stare tutti insieme durante i pasti. Danno un grande valore al legame della famiglia, cosa che sinceramente, oggi come oggi, vedo in pochissime persone. 8. La persona più stravagante che hai incontrato. La persona più stravagante che ho incontrato era la mia coordinatrice di classe: per come si vestiva e per come si relazionava con noi, in modo molto aperto. Utilizzava una VPN per poter accedere ai siti web e social network internazionali, come Google, Youtube ecc… 9. Il cibo più buono e quello più disgustoso che hai mangiato. Le torte della luna sono sicuramente il piatto più buono che ho mai mangiato. Sono dolcetti tradizionali, con un ripieno molto pastoso composto di solito da pasta di semi di loto e tuorli di uova d’anatra. Sono molto spesso accompagnati al tè. Invece non ricordo di aver mangiato cibi cattivi. 10. Un’esperienza nuova che hai fatto. Sono convinto che se avessi portato a termine il mio viaggio avrei sicuramente potuto imbattermi in esperienze indimenticabili. Ho comunque avuto la fortuna di poter visitare la Grande Muraglia Cinese, ed è stata una di quelle esperienze che ti porti dentro per il resto della vita, non so se mi spiego! 11. Consiglieresti anche a noi di partire per la Cina? Assolutamente sì. Scoprire una nuova cultura, una religione diversa da quella in usa nel paese d’origine, un diverso stile di vita, delle diverse abitudini; soprattutto per ragazzi della nostra età penso sia importante. Ci aiuta a maturare, a fare nuove esperienze e a dipendere un po' meno dalle persone che ci stanno vicino.

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IL CACCIATORE DI TALENTI di Diana Gastaldi Le persone con cui ho avuto l’opportunità di confrontarmi per l’articolo di aprile mi hanno fatto riflettere di come la vita offra tante possibilità e se anche capita di scegliere una strada non è detto che questa sia la definitiva, anzi può aprirne delle nuove più consone, confacenti, adatte alle nostre inclinazioni.

Linda Berdicchia

Linda, al quarto anno del nostro Liceo Musicale, è pianista, violoncellista, e cantante. Fin da piccola nutre la passione per il canto. Man mano che cresceva però questa sua potenzialità rimaneva latente, sono stati alcuni compagni e una professoressa ad incoraggiarla a continuare, tanto che al secondo anno del liceo ha superato brillantemente la selezione per il canto moderno. Per lei cantare è un momento liberatorio, in cui riesce a essere libera e a trasformare l’emozione in energia positiva; la prima volta in cui si è esibita in pubblico ha capito quale fosse la sua vera strada, non appena è partita la base, l’emozione ha lasciato il posto alla grinta, alla determinazione e al talento, per cui esprimersi era diventato naturale, piacevole, rispondente al suo essere. Compone anche melodie dettate dalla sua mente e dal suo sentire, le riproduce col piano e in questo modo riesce a mettersi a nudo. @lindaberdicchia

Viola Volpi

Viola Volpi, invece, ormai giunta alla maturità, desidera affermarsi come cantante fin da bambina. Ha sostenuto decine di provini per produzioni televisive come Amici, Sanremo giovani, X-Factor e altri, ha partecipato a numerosi concorsi regionali e nazionali fra cui Festival estivo, dove ha vinto il premio per migliore interpretazione con un inedito. Ha recitato, cantato e ballato in musical ed è stata anche co-protagonista nel lungometraggio Ho sposato mia madre di Domenico Costanzo regista e co-autore di diversi film di Leonardo Pieraccioni. Adesso, è in fase di elaborazione di un progetto volto alla pubblicazione di un CD composto da inediti con uscita a giugno, ma in questo momento particolare è tutto da riprogrammare. Dopo il diploma vorrebbe perfezionarsi all’estero, il Conservatorio per ora non lo sente suo. Aggiunge: “È una strada dura e complicata, ma se c’è la passione e soprattutto se uno crede in quello che sta provando a costruire con la propria musica, raggiungerà presto i propri obiettivi”. @ _violavaniavolpi_

Salvo

Per Salvo, frequentante il liceo artistico, tutto è iniziato alle medie: la scintilla è partita quando vide per la prima volta dei ragazzi fare freestyle. Quello che fa e dice è per bisogno, sente la necessità di sfogarsi e di dire ciò che sente, poi le persone possono o meno ritrovarsi nelle sue strofe, accontentando chi ti ascolta o gratificando te che sai esprimere quello che la gente prova. Le basi le trova su Youtube dove è presente con i brani: Randa simile, con più visualizzazioni, Fango e In cima al mondo a cui tiene maggiormente, legata ad una storia d’amore. A dicembre uscirà il suo primo album: beat, testi, produzione sua e di un suo amico. Così si è conclusa l’intervista: se volete iniziare con il freestyle dovete avere voglia di sfogarvi, almeno per lui, è come andare in bicicletta la prima volta, più spesso si fa, più s’impara. @_s4lvo__ 16


ALLA SCOPERTA DEL MUGELLO

La Fortezza di San Martino di Pietro Santi La Fortezza di San Martino, che la sta ni’ comune di San Piero e Scarperia, fu costruitha sulla hollina di San Martino pé volontà di’ Duca Hosimo I, e smarimessano1 a costruilla i’ 30 giugno 1569. Cosimo I la vorse costruita pecché, testuali palore2, "...perché da quella parte si poteva da qualunque havesse voluto assalir lo stato fiorentino venir liberamente insino a Firenze con ogni moltitudine di gente quantunque grande, senza avvenirsi ad alcuna frontiera da poterli contrastare...", difatti ni’ Mugello unn c’erono tante fortezze a parte pohi castelli medievali. Cosimo e’ vole’a fa’ i’ pottaione3, la Fortezza l’è grande di nulla! E’ lavori fininno ni’ 1608, parecchio tempo gl’era passo, quasi come l’opera di’ Dòmo4! L’entrata a norde l’è la porta bolognese, e chélla zona l’è anco la più fortifihatha; a sudde c’è la porta fiorentina. I’ mastio gl’è appresso la porta fiorentina, e vien chiamàto i’ cavaliere a cavallo. La Fortezza pothé’a ospithà’ 2000 sordati e armerie pé fa’ cannoni. Leopoldo I di Lorena decidé però di disarma’ la Fortezza, condiserandola inutole e gabillo tenecci e’ sordati. A parte quand’ e’ francesi di Napoleone discesano ‘n Italia, non fu più adoprata pé scopi militari. Durante la Se’onda Guerra Mondiale e’ sampierini usonno la Fortezza come rifugio contro e’ bombardamenti. Negl’anni ’60 prencipionno e’ lavori pé i’ restauro, ma unn funno mai honclusi. I’ Regolo! Una notte buia e tempestosa, proprio ‘na buriana, si dice che da i’ cielo piombò un drago ne’ pressi della Fortezza. Quarche tempo doppo ni’ paese di San Piero si prencipionno a vede’ monethe d’oro e le fanciulle di’ luogo avventurassi di notte vicino a’ bastioni. Sempre heste di que’ tempi ebbano tutti figli maschi e ‘n salute. Arcuni paesani insospettiti decisano di seguire una ragazza tra le tante ch’ell’ andé’ano vicino alla Fortezza di notte… Maremma bona! E’ viddero i’ Regolo, i’ drago, ch’e’ cantava dorcemente alla fanciulla. Uscinno fora da i’ nascondiglio, allotta5 i’ drago fece un urlo! Maremma inteccheriha! Gli scesano dalla collina a tutta birra!

Le foto della Fortezza delLa Franca Quand’ e’ s’ariva alla fine dell’érta6 pé anda’ alla collina, si prenciano a vede’ e’ muri, arti come pochi!

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Questa l’è la porta di dove si pole intrare, quando si fanno le visite guidate (bisogna mettisi d’accordo colla biblioteca di San Pietro).

Ì camminamento d’intorno a’ muri.

GLOSSARIO Smarimessano1: iniziare;

palore2: parola; pottaione3 : vanitoso;

come l’opera di’ Dòmo4: detto di qualcosa dai lunghi tempi di realizzazione; allotta5: allora; érta6: salita.

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DIARIO DI VIAGGIO

S O F I A di Sofia del Cherico

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Sono partita per Sofia, la capitale della Bulgaria, quasi due anni fa, e ci sono rimasta per una settimana. Non posso parlare per tutto lo stato, ma la capitale, per quel che ho potuto vedere, è rimasta molto nel suo periodo di dopoguerra (almeno le persone, in caso ci andiate vi consiglio vivamente di prendervi una cartina). Ricordiamo che questo paese ha alle spalle una storia molto ingarbugliata, sia per le varie occupazioni sia per tutte le popolazioni e culture che ha incontrato; è uno stato che, nonostante molte cadute ha sempre saputo rialzarsi, più o meno velocemente. A Sofia il richiamo orientale è senza dubbio fortissimo, dovuto quasi sicuramente alle numerose dominazioni subite nel tempo, le quali hanno portato al paese un arricchimento culturale di non poca rilevanza. La Bulgaria è infatti vista da molti come un ponte tra Oriente e Occidente. Molte delle architetture che ho potuto vedere mi hanno lasciata affascinata, le loro cupole dorate, le vetrate... Nel Paese non vige una religione in particolare, la maggior parte della popolazione è ortodossa, ma altrettanti restano ebraici o islamici, per questo è pieno di luoghi di preghiera. Al di fuori degli edifici però, Sofia resta una città, a mio parere, molto povera. Le strade spesso sono mal tenute, si passa velocemente da quartieri finemente decorati, a strade all'apparenza dimenticate da chiunque. Questo però non toglie niente al fascino particolare di questa città. Nei miei ultimi due giorni ho potuto vedere la capitale in bianco, ha nevicato per un giorno intero. In quei giorni ho deciso di cercare alcuni dei posti meno frequentati dai turisti, scoprendo così piccoli ristoranti e pub nascosti nel cuore della città notturna. In conclusione, Sofia resta, nonostante i suoi piccoli difetti, una bellissima città piena di storia. La raccomando a chiunque voglia sperimentare qualcosa di diverso; è piena di luoghi da scoprire e visitare, di magia se la si sa guardare bene. 20


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Helios: raggi di sole per realtà nell’ombra di Elisa Ciabatti Spesso non ci si accorge di ciò che ci circonda, troppo presi dai nostri pensieri, dai nostri problemi quotidiani, e diamo per scontate le vite di chi non ha le nostre stesse opportunità o capacità. Ci ritroviamo spesso a lamentarci di una società lasciata a se stessa, ma non ci rendiamo conto di quanto noi in prima persona potremmo fare per cambiare le cose. Francesco Sarti all'età di 19 anni, insieme ad un amico, ha deciso di aprire un'attività di volontariato con l'obiettivo di aiutare tutti coloro che ne hanno più bisogno e per i quali i soli sussidi istituzionali non bastano. Ha quindi aperto, il 28 Settembre 1995, l'associazione Helios che si occupa di bambini e giovani in difficoltà in ambito ospedaliero, domiciliare e sociale. La sua idea di associazione era però un po' diversa da quelle finora costituite; Helios infatti è un'associazione laica, aperta a tutti, senza limiti di età massima, senza obblighi né costrizioni e ben integrabile nella quotidianità di ognuno! L'associazione è nel tempo cresciuta e ad oggi conta circa quattrocentocinquanta volontari di cui ben duecento attivi. Le attività che propone sono varie e dedicate a tutti i bambini e i giovani che per un motivo o un altro si trovano costretti in situazioni difficili o troppo grandi per essere superate da soli. Tra questi eventi ci sono, ad esempio, collaborazioni con l'ospedale Meyer di Firenze, che comprendono attività di gioco per bambini ricoverati a lungo tempo all'ospedale pediatrico, laboratori creativi per i pazienti di psichiatria dell'Infanzia e Adolescenza, attività di lettura e gestione della biblioteca e un tipo di attività chiamata SOS Meyer che affianca tutti i bambini ricoverati che non trovano accanto a sé la presenza di un familiare. Helios, inoltre ,si occupa da alcuni anni della sensibilizzazione sulla tematica della donazione del sangue, degli emoderivati e del midollo osseo nel centro ospedaliero Meyer e in tutti i centri di trasfusione della Toscana. Attualmente conta ben duecentocinquanta donatori iscritti! L'Associazione è quindi un vero e proprio sostegno non solo per tutti coloro che vivono realtà difficili in prima persona, ma anche per le famiglie, le quali si trovano spesso costrette a gestire situazioni complesse, stancanti e molto più grandi di loro. Sono organizzate anche attività ricreative e di socializzazione per i giovani e gli adulti con disabilità in modo da dare loro la possibilità di crearsi una vita più indipendente e soddisfacente. L'attività sociale del sabato ne è un esempio, dove tutti i ragazzi con disagi psichici, fisici o sociorelazionali possono trovare un momento di distacco dalle loro realtà ed esprimere la loro personalità, lasciando anche alle famiglie stesse il tempo di dedicarsi alla propria persona. Helios è quindi un forte punto di riferimento nella società, che ha deciso di occuparsi di tutti quelli più "messi da parte", offrendo loro la possibilità di avere una vita più tranquilla, un sostegno e un aiuto concreto. C'è quindi sempre bisogno di volontari, di persone dedite all'impegno civile, che vogliono migliorare la società, ma anche migliorarsi in prima persona; associazioni organizzate, che sappiano coordinarsi tra loro e collaborare con le istituzioni per offrire servizi sempre migliori. Fare volontariato non è soltanto donare, ma anche ricevere, imparare, scoprire e scoprirsi, avere una visione più ampia della nostra realtà e della realtà di qualcun'altro. I cambiamenti partono dal basso, dalle cose che ci circondano, dal prendersi cura con costanza della nostra società, di tutta la nostra società, anche di quella che sta più in silenzio, che non ti dice se sta male, ma che ha più bisogno. Ciò che spesso ci sentiamo dire è che ognuno di noi è importante e che ognuno, nel suo piccolo, può essere utile, ed è estremamente vero. Possiamo arricchirci, donando. Come sei diventato volontario di Helios? Helios organizza periodicamente incontri informativi dove viene presentata l'associazione; chi è interessato può partecipare ad altri incontri (svolti ogni 30/40 giorni) o chiedere informazioni nella segreteria in via Rondinella 40. Dovrà poi compilare un questionario motivazionale e svolgere un breve corso di formazione di base composto da 8 incontri con preparazione per tutte le attività di volontariato. Da lì avrà inizio il periodo di tirocinio nel quale verrà affiancato da un tutor per circa 8 volte in tutte le attività (Meyer gioco, Meyer biblioteca, Meyer SOS). Una volta terminato il tirocinio si è volontari attivi a tutti gli effetti! Sono minorenne o non posso essere un volontario attivo, posso comunque essere d’aiuto? Helios accetta volontari di tutte le età, per i minorenni non sono previste le attività in campo ospedaliero a causa delle questioni legali, ma possono benissimo partecipare alle altre attività come, ad esempio, l'attività del sabato. Inoltre si può essere anche volontari non attivi, ovvero che non partecipano alle attività, semplicemente tramite donazioni all'associazione che, essendo autofinanziata, ha bisogno di ogni piccolo aiuto della comunità! 23


I MIGLIORI DIECI FILM DEL 2019 di Maddalena Grillo Il 2019 è stato un anno davvero interessante per il mondo del cinema, infatti diversi esponenti di questo mondo meraviglioso lo hanno scelto per dar luce alle proprie opere. Stilare una lista di dieci film non è stato facile, sono state numerose le correzioni e gli spostamenti di classifica che ho effettuato nello scrivere questo articolo. Ovviamente questa è una classifica amatoriale dettata in buona parte dal gusto personale e, come sempre quando si parla di arte, il tutto contiene molta soggettività. Detto ciò iniziamo subito a vedere le posizioni rimanenti. 24


6. Once Upon a Time in Hollywood, Quentin Tarantino Avete presente l’espressione “buona la prima”? Ecco, questo non è il caso in cui usarla. Appena uscita dalla sala, lo sconforto che questo film mi aveva provocato è stato tale da ingiuriare tutta la filmografia di Tarantino, salvando solo Le Iene e Pulp Fiction. Non era ciò che mi aspettavo da grande fan di questo regista, lo avevo trovato farraginoso, lento, come se di proposito non volesse mai entrare nel vivo dell’azione. Poi, mesi dopo, ho deciso di guardarlo una seconda volta. Illuminazione. Mi sono resa conto di aver fatto completamente cilecca. Una volta che le aspettative si sono esaurite, ci si rende conto di avere danti un grande film. I personaggi ci sono più familiari, abbiamo già avuto un contatto con la realtà nella quale Tarantino sceglie di proiettarci per più di tre ore. Nel film abbiamo un’accurata ricerca di quella che è stata la Hollywood degli anni ’60, a partire dalle musiche, passando per i costumi, il trucco, la scenografia e addirittura oggetti che sono appartenuti realmente ai personaggi esistiti rappresentati. Ma più di tutto, quella che ci arriva per davvero, è un’aria frizzante e gioiosa, esuberante, che sa di passato e di nostalgia, come quando si parla di un amore svanito. Perché effettivamente è questo che Tarantino sceglie di fare: rendere giustizia al suo più grande amore, vale a dire il cinema, nella sua età d’oro. Inoltre non sono neanche da criticare i cambi che l’autore sceglie di fare ai fatti di cronaca realmente esistiti, infatti questa è la rielaborazione assolutamente dettata dal desiderio di un uomo che avrebbe voluto, sperato, che determinate ingiustizie non fossero mai accadute. Ovviamente il tutto è condito con la speciale salsaTarantino, che comporta risse, violenza, vocaboli scurrili e tanto, tanto, sangue.

5. Midsommar, Ari Aster Chiunque, sentendo la parola horror , si figura nella mente ambientazioni lugubri, esseri mostruosi, forze sovrannaturali, rumori tetri, vicende orrende, buio. Ecco, dimenticate tutto. Midsommar è un horror, ma girato sotto il sole di mezza estate, in Finlandia, durante giornate che presentano sì e no tre ore di luce. La nostra protagonista si ritrova a dover affrontare una vacanza studio subito dopo un fatto tragico che avviene all’inizio del film. Elemento caratteristico è la luce che abbaglia ogni cosa. Si ha proprio l’impressione di essere sotto un sole cocente, che stordisce. La storia è per altro ambientata all’interno di una comunità autoctona, che ha tradizioni particolari, un dialetto parlato solo dagli abitanti del luogo e credenze millenarie, legate alla terra e agli astri. La vicenda viene raccontata lentamente, non abbiamo fin da subito le sensazioni tipiche dei film di questo genere, come la paura o l’angoscia. Infatti queste emozioni entrano nello spettatore lentamente, lavorano all’interno di chi guarda per poi colpire alla fine. Midsommar è un vero horror, cosa che purtroppo è sempre più difficile trovare, poiché ultimamente questa tipologia di film è soggetta più di altre a cadute di stile e banalizzazioni. In conclusione la pellicola può davvero essere definita unica nel suo genere, da vedere assolutamente.

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4. L’ufficiale e la spia, Roman Polanski Il titolo originale del film è J’accuse. In effetti siamo davanti ad una ferrata accusa, che si protrae fino agli ultimi attimi del girato. Francia, 1894. Il generale Dreyfus, capitano dell’esercito francese, viene esiliato sull’Isola del Diavolo per aver passato informazioni interne a delle potenze straniere. Un anno dopo, l’ufficiale Picquart, che in passato era stato il superiore dello stesso Dreyfus, si trova a dover fare luce per proprio conto sull’intera vicenda, poiché sospetta che il processo dell’ex generale sia stato sommario e in qualche modo corrotto. Si apre così una fitta indagine che scava fino ai meandri più bui dello stato francese dell’epoca, portando a galla verità che avrebbero dovuto restare nell’ombra. Polanski decide di realizzare, tramite una vicenda realmente accaduta, un film estremamente politico e di attualità, sebbene ambientato alla fine del diciannovesimo secolo. J’accuse, titolo dell’editoriale di Émile Zola, che prese parte attivamente alla vicenda e che nello scritto denunciava tutte le irregolarità del processo Dreyfus, sembra anche il grido con il quale Polanski si rivolge alla società odierna, un qualche modo per scuotere la coscienza comune. La regia è spettacolare, il filo del racconto è chiaro, pulito, il ritmo incalzante e mai monotono. Una cosa davvero particolare è il senso di claustrofobia e di chiusura conferito alla pellicola. Infatti la maggior parte delle scene è stata girata in ambienti chiusi, con poca luce e addirittura le riprese in esterna sono state sempre accompagnate da un cielo nuvoloso e scuro, circostanze che non mettono a proprio agio lo spettatore e che aiutano a comprendere il tipo di ambiente nel quale il protagonista deve indagare.

3. Joker, Todd Philliphs Ho già scritto di questo film, perché più che un film è stato un vero e proprio evento. Uscita dalla sala ero letteralmente innamorata del girato di Todd Phillips. Questo riesce infatti a farci entrare nella malattia mentale del personaggio. I dialoghi sono molto profondi e fanno riflettere su cosa sia la giustizia sociale, su cosa sia il pregiudizio verso chi non è uguale a noi, verso chi soffre e attraverso la violenza sfoga il proprio malessere poiché non ha nessun altro mezzo a disposizione. Si parla della bolla nella quale spesso i media ci fanno vivere, pilotando a volte l’opinione generale a favore del miglior offerente, e di come in certi casi il pazzo sia più umano della persona considerata sana. Joker usa un personaggio dei fumetti per trattare di questi temi importanti, facendoci conoscere realtà molto spesso messe da parte. L’ambientazione è cupa, la città di Gotham cade sempre di più nel degrado, un ambiente nel quale il più forte prevarica sul più debole. Ambientazione in forte contrasto con la musica scelta, vi sono numerosi brani di Frank Sinatra ad esempio, che, se non allegri, sono senz’altro in grado di trasmettere serenità. Ma l’aspetto che lascia senza fiato è l’interpretazione fuori da ogni schema di Joaquin Phoenix, un attore in grado di immedesimarsi perfettamente, con il corpo e lo spirito, in un carattere complessissimo e pieno di sfaccettature.

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2. The Irishman, Martin Scorsese A Martin Scorsese non si può far altro che associare titoli come Quei bravi ragazzi o Casinò, la cosa certa è che in ogni caso il gangster movie sia pane per i suoi denti. Anche con questo film Scorsese non si smentisce, portando sullo schermo un film che ha un sapore molto malinconico per essere uno dei suoi caratteristici girati sulla mafia italoamericana. Dopo aver ingaggiato attori del calibro di Al Pacino, Robert De Niro e Joe Pesci, il regista ha rappresentato la vera storia di un uomo legato alla mafia e al politico Jimmy Hoffa, la cui morte rimane tutt’oggi avvolta nel mistero. Un cast stellare di questo livello non poteva che lasciare soddisfatti delle varie performance e così è stato. Il film dura tre ore e mezza, ci sono momenti di grande azione ed altri più introspettivi, ma certamente la durata, particolarmente lunga, non rappresenta un problema e il filo della storia scorre senza problemi. Il protagonista è in costante trasformazione, sempre combattuto tra l’amore pe la famiglia e l’onore dell’ambiente malavitoso. Un film davvero mozzafiato che fa anche un sapiente uso della tecnologia in ambito cinematografico, visto che i volti degli attori principali sono stati ringiovaniti digitalmente, non andando però a lederne la grande espressività.

3. Parasite, Bong Joon-ho Primo film sudcoreano a vincere la Palma d’oro a Cannes, primo film sudcoreano a vincere un Golden Globe come miglior film straniero, primo film sudcoreano ad essere nominato agli Oscar per il miglior film e per il miglior film straniero. Bong Joon-ho con questo film tira uno schiaffo morale a tutto l’occidente. Era da tempo che non vedevo un film talmente tanto ben fatto da lasciare senza parole. Per parlare di Parasite non so neanche da dove iniziare: dall’ottima recitazione di tutti, e dico tutti, gli attori? Dalla loro formidabile espressività? Dalla trama totalmente inaspettata e da tutti i suoi risvolti? Dalla regia magistrale con la quale il film è stato diretto? Dalle inquadrature e dalla fotografia spettacolari, che si rifanno quasi al modo di girare anime? No, partirò dalla tematica trattata: la disuguaglianza sociale. La storia in realtà è molto semplice, si tratta di due famiglie, una molto povera, costretta a vivere in un seminterrato, e una più che benestante, che dispone di ogni genere di lusso. Poco alla volta, tramite degli stratagemmi, la famiglia meno fortunata riesce ad ottenere incarichi di lavoro presso l’altra, che ignara di tutto è ben contenta di accettarla. Lo spettatore è sottoposto ad un continuo cambio di registro, prima commedia, poi film drammatico, e ancora momenti molto crudi ed altri che sfiorano l’horror. La fotografia è davvero spettacolare e caratteristica. Ogni aspetto di questo capolavoro è stato curato nei minimi dettagli, alcune inquadrature nel film mettono in evidenza anche solo un’espressione di uno dei personaggi. Parasite è un grande disegno nel quale tutte le linee si ricongiungono in un solo punto per poi ridividersi e non incontrarsi più. Invito alla visione di questo film più che di qualunque altro, a mio avviso si tratta di uno dei migliori film non solo del 2019, ma del decennio. Concludo con la frase che più mi ha colpito dell’intero film: “Nei momenti di difficoltà della vita, il miglior piano è non avere un piano”.

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ESSERE UMANA

VIOLENZA di Elettra Masoni e Giulia Ottini a violenza contro le donne ha moltissime sfumature tra cui: violenza domestica, stalking, delitti d’onore, abusi sessuali, molestie, stupri, stupri correttivi (per esempio verso le donne lesbiche), l’uso dell’acido per sfigurare, fasciature dei piedi (i piedi di loto in Giappone) e molte altre. Sempre più spesso si sentono notizie di femminicidi al telegiornale e alcune persone rimangono indifferenti a questo tipo di notizia: circa un italiano su quattro pensa che uno stupro sia causato dall’abbigliamento della vittima. In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa e ogni quindici minuti avviene un reato per mano di un partner o di un ex, persone che spezzano vite in nome di un amore spesso

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malato e non più corrisposto. Il dato emerge da un rapporto del Censis, realizzato con il contributo del Dipartimento per le Pari Opportunità, con una campagna di sensibilizzazione contro stereotipi e pregiudizi e una mostra fotografica sul valore sociale della donna. Una tra le cause della violenza sulle donne è la disparità di genere, il senso di superiorità del sesso maschile. La violenza non è solo fisica, ma si può anche trattare di continue offese, intimidazioni, umiliazioni, ricatti o svalutazioni oppure violenza economica che consiste nel controllo del denaro solo da parte di un membro della coppia e sottrarre o impedire l’accesso dei soldi così da obbligare la persona ad essere dipendente dall’altra. Se notate un qualsiasi tipo di violenza siate consapevoli e non abbiate paura di denunciare.

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RACCONTI

CELLA SENZA CESSO di Eleonora Sarti

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i sono svegliata presto, stamattina. Un’emicrania insopportabile mi martella le cervella, le grida della Vanessa rimbombano nel corridoio. Ho smesso di urlarle contro, ormai. I suoi incubi sono peggiori dei miei.
 Sono ancora le cinque. Accendo una sigaretta e mi sporgo sulla finestrella per ammirare il cielo crepuscolare. Collezionare albe, ecco un’altra cosa che ho iniziato a fare una volta arrivata qui. Il sonno è un ricordo lontano. Poi rifaccio il letto e urlo al secondino di turno di avvicinarsi. “Buongiorno cara”- Dio, quanto odio quella voce cantilenante.
 “Buongiorno a te. Ce li hai?”
 Un ghigno prepotente si palesa sul suo volto. Molto lentamente, troppo lentamen- te, tira fuori i due pacchetti di Lucky Strike che gli avevo chiesto e me li allunga tramite la fessura sudicia della porta.
 “Ci si vede”, sogghigna, poi scompare nella penombra del corridoio fetido.
 Tiro un sospiro di sollievo e mi butto sul letto.
 Da due mesi ormai questa cella è tutto il mio universo. Mi ci hanno spedito dopo un anno nella popolazione generale, con tanto di allungamento punitivo della pena. “Ehi”, l’inconfondibile voce della Patrizia mi arriva come un sussurro dal condotto che unisce le nostre celle. Non le rispondo. Non ho voglia di parlare. Sono giorni che non ho voglia di fare niente, che mi crogiolo nella mia stessa rovina. Nonostan- te tutto, non ho mai smesso di scrivere in questo diario, che aggiorno continua- mente sperando di non diventare pazza in questo seminterrato putrido, dove la luce naturale è poca e le grida di follia sono troppe.
 Le pareti di questa cella sono sinistramente incrostate di sangue e lacrime. Non solo mie. La Vanessa una volta mi disse che qualcuno in passato si impiccò pro- prio qui. Di solito non credo ai vaneggiamenti della vecchia

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schizofrenica, ma più passa il tempo più mi rendo conto che chiunque, dopo mesi di psicofarmaci e soli- tudine, potrebbe arrivare a fare una cosa simile. Non la Vanessa, però, nonostante sia qui da anni. Probabilmente ha fatto amicizia coi fantasmi che si aggirano da queste parti o, più realisticamente, con le voci nella sua testa.
 Mi volgo verso le fotografie che tengo appese vicino al letto. Gli occhi mi si riem- piono di lacrime, i nervi di rabbia.
 Fisso il suo volto sorridente. Non so quando potrò rivederla, baciare quelle labbra così dolci.
 Mi hanno derubato della mia giovinezza questo il pensiero che mi perseguita ogni volta che getto gli occhi su quelle foto di una vita che ormai non mi appartiene più. Il tempo si è fermato. Il futuro non esiste. Il passato mi perseguita nei sogni che faccio. Perciò ho smesso di dormire.
 A volte ascolto la Patrizia pregare, alla sera. Spesso poi piange. Il carcere è una terra senza Dio. I nostri peccati non saranno espiati. Dio si cura soltanto dei suoi figli prodighi. Noi siamo solo bastardi.
 Questo è un inferno apatico, agonizzante. Come nel limbo dantesco, noi pagani viviamo in una stasi apparentemente senza fine, nel desiderio ardente ma vano di raggiungere il nostro, di Dio: la Libertà. Accendo un’altra sigaretta e mi sforzo di leggere il retro copertina di un libro lasciatomi dalla mia ex compagna di cella, Susanna, una vecchietta arzilla finita sotto chiave a vita per aver ucciso a colpi di rivoltella il marito violento. Adesso è morta. L’ha raggiunto all’inferno. Urlano il mio nome per farmi ritirare la colazione. Getto un’ultima occhiata al titolo del volumetto polveroso: “Il muro”, di Jean Paul Sartre.
 Mi torna in mente una frase di un poeta che ho amato molto al liceo. Lo chiamano L’enfant de colère. “Ho pianto fin troppe lacrime. Ho visto albe strazianti”.


RECENSENDO di Alessia Oreti e Eleonora Sarti TITOLO: Urlo TITOLO ORIGINALE: Howl AUTORE: Allen Ginsberg Nasce a Newark nel 1926 da una famiglia medio-borghese ebraica. Il padre è un docente, la madre, casalinga affetta da una malattia psichiatrica non meglio descritta, è un'immigrata russa, esponente del Partito Comunista Americano. Allen cresce quindi in un ambiente agiato, ha accesso ad un'eccellente istruzione ma al contempo in una famiglia dilaniata dalla sofferenza materna. Frequenta la Columbia University dove conosce altre forti personalità dell'ambiente Beat (Kerouac, Cassidy, Carr e Burroughs) e con le quali frequenta un ambiente che lo inizia all'uso di droghe e alla libera sessualità. Qui esprime a pieno il proprio genio letterario nonché la propria sessualità. Durante questo periodo scrive le sue più importanti opere, tra cui “Urlo”. Muore nel 1997 per un arresto cardiaco, dopo aver lottato per anni contro un tumore. CASA EDITRICE: Il Saggiatore ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1986 GENERE: poema TRAMA: Un poema dissacrante suddiviso in tre atti e una parte aggiuntiva. Il primo atto tratta del disorientamento della generazione post bellica per cui il sogno americano non è altro che un'allucinazione propugnata dalle figure dei grandi capitalisti dell'epoca. Immagini di una vita disincantata, frasi sconnesse e perentorie sulla vita di strada di quella generazione consolata dall'abuso di droghe e dalla riscoperta dei piaceri carnali. Atto secondo: una crudele condanna del capitalismo della così detta “epoca del benessere” degli anni Cinquanta, descritta come una reale sottomissione delle menti. Atto terzo: indirizzato all'enigmatica figura di Carl Solomon che simboleggia per lo scrittore la libertà di pensiero e la follia vista come vera forma di lucidità. Parte aggiuntiva: ricollegandosi al tema della follia come lucidità Ginsberg esprime, sotto forma di preghiera delirante, la necessità di ricordare ciò che è santo e vero nella vita: il corpo, la carne e la solitaria esistenza. COMMENTO: Il poema è in tutto e per tutto un urlo, espressione di condanna, dolore ma anche di speranza nei confronti della società americana dell'epoca. Una descrizione sublime della vita nei sobborghi newyorkesi e del grigiore della sopravvivenza quotidiana ai piedi dei grattacieli della grande mela. “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte, [...]”. Ginsberg mette in luce come la vita “sotterranea” di coloro che vengono ostracizzati dalla società perbenista e borghese sia in realtà l'unico polmone sano e “santo” della metropoli. Tramite allucinazioni lisergiche e deliri psicotici l'autore dona al lettore una visione più completa, diretta e cruda della realtà circostante e maligna, assuefacendolo tramite frasi sconnesse e apparentemente insensate. Un testo suggestivo, crudele ed enigmatico che qualunque adolescente o adulto dovrebbe avere nella propria libreria personale. VOTO: 5/5

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Le poesie di William Carlos Williams di Allegra Niccoli Ho incontrato William Carlos Williams in un film che ho visto di recente dal titolo “Paterson”, per la regia di Jim Jarmusch, un film intriso letteralmente di poesia, in cui a un certo punto veniva recitata questa lirica: I have eaten the plums that were in the icebox and which you were probably saving for breakfast Forgive me They were delicious so sweet and so cold È bastato questo per spingermi a conoscere meglio l’autore, perché in generale questa è la poesia che apprezzo, una poesia che non è vincolata alla rima, che parla della quotidianità rendendo straordinario l’ordinario, che rende il fisico metafisico. Mi immagino Williams intento ad assaporare questi frutti dolci e freddi sapendo di averli sottratti alla persona che ama, e questo li rende ancora più dolci e freschi, la dolcezza del peccato e la freschezza del perdono. Ho cercato allora un testo con la traduzione a fronte che raccogliesse diverse poesie dell’autore e su Amazon sono riuscita a scovare questo testo usato pubblicato nel 1979. È una raccolta di

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Angolo del Poeta “La poesia è quando un’emozione ha $ova% il suo pensiero e il pensiero ha $ova% le parole.“

Robert Lee Frost

SILENZIO di Edoardo Bucciarelli Nella musica Riaffiori il sublime Rinasca speranza del dopo. Tutto tace. Così sembra. Danzeremo sulle vie deserte Col terrore sulla faccia. Fuggiremo come marinai il presagio di tempesta. Nel silenzio si compone una musica dolce: Spettatori della morte, Accecati dalla vita. Tutto tace. Fuori piove, dentro pure: L'altro virus avvelena il cuore, L'altro virus instilla il tarlo Della nostalgia. Reposterò se necessario ognidove; Eclisserò la sensazione Dell'afonia.

VIOLENZE di Hygee Macchie violacee su tele bianche, rigoli di pittura, polvere di stelle. Colori troppo forti fanno a pugni tra le coperte, scalciano e sporcano. Non sei abbastanza. Saliva e sudore senza sentimento, tamburi in lontananza, ti dono la mia pelle, fanne buon uso e copritici d'Inverno. Io resto qui e mi scaldo con il freddo.

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SENZA NOME

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PER LE STRADE DELLA CITTÀ

di Alice Oreti

di Giovanni Gori

E dei sospesi sospiri e delle battaglie rimandate e del mancato sole e della solitudine e del pianto, del vuoto, del caos e delle occasioni perdute e di quelle mai avute e dei freddi sorrisi e delle false promesse e delle false speranze, e del profumo del pane, e del calore e del frenetico ritmo di una vita perduta e della pioggia sul viso ricorderai. E del percuotere insistente del cuore nel petto e del sentirti viva e degli abbracci in cui sentirti scomparire e dei sorrisi e degli amori e della vita di cui stanca, non ricordi più l’andare, riavrai la tua parte.

Mi vesto stamattina ed esco fuori, vado un po' in giro, dove di preciso non si sa. Quanta gente che conosco, per le strade della città. RIT. La vita per le strade ha il suo apice, persone che tu incontri o incontrerai, amori che già sbocciano, amori che appassiscono, e il fiume indifferente che scorre sotto il ponte. Vado in giro, ecco, sento una voce, che mi dice "Ti ricordi di me?" Io mi ricordo, sì. Andiamo con gli amici a bere al bar, passeggiando e guardando la gente che viene e va, per le strade della città! Sotto il cielo il grande evento del primo appuntamento, il primo bacio tra la gente che viene e se ne va. RIT. la vita per le strade ha il suo apice, persone che tu incontri o incontrerai, amori che già sbocciano, amori che appassiscono, e il fiume indifferente che scorre sotto il ponte.


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