biblioteca di architettura 22
GIORGIO MACCHI PROGETTI
ilpoligrafo
La presente pubblicazione è stata realizzata con la collaborazione dell’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia. L’archivio dello Studio Tecnico Macchi è stato depositato presso l’Archivio Progetti nel 2016. L’ordinamento, l’inventariazione e la descrizione del fondo sono stati curati da Antonella D’Aulerio, che ha anche condotto le ricerche archivistiche e iconografiche per questa pubblicazione. Serena Maffioletti, coordinatore scientifico dell’Archivio Progetti, ha collaborato alla redazione dei testi del prof. Giorgio Macchi
Referenze fotografiche Ove non diversamente indicato, le immagini riprodotte provengono dall’archivio dello Studio Tecnico Macchi e dall’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia, Fondo Studio Tecnico Macchi. Le digitalizzazioni sono state curate da Marco Massaro, Archivio Progetti
progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice redazione Alessandro Lise, Sara Pierobon copyright © ottobre 2019 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISSN 2612-2839 ISBN 978-88-9387-092-4
indice
9 Maestri Alberto Ferlenga
15 Prefazione 19 Preface
INTERVENTI SUL PATRIMONIO STORICO 24 Interazione linea-monumenti: la linea C della Metropolitana, Roma
28 Salvaguardia della Torre di Pisa 56 Duomo e torri medioevali, Pavia 72 Intervento sulla facciata maderniana della Basilica di San Pietro, Roma 86 I Minareti di Jam e di Herat, Afghanistan 94 Consolidamento del Campanile di San Marco, Venezia 120 Cenacolo Vinciano, Milano 126 Domus Aurea, Roma 134 Crollo di una scala in piazza Cardinal Ferrari, Milano 138 Tasselli per marmo nel Duomo di Pavia 142 Villa Medici, Roma 148 Campanile di San Marco, Pordenone 152 Il Broletto di Pavia 156 Ponte dei Tre Archi, Venezia 160 ThÊâtre de la Ville, Parigi 164 Cappella guariniana della Sindone, Torino
182 Riabilitazione delle torri di refrigerazione della Centrale di Santa Barbara, Cavriglia
GRANDI INFRASTRUTTURE
190 Alta velocità: “Viadotti Modena” a via inferiore 200 Viadotti Bolu Mountains, Autostrada Istanbul-Ankara 208 Un ponte strallato, piccolo ma ingegnoso: il ponte sul fiume Rusizi, Burundi 212 Un ponte nel paesaggio: il ponte sul fiume Adda, Bormio 216 Ponti sul torrente Molassa, Valcellina
PONTI CONTINUI A PIASTRA
220 224 230 231 232 234 236 238 240 244
Ponti continui a piastra Ponte sul Meduna Cavalcavia dello svincolo di Udine sud Sovrappasso di Visco e Ponte Campelio sul Malina Viadotto sulla SS 56, Gorizia Due evoluzioni del Ponte sul Meduna: Ponte sul torrente Torre a Salt e Ponte sul torrente Settimana a Claut Viadotti in curva: il viadotto di svincolo, Muggia Viadotto di viale Cadore, Udine Il ponte di maggior lunghezza del “tipo Meduna”: Ponte sul torrente Torre, Versa Ponte sul torrente Cormor, Udine
RITORNO A ZERO
246 250 252 254 262 264 270 272
Ponte sul Po, Carignano Impianti idroelettrici sul Po Autostrade a Breukelen, Olanda Al Centro studi del Consiglio Nazionale delle Ricerche: gli stati di coazione elastica Ridistribuzioni - Comité Européen du Béton Murature e restauro Il primo ponte: Ponte ferroviario sul Bogo Baracà, Eritrea Ponte sul Ticino, Porto della Torre
274 Cinema Apollo, Milano 275 Strada precompressa, Cesena 278 Tecnicavi, un nuovo sistema di precompressione 281 Volte sottili laterizie
CON SILVANO ZORZI
286 Sovrappasso di Viale Certosa, Milano 288 Ponte sul Po a Mortizza, Autostrada A1 294 Ponti sull’Arno a Levane e a Incisa, Autostrada A1 300 Ponte canale sul Rio Forma Quesa, Pontecorvo 302 Un kilometro in 60 secondi: la strada sopraelevata Monteceneri, Milano
PONTI IN FRANCIA
306 Viadotti Cavachelins e Vallée Chaude, Autostrada Parigi-Lione 310 Ponti in Francia degli anni Sessanta
ALTRI LAVORI 320 Ponte sul Po, Pieve di Cairo
322 Stabilimento Ercole Marelli, Sesto San Giovanni 324 Aeroporto del Kuwait 328 Ponti sulla Gola della Rossa, Esino-Fabriano 330 Stabilimento IBM, Vimercate 336 Stabilimento AVON Cosmetics, Olgiate Comasco 342 Tre pontili marittimi con tre tecniche diverse 348 Palazzo per Uffici della SNAM, San Donato Milanese 350 Silo da zucchero per Eridania ZN, Contarina 352 Un esecutivo per il progetto di Le Corbusier per l’Ospedale di Venezia 356 PEC - Reattore Veloce, Lago del Brasimone
359 MEMORIE SCIENTIFICHE DI GIORGIO MACCHI a cura di Antonella D’Aulerio
maestri Alberto Ferlenga Rettore Univerità Iuav di Venezia
È passato un po’ di tempo da quando nella redazione di «Casabella» ascoltavo Giorgio Macchi narrare le sue avventure nel mondo delle strutture, tra numeri, cedimenti, trazioni. I racconti del Professore descrivevano con passione e semplicità un mondo complesso al quale non sempre gli architetti riescono ad appassionarsi e il cui fascino è difficile dedurre, quando si è studenti, dalle lezioni universitarie e dai manuali. Macchi descriveva le operazioni messe in atto per contrastare l’abbassamento del suolo nella cattedrale di Città del Messico; la vera e propria epopea alla quale un gruppo di studiosi di varie discipline e nazioni ha dato vita per la messa in sicurezza della torre di Pisa; le sue verifiche relative alla stabilità delle torri di Pavia e di altri monumenti. Le spiegazioni di quei fenomeni erano la dimostrazione di come si possa ricostruire, a ritroso, quella parte della storia di un edificio che non riguarda solo il suo assetto statico iniziale, ma anche la sua esistenza successiva: un percorso di lenti adeguamenti della massa e dei materiali ad eventi non sempre prevedibili o di reazioni repentine a fatti drammaticamente distruttivi. Ne usciva una conoscenza complementare a quella che si può trarre dallo studio delle espressioni formali di un’architettura o dei documenti storici, ma fondamentale per comprendere realmente la vita di un edificio. Quei racconti, e le narrazioni che si susseguono in questo volume a commento dei progetti, hanno alle spalle una grande tradizione dell’ingegneria italiana. Macchi vi appartiene per discendenza diretta, fa infatti parte di quel pugno di strutturisti che tra Torino, Milano, Roma e Venezia è stato protagonista di una straordinaria vicenda che ha avuto il suo culmine temporale tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento e fondamentali figure di riferimento in personaggi del calibro di Gustavo Colonnetti, Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi, Silvano Zorzi, Franco Levi, Sergio Musmeci, Aldo Favini. Figure di maestri – e Macchi usa spesso nel suo libro questo termine – come per lui effettivamente furono, nel senso più ampio, Colonnetti “Maestro del mio Maestro” e soprattutto Levi e poi ancora Zorzi per la lunga collaborazione professionale. Maestri della teoria e della pratica che si formarono sul campo, partecipando alla ricostruzione del Paese e coniugando impegno civile e culturale. Una schiera di ingegneri che alle cognizioni tecniche univano anche una rara sensibilità estetica, che ci ha lasciato opere e progetti di grande qualità formale (dal ponte di
alberto ferlenga
Potenza di Musmeci, al palazzo a Vela di Levi a Torino, alle straordinarie coperture di Nervi), attitudine non secondaria in una nazione dai delicati equilibri paesaggistici come la nostra. Quella stagione, connotata da forti legami internazionali, ha attraversato il panorama italiano come una meteora, contribuendo in modo sostanziale al suo rinnovamento. Veloce nell’affermarsi, è stata però altrettanto veloce nell’esaurirsi come fenomeno collettivo, tanto da poter dire che in Macchi vediamo oggi forse l’ultimo dei suoi protagonisti. Perché quell’esperienza ha avuto fine così repentinamente? Perché l’ambito universitario e il Paese non hanno saputo sfruttarne appieno il contributo? Perché quel sapere tecnico non si è adeguatamente riprodotto in modo diffuso superando il livello di qualità che aveva raggiunto? Sono questioni che la critica dovrà affrontare e potrà farlo grazie anche a studiosi come Sergio Poretti, Tullia Iori e Marzia Marandola, a cui si devono fondamentali ricerche su queste vicende. Questa raccolta, in cui Giorgio Macchi presenta parte del lavoro di una vita, e i cui documenti originali sono oggi ospitati all’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia, ha diversi pregi. Vi si mostra la produzione personale o corale di un grande ingegnere italiano e, al tempo stesso, quanto ampio e vario sia stato il campo degli interventi con cui l’ingegneria si è misurata in quegli anni in Italia, quante le occasioni sfruttate e, per converso, quanto di più si sarebbe potuto fare. Il volume raccoglie vicende complesse come quelle cui ho già fatto cenno per Pisa o Pavia, e progetti puntuali: coperture, consolidamenti, viadotti, ponti. Ponti come i moltissimi elaborati in collaborazione con Silvano Zorzi, sul Po o sull’Arno, viadotti straordinari come quello per la linea dell’alta velocità a Modena che dimostrano come, in tempi in cui l’attenzione alla qualità estetica degli interventi infrastrutturali era già venuta meno in Italia, un’opera formalmente appropriata abbia contribuito al miglioramento del rapporto tra opere tecniche e territorio. Il viadotto Modena fa quello che sarebbe auspicabile facesse ogni infrastruttura in un territorio delicato: riduce l’impatto di una costruzione tendenzialmente invasiva attraverso una sezione che ben si accompagna alle linee del paesaggio. Riprende con naturalezza alcuni caratteri di un’architettura classica che non ha mai lasciato il nostro Paese e li coniuga con le necessità di una struttura sottoposta a notevoli sollecitazioni. Ne deriva una riduzione dell’impatto visivo e di quello acustico e l’introduzione, in quel tratto della Pianura Padana, di un elemento d’ordine e di qualità, riprendendo quella che in un passato non troppo lontano era stata una caratteristica comune della progettazione di infrastrutture in Italia. Soprattutto, contraddice la logica della sciattezza formale e della diversificazione insensata che sembra aver preso piede, in Italia, in questo campo. Forse si potrebbe affermare (ma solo il Maestro potrebbe dircelo) che la lunga convivenza con gli architetti presso lo IUAV, una delle scuole in cui il contributo di Macchi è stato più rilevante, abbia contribuito a dare una particolare accentuazio-
maestri
ne formale ai suoi progetti. Quel che è certo è che nelle aule dello IUAV, negli anni dell’insegnamento di Levi e poi di Macchi, si verificarono incontri che ebbero conseguenze positive su generazioni di architetti, storici e urbanisti, contribuendo a definire una delle “differenze” della Scuola veneziana di Architettura rispetto alle altre. Per questo, prendersi cura dell’archivio di Giorgio Macchi in una università come la nostra non può essere un atto ordinario, ma piuttosto una forma di responsabilizzazione verso lo studio di un fenomeno importante e la ripresa di un dialogo interrotto tra architettura e ingegneria delle infrastrutture. Farlo ha una particolare rilevanza in un momento in cui il rinnovamento infrastrutturale del Paese appare in molti settori improrogabile e contribuisce al rafforzamento di un’idea di efficienza tecnica compatibile con la bellezza del paesaggio e con la sua storia millenaria.
GIORGIO MACCHI PROGETTI
a mia moglie MarilĂŹ e ai miei figli
prefazione
Questo libro è stato da me pensato come una cronaca di alcuni lavori di ingegneria strutturale, scelti e presentati in modo conciso nel loro intero sviluppo di progettazione e costruzione, che può aver richiesto anni o addirittura decenni. Il volume è stato promosso dall’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia, che raccoglie e conserva archivi di architetti e ingegneri, ne consente la consultazione agli studiosi, e nel quale è confluita una consistente parte dell’archivio dei miei lavori. L’intento iniziale era quello di preservare, per future indagini, due voluminosi insiemi di documenti che giacevano nel mio archivio, e che erano il frutto di ampi studi collettivi su importanti opere per le quali ebbi un sostanziale ruolo di responsabilità: – i lavori del Comitato internazionale e multidisciplinare per la salvaguardia della Torre di Pisa – undici anni di ricerche e lavori (1990-2001) e quattordici esperti internazionali coinvolti, coordinati da Michele Jamiolkowski – che portò alla stabilizzazione della Torre; – gli Studi preliminari del Comitato tecnico-scientifico incaricato da Metro C, società costruttrice della Linea C della Metropolitana di Roma, per proteggere 54 monumenti presenti nella città da possibili danni dovuti allo scavo delle gallerie e alla realizzazione di altre opere. Per l’archivio relativo alla Torre di Pisa, vista l’ampiezza degli argomenti e dei temi trattati (dalla storia all’elettronica), ritenni che fosse necessaria una guida appropriata per facilitare la consultazione dei singoli documenti. A questo proposito compilai, quindi, una concisa scheda che mostra come, attraverso una storia delle concezioni, degli studi, dei progetti e dei lavori, si sia raggiunta la stabilizzazione della Torre. Il risultato sembrò soddisfacente, tanto che parve utile preparare simili schede anche per gli interventi di conservazione su altri monumenti: il Campanile di San Marco a Venezia, la Basilica di San Pietro a Roma, la Cattedrale di Pavia, la Cappella della Sindone a Torino, lavori compiuti negli ultimi venticinque anni della mia attività professionale, dei quali l’Archivio Progetti Iauv conserva una quasi completa documentazione. A questi si aggiunga, quale buon esempio della cooperazione di molte discipline in un caso complesso, il progetto di restauro della Domus Aurea a Roma.
prefazione
È stato usato lo stesso sistema di schede-guida anche per altri miei progetti dello stesso periodo (sempre di restauro strutturale, ma anche di ponti e altre strutture). Diversa era invece la situazione di altre mie opere di epoche precedenti, eseguite, tra il 1952 e il 1990, nell’ambito degli Studi professionali formati in associazione con alcuni colleghi, i cui elaborati sono conservati in altri archivi. Per esse la documentazione è scarsa, così come è scarsa la documentazione originale dei lavori da me eseguiti nel periodo 1954-1960 nello Studio del mio Maestro Silvano Zorzi e nell’ambito dello Studio INCO, lavori che Zorzi mi fece l’onore di considerare eseguiti in collaborazione. Per questi progetti la documentazione si limita a mostrare il ruolo dell’opera nella mia carriera, e le schede-guida contengono le informazioni di contesto necessarie. La documentazione contenuta nel mio archivio depositato presso l’Archivio Progetti Iuav riguarda circa 80 opere, attentamente selezionate fra quasi 180. La scelta è stata effettuata in modo da comprendere l’intero spettro delle attività che un ingegnere strutturista può coprire nell’ambito dell’Architettura, incluse, s’intende, la progettazione e la costruzione di ponti e altre infrastrutture. Si sono privilegiati i lavori in cui si è scelto un approccio scientifico e in cui l’uso di indagini rigorose ha consentito di ottenere soluzioni soddisfacenti. In alcuni casi l’applicazione dei più aggiornati risultati scientifici ha apportato progressi tecnici ed economici. Un esempio di tali criteri è la documentazione, sviluppata nel testo, relativa al processo di miglioramento per una specifica tipologia di ponti in cemento armato precompresso (i ponti “tipo Meduna”, una piastra piena continua sulle pile per l’intera lunghezza senza giunti intermedi): la lunghezza senza giunti può raggiungere 1000 m, con notevoli vantaggi di comfort e durevolezza. Altri esempi mostrano che innovazioni tecniche possono spesso risolvere singoli problemi e ottenere risultati migliori. Per favorire la consultazione e la ricerca delle innovazioni descritte, le circa 80 schede-guida, allegate all’archivio, sono raccolte in un Indice ragionato. Su questo Indice ha preso corpo e si è sviluppato il presente volume. Dalla rassegna delle opere qui presentate emergono i diversi ruoli che ho avuto negli anni e che sono confluiti nel mio lavoro: insegnante, professore universitario e studioso di Ingegneria strutturale, con 150 memorie scientifiche pubblicate. Sono felice di aver insegnato in tre Università a ingegneri e architetti (il Politecnico di Torino, l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e infine la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pavia). Tale alternanza è stata molto utile alla mia formazione: ho insegnato in queste differenti sedi cercando sempre di trasferire agli studenti le mie più recenti conoscenze scientifiche e di usare metodi innovativi. Per il mio lavoro scientifico in Ingegneria strutturale ho avuto il privilegio della guida di tre eccezionali scienziati. Sono profondamente in debito con Franco
prefazione
Levi, che ha indirizzato paternamente l’intera mia carriera fino alla sua scomparsa, a partire dai banchi del Politecnico. Da Gustavo Colonnetti, Maestro del mio Maestro, ho ereditato il rigore nell’affrontare i problemi scientifici e ho avuto indimenticabili incoraggiamenti per la mia carriera. Da Fritz Leonhardt, dell’Università di Stoccarda, in decenni di cooperazione ho appreso l’arte di coniugare l’attività scientifica a un’attività progettuale colta. Oltre a loro, voglio ricordare qui anche Raymond Lemaire dell’Università di Leuven, primo Presidente dell’ICOMOS, che scrisse la Carta di Venezia con le sue mani: da lui ho ereditato l’attenzione nella conservazione dei monumenti. Desidero esprimere un particolare ringraziamento all’Archivio Progetti, per l’ordinamento del fondo archivistico e per la preziosa collaborazione assicuratami nel processo di realizzazione di questo volume, e in particolare al suo coordinatore scientifico Serena Maffioletti, che mi ha sollecitato a raccogliere queste memorie e mi ha accompagnato con preziosi suggerimenti nel corso della pubblicazione. Giorgio Macchi ottobre 2019
preface
I have conceived this book as a chronicle of some selected structural engineering works, with a concise presentation of the evolution of their design and construction, which in some cases stretched over years or even decades. The volume has been sponsored by Archivio Progetti - Università Iuav di Venezia, which collects and conserves the archives of architects and engineers – including a substantial portion of my own work – and allows their consultation by scholars. The initial intention was to preserve for future investigations, two voluminous sets of documents that were sitting in my own archives, which were the result of extensive collective studies on important works for which I had been largely responsible: – the work of the International Committee for the Safeguard of the Leaning Tower of Pisa – with eleven years’ research and work (1990-2001) and the involvement of fourteen international experts coordinated by Michele Jamiolkowski – which ended with the tower being stabilized; – the preliminary studies of the technical-scientific committee hired by Metro C, the company building Line C of the Rome Metro, to protect 54 of the city’s monuments from potential damage due to tunnelling and the execution of other works. For the archive on the Tower of Pisa, in view of the scale of the issues and the themes dealt with (from history to electronics), I felt that it was necessary to compile a suitable guide to facilitate consultation of individual documents. To this end, I compiled a concise fact sheet which shows how the stabilization of the tower was achieved through a succession of concepts, studies, projects, and actual works. The result was so satisfactory that it seemed worthwhile to prepare similar sheets for conservation measures on other monuments: Saint Mark’s Campanile in Venice, St. Peter’s Basilica in Rome, Pavia Cathedral, the Chapel of the Holy Shroud in Turin; work carried out during the past twenty-five years of my professional practice, of which Archivio Progetti Iuav keeps virtually complete documentation. To these should be added – as a fine example of the cooperation of many disciplines in a complex case – the project to restore the Domus Aurea in Rome. The same fact sheet system has also been used for my other projects in the same period (again involving structural restoration but including bridges and other constructions).
preface
Instead, the situation of other works of mine from earlier times, carried out between 1952 and 1990 as a part of joint professional studies with some colleagues, is different, and these designs are kept in other archives. In the latter cases, the documentation is poor, as is the original documentation of the works I carried out in the period 1954-1960 at the studio of my teacher Silvano Zorzi and at the INCO firm, work which Zorzi gave me the honour of considering carried out jointly. For these projects, the documentation is limited to showing the role of the work within my career, along with fact sheets containing essential background information. The documentation contained in my archives deposited with Archivio Progetti Iuav concerns approximately 80 works, painstakingly selected from among just under 180. The selection was carried out in a way that encompasses the entire spectrum of activities that a structural engineer can cover within the field of architecture, including, naturally, the design and construction of bridges and other infrastructures. Emphasis has been placed on those works involving a scientific approach and in which the use of stringent surveys allowed satisfactory solutions to be attained. In some cases, the application of the most recent scientific results led to technical and economic progress. One example of such criteria is the documentation (discussed in the text) concerning the process to improve a specific type of bridge in prestressed reinforced concrete (like that at Meduna, with the deck continuing on piles for its entire length without intermediate joints): such a span without joints can reach 1,000 m, with considerable advantages in terms of ease and durability. Other examples show that technical innovations can often resolve individual problems and achieve better results. To facilitate consultation and searches for the innovations described, around 80 fact sheets have been attached to the archive and collected in an Annotated Index. The present volume grew and developed around this index. The collection of works presented here reveal the various roles I have filled over the years which have been channelled into my work: teacher, university professor, and structural engineering researcher, with a good 150 scientific papers published. I am delighted to have taught engineers and architects at three universities (Politecnico di Torino, Università Iuav di Venezia and, last but not least, the Faculty of Engineering of Università degli Studi di Pavia). This alternation proved very useful for my professional development: in my teaching at these different seats I always tried to transfer my most up-to-date scientific knowledge to the students using innovative methods. For my scientific work in structural engineering I had the privilege of being guided by three outstanding scientists. I am deeply indebted to Franco Levi, who paternally guided my entire career until his passing, starting from the classrooms of Politecnico di Torino. From Gustavo Colonnetti, my teacher’s teacher, I inherited great rigour in dealing with scientific problems and received unforgettable en-
preface
ďœ˛ďœą
couragement for my career. From Fritz Leonhardt, at the University of Stuttgart, in decades of cooperation, I learned the art of combining scientific activity with an informed approach to design. Besides them, I would also like to recall here Raymond Lemaire of the University of Leuven, first President of ICOMOS, who compiled the Venice Charter: from him I inherited care over the conservation of monuments. In addition, I wish to express special thanks to Archivio Progetti Iuav for cataloguing the archive collection, as well as the invaluable collaboration they ensured me in the process of creating this volume, and above all to its scientific coordinator, Serena Maffioletti, who urged me to amass these memories and assisted me with precious tips during the course of publication. Giorgio Macchi October 2019
Abbreviazioni AP
Archivio Progetti, UniversitĂ Iuav di Venezia
ASAB
Area Sistema Archivistico e Bibliotecario, Archivi Storici, Politecnico di Milano
FSTM
Fondo Studio Tecnico Macchi, Archivio Progetti, UniversitĂ Iuav di Venezia
INTERVENTI SUL PATRIMONIO STORICO Studio Tecnico Giorgio Macchi e Stefano Macchi
interazione linea-monumenti: la linea c della metropolitana, roma 2006-2015
In occasione della costruzione della nuova linea C della metropolitana di Roma, nel 2006 fu istituito un Comitato tecnico-scientifico dedicato alla salvaguardia del centro storico, in costante rapporto di collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma. Il Comitato era finalizzato a svolgere la funzione di consulente per la Società Metro C spa in relazione a tutti gli aspetti determinati dall’interazione tra il tracciato e i monumenti durante la progettazione e la realizzazione della nuova linea nella tratta Clodio-Mazzini-San Giovanni. Il Comitato era costituito da docenti universitari nel campo dell’ingegneria strutturale e geotecnica, della geologia, della conservazione, del restauro e del monitoraggio ed era finalizzato a definire con la massima precisione e affidabilità lo stato degli edifici di pregio storico-artistico e dei monumenti prima di avviare lo scavo delle gallerie e la costruzione delle stazioni. Presidente era il prof. Michele Jamiolkowski del Politecnico di Torino. Gli altri membri erano: Alberto Burghignoli (professore di Meccanica delle terre, La Sapienza), Giovanni Carbonara (direttore della Scuola di Restauro, La Sapienza), Kalman Kovari (direttore dell’Istituto di Geotecnica, Politecnico Federale di Zurigo), Renato Funiciello (direttore del Dipartimento di Scienze geologiche, Roma Tre), Giorgio Macchi (Università di Pavia). Questa indagine avrebbe permesso di minimizzare il rischio di arrecare danni e di prevenire tale eventualità, modificando il Progetto esecutivo o predisponendo le misure di salvaguardia consentite dalle moderne tecnologie: essa riguardava quaranta palazzi di grande valore storico-artistico e tredici monumenti. I palazzi e i monumenti sono: Palazzo Sforza Cesarini, Oratorio e Convento dei Filippini, Chiesa Nuova Santa Maria in Vallicella, Palazzo Avogadro Martel, Palazzo Fieschi Sora, Palazzo della Cancelleria, Basilica di S. Lorenzo in Damaso, Palazzo Strozzi Besso, Palazzo Braschi, Convento e Chiesa di S. Pantaleo, Palazzo Massimo di Camillo, Palazzo Massimo di Pirro, Palazzo Massimo alle Colonne, Palazzo Massimo Istoriato, Palazzo dei Santi XII Apostoli, Convento e Chiesa di S. Andrea della Valle, Palazzo Del Bufalo Della Valle, Palazzo Vidoni Caffarelli, Palazzo Pescatori Serventi, Palazzo Datti, Palazzo Origo, Palazzo a Largo di Torre Argentina, Palazzi Celsi e Ruggeri, Palazzo Cenci Bolognetti, Chiesa del Santissimo Nome del Gesù all’Argentina, Casa Professa, Palazzo Altieri, Palazzo Grazioli, Palazzetto Venezia, Palazzo Venezia e Museo, Basilica di San Marco, Palazzo Doria
interventi sul patrimonio storico
Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma Chiesa di Santo Stefano Rotondo, campo di spostamenti di greenfield applicato al modello, settembre 2008 Basilica di Massenzio, calcolo strutturale
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duomo e torri medioevali, pavia 1989-2004
Crollo della Torre civica di Pavia Il crollo della Torre civica di Pavia, avvenuto il 17 marzo 1989 senza alcun segno premonitore, causò apprensione per le altre torri medioevali di Pavia e per il Duomo. La Torre era un edificio prevalentemente di mattoni (ma di muratura in pietra nella parte inferiore) apparentemente robusto, a sezione quadrata di lato 12,30 m, inizialmente dell’altezza di 43,70 m, aumentata nel Cinquecento di circa 8 m con una pesante cella campanaria in granito. La costruzione fu iniziata sicuramente entro l’XI secolo. I muri perimetrali variavano in altezza da 1,40 m alla base a 1,25 m mediamente; caratteristica rilevante era una scala di dodici rampe e di ampiezza variabile da 0,70 m a 0,80 m, ricavata nei muri. L’evento indusse la Presidenza del Consiglio dei Ministri a istituire una Commissione tecnico-scientifica per l’esame delle cause del crollo e per indagare sullo stato di conservazione di altri monumenti circostanti: tale commissione fu da me presieduta. La Magistratura formò una commissione analoga, presieduta dal prof. Giannantonio Sacchi, per appurare eventuali responsabilità nel crollo. La Commissione ministeriale rinviò quindi gli studi sulla Torre civica, concentrando le indagini sulle altre torri medioevali di Pavia e sul Duomo, che era stato danneggiato dal crollo, essendo stato investito da 6000 metri cubi di macerie della Torre, posta a soli 4 m di distanza. Attraverso indagini e un raffinato calcolo agli elementi finiti della Torre, la Commissione della Magistratura raggiunse la conclusione che nessuna responsabilità poteva attribuirsi perché la Torre era crollata sotto l’effetto del solo peso proprio, per un eccessivo stato di tensione (relativamente alla sua resistenza), particolarmente in un angolo della scala interna, a circa 25 m di altezza dal suolo. Tale conclusione fu confermata da prove su blocchi della muratura (due di essi di grandi dimensioni), effettuate dal Laboratorio strutture dell’Università di Pavia. Studi successivi sulla muratura della Torre, condotti dalla prof.ssa Luigia Binda (Politecnico di Milano), confermarono un fenomeno non ancora ben conosciuto, un comportamento viscoso sotto carico permanente che conduce alla rottura nel tempo sotto carichi inferiori (tra il 70% e il 60%) del carico di rottura a tempo breve, misurato con le normali prove di laboratorio. IUAV, AP, FSTM
4, NP 070505, Torri di Pavia, 1989-1993.
interventi sul patrimonio storico
Duomo di Pavia e Torre civica crollata
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interventi sul patrimonio storico
Torri medioevali di Pavia Tali indagini furono preziose alla Commissione ministeriale per effettuare le verifiche di stabilità di altre sei torri medioevali di Pavia: la Torre dell’Orologio, la Torre Fraccaro, la Torre del Majno, la Torre Belcredi, la Torre di San Dalmazio, il Campanile del Carmine. La Torre di San Dalmazio ebbe un intervento urgente. La Torre Fraccaro mostrò movimenti anelastici tali da costringere all’evacuazione dell’area e fu successivamente consolidata. La Torre del Majno fu anch’essa consolidata. La progettazione degli interventi fu affidata dalle proprietà a professionisti estranei alla Commissione. Il Duomo di Pavia. Interventi urgenti La Commissione ministeriale si occupò del Duomo con urgenti indagini e valutazioni del rischio, la ricostruzione della cappella crollata, l’apposizione di catene temporanee alla navata sinistra e di una catena di sei barre tra le sommità dei pilastri n. 4 e n. 5, che avevano mostrato in breve periodo un chiaro movimento di convergenza. Nei primi tre mesi di attività la Commissione realizzò in Duomo e sulle torri uno dei più completi sistemi di monitoraggio on-line all’epoca applicato su un monumento. La Commissione ministeriale decadde e fu sciolta il 30 giugno 1993, con un avanzo sul finanziamento stanziato che consentì altri interventi e il controllo del monitoraggio. La Relazione preliminare di dicembre 1991 dichiarò che il Duomo, con i suoi 92 m di altezza e la cupola di 30 m di diametro, era una costruzione grandiosa, alla quale però facevano riscontro una grande esilità degli elementi strutturali portanti realizzati in un processo di costruzione durato cinque secoli, la difficoltà di trovare informazioni documentali, l’impressionante stato di fratturazione dei marmi e le impressionanti fessure nelle murature, le preoccupanti informazioni sui dissesti verificatisi. I rilievi e le analisi strutturali avrebbero richiesto diversi anni di lavoro e importanti mezzi. La Commissione concordava sulla riapertura al pubblico della Cattedrale a partire dal 9 dicembre 1991 in avanti e raccomandava che il Duomo venisse sottoposto a quella verifica statica globale che non era ad ora possibile, dando inizio così a un vero restauro. Affidava temporaneamente la sicurezza a un efficiente monitoraggio. Le autorità competenti, dopo essere intervenute attivamente nella Commissione ministeriale, si attivarono per il necessario intervento sul Duomo. Il Prov-
IUAV, AP, FSTM 4, NP 070505, Torri di Pavia, 1989-1993, Commissione tecnico-scientifica per l’esame delle cause del crollo della Torre civica e indagini sullo stato di conservazione di altri monumenti cittadini circostanti, Relazione preliminare, Pavia, dicembre 1991.
interventi sul patrimonio storico
Torri medioevali di Pavia
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interventi sul patrimonio storico
veditorato alle opere pubbliche per la Lombardia esperì il 9 novembre 1993 una gara fra professionisti per progettazioni e studi delle opere di consolidamento del Duomo di Pavia. Il Provveditorato mi affidò l’incarico il 21 dicembre 1993; tra il giugno e l’agosto 1994 la competenza dei lavori passò alla Regione Lombardia e quindi alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali, sotto la direzione dell’arch. Lucia Gremmo. Le indagini furono affidate a ISMES, con l’assistenza dell’Impresa San Marco; il 25 gennaio 1995 mi fu affidata la direzione delle indagini, comprendente il rilievo, le analisi numeriche, le verifiche e le indicazioni progettuali. La relazione Conclusioni sulle indagini. Studi ed analisi (maggio 1998) riportava i risultati raggiunti da tale complessa serie di indagini estese a tutto il Duomo, che per la prima volta consentivano di valutare il suo stato patologico dovuto agli eventi di 500 anni. Ma i capitoli Indicazioni sugli interventi di consolidamento e Sperimentazione su modello mostrano che si trattava di un vero e proprio Progetto preliminare con la proposta di un metodo innovativo (già sperimentato su modello in laboratorio) per l’intervento sui pilastri dell’Ottagono, l’intervento più urgente e importante. Storia strutturale del Duomo di Pavia Nella tormentata storia del Duomo di Pavia si trovano le ragioni delle sue gravi patologie, quella della fratturazione dei marmi e quella della grande Cupola. Iniziato nel 1488, il Duomo è terminato solo nel 1932 con la costruzione dei due bracci trasversali. Con il grandioso edificio rinascimentale s’intendevano sostituire sia le due esistenti basiliche romaniche di S. Stefano e S. Maria del Popolo sia il Battistero: il magnifico modello ligneo del Fugazza (1501), conservato al Museo del Castello visconteo, è considerato il vero “progetto” della Cattedrale, attribuito a Bramante insieme ad altri architetti lombardi, benché le differenze della costruzione rispetto al modello siano sostanziali. La costruzione iniziò dall’abside, dal presbiterio e dalle sacrestie: poi subì lunghe interruzioni dovute alla caduta degli Sforza, tanto che la realizzazione degli otto pilastri dell’Ottagono richiese circa 150 anni. A tale epoca, senza il peso della sovrastante costruzione, il marmo dei pilastri era già in parte “scagliato”. Gli architetti del Settecento rifiutarono di costruire la cupola; la chiesa, costruito il tamburo, fu coperta con un soffittone ligneo.
IUAV, AP, FSTM 4, NP 070506, Duomo di Pavia: protocollo 44, 1995-2005, Conclusioni sulle indagini, studi ed analisi numeriche, verifiche statiche, indicazioni progettuali degli interventi di consolidamento, Milano, maggio 1998. IUAV, AP, FSTM 4, NP 070506, Duomo di Pavia: protocollo 44, 1995-2005, rel cit., pp. 107-110 e 127-128.
interventi sul patrimonio storico
Interno del Duomo di Pavia (foto G. Chiolini & C., Pavia)
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alta velocit: “viadotti modena” a via inferiore 1998-1999
Un’infrastruttura impopolare Mentre l’inaugurazione delle ferrovie e dei trafori ottocenteschi era un’apoteosi di bandiere, fanfare ed entusiasmo popolare, l’Alta Velocità ferroviaria, infrastruttura attesa da decenni, fu il più amato bersaglio della politica “verde” negli anni Novanta in Italia. I “Viadotti Modena” sono figli di quella politica. Ogni straniero o alieno che capiti qui non mancherà di chiedersi perché, nell’anno 2000, per percorrere il tragitto tra Rimini e Milano, che i Romani (popolo senza fantasia!) avevano tracciato quasi con una retta, l’Alta Velocità deve compiere un’ampia deviazione verso nord, allontanandosi per 3 km da Modena, la città che deve servire (e infatti serve con un braccio addizionale!). Si chiederà anche perché quest’ampia divagazione di ben 12 km il treno la debba compiere in viadotto (a 5 m di altezza sulla tranquilla pianura), perdendo in velocità e raddoppiando almeno i costi. Per rispondere alla domanda occorre conoscere la storia. Per cinque anni il Consiglio comunale di Modena disse di no al passaggio della ferrovia ad alta velocità nel tratto modenese, arrestando di fatto l’intera linea Milano-Roma: la motivazione fondamentale era l’impatto ambientale, in particolare quello acustico. All’obiezione che il traffico normale nelle vie di Modena produce un rumore ben maggiore veniva risposto che non era un buon motivo per peggiorarlo. All’inizio del 1998, all’ennesima riunione della Conferenza di servizi, il Consiglio comunale diede il suo assenso. Nel tripudio generale non si valutarono abbastanza le condizioni dell’assenso: deviare la linea, passando 3 km a nord di Modena con un viadotto di 12 km. «Lei ha un’idea?» TAV, Italferr, Cepav Uno e il suo capogruppo Snamprogetti affrontarono su-
bito il problema. Rivangando soluzioni di viadotto a via superiore e a via inferiore già presentate nel 1996 per il Viadotto Piacenza e confrontate fra loro in relazione agli effetti dell’impatto acustico, conclusero che la soluzione di Progetto preliminare avrebbe avuto, sulla luce imposta di 31,50 m, due travate a U indipendenti in c.a.
grandi infrastrutture
Alta Velocità, Viadotti Modena
grandi infrastrutture
precompresso, dell’altezza di 4,05 m, cui si sarebbe dovuta aggiungere una barriera antirumore di altezza tra 3 e 5 m. In definitiva le varie soluzioni raggiungevano un’altezza totale di circa 7 m. Un bravissimo dirigente di Snamprogetti, l’ing. Severino Candido, mi chiamò il 26 gennaio 1998 presentandomi la situazione: muri alti 7 m per 12 km, un viadotto che si sarebbe visto dalla luna, come la muraglia cinese. Mi disse che non l’avrebbe mai fatto! Poi mi chiese: «Lei ha un’idea?». Esaminate rapidamente le misure effettuate e convinto che in realtà non era l’impatto acustico, ma quello visivo che rendeva la soluzione inaccettabile, promisi di presentare una mia idea. Il 3 febbraio presentai una sezione-tipo preliminare a via inferiore, caratterizzata da un profilo composto di ellissi, dello spessore minimo di 60 cm e dell’altezza totale di 3,20 m. Il tipo di profilo, immediatamente sottoposto a verifica acustica, risultò non necessitare di barriere anti-rumore per i percettori previsti. Al profilo esterno, già efficace a ridurre l’altezza “percepita” della struttura, aggiunsi delle scanalature dedotte dalle colonne doriche. L’altezza totale percepita era ridotta a meno di 2 m. La proposta fu accolta con grande favore. Restava però da risolvere un problema non da poco: nel percorso di 12 km si dovevano anche attraversare cinque ostacoli (fiumi, canali, autostrada), che richiedevano una campata libera di 54 m! Proposi tre alternative, con il principio di mantenere invariato il nastro d’impalcato di 3,20 m, scanalato, delle campate appoggiate di 31,50 m. Proposi campate strallate, campate ad arco superiore oppure travate continue con aumento dell’altezza sugli appoggi: quest’ultima alternativa apparve più semplice e più soddisfacente per l’impatto paesistico. Il 9 marzo 1998, sostenuto da una numerosa delegazione, presentai a Roma il Progetto preliminare, con i calcoli statici e acustici, all’ing. Traini di Italferr, il terrore di tutte le imprese. L’accoglienza della strana struttura fu inaspettatamente positiva; venne richiesto solo di aumentare l’altezza a 3,60 m e di eliminare le scanalature dal tronco delle pile. Il progetto esecutivo Incaricati dall’Impresa Pizzarotti, concessionaria, procedemmo alla progettazione esecutiva della prima fase contrattuale: dettagli travata isostatica 31,50 m, travata 29 m, travata 26,50 m, travata 24 m, travata continua Brennero 40-54-40 m e calcoli, travata continua Secchia, travata continua Panaro, travata continua Interconnessione. Il Progetto richiese la definizione di un gran numero di dettagli inusuali che l’innovativa sezione ad omega del doppio binario imponeva alla linea ferroviaria, così come le armature di precompressione (barre ad alta resistenza previste all’i-
grandi infrastrutture
nizio per tutte le strutture), che potevano essere solo rettilinee e obbligarono a rinunciare ai tradizionali criteri di resistenza allo sforzo di taglio mediante curvatura delle armature pretese e staffe verticali. Al tempo stesso si dovette risolvere il problema dell’asse curvo nei tratti in curva della linea. Ancora più complesso fu il progetto delle travate continue con le relative variazioni della sezione lungo l’asse. Il 25 gennaio 1999 fu consegnato il completamento del Progetto esecutivo con 17 relazioni di calcolo e relativi allegati. L’instabilità elastica del profilo aperto Già alla prima riunione con la committenza misi in evidenza come la struttura portante a via inferiore e il conseguente profilo aperto fossero stati tra le soluzioni più attraenti nello sviluppo delle ferrovie, ma anche le più disastrose: nell’Ottocento infatti erano stati molti i ponti ferroviari in acciaio a via inferiore a crollare per instabilità del corrente compresso. Di conseguenza la stabilità delle strutture in calcestruzzo con il nuovo, inedito profilo poneva un arduo problema di Scienza delle costruzioni, complicato dalla visco-elasticità del materiale, ma non insolubile. Non capii mai quanto questa preoccupazione fosse condivisa dai miei committenti. Come altre volte, con proposte innovative (Torre di Pisa, Basilica di San Pietro, Duomo di Pavia, Campanile di San Marco, torri di refrigerazione) mi trovai ad essere la persona più preoccupata per i rischi della costruzione, con lunghi incubi non sufficientemente domati dalla Scienza. I dubbi sono stati superati con ripetuti calcoli agli elementi finiti con non-linearità geometrica che mostrarono come, con uno spessore minimo di 0,60 m del profilo, esistesse un elevato margine di sicurezza, largamente sufficiente a coprire ogni incertezza di modello come ogni incertezza di materiale. Ma raggiunsi una certa tranquillità solo quando potei verificare che la qualità dell’esecuzione sarebbe stata eccezionale, come in effetti fu. È infatti regola nelle costruzioni che concezione strutturale e qualità dell’esecuzione debbano coesistere per garantire la sicurezza anche riguardo a eventi non conosciuti. L’esecuzione di un campione di guscio in scala reale mostrò come le difficoltà poste dall’innovativa sezione erano state superate. Il progetto, i materiali e il problema della durata Già nello Studio di fattibilità del 3 marzo 1998 osservavo che «i fatti hanno mostrato che le grandi infrastrutture del territorio non sono reversibili dopo 25-30 anni dalla loro costruzione, come invece si era ipotizzato negli anni IUAV, AP, FSTM
4, NP 070485, Linea AV: viadotto Modena, 1998-2000.
ponti sull’arno a levane e a incisa, autostrada a1 1962-1963
Ricordo ancora con terrore i viaggi che gli ingegneri dovevano compiere per raggiungere i cantieri dell’Autostrada A1 tra Bologna e Firenze e tra Firenze e Roma, partendo da Milano alle quattro del mattino e attraversando in auto l’Appennino su strade medioevali. Due “ponti fratelli” furono affidati dal fato a Zorzi, sapendo che ne avrebbe fatto due capolavori: fratelli ma diversamente belli, i ponti sull’Arno a Levane e a Incisa. Egli associò due concezioni dell’arte di costruire, l’arco e la precompressione, fino allora decisamente contrapposti. Forse il fato conosceva anche il costruttore, Sante Astaldi, cui affidare il lavoro. Ed era una fortuna conoscerlo. Era già avanzato nelle sua brillante e quasi incredibile carriera di costruttore famoso all’estero. Attraversando l’Africa, pensò che uno sbarramento del fiume Congo a Inga avrebbe fornito tutta l’energia elettrica allora necessaria all’intero continente. E lo fece. Dicevano che a ogni sosta di aereo fondasse una società. Lasciava invece con evidente ammirazione ed entusiasmo i ruoli e le gioie della cultura e dei premi letterari a una moglie-dea, Maria Luisa Astaldi. Il Ponte di Levane Il punto dell’autostrada per il pricipale attraversamento dell’Arno fu cercato con attenzione dai geologi e fu trovato vicino a Levane, fra due speroni di roccia, ideali appoggi per un ponte ad arco di 142 m di luce, la più grande luce della Milano-Roma. Si evitarono così le pile in alveo – che si prospettavano avere un’altezza dell’ordine di 100 m – in una sezione del fiume interessata da un bacino di ritenuta. Il ponte è formato da un arco poligonale, uno degli ultimi archi costruiti in calcestruzzo; dopo di allora, i viadotti italiani furono una sequenza infinita di travate costruite a sbalzo a partire dalle pile.
IUAV, AP, FSTM 2, NP 070426, Ponte sul Po per l’autostrada A1 a Levane, nel fascicolo sono presenti le fotografie.
con silvano zorzi
Ponte sull’Arno a Levane (Arezzo) (foto G. Chiolini & C., Pavia)
Centina del ponte sull’Arno a Lèvane (foto G. Romanelli, Montevarchi) Centinatura tubolare del ponte di Lèvane
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Incisa (Firenze). I due ponti gemelli Dettaglio del portale precompresso
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con silvano zorzi
Ponti sull’Arno a portale precompresso, Incisa (foto P. Guidotto, Figline Valdarno)
con silvano zorzi
Il calcolo della struttura si presentava arduo, con una calcolatrice elettromeccanica Divisumma Olivetti. Pensai a tre paginette sugli archi del libro Scienza delle Costruzioni di Gustavo Colonnetti (Le linee d’influenza delle reazioni dei vincoli) e, benedicendo il Maestro del mio Maestro e il suo “Secondo principio di reciprocità”, mi misi ad applicarle. Con inimmaginata maestria, che lasciò di stucco il mio collaboratore Marco Nascè, tracciai a matita sul tavolo da disegno i cinque poligoni funicolari che rappresentano le linee d’influenza delle reazioni dei vincoli dell’arco. Usai poi tali poligoni come strumenti di progettazione: e sono orgoglioso di aver risolto un problema (allora) notevole con l’elegante teoria dell’ellisse di elasticità. Durante l’esecuzione una prima sorpresa l’ebbero i geologi. La sezione scelta non era proprio quella “ideale”, e la roccia sana di fondazione era tagliata sistematicamente in orizzontale da strati di argilla che avrebbero potuto provocare inaccettabili cedimenti dell’imposta a sud. Fu necessario forare la roccia per costruire 12 giganteschi pali di cemento armato, profondi decine di metri. Ponti a Incisa, 2000 anni dopo il ponte in pietra di Annibale Un ponte di caratteristiche simili a quello prossimo di Levane è stato costruito a Incisa Valdarno, nel luogo dove verso la metà dell’anno 218 a.C. Annibale attraversò il fiume su un ponte in pietra costruito dai suoi soldati. Il nuovo ponte è costituito dagli stessi elementi formali del “fratello” maggiore di Levane, ma è più raffinato malgrado la minor luce, di soli 102 m. Lo sfalsamento longitudinale delle carreggiate, suggerendo lo sdoppiamento in due opere più ristrette, ha favorito la leggerezza dell’intervento. Arco precompresso anch’esso, Incisa è stato ugualmente calcolato con il tracciamento grafico dei cinque poligoni, grazie alla geniale invenzione di Culmann, “l’ellisse di elasticità”, e l’altrettanto elegante “Secondo principio di reciprocità”, dimostrato da Colonnetti nel 1912. Cosa avverrà con la costruzione della quarta corsia dell’autostrada?
Testi di riferimento L’autoroute du Soleil va traverser l’Arno sur un double pont jumelé de 40 m de haut, «Études routières», vol. VI, 9, 1963, pp. 2-7. Silvano Zorzi: ingegnere 1950-1990, a cura di A. Villa, con la collaborazione di E. Martinelli, Milano, Electa, 1995, pp. 46-51.
G. Colonnetti, Scienza delle costruzioni, Torino, Einaudi, 1948, pp. 333-379. 2, NP 070427, Ponte sull’Arno a Incisa, nel fascicolo sono presenti le fotografie e un fascicolo di periodico. IUAV, AP, FSTM
Ponte Guillaume le Conquerant a Rouen sulla Senna in costruzione (foto Paris-Normandie, Rouen) Fasi dei cassoni ad aria compressa Veduta del ponte (foto Paris-Normandie, Rouen)
ponti in francia
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