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LA STORIA TRA NOZIONI ED EMOZIONI

Intervista a Valerio Massimo Manfredi

di Giovanni Cavalieri

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Innanzitutto ringrazio lo scrittore e archeologo V. M. Manfredi per la sua disponibilità. Per me è stato un grande onore averlo intervistato, essendo un suo fedele lettore. Rispondendo ad alcune domande, l’autore ha parlato delle sue esperienze come archeologo e del ruolo della storia (così come della letteratura) nel mondo di oggi.

Quando è maturata la sua passione per la storia?

«Più che passione è stato il mio lavoro di studente. Ho iniziato a seguire tutti i momenti del mio lavoro e poi il mio percorso archeologico, che mi interessava molto. Inoltre mi ha attratto molto il viaggiare, dato il mio interesse per la geografia e la storiografia, ma anche tutto quello che aveva a che vedere con l’antichità. Spesso facevo con degli amici grandi viaggi: andavamo a cercare un mezzo – di solito vecchi residuati di guerra – e lavoravamo per mesi, finché non gli davamo un aspetto accettabile. Partiti, procedevamo poi fin dove riuscivamo ad arrivare. Attraversavamo l’Anatolia, la Siria, l’Iraq e l’Iran, arrivando fino all’Afghanistan – se potevamo. Talvolta ci fermavamo per la notte, in mezzo al deserto, per poi alzarsi all’alba. Tali viaggi erano molto interessanti, ma anche molto emotivi. Questa passione mi ha portato poi ad andare più a fondo negli studi, diventando poi un lavoro. Io e i miei compagni di viaggio abbiamo approfondito i testi dei grandi scrittori dell’antichità, che portavamo con noi e su cui discutevamo la sera. Nel frattempo ci chiedevamo poi su cosa stessero facendo i nostri coetanei, lontani, mentre noi guardavamo l’infinito: effettivamente un po’ li compiangevamo. Tuttavia era una grande emozione, per me e i miei compagni di viaggio, vedere i luoghi descritti nelle opere classiche che si erano studiate. Quando poi ritornavamo dai viaggi risalivamo la costa orientale dell’Italia e di ritorno tutti ci trovavano alquanto pittoreschi. Eravamo tornati da una vera e propria “Anabasi”. Proprio la ricostruzione del percorso dell’Anabasi è stata la mia più grande impresa di ricerca, chiamata “La Strada dei Diecimila”. Io e i miei compagni abbiamo percorso e cercato di ricostruire l’intero itinerario descritto nell’opera di Senofonte, incontrando alla fine il punto dove i Diecimila avevano trovato il mare ed eretto un tumulo.»

Lei ha detto più volte che attraverso i suoi romanzi intende comunicare emozioni e non nozioni, cosa che del resto è prerogativa del genere romanzesco. Bisogna però constatare che il contesto storico rappresentato nei suoi romanzi è spesso molto fedele al periodo storico di riferimento. Cosa ne pensa quindi se i suoi libri diventassero una fonte di interesse verso la storia antica e la cultura classica?

«Ma io non ho iniziato a scrivere per narrare la storia! Ho iniziato a scrivere per rivivere altre emozioni. Gli insegnanti si occupano di trasmettere nozioni, non emozioni. Ben venga se un mio romanzo diventa una fonte di interesse storico per i lettori, ma ho scritto e scrivo essenzialmente per rivivere l’emozione del viaggio.»

Cosa pensa sia necessario per avere una comprensione vera della storia da parte di chi la studia?

«La storia è una disciplina dura e difficile. La storia non va, secondo me, insegnata in modo che i ragazzi si appassionino. La storia è una disciplina dura e spesso noiosa; non è un modo per rivivere delle emozioni, ma quello che è accaduto. La storia è infatti il tentativo del genere umano di ricostruire gli eventi accaduti e provare che tali eventi siano accaduti realmente. Se ci si pensa, la storia è come un tribunale: bisogna sempre avere la capacità di dimostrare che quello che stiamo scrivendo è vero, abbiamo l’onere della prova.»

Secondo lei, qual è l’eredità lasciataci dalle civiltà greca e latina e come hanno conseguenze sul nostro presente?

«Per conoscere se stesso una persona deve capire da dove viene. Quindi deve sapere le proprie radici: tutto questo è importante per conoscere la propria identità e l’origine della propria cultura. Tutto ciò va trattato molto seriamente, non è un divertimento e non serve a fare intrattenimento. Ma dall’altra parte bisogna anche dire che il genere umano ha la necessità delle emozioni, altrimenti la vita può essere calma e monotona. Per questo, se non esiste quello che cerchiamo lo costruiamo: questo è il romanzo, così come la creatività più in generale.

Foto da: https://lecconotizie.com/cultura/venerdiil-premio-manzoni-alla-carriera-a-valerio-massimoTra tutti i libri che lei ha scritto e pubblicato, manfredi/

qual è quello che le ha necessitato più impegno?

L’ultimo che ho scritto, “Quaranta giorni”. Non dico nessuna premessa: sta al lettore sapere di cosa parla leggendolo.

Qual è invece il romanzo che ha provato più piacere a scrivere e che le ha dato maggiore soddisfazione?

“Il mio nome è Nessuno”, in due volumi. Non è stato tanto il piacere, quanto la soddisfazione. Ho ripercorso tutti gli aspetti del protagonista, in questo caso il re di Itaca Odisseo. Sono stato l’unico in tremila anni che ha cercato di ricostruire l’intera vicenda di Odisseo, dalla nascita all’ultimo enigmatico viaggio, che è forse il più grande mistero della letteratura universale. Io ho letto tutti i frammenti superstiti del Ciclo Troiano. L’Iliade e l’Odissea sono gli unici poemi giunti per intero fino a noi, ma ci sono anche altri documenti: per esempio, il poeta greco Quinto Smirneo racconta tutto il seguito dei poemi omerici, che lui aveva evidentemente letto. Il ciclo omerico era in origine formato da circa dodici poemi, dei quali sono sopravvissuti solo l’Iliade e l’Odissea, oltre a vari frammenti provenienti dagli altri poemi. Lo stesso Virgilio, quando scrive l’Eneide, si ispira a un poema andato ora perduto, l’Ilioupersis, in cui viene narrata la distruzione di Troia, che tra l’altro Enea racconta a Didone nel quarto libro dell’Eneide: Virgilio ha evidentemente letto l’Ilioupersis, perché ai suoi tempi era ancora reperibile, si poteva leggere e si poteva ripercorrere per intere parti del ciclo omerico oggi in parte andate perdute.

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