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TRAGICA STORIA DI UNA STRANA PAROLA

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THE OSCARS

THE OSCARS

di Sarrie Patozi

Era il 3 gennaio 1925 quando Benito Mussolini pronunciò alla Camera dei Deputati il suo discorso sul delitto Matteotti. E’ questa la fatidica data, la svolta determinante, il momento cruciale che segna l’inizio vero e proprio della dittatura fascista. Il Regno d’Italia assumeva così una fisionomia totalitarista con conseguente soppressione delle libertà individuali e un forte accentramento di potere nelle mani del Presidente del Consiglio. L’Europa, grazie alla seconda rivoluzione industriale, si vedeva permeata già dal 1870 da un generale atteggiamento aggressivo e nazionalista da parte delle varie nazioni. A partire dalle crisi di sovrapproduzione, Mussolini e i ministri fascisti, seduti nei banchi dovute questa volta alla prima rivoluzione del Governo alla Camera dei Deputati, 3 industriale, la politica economica aveva gennaio 1925 subito un drastico cambiamento: il capitalismo rischiava di collassare e la borghesia si mise all’opera. Nascevano così i trust (fusioni di imprese dello stesso settore) e i cartelli (accordi di mercato) il cui intento primario era riportare la ricchezza “all’antico splendore”. Ciò si tradusse, sul piano della politica estera, in un individualismo statale esasperato che portò ad un imperialismo in cui gli interessi della nazione prevalevano non solo su quelli dei propri cittadini ma addirittura su quelli dei cittadini altrui. Si assiste quindi ad un’inflessione della borghesia che assume un carattere sempre più reazionario e conservatore. Nel 1831 scompariva Hegel, uno dei pilastri della filosofia moderna, il quale guardava al rapporto individuo-Stato come un rapporto di totale annullamento del primo a favore del secondo: l’uomo è a favore della nazione, al servizio della Patria. Già qui si avvia quel processo finalizzato ad attribuire al governo un ruolo sempre più autoritario e dispotico. Vi è inoltre nella filosofia hegeliana la convinzione della naturalità della guerra: se Kant parlava di “pace perpetua”, il filosofo parla della guerra come “il movimento dei venti” che “preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole, come i popoli da una pace durevole o addirittura perpetua”. Per Hegel dove c’è vita c’è conflitto. Ora, fino a quando questa visione riguarda la dialettica, quindi è da intendersi a livello “intellettuale”, l’idea del filosofo è aperta, conciliante, e, se si vuole, matura. Quando questo nobilissimo concetto filosofico viene però strumentalizzato per giustificare e intraprendere azioni disumane, è necessario prenderne le distanze accostandosi invece all’ideale kantiano. A questo clima non fu immune neppure l’Italia. Se in un primo momento Mussolini preferisce avere ancora un politica di distensione, nel 1935 decide invece di intraprendere la brutale invasione dell’Etiopia. Ed è qui che si arriva al fulcro del discorso. Mussolini voleva dare alla dittatura il prestigio delle armi: l’Etiopia era l’unica parte dell’Africa rimasta al di fuori dalle spartizioni coloniali degli altri Paesi europei. Il regno d'Italia, umiliato dalla sconfitta di Adua, aveva indirizzato le proprie mire espansionistiche. Le motivazioni erano sia di carattere economico, per incrementare la produzione internazionale e trovare uno sbocco alla disoccupazione, sia di politica interna, per avere il consenso popolare al regime e deviare le tensioni sociali (tattica che aveva utilizzato, a suo tempo, anche Crispi). Mussolini pensava poi di non incontrare l’ostilità dell’Europa: la Francia, per timore di un avvicinamento tra Italia e Germania, non sarebbe intervenuta, mentre d’Inghilterra sarebbe rimasta fedele al suo carattere “isolazionista”. Il breve periodo di occupazione delle truppe italiane in Etiopia, vide la caduta della capitale Addis Abeba con successiva fuga del principe. Il mantenimento della conquista non fu pacifico perché le popolazioni indigene organizzarono delle guerriglie che minavano continuamente l’esercito italiano. Nel mentre, nella penisola, il re Vittorio Emanuele assumeva il titolo di Imperatore d’Etiopia. Tali atti furono ritenuti una vera e propria aggressione e la Società delle Nazioni applicò delle sanzioni finanziarie nei confronti dell’Italia che, per motivi economici, non furono attuate e mantenute fino in fondo. Questa vittoria contro l’Etiopia creò negli Italiani grande entusiasmo: l’Italia ora aveva un proprio impero e ciò costituiva una rivincita nei confronti delle nazioni più ricche. Nel febbraio del 1936 ci fu un conflitto armato presso il monte Amba Aradam tra le forze dell’esercito italiano, capeggiato da Pietro Badoglio, e quelle etiopi, guidate da Mulughietà. Le forze abissine furono sconfitte e in parte si disgregarono durante la ritirata a causa dell'iprite, un gas vescicante rilasciato a bassa quota dall’aviazione dell'esercito regio italiano, anche sui civili. A terra, i soldati sparavano proiettili all’arsina e al fosgene, fortemente tossici. Badoglio non mostrò alcuna clemenza, né compassione. Tre anni dopo una carovana di partigiani, vecchi, donne e bambini, si rifugiarono in una profonda grotta della zona. Per stanarli gli Italiani usarono gas e lanciafiamme, in seguito, non riuscendo a perlustrare tutte le ramificazioni della grotta, chiusero l'imboccatura murando vivi gli ultimi sopravvissuti.

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Mussolini e i ministri fascisti, seduti nei banchi del Governo alla Camera dei Deputati, 3 gennaio 1925

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