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Emozionology, il podcast di Francesco Marchi sulla sfera emotiva
UN PODCAST SULL’AFFASCINANTE MONDO DELLE EMOZIONI FIRMATO DA FRANCESCO MARCHI, GIOVANE ATTORE PARMIGIANO, CHE A CAUSA DELLO STOP FORZATO
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DELL’ATTIVITÀ TEATRALE, HA RIVISITATO IL SUO PROGETTO IN CHIAVE PIÙ INTIMA E INNOVATIVA
“Grande talento e sensibilità fuori dal comune.” È così che la giornalista Francesca Ferrari definisce sul suo blog il giovane attore e autore parmigiano Francesco Marchi, ospite della sezione “Occhio di riguardo” di Teatropoli.it, che riportiamo di seguito, uno spazio di libera espressione che Francesca dedica alle riflessioni di illustri protagonisti della scena teatrale. È proprio qui che Francesco Marchi racconta come è nato il bellissimo progetto Emozionology, in un periodo difficilissimo in cui la voce ha assunto ancora più potere nelle relazioni interpersonali, in assenza di uno stretto contatto sociale. Le prime dieci puntate del programma si possono ascoltare online su: spreaker.com/show/emozionology. Emozionology è un progetto di programma podcast dedicato alla sfera emotiva e al potere transculturale del linguaggio. Ogni puntata presenta una parola specifica (talvolta più d’una) di una data cultura che descrive uno stato emotivo complesso, di cui la lingua Italiana non presenta un corrispettivo.
Cosa può significare per un artista di teatro cimentarsi nella realizzazione di un podcast?
«Puoi prestargli la tua voce, la tua interpretazione, la scrittura creativa. Le parentele si esauriscono in fretta, sopraffatte dalle differenze. Un podcast può arrivare ad un pubblico potenzialmente molto più vasto di una platea e può essere fruito in qualsiasi momento della giornata, sì, è vero. Il tutto però a scapito della presenza viva, dell’appuntamento che crea il rito, del patto fisico multisensoriale unico e inimitabile.»
Una cosa però anima entrambi: l’innato bisogno che abbiamo di raccontare.
«Credo sia stato proprio questo prurito comunicativo a farmi approdare nel mondo del podcasting. Ho sempre appagato il mio “ikigai” (per rubare un termine all’oriente), ciò che ti spinge ad alzarti la mattina, raccontando il mondo che ci circonda attraverso gli spettacoli. In un momento di estrema difficoltà, dove mi era precluso calcare (o far calcare) palcoscenici, complice la perdita di un altro lavoro che mi teneva ancorato ad un altro mondo che amo, l’informazione, mi sono ritrovato di fronte ad un’autostrada di tempo libero con un sacco di pensieri che mi frullavano per la testa.»
Come ha influito il momento sullo sviluppo del progetto?
«Mentre attendevo che la regia di uno spettacolo, Emozionology, potesse prendere forma presso Europa Teatri (nido recente) ho lasciato che la mia creatività gliene trovasse un’altra. Compatibile con il momento. A suo modo la chiamerei come quella che Horace Walpole definì serendipità: una fortunata scoperta non pianificata. Dunque ecco Emozionology: un
podcast dedicato alla sfera emotiva e al potere transculturale del linguaggio.»
Una parola specifica per ogni puntata.
«In ogni puntata mi sono dovuto misurare con una parola specifica (talvolta più d’una) di una data cultura che descrive uno stato emotivo complesso, di cui la lingua Italiana non presenta un corrispettivo. Ogni puntata mi ha catapultato in un paese diverso. Ogni viaggio ha avuto una storia a sé. Tra riferimenti bibliografici e indagini infinite nel web, è stato un continuo susseguirsi di dettagli che una volta sommati smentivano le definizioni
Francesco Marchi attore e autore parmigiano approssimative di partenza.»
Come esprimi tua versatilità vocale nel podcast?
«In Emozionology mi sono, come suol dirsi, cavato molte voglie: storpio e rielaboro voci; ho trasformato la mia amata mamma in un orco Uruk-hai de ‘il Signore degli anelli’; ho affidato a Tom Cruise il volto della mia rabbia e recitato alcune scene assieme a lui (essendo in audio dovrei dire più con Roberto Chevalier!); ho intervistato il mio Es ed il mio Super-Io, con non poca fatica...»
Il “solo ascolto” pone un limite all’immaginazione?
«Il vincolo del solo udito, come strumento di fruizione può apparire un limite, certo, ma fintanto che l’immaginazione non è ottusa, la scusa del “non vedo” consente libertà impensate e permette di creare mondi infiniti. Ogni cosa che si sente può stare accadendo con un volume, una concretezza quasi tangibili all’interno di uno spazio inaccessibile alla realtà, ma quanto mai reale nella testa di chi ascolta. Basta suggerirlo, a volte solo bisbigliarlo. E forse in questo sta la bellezza di un’opera d’arte (qualunque forma presenti): il momento in cui sfugge al suo creatore per raggiungere completezza in chi la riceve.»
IL SUCCESSO DI CLUBHOUSE, IL SOCIAL DELLA VOCE
Se Instagram, Facebook, Tik Tok sono i social delle immagini e dei video, Clubhouse punta decisamente sull’enorme potere della voce, che non conosce rivali, è unica e crea una forte connessione con l’ascoltatore. Ecco perché la nuova piattaforma ha già riscontrato un enorme successo e sale nella lista dei social media più usati, nonostante non sia (ancora) molto inclusivo. Nato negli Stati Uniti ad aprile 2020, è arrivato in Italia a gennaio 2021, e ha avuto moltissime iscrizioni, nonostante non sia accessibile a tutti, in quanto si entra solo su invito e se si possiede un Iphone. L’interazione vocale è in Clubhouse un vero e proprio palcoscenico dove si condividono idee e notizie, sulla base dei propri interessi e delle proprie esperienze. Stiamo forse andando verso la fine dell’epoca dei selfie? Chi può dirlo, per ora possiamo soltanto constatare il successo di un mezzo che riporta in auge il ruolo e l’importanza della voce come strumento di comunicazione più naturale. Le Room, stanze virtuali nelle quali è possibile accedere su invito, si discute di argomenti condivisi, con la moderazione degli organizzatori, dove tutti hanno diritto di parola tramite alzata di mano, sempre virtuale. Un sistema che sta già conquistando i colossi dei social network e si vocifera che presto Clubhouse diventerà più inclusivo, per spopolare anche tra gli Android.