CITIES 8

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Intima Immaginazione Lorenzo Cicconi Massi di Sonia Pampuri

Non mi interessa tanto documentare quello che accade, quanto passare dentro a quello che accade Mario Giacomelli

Su quali riferimenti culturali, biografici o esperienziali si basa il tuo modus fotografico? La mia grande passione fin da ragazzino è stato il cinema. Per le sue modalità espressive e per lo spettacolo potente che arriva agli occhi dello spettatore in una sintesi perfetta ed equilibrata fra immagine musica e suoni. Ho provato grandi emozioni nel vedere i western di Sergio Leone, il suo modo nuovo di raccontare, di inquadrare, ma anche le invenzioni Felliniane così vicine per atmosfere e ambienti geografici alla mia terra adriatica. E poi il bianco e nero rigoroso di Robert Bresson ai tempi dell’università. Ed è proprio in quel periodo che mi sono avvicinato alla fotografia, quando in una serata noiosa in casa, sfrugugliando dentro una scatola di scarpe che conteneva delle vecchie fotografie di famiglia, escono sei piccole stampe in carta baritata opaca. In quelle fotografie dei primi anni 60’ ci sono i miei genitori con degli amici nella spiaggia di Senigallia. Queste figure eleganti e sospese immediatamente mi fanno comprendere le grandi capacità espressive del mezzo fotografico e soprattutto la mente geniale di Mario Giacomelli. Il mio concittadino, poi conosciuto di persona e frequentato nel negozio di fotografia di Edmo Leopoldi, ha accompagnato tutto il mio lavoro, non tanto in un primo e più immediato uso del bianco e nero, ma per la capacità di raccontare l’uomo e i suoi sentimenti rimanendo vicini alle cose che si conoscono meglio.

Come e quanto il particolare periodo storico che stiamo attraversando e l’esperienza della pandemia hanno influenzato la tua fotografia? La pandemia ha creato un forte shock emotivo nei fotografi che fanno dell’esplorazione del mondo, del contatto con altre persone la base stessa del loro lavoro. Benché io mi muova in un territorio molto prossimo a casa mia, l’idea di essere rinchiuso ha scatenato, come sempre succede di fronte ad una privazione, il desiderio di muovermi, di fare, di raccontare. Per la prima volta ho puntato la macchina verso me stesso. E trasformandomi in una sorta di “uomo nero” ho tirato fuori le angosce più profonde rappresentando la necessità ma anche l’ossessione di coprirsi con tutti i presidi medici e difendersi da un nemico molto subdolo in quanto invisibile. Questo lavoro si intitola “spiritus” ed è stato pubblicato

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