CHAGALL. THE ACTION AND THE WORD

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CHAGALL

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PIERRE PROVOYEUR

CHAGALL IL GESTO E LA PAROLA I pastelli del Messaggio Biblico

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INDICE

International Copyright © 2011 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano All rights reserved Per tutte le opere di Marc Chagall riprodotte in questo volume © by SIAE / Chagall® Traduzione di Marielisa Donvito Elisa Emaldi ha riveduto la traduzione e tradotto i nuovi testi In copertina M. Chagall, Cantico dei Cantici IV, MNMC 256 [1958] Pastello, acquerello diluito, collage su carta bianca

Tutte le fotografie dei pastelli e degli olii di Marc Chagall sono di Elio Ciol per Archivio Jaca Book, eccetto: Tavv. 43, 82, 85, 102 - by Réunion des Musées Nationaux, Paris Tavv. 79 e 109 - by Patrick Gérin. Le illustrazioni a p. 9 sono di Réunion des Musées Nationaux, Paris La fotografia a p. 17 è di Elio Ciol per Archivio Jaca Book Le fotografie alle pp. 18, 93 e 193 sono di Angelo Stabin

Prefazione, 7 Fotografare i pastelli del Messaggio Biblico, 11

La non-coincidenza tra forma e contorno, 74 L’ambiguità dell’astrazione, 78 I pregi dell’incompiuto, 84

Parte prima IL GESTO E LA PAROLA, 13

I pastelli del Messaggio Biblico, opere d’arte a pieno titolo, 87

I pastelli come complesso unitario, 15 Solo per vedere meglio, 89 Ricollocare la parte nel tutto: il significato del Messaggio Biblico, 16 Schizzo o disegno, formato piccolo o grande, 19 Il passaggio dal pastello alla pittura, 23 Schizzi per l’opera in pittura e schizzi per inquadrature architettoniche, 25 Preliminari ai pastelli del Messaggio Biblico, 27

Parte seconda I PASTELLI SOGGETTO PER SOGGETTO, 93 La Creazione dell’Uomo, 95 Il Paradiso, 105 Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso, 115 L’Arca di Noè, 123 Noè e l’Arcobaleno, 129

Fotocomposizione e selezione del colore Pixel Studio, Milano Stampa e legatura Grafiche Flaminia, Foligno (PG) luglio 2011 ISBN 978-88-16-60452-0

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA, Servizio Lettori Via Frua 11, 20146 Milano Tel. 02/48561520/29 – Fax 02/48193361 e-mail: serviziolettori@jacabook.it internet: www.jacabook.it

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Forma, significati e atmosfera dei pastelli, 33

Abramo e i tre Angeli, 141

Con inchiostro e carta, 36

Il Sacrificio di Isacco, 151

Chagall disegnatore, 44

Il Sogno di Giacobbe, 157

Il pastello come mezzo espressivo nell’arte di Chagall, 49

La Lotta di Giacobbe con l’Angelo, 169 Mosè davanti al Roveto ardente, 175

Il pastello a metà strada fra disegno e pittura, 54 La funzione dei pastelli nella preparazione delle tele del Messaggio Biblico, 58 La carta, fattore determinante della composizione, 62 Come cipria sul viso, 65

Mosè che percuote la roccia, 183 Mosè che riceve le Tavole della Legge, 187 Cantico dei Cantici, 193 Catalogo dei pastelli, 229 Indicazioni bibliografiche, 240

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PREFAZIONE Dal 7 luglio 19721, giorno della sua inaugurazione, il museo nazionale di Nizza dedicato al Messaggio Biblico di Marc Chagall continua incessantemente ad attirare visitatori. Il suo successo è la conferma, se mai ne occorresse una, del posto di riguardo che l’artista occupa nel pantheon dell’arte moderna. Mentre le diciassette grandi tele sono esposte permanentemente nella bella architettura concepita da André Hermant nel 1972, i disegni preparatori su carta sono opportunamente conservati nei depositi, ed esposti a rotazione per preservare dalla luce i fragili fogli e il pastello, la matita o l’inchiostro che li ricoprono. Per questo ci è parso opportuno offrire all’appassionato come all’esperto, al curioso e allo storico d’arte, il corpus completo delle opere, a colori e, per un buon numero, in scala reale; non sono presenti solo i preparatori a olio su tela, già pubblicati nel 1972, insieme agli schizzi a pastello di ciascuno dei diciassette dipinti, nel catalogo del museo2. Sono qui presentate le riflessioni stimolate, sin dal principio del Messaggio Biblico, dal disegno, dal colore, dalla tecnica, dal supporto, unitamente al contesto e agli antecedenti del grande lavoro di esplorazione affrontato dall’artista, dalle soluzioni plastiche possibili alla composizione dei suoi dipinti. Non si poteva affrontare un tale esame senza rammemorare ad ogni passo che l’opera d’arte è il sodalizio tra un pensiero e una forma: tutta l’opera di Chagall è permeata della preoccupazione di fornire un’appropriata espressione della sua visione del mondo. All’ambiguità onnipresente nella creatura umana, in cui convivono il bene e il male, alla sua natura divisa tra la notte e il giorno, a un mondo affettivo nel quale si alternano gioia e dolore, corrispondono la vibrazione della pennellata, la diffrazione della forma e del colore, l’indeterminatezza dei piani prospettici. La misteriosa presenza dell’uomo nel mondo era già stata oggetto nel 1911 di un grande dipinto, conservato oggi allo Stedelijk Van Abbe Museum di Eindhoven, Adamo ed Eva, divenuto poi Omaggio ad Apollinaire, nel quale uomo e donna si fanno uno, un essere singolare e al contempo doppio, lancette di un orologio tese verso il cielo, cifre in uno spazio-tempo del quale sono centro e misura. E già tutti i disegni preparatori di quest’opera fondatrice, da noi repertoriata nel 1984 per il catalogo di una mostra dedicata alle opere su carta di Marc Chagall al Centre Pompidou3, mostravano la sua ricerca della fragilità, in cui si confondono matita e acquerello, con luci sapientemente diffuse che le trasparenze e le velature frementi riprendono nel dipinto compiuto. Il tempo trascorso potrà legittimare il tentativo di porre questi fogli, focosi e freschi come l’acqua che scorre, nel contesto della seconda metà del ventesimo secolo, che li ha visti nascere. Soffusi della luce del Mediterraneo, che l’artista aveva scelto come luogo più idoneo al suo lavoro, sono posteriori ai Papiers découpés di Matisse – che 7

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muore a Nizza nel 1954 – e di poco anteriori alle serie di Picasso su Il Pittore e la modella del 1970, o ai Moschettieri del 1971. Da Matisse, Chagall si sentiva lontano, come lo spettatore ammirato ed estraneo di un’opera che si compie sotto i suoi occhi, ma in un’altra lingua. Diceva, con uno scintillio di malizia negli occhi, «Laddove Matisse traccia una grande linea, io faccio un sacco di piccole cose». Un modo di difendere due maniere di dipingere, due forme delle quali accettava la coabitazione, due attitudini che non voleva vedere contrapposte, perché la questione non si poneva in termini di conflitto, anzi non si poneva affatto. Matisse proveniva da un altro orizzonte, da una pittura francese classica di ritratti e paesaggi, nella quale i grandi miti dell’umanità cedevano il passo all’interiorità, all’intimità dei visi e dei corpi, in una forma che non gli apparteneva. Con Picasso, anch’egli suo vicino nel periodo in cui questi abitava a Mougins e Chagall a Vence, i rapporti artistici erano meno sereni, anche se non tali da arrivare agli anatemi, che avrebbero in ogni caso fatto la gioia del pubblico. Porre in confronto i rispettivi disegni non sarebbe comunque stato possibile, se non contrariando l’artista, che non avrebbe accordato alcuna legittimità a una simile analisi. Nondimeno tutti e tre avevano seguito un percorso analogo: Matisse dal 1949 al 1951 alla Chapelle du Rosaire dei Domenicani di Vence, Picasso nel 1959 a Vallauris, con la cappella de La Guerra e la Pace, e infine Chagall a Vence, dove un’altra cappella gli ispira il Messaggio Biblico a partire dal 1954. Un percorso monumentale, preceduto dal disegno, secondo i temperamenti molto diversi dei tre maestri. Tuttavia l’uso del pastello, tecnica poco familiare a Matisse, si ritrova invece in Picasso, e guarda caso nella serie de Il Pittore e la modella del 1970. Mentre il contorno dei personaggi è tracciato con segno fermo, il gesso bianco è posto solo a significare la luce, e la carta grigia lasciata al naturale costituisce l’ombra. Ma ancor più rivelatore di quest’uso così moderno del disegno sono le lumeggiature rosse attorno al viso del pittore, rapida sottolineatura di un altro fondo rispetto a quello costituito dalla carta, tocco violento quanto incompleto che pare un’indicazione, una traccia come un frottis carico d’ira. Anche nei pastelli del Messaggio Biblico compaiono analoghe indicazioni, e se ne potrebbe tracciare una cronistoria che risale a Degas, Forain, Toulouse-Lautrec, tutti pittori compiuti, tutti rapidi di mano e maestri del virtuoso «colpo di matita». Se ne trova l’uso in Kandinskij, nelle sue prime opere astratte, e quelle forme vicine ai graffiti si sono imposte come modalità espressiva contemporanea, minimalista e al contempo ricca di senso. L’Astrattismo ne ha fatto un uso privilegiato, nella sua apologia del gesto e del segno, e in seguito in Cy Twombly lo ritroviamo come linguaggio personale, elevato a sistema plastico, scrittura e colore, ritmo e musica, tanto che l’artista se ne servirà per creare l’immenso sipario dell’Opéra Bastille. Il confronto tra gli schizzi di Chagall e quest’opera di Twombly trova maggior legittimità nel contributo che entrambi hanno apportato ai due grandi teatri d’opera di Parigi: Chagall all’Opéra Garnier nel 1964 con il suo famo8

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so Soffitto, e Twombly per l’Opéra Bastille nel 1989. Con mezzi plastici affatto differenti i due artisti rendono omaggio, ognuno alla propria maniera, all’essenza della musica, anch’essa universo della vibrazione e delle onde, spazio dell’effimero al quale il capriccio del tratto offre una corrispondenza visiva particolarmente riuscita. E tornando a Chagall, come non ricordare, davanti agli schizzi del Messaggio Biblico, a che punto egli trovasse nella musica una sfida da cogliere per lui, pittore, con i suoi colori e i suoi ritmi? Anche sul piano del mito possiamo rivolgerci a Twombly, e avvicinare il suo percorso a quello di Chagall. Il mito nutre l’opera dell’artista americano, nel momento in cui conferma che proprio dai grandi testi dell’umanità, dai due Testamenti alla Divina Commedia, dall’Iliade all’Odissea, per citarne solo alcuni, emergono i riferimenti preferenziali dei pittori. Dal Cubismo all’Astrattismo, dalla Pop Art al Nouveau Réalisme, i tempi erano cambiati, e negli anni Sessanta Chagall, con il suo Messaggio Biblico, passò per un retrivo. Nessuno allora poteva prevedere i polittici di Twombly, tra cui Achille piange la morte di Patroclo (1962, Parigi, Musée national d’art moderne), Cinquanta giorni a Troia: gli Eroi Achei (1978, The Philadelphia Museum of Art) o Pan (1980, Avignone, Collezione Lambert), che hanno restituito l’uso metaforico dei grandi poemi epici dell’Antichità greco-romana. E invano si cercheranno le figure togate o la nudità eroica del modello di David: è attraverso gli stessi frottis feroci, i colpi di matita sanguinari inflitti al foglio bianco, che si esprime Twombly, nello stesso slancio che coglieva Chagall quando cercava, altrettanto rapido e veemente, i colori per i suoi Profeti. Entrambi riscoprono la potenza poetica dei miti e delle parabole, pure nello scetticismo generale provocato dalle guerre, dalle sconfitte dell’ecologia e della solidarietà internazionale di fronte alla miseria e all’analfabetismo, ai mali della corruzione, dell’immoralità politica, tutte calamità eterne che la democrazia e la prosperità avrebbero dovuto confinare ai margini della

Pablo Picasso, Il Pittore e la modella, secondo disegno di una serie di otto. Pastello e matita colorata su carta grigia, 1970. Centre Pompidou, Musée national d’art moderne, AM 1984-665.

Cy Twombly, Progetto di sipario per l’Opéra Bastille. Acquerello e pastello su carta, 1989, sesto di una serie di sei. Centre Pompidou, Musée national d’art moderne, inv. 88284(6).

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società. Nessuno dei due nasconde le tragiche tare dell’umanità: Chagall ebbe il merito di dare ai pogrom e alla Shoah un senso aperto, facendo del Cristo cinto dal tallit il simbolo di tutte le vittime. Joseph Beuys e Christian Boltanski, e ancora Anselm Kiefer e Gérard Garouste, hanno dal canto loro dato una forma alla tragedia universale: gli uni e gli altri hanno saputo nutrire di questi riferimenti alla storia un’arte monumentale della quale, a loro tempo, avevano visto la necessità anche Picasso, Matisse e Chagall – Guernica, La Danza, o Le Dodici Tribù di Israele a Hadassah. La presenza in seno a questi fogli di una veemenza scarabocchiata, impiastricciata, impaziente è qui un modo di significare la forza del colore a malapena guidata dal gesto, la sua genesi quasi spontanea. Altrove, sono le dimensioni gigantesche delle opere che agiscono come un grido, proclamazione di un dramma, denuncia dell’ingiustizia del destino. Chi ha visto a Parigi, all’esposizione Monumenta del 2007, Chute d’étoiles di Kiefer o, nel 2009, Personnes di Boltanski sa riconoscerne la presenza altrettanto leggibile. Ma sono proprio i graffiti che, nei nostri tempi di gigantismo, assediano superfici ben più vaste: contagiati da Basquiat o da Penck, con il sostegno storico di Jackson Pollock, i muri delle città si coprono, per il disappunto degli innamorati, di forme grafiche dai ritmi sincopati, di segni che impongono un disegno al paesaggio stesso e che oggi noi accettiamo come forme d’arte. Lo sguardo che ogni epoca può posare su queste opere varia a seconda dei nuovi apporti e dei più recenti raffronti; guardare questi fogli di schizzi suscita nuovi confronti, apre altre prospettive. Come nell’arte scenica che si nutre sempre più di opere teatrali, letterarie o musicali per darne interpretazioni di volta in volta più sorprendenti e perfettamente applicabili alle contingenze della società e del pensiero contemporaneo, ogni forma di lettura diventa ora possibile. Il pittore non chiedeva di meglio che vedere lo spettatore impadronirsi dell’opera, al di là delle fedi, delle religioni, delle credenze. Alcuni vedranno in questi schizzi la potenza del gesto. Altri sentiranno la ricchezza spirituale della Parola divina. È nel legame di queste due dimensioni che Chagall, coniugando in un certo modo il gesto alla Parola, ha scelto di porre la forma al servizio del pensiero A questo stadio del processo creativo è probabile che l’apparente esiguità, ma anche la ricchezza, di questi pastelli ne faciliterà una appropriazione poetica. Tale è lo scopo di questo libro.

È trascorso un quarto di secolo dalla prima edizione di questo saggio: Marc Chagall. I pastelli del Messaggio Biblico, pubblicato da Jaca Book nel 1985. La presente edizione, che propone la totalità dei pastelli, tutti riprodotti a colori, è il felice risarcimento della prima, da molto tempo esaurita. 2 Musée national Message Biblique Marc Chagall. Catalogue des collections, Réunion des musées nationaux, Paris 1973; nuova edizione 2001. 3 Marc Chagall. Œuvres sur papier, catalogo della mostra al Centre Georges Pompidou, Musée national d’art moderne, Centre Georges Pompidou, Paris 1984. 1

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FOTOGRAFARE I PASTELLI DEL MESSAGGIO BIBLICO Quando la donazione dell’insieme del Messaggio Biblico – le grandi tele, le gouache della Bibbia commissionata da Vollard, le incisioni con le relative lastre di rame, gli schizzi su carta e le litografie – entrò al museo di Nizza per trovarvi la sede definitiva, si dovette affrontare la duplice sfida della conservazione delle opere su carta e della loro esposizione. Si convenne allora di seguire i protocolli in uso al Cabinet des Dessins del Louvre e di dare a pastelli e disegni preparatori una protezione che consentisse al contempo l’inquadratura in passe-partout, ovvero finestre ritagliate in un cartone doppio pressato i cui bordi a smusso andavano come da tradizione a ricoprire leggermente i margini del foglio. L’immagine è così circoscritta entro limiti precisi, tali da riservare al colore ora inquadrato in uno spazio neutro la massima intensità, generando per il fruitore quello che la camera oscura è per l’artista che isola il paesaggio o i personaggi in uno spazio che diventa il loro. Procedendo in questa direzione, si offriva al visitatore una visione «pittorica» degli schizzi, nella maniera in cui da sempre la pittura si trova inquadrata in una cornice che la racchiude in una vera e propria finestra, convenzione che corrisponde profondamente a un processo ottico e insieme mentale secondo il quale l’immagine assorbe lo sguardo cancellando tutto ciò che sta all’intorno e che potrebbe impedire alla mente di essere assorbita in un’investigazione univoca. Agendo così ci si assumeva due rischi. Il primo, sul piano della corretta conservazione delle opere, era quello di esporre alla luce solo la parte visibile del foglio, preservando il bordo occultato dall’esposizione luminosa. In taluni casi – sebbene i pastelli non siano stati esposti per lunghi periodi – ne risulta oggi una traccia leggibile dell’effetto di ossidazione della luce e di quello della copertura, in quanto la carta è fatalmente imbrunita per la porzione esposta mentre conserva la tinta originale nell’altra. Ma il rischio maggiore era di ordine plastico: il margine del foglio è la vera riva ove si arresta la mano dell’artista ed entro la quale si conduce la composizione. Spesso Chagall si serve del supporto come di un colore, lasciandolo visibile qui e là. Questa tecnica, che tutti i disegnatori conoscono e che alcuni, tra i quali Rembrandt, hanno magistralmente adoperato, si legge tanto meglio quando si ha la possibilità di riconoscere nei margini il tono della carta riservata dalla composizione. Oggi è invalso l’uso di tenere la finestra del passe-partout a filo del foglio, che viene assicurato con linguette invisibili al fondo della cornice. Ci sembrava dunque essenziale offrire al lettore ciò che il visitatore non ha mai visto, ovvero l’integrità del foglio, spesso bordato dallo stesso Chagall con un tratto destinato a fissare le proporzioni dell’opera futura e che ha costituito precisamente l’indicazione principale per il corniciaio nel collocare la finestra del passe-partout, privandoci della vista originale dello schizzo. Dato che questo libro vuole sottolineare il carattere eminentemente moderno dei pastelli di Chagall, riposizionandolo nell’orizzonte del desiderio degli artisti del XX secolo di liberarsi delle antiche leggi di composizione e riquadratura nel senso fotografico del termine, sarebbe stato improponibile non mostrare tutto il foglio, quello che l’artista ha sotto gli occhi ancor prima di cominciare a coprirlo con i colori e il disegno. Per tale motivo l’insieme dei pastelli è stato rifotografato con il consenso dei curatori del museo, che qui desideriamo ringraziare.

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PARTE PRIMA

IL GESTO E LA PAROLA

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Cantico dei Cantici IV, particolare.

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I PASTELLI COME COMPLESSO UNITARIO

Quale criterio ha indotto gli ideatori del presente libro a scorporare dalla vasta produzione di un artista alcune decine di opere la cui tecnica, il pastello, ne giustifica l’accostamento, ma che non occupano nel complesso della sua creazione e neppure nella sua mente un posto a sé stante? Nell’audace scelta gioca un ruolo determinante il desiderio di offrire al lettore queste invenzioni, più confidenziali delle grandi tele del Messaggio Biblico che le compiono. E tuttavia il complesso si impone per una sua coerenza, la qual cosa legittima l’impresa. In questo volume, tutti i pastelli preparatori realizzati da Chagall per il Messaggio Biblico hanno avuto il privilegio della pubblicazione a colori, venendo poi ripresi al completo nelle illustrazioni del catalogo finale. È dunque possibile avere la misura del lavoro del pittore e giudicare attraverso uno specifico medium le qualità dell’opera e le preoccupazioni e gli intenti dell’artista. Tale coerenza si afferma nel tempo e nello spazio, poiché questo centinaio di fogli vide la luce in meno di tredici anni, in uno studio scelto volutamente lontano da quello nel quale si avvicendavano con crescente ammirazione amici, collaboratori e familiari. Il progetto di decorazione di una cappella necessitava di un ambiente di lavoro separato, nella misura in cui esigeva una scala monumentale. Questi pastelli rimandano dunque alla grande opera dell’artista, quei tredici anni, tra il 1954 e il 1967, nel corso dei quali egli redasse il suo testamento plastico e insieme spirituale, il Messaggio Biblico. Lo inizia a sessantasette anni, età nella quale molti avrebbero pensato a ritirarsi, e lo conclude a ottanta: questi fogli palpitanti sembrano tuttavia nascere dalla mano di un giovane e di un sapiente. Sono legati fra loro da un colore o da una forma comuni, da uno slancio unitario teso forse verso l’opera che si farà, o ancora dalla volontà di sperimentare tutte le possibili soluzioni al problema unico della sintesi fra un’intenzione spirituale e la sua formulazione plastica. Nel corso di queste pagine vedremo perché il pastello si sia dimostrato, fra tutti, il mezzo più adatto allo scopo.

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Cantico dei Cantici V, particolare.

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RICOLLOCARE LA PARTE NEL TUTTO: IL SIGNIFICATO DEL MESSAGGIO BIBLICO

Per inoltrarci più agevolmente nel complesso mondo rappresentato dal Messaggio Biblico sarà opportuno far riferimento all’opera pubblicata nel 1983 (Marc Chagall. Messaggio Biblico, Jaca Book, Milano 1983), che propone alcune chiavi di lettura, ma occorre tener sempre presenti i grandi assi portanti del lavoro dell’artista prima di avventurarsi in qualsiasi tipo di indagine di una delle sue componenti. Chagall ha sempre pensato a un grande complesso monumentale, sia durante gli anni in Russia, nel 1918 o nel 1920, nel momento in cui il suo paese crede di vedere aprirsi un brillante futuro intellettuale e artistico, oppure a Vence dopo la seconda guerra mondiale. In un primo tempo realizza questo suo sogno sulla scena: quattro balletti o opere sono per lui l’occasione di disporre di grandi spazi e di mettere la sua pittura alla prova su una scala più vasta possibile: Aleko nel 1942, L’Uccello di fuoco nel 1945, Dafni e Cloe nel 1959 e infine il Flauto magico nel 1967. Ma un’opera monumentale non si identifica con un lavoro di grandi dimensioni: la misura delle composizioni non è in rapporto automatico con il significato aggettivale. Chi ricerca una qualità monumentale deve concepire un progetto nel quale il livello della concezione, l’esigenza spirituale o poetica del soggetto si adeguino alle esigenze del formato, senza per questo determinarlo. Le Bagnanti di Cézanne, nella loro muta coreografia, hanno valore monumentale dal primo schizzo fino alla versione definitiva sulla tela: la concezione monumentale è dunque indipendente dal supporto dell’opera e dalla sua successiva elaborazione. Rimane tuttavia il fatto che l’artista sia ricorso all’ausilio dell’architettura; il fascino che egli prova per la chiesa o la sinagoga in quanto costruzioni è evidente in moltissime opere giovanili e raggiunge il suo apogeo nella compenetrazione delle vetrate o del mosaico con le parti in pietra. È molto significativo vedere Chagall buttarsi a corpo morto nella concezione e realizzazione di grandi vetrate nel momento stesso in cui decide di far muovere il passo decisivo al grande complesso del Messaggio Biblico. Le cattedrali di Metz, di Reims, di Chichester, le chiese di Tudeley, di Magonza o di Le Saillant, la sinagoga dell’ospedale Hadassah a Gerusalemme o il tempio di Fraumünster testimoniano inequivocabilmente con quanta gioia Chagall si sia impadronito di tali sacri e imponenti spazi. Inoltre queste opere desti16

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nate a complessi architettonici conoscono dei preparativi che ci riportano al tema iniziale, lo schizzo, dunque il foglio disegnato. In effetti, Chagall ha senza dubbio dato al vetraio-pittore, al mosaicista o al licciaio i suoi disegni preparatori, dei «cartoni» la cui misura, materia e tecnica sono identiche a quelle dei nostri pastelli. Vedremo più innanzi quali siano le differenze fondamentali fra le opere destinate ad essere realizzate in pittura e quelle che preannunciano opere murali o su vetro. Fin dall’inizio possiamo riconoscere nel procedere di Chagall una familiarità tanto maggiore con questa tecnica in quanto la ricerca e l’approccio del creatore di fronte al foglio bianco sono simili. Quando Chagall si appresta a tracciare le linee o a dare il colore, egli sa benissimo di non avere davanti a sé della carta, ma la futura parete. Tuttavia, nel caso del Messaggio Biblico, il fattore architettonico è secondario: una tela in fieri potrà anche cambiare parete. È vero che all’inizio del suo lavoro, negli anni 1954-60, Chagall pensò realmente che le sue opere avrebbero occupato ciascuna i dodici lati della croce latina della cappella del Calvario di Vence. E del resto adattò con cura la forma dei bozzetti preparatori alle volte della navata, e alcuni dei nostri pastelli testimoniano nel loro contorno tale primitiva destinazione. Poi si verificò una trasformazione: l’artista rinunciò al suo progetto religioso, adottando

Marc Chagall, Le Grand bouquet, seconda vetrata occidentale della cattedrale di Saint-Etienne, Metz, 1968.

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SCHIZZO O DISEGNO, FORMATO PICCOLO O GRANDE

il concetto di museo: di un luogo quindi nel quale il dipinto non è legato alla parete che lo regge, ma al telaio sul quale è steso. Tale modifica, fondamentale nei riguardi della concezione stessa del ciclo del Messaggio Biblico, si accompagna a un impegno sempre maggiore di conferire all’opera valore universale e significato aperto a interpretazioni non esclusivamente confessionali, ma poetiche. Da quel momento il dipinto non è più, al pari di un affresco, un elemento della parete e del complesso architettonico, non ha più il compito di trapassarla per dare l’illusione della sua profondità e trasparenza, ma diventa un oggetto eminentemente mobile, definito dal proprio contenuto e non più dalla propria destinazione. Lo schizzo su carta di tale opera, anch’esso mobile e distaccato dalla tavola su cui poggia, rivela la medesima natura: al pari del dipinto, non è concepito in funzione dello spazio che lo circonda – poiché si tratta di un ciclo –, ma in sintonia con gli altri schizzi, vale a dire con gli altri dipinti. Così come esiste una catena di significati comuni fra le grandi tele, esiste un nesso stretto tra ciascun gruppo di schizzi. Essi sono stati, in un certo senso, concepiti tutti insieme, e lo studio al quale contribuiscono ne fa le parti di un unico ciclo.

Veduta del Musée national Message Biblique Marc Chagall, dal 2008 Musée national Marc Chagall, Nizza.

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L’ambizione al monumentale che guida l’artista ha dei precedenti nella storia, e non di poco conto; molteplici sono state le soluzioni per la preparazione ai grandi formati che al momento ci interessano. Alcuni esempi possono giovare all’analisi del procedere di Chagall. L’età d’oro dell’affresco – dal Trecento al Quattrocento in Italia – ci è oggi perfettamente nota grazie all’opera dei restauratori e allo studio analitico degli storici. Le operazioni di distacco dal muro delle opere di Firenze, minacciate o semidistrutte dall’inondazione del 1966, hanno portato alla luce numerosi lavori preparatori di composizioni monumentali realizzate sulla stessa parete. Con ciò non si pretende di affermare categoricamente, alla luce delle recenti scoperte, che nessun artista di quel tempo eseguisse bozzetti di piccolo formato prima di affrontare la grande e definitiva composizione. Ma è certo che ogni affresco è stato preceduto da un disegno in ocra o terra rossa – quella che proveniva da Sinope, da cui il termine di «sinopia» dato a queste linee eseguite sull’intonaco ancora fresco. Accurati prelievi hanno rivelato l’esistenza di questi tracciati preparatori sotto lo strato di colore. Ora pare che per numerosi affreschi l’artista sia ritornato alla composizione originaria con un pentimento evidente, che conferma la natura di studio di tali opere. E qui mettiamo il dito su un delicato problema che concerne l’arte del disegno in generale: non esiste una definizione assoluta di questo in quanto arte dello schizzo o come arte in sé; la tecnica è necessaria per entrambi i casi, un foglio senza pentimenti potrà soddisfare l’autore fin dal primo momento e non dire molto ai nostri occhi, mentre un altro sovraccarico di ritocchi e cancellature ci potrà sembrare un capolavoro. Il disegno in sé potrà essere oggetto di studi successivi nel momento in cui diventerà una tecnica riconosciuta e praticata da alcuni come specializzazione: i ritratti a tre matite dei Clouet sono, per precisione ed esecuzione, pari a quelli eseguiti a pittura e sembra abbiano avuto perfino una preparazione preliminare su altri fogli, cosa che tuttavia resta da dimostrare. Ma un ritratto disegnato da Ingres sarà stato preceduto invece da numerosi studi, e alcuni nudi della corrente storica della tradizione classica compariranno successivamente in tre o quattro versioni prima della realizzazione definitiva. Tutti questi tentativi noi po19

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Pagine precedenti: La Creazione dell’Uomo, olio, particolare. 3 La Creazione dell’Uomo, pastello, particolare.

tremmo giudicarli più avvincenti dell’opera conclusa. Va da sé che neppure la sinopia dei frescanti del Trecento poteva reggere un numero infinito di ritocchi, e non era quindi possibile stravolgere la composizione generale in un’inestricabile ginepraio di pentimenti. Era dunque ineluttabile che la ricerca di composizioni sempre più ardite, l’invenzione di gruppi e di spazi sempre più originali si avvalesse della comodità del formato ridotto e della ripetizione sulla carta delle esitazioni e delle trovate dell’artista. Gli esordi del disegno come forma d’arte dello stesso livello di quelle maggiori risalgono alla fine del quattordicesimo secolo; e anche il grandissimo cartone preparatorio di Raffaello per la Scuola di Atene, che possiamo vedere oggi alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, appare di rara e grande qualità: carboncino e biacca si fondono sulla carta per creare, alla scala definitiva, una composizione straordinariamente movimentata, ancor più viva dello stesso affresco del Vaticano. Ma non è stata questa la strada scelta da Chagall: per le grandi tele, spesso superiori ai due metri, egli prepara schizzi di piccole dimensioni, affidando all’abilità del suo colpo d’occhio la cura di operare il passaggio dal piccolo al grande. Per quanto ci risulta, i riferimenti «disegnati» o «abbozzati» che Chagall riprende non figurano sulla tela definitiva al momento della sua impostazione, nella quale compare appena qualche indicazione. Una lunga abitudine personale di invenzione gli fa privilegiare in modo assoluto il tracciato del pennello sulla tela, anche se intorno al cavalletto e a portata d’occhio si trovano tutti gli schizzi preparatori: gli bastano pochi punti di riferimento, che una semplice messa a fuoco consente di collocare al punto giusto nel dipinto da eseguire.

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IL PASSAGGIO DAL PASTELLO ALLA PITTURA

Questa tecnica della messa a fuoco e il passaggio dal pastello all’olio, Chagall deve averla per forza appresa dai «maestri»; la sua permanenza nelle Accademie di San Pietroburgo e di Mosca negli anni 1909-10 gli ha offerto molteplici occasioni di assistere al compiersi di lavori monumentali: decorazioni per palazzi o chiese, e soprattutto presso Lev Bakst, lo scenografo di Diaghilev, alcuni bozzetti destinati a scenografie tanto sontuose quanto immense, e allo stesso tempo molto rifinite, eseguite da qualcuno pratico sia del bozzetto sia del suo sviluppo in grande formato. Molti pastelli del nostro complesso, che si troveranno agevolmente nel catalogo alla fine della presente opera, sono in effetti delle riproduzioni mediante quadrettatura a partire da un ultimo progetto. Già nel 1919, a Mosca, Chagall utilizzava la quadrettatura nel piccolo bozzetto dell’enorme pittura murale – dodici metri di lunghezza – che aveva destinato alla sala del Teatro Ebraico di Granovskij. Questi due fogli, di proprietà dell’artista, testimoniano della sua profonda conoscenza delle leggi dell’arte monumentale così come della sua abilità compositiva, e dimostrano altresì in modo inequivocabile a qual punto Chagall si trovi a suo agio nelle variazioni di scala e padroneggi sia l’ingrandimento sia la riduzione – come vedremo – con grande maestria. Ciò premesso, l’ingrandimento riguarda solo una parte dell’opera finale, e in questo caso egli non fa altro che seguire le orme di Rubens e di Rembrandt, che arricchiscono il primo abbozzo di una quantità incredibile di particolari di paesaggi, figure e oggetti a mano a mano che procede il lavoro sulla tela. Chagall si prefigge di conservare fino in fondo, nei confronti del bozzetto, quella libertà di invenzione che gli consente di arricchire di significato l’opera, di dare una struttura a un certo passaggio di colore puro che nel pastello appare spesso quale semplice indicazione. Trasportato dalla fantasia, si impadronisce dell’altare biblico sul quale è stato sacrificato l’agnello per farne – senza che neppure uno solo dei pastelli ce lo abbia fatto intuire – una casa in fiamme, simbolo di un altro sacrificio ben più reale, quello dell’umanità in lotta con se stessa (Noè e l’Arcobaleno). Esempi del genere sono presenti a non finire, per dimostrare ogni volta come il passaggio dallo schizzo alla tela definitiva non sia un 23

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SCHIZZI PER L’OPERA IN PITTURA E SCHIZZI PER INQUADRATURE ARCHITETTONICHE

ingrandimento puro e semplice dei temi, ma la costruzione, attorno allo scheletro, di un tessuto e di una pelle, materiali diversi che costituiscono in definitiva la sostanza della pittura.

4 Noè e l’Arcobaleno, pastello e inchiostro di china, particolare.

Noè e l’Arcobaleno, olio, particolare.

Se i bozzetti per le vetrate, i mosaici e gli arazzi vengono realizzati da Chagall contemporaneamente agli schizzi per il Messaggio Biblico, esiste tuttavia una diversità d’oggetto, come abbiamo già detto, e anche di metodo fra i due generi di lavoro, sulla quale è opportuno soffermarsi. Gli arazzi sono stati spesso preparati dall’artista prendendo le mosse da opere «finite» già preesistenti e da lui tradotte in «cartoni»: così è per Davide e Betsabea che, all’origine, era la litografia di copertina dei Dessins pour la Bible editi da Tériade. Fanno eccezione i grandi bozzetti per gli arazzi del Parlamento di Gerusalemme, che avevano un committente troppo importante perché Chagall potesse lasciarli al destino avventuroso dei suoi lavori precedenti. Ma basterà osservare qui che in tali lavori il pastello occupa un posto modesto e che le creazioni già realizzate si rinnovano grazie a una tecnica diversa. Per il mosaico, la scelta del mezzo predominante si orienta alla matita e per il supporto al foglio bianco: un’accoppiata che rende al meglio i toni madreperlacei del calcare e dei graniti che Chagall ha usato a Nizza, a Saint-Paul de Vence, a Les Arcs e a Chicago. Su questo fondo balzano i colori dati a pastello e lumeggiati con tratti a inchiostro di china, che troveranno fedele interpretazione nelle paste vitree. Alcuni collage di tessuto completano gli schizzi per il mosaico della Facoltà di Diritto a Nizza, dove il tema – il Messaggio d’Ulisse – evoca di per sé un mondo mediterraneo e greco, il che per Chagall significa bizantino e orientale: l’oro e l’argento esaltano il colore, anche qui a pastello. E infine, per preparare la vetrata, a Nizza, a Reims o a Magonza, Chagall fornisce ai suoi vetrai-pittori, Charles e Brigitte Marq, due tipi di bozzetti: sfondi ad acquerello lumeggiati con collage di tessuti senza altro disegno che alcuni tratti a inchiostro di china; e dei fogli più elaborati, dove il disegno in nero si evidenzia e dove l’accostamento di lembi di tessuto è completato dal colore nell’insieme della composizione. Vediamo dunque che mai il pastello assume la funzione di mezzo pittorico principale, ma al contrario sembra confinato alla preparazione della pittura vera e propria, come se esistesse una stretta correlazione fra l’olio sulla tela e le polveri colorate sulla carta.

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PRELIMINARI AI PASTELLI DEL MESSAGGIO BIBLICO

Gli schizzi per le grandi tele del Messaggio Biblico, che sono qui riprodotti nella loro totalità, non sono infatti le primissime stesure dell’inventiva dell’artista su questo tema. Chagall ha iniziato le prime composizioni bibliche con la serie dei guazzi dipinti nel 1930-31, al ritorno dal primo viaggio in Palestina su invito del sindaco Dizenkov e spintovi da Ambroise Vollard, che aveva capito l’importanza del Libro come fonte suprema di ispirazione per l’artista. Seguiti quasi subito da una serie di incisioni che riprendono gli stessi soggetti e le stesse composizioni, ma completati da sessantacinque tavole supplementari, i guazzi rappresentano in realtà i veri modelli da cui deriveranno gli schizzi del Messaggio Biblico. Il pastello dunque è la seconda tappa e non l’avvio, come avrebbe potuto far pensare un esame superficiale di questo complesso. Lo schizzo su carta è già «definito», e in questa sede ci potremmo occupare, se non temessimo di annoiare, di rilevare sistematicamente tutte le varianti negli schizzi, rispetto ai guazzi e alle incisioni. Ma la cosa più stupefacente – e per noi più interessante – è seguire la dinamica del percorso. Chagall, custode geloso del proprio lavoro – ha conservato, o riacquistato, un numero ingente delle sue opere, e ha perfino ripetuto quelle che aveva perduto –, ha sempre tenuto presso di sé quel talismano che è rappresentato dall’insieme dei suoi guazzi. Troviamo soluzioni simili per questo o quel soggetto: Noè e l’Arcobaleno riunisce in un solo pastello due guazzi, con luce diurna e notturna, che l’artista aveva eseguito senza ancora operare una scelta. I toni verdi sono rinforzati nel pastello, e provengono dagli sfondi della versione diurna. Per contro, tutta la parte sfumata dell’arcobaleno è tratta dalla versione notturna. Questo bisogno di rifarsi ad esempi presi dalla sua stessa opera culmina nel Cantico dei Cantici: le figure sono in gran parte tratte dalle incisioni della Bibbia – si pensi ai numeri 322, 323, 336, 354 –, ma il colore è quello del bozzetto, che Chagall ha sempre conservato, del fondale per il terzo atto de L’Uccello di fuoco di Stravinskij, messo in scena a New York nel 1945 insieme al compositore. Vi dominano i toni della carne e del sangue, e tutti i pastelli del Cantico dei Cantici spaziano in una vasta ricerca sui rossi, gialli e rosa; il Cantico III giunge fino a riprendere l’intera composizione, i ritmi e 27

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A pagina 26: 5 Il Paradiso, particolare. A fronte: Noè e l’Arcobaleno.

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FORMA, SIGNIFICATI E ATMOSFERA DEI PASTELLI

le figure del fondale. È dunque impossibile confondere pastello e schizzo, giacché le opere precedenti costituiscono il vero inizio del lavoro dell’artista. I guazzi e il fondale per L’Uccello di fuoco assumono da quel momento un duplice significato, di opere compiute e di lavori preparatori.

Pagine precedenti: 7 Cantico dei Cantici V.

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Ciò che ritroviamo ugualmente in questo gruppo di opere è una nuova testimonianza della profonda tensione di Chagall alla fusione dei tre elementi costitutivi: un tipo di tecnica, un approfondimento spirituale e una atmosfera. Per questo tentativo di sintesi il pastello si presta meglio di qualsiasi altro mezzo nell’esecuzione di un bozzetto. Quanto prima preciseremo in che cosa consista tale tecnica; ci basti ora considerare che con esso si ottiene, grazie alla grana di una carta adatta a movimentare il colore, una vibrazione vaporosa. Quanto all’approfondimento spirituale, è facile riconoscere nelle figure bibliche e negli angeli che attraversano l’intera opera apparizioni di natura soprannaturale, che rievocano per noi l’antica lotta fra Giacobbe e l’angelo, o la consegna delle Tavole della Legge. Di più, all’incognita che si collega alla presenza di queste creature, si aggiunge la nebulosità della loro fisionomia, e tutto ciò crea un’atmosfera. Un critico ha detto un giorno a proposito di Chagall: «La sua materia è l’aria». Potremmo aggiungere, davanti ai pastelli per Abramo e i tre Angeli, che si tratta addirittura di luce, tanto questa atmosfera è trapassata da raggi e da lampi, e questi, nella tradizione giudaico-cristiana, preannunciano la presenza divina. Dai raggi che si dipartono dalla fronte di Mosè sul monte Sinai a quelli che trasfigurano le vetrate delle nostre cattedrali, c’è tutta una simbologia del fulgore – pensiamo all’abate Suger, che accumula gemme attorno ad altari e reliquie a SaintDenis – cui queste opere appartengono senza ombra di dubbio. È così che il bozzetto preparatorio per il fondale del terzo atto de L’Uccello di fuoco è scelto in base a tre valide ragioni per creare il terzo dei grandi dipinti del Cantico dei Cantici: non solo, come abbiamo notato, il rosso e il rosa sono i colori più sensuali e ben convengono a quel mistico dialogo fra l’anima e il suo Creatore, paragonato a quello fra due amanti ad opera del presunto autore del poema, il re Salomone; inoltre i ritmi avvolgenti che, nella scenografia del 1945, erano quelli della Danza diventano qui l’equivalente spirituale della gioia. E infine gli amanti del Cantico salgono in cielo, appunto nell’aria di cui si diceva, come la coppia finalmente riunita al termine del balletto per la festa di nozze. Il rapporto che intercorre fra le due opere appartiene a un tempo al regno del colore, della forma e dello spirito. 33

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Abramo e i tre Angeli.

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Cantico dei Cantici III.

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CON INCHIOSTRO E CARTA

Tutti i pastelli riuniti nella presente opera hanno tratti a matita o lumeggiature a inchiostro di china; il colore che si insinua fra il segno e la carta non basta a trasformare queste opere da disegno in pittura. Esse rimangono sempre disegni. Ora, il disegno rappresenta una lunga consuetudine per Chagall: fin dal 1906-07 abbiamo schizzi, ritratti di famiglia, caricature. Certo si accompagnano ai primi dipinti, ma conservano sempre un significato autonomo e rivelano l’eccezionale talento di un attento osservatore. La Danza del 1909, la Madre del 1910 sono annotazioni rapide e precise, alquanto sorprendenti per l’intenditore abituato alle fantasie e ai sogni dell’artista. Una mostra al Centre Georges Pompidou delle opere su carta di Marc Chagall ha reso giustizia nel 1984 a questo settore della sua opera. Vi si potevano ammirare riuniti oltre duecento disegni, datati dal 1907 al 1984, che ripercorrevano i diversi periodi della sua carriera. Tale retrospettiva, che non comprende il patrimonio artistico conservato dal pittore, dalla famiglia e dai collezionisti o dai musei, aveva lo scopo di collocare nel giusto rapporto i disegni e l’opera pittorica, e di delineare i periodi più o meno felici delle opere a inchiostro su carta e di quelle a pastello. Da tale indagine, squisitamente statistica, balzano due fatti evidenti: Chagall considera la carta come una materia e prova per il bianco e nero una passione ricorrente, che trova ogni volta la propria ragion d’essere in una commessa, nel rispondere a una intima necessità o nella libera scelta di un’opera. La carta come materia in sé ha interessato da sempre gli artisti: basti ricordare la scelta di carte più o meno sottili, colorate e non, operata dai pittori del Rinascimento, e ancor prima dai miniatori dei manoscritti medioevali in rapporto ai problemi tecnici causati dalla pergamena. Eppure la svolta vera e propria, molto dopo la diffusione della carta vergata, avviene all’inizio del ventesimo secolo, con l’uso da parte dei cubisti, in primis Braque e Picasso, di carte destinate ad altri usi per farne non solo un nuovo supporto del disegno, ma anche per ritagli, applicazioni e costruzioni. I collage con cartone ondulato, gli inchiostri su carta da imballaggio, l’uso di carta colorata o di ritagli di fotografie, tutte queste tecniche avvicinano il disegno alla scultura, nella quale la natura della materia assolve la sua funzione 36

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10 Il Sogno di Giacobbe.

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Mosè davanti al Roveto ardente.

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Noè e l’Arcobaleno.

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nella forma che si vuol creare. A tal proposito la «carta scolpita» trova l’impiego più naturale e impellente nelle carte ritagliate di Matisse: la carta, preventivamente dipinta, viene cesellata con le forbici come se si operasse direttamente sul colore e il suo contorno. Matisse disegna ritagliando. Dopo di lui si potrebbe ancora citare Lucio Fontana, che conferisce spessore a un foglio bianco fendendolo con un taglio di rasoio e aprendolo sul nero di uno sfondo, ultima variazione del bianco e nero, che allude, nella sua assenza, al disegno. Nel 1984 presentammo un collage di Chagall, datato 1921, nel quale la carta da rivestimento di una cartella per disegni, combinata al frammento di un cartoncino di invito per l’inaugurazione del Teatro Ebraico di Mosca, compongono un reticolo diagonale sul fondo di un foglio bianco. Appartiene al periodo durante il quale Chagall ha quasi esclusivamente disegnato, e per molteplici ragioni: nella Russia degli anni della Rivoluzione e della guerra esisteva senza dubbio una seria difficoltà nel reperire la tela e anche i colori. Ma Chagall soprattutto non gode più delle disponibilità di cui fruiva a Parigi dal 1911 al 1914: si era arruolato nel servizio pubblico dell’economia di guerra e passava le ore in ufficio a copiare documenti. Davanti a sé inchiostro e scartoffie dalle righe imperturbabili. Poco importa! Molti di questi fogli diventano il supporto per creazioni a inchiostro di stupenda ironia e inventiva, e che immaginiamo tracciate di nascosto nel corso di solitarie fantasie, in barba a un’amministrazione tutto sommato indulgente. Una seconda ragione di questa infatuazione negli anni 1918-20 per l’inchiostro su carta è da collegare agli stretti rapporti che Chagall intrattiene con i poeti: per illustrare i loro testi compone una serie di figure totalmente oniriche, fatte di esseri umani, animali e paesaggi mischiati a stampigliature di pizzo intinte in inchiostro nero – una via di mezzo fra il collage e il disegno – e a iscrizioni ebraiche. Arriviamo così alla terza ragione che spinge Chagall a dedicarsi, in questo periodo, e in maniera totale, al disegno a china su carta: la mistica ebraica conosce uno straordinario rifiorire negli anni dopo la liberazione dal potere zarista. Ora, essa è tutta contenuta in un libro i cui caratteri sono di per sé un disegno mirabile. Il grafismo della 42

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linea così come la sicurezza del segno tracciato in nero sul bianco della pagina conducono Chagall a sottili variazioni della lettera Aleph, le cui due gambe si animano improvvisamente di vita. Infine, se carta e inchiostro nella loro accoppiata possono dar vita a una pagina disegnata, allo stesso modo possono produrre un’incisione. Qui, ancora, il ruolo della materia stessa della carta agisce in modo determinante: la permeabilità, l’elasticità, la grana e la tessitura consentono o meno all’inchiostro di liberare i suoi neri più belli. Senza dubbio Chagall ha imparato davanti a un torchio a sperimentare sia la carta giapponese madreperlata sia il tipo Arches, e le ha in seguito utilizzate altrettanto bene nel disegno. Questa dimestichezza con la carta si rivela attraverso la molteplicità dei supporti utilizzati per i nostri pastelli: carte vergate bianche o crema, carta assorbente che pure, qui, è un supporto incongruo, tutto sembra convenire al pittore per ricevere i suoi colori e i suoi segni. Senza dubbio una conoscenza così profonda dei mezzi suppone in partenza una scelta dell’espressione e del supporto, oppure anche, afferrato il primo foglio a portata di mano, l’espressione si adegua al supporto. Mai, in ogni caso, Chagall ha perduto di vista l’uso che poteva fare della carta e dell’inchiostro, anche quando lavorava a pastello.

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CHAGALL DISEGNATORE

Nel mondo occidentale esiste una indiscussa tradizione secondo la quale un artista deve essere anzitutto un buon disegnatore, tradizione che trae le sue origini da un complesso di preconcetti e malintesi, e che risale, se non all’Antichità, certo al Rinascimento europeo. In seguito a ciò molte furono le opere escluse dall’universo culturale nel corso dei secoli, dalla pittura rupestre fino alla scultura delle chiese romaniche o alla miniatura dei manoscritti. Ciò non significa che queste opere antiche non fossero ammirate, utilizzate e recepite da intere popolazioni, ma semplicemente che furono accantonate nella duplice elaborazione di un’arte colta e di un’arte non religiosa. A questo proposito è significativo il fatto che i capolavori dei Clouet siano al contempo ritratti e disegni; all’importanza del committente viene associata una tecnica relativamente nuova e padroneggiata in maniera sorprendente: arte di corte e virtuosismo, arte dotta e oggetto di curiosità, tale stupefacente precisione naturalistica dovette certo incantare i contemporanei, tanto che ancor oggi subiamo il fascino di questi volti che ci giungono attraverso i secoli. Tutte queste nuove vie della creazione vanno allora di pari passo. Ma se all’origine esse sono associate a un sistema sociale aristocratico – quello che dà vita alle collezioni, alle Wunderkammer e alle committenze regie o ecclesiastiche –, vengono poi rapidamente assimilate anche dagli altri strati della società: quei valori di virtuosismo e abilità, veicolati dalla pittura religiosa, dai Salon e infine, lungo tutto il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, dal mercato dell’arte, diventano i valori non già della classe borghese, ma – attraverso i nuovi mezzi dell’incisione, dell’immagine stampata e, sotto i nostri occhi, della fotografia e della riproduzione a colori – coinvolgono l’intera società. E ciò che rimane «borghese» è il desiderio, condiviso dai più, di rimanere «colpiti» dall’opera d’arte nel suo rapporto, auspicato sempre più stretto, con la realtà. Tutto il diciannovesimo secolo europeo si è beato della pittura di David e di Ingres, nella quale gli artisti non si limitavano a instaurare con i modelli un mero rapporto fra maestro e allievo nell’ambiente dello studio, ma creavano un rapporto legale e istituzionale con il totale beneplacito della società. È facile riconoscere in tutte le manifestazioni artistiche questa vo44

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lontà istintiva di offrire a chi guarda la dimostrazione di un «mestiere» da parte dell’artefice, e il culto dell’opera bella fiorisce nelle opere levigate di Alma Tadema o di Bouguereau, dopo aver prodotto i ritratti del signor Ingres e negli interni di Drolling. Quest’ultimo ci ricorda in proposito che la pittura olandese del diciassettesimo secolo gode nello stesso periodo di una rinnovata popolarità, come se tutta la borghesia del diciannovesimo secolo plaudesse ai mercanti di Amsterdam o ai Sindaci dei drappieri di Rembrandt, riconoscendosi in essi. È sempre il «mestiere» che in modo clamoroso si impone agli architetti che rilevano le antiche rovine ed eseguono disegni lumeggiati di un’abbagliante precisione, e agli scultori per i quali la materia non rappresenta più un ostacolo nella resa di un merletto o di una capigliatura. Scopriamo senza difficoltà le violente reazioni a questa cappa di formale perfezione che sovrasta l’arte all’inizio del diciannovesimo secolo; non intendiamo soffermarci qui né sul Romanticismo e sulla pittura universalmente denominata concorrente di Delacroix, né sui preraffaelliti inglesi. È tuttavia importante notare che il virtuosismo con il quale si valuta ogni opera va di pari passo con una ricerca poetica sempre più complessa e irrazionale: Dante e Ariosto avevano fatto il loro tempo quando nel 1887 nasce il giovane Chagall, e altre saghe erano venute dai pennelli di Gustave Moreau e dalla penna di Rostand e di Wagner. Così la pittura degli impressionisti appare doppiamente rivoluzionaria, sia riguardo alla forma sia riguardo alla sostanza. Nato nel pieno della civiltà del mestiere e dell’abilità, l’Impressionismo è anzitutto una pittura-martirio. Per lo meno stando a quello che i cronisti ci riferiscono, e i loro racconti compongono una chanson de geste a sua volta appassionante dal nostro punto di vista. Senza soffermarci sulle ragioni che hanno potuto causare il rigetto e che John Rewald ha altrove esposto, soffermiamoci sulla riabilitazione dell’Impressionismo in un contesto sociale che, tutto sommato, non era sostanzialmente mutato. Va da sé che il ruolo dei critici e dei mercanti d’arte è stato determinante nel credito riconosciuto alla maggior parte di questi artisti. Ma essi non avrebbero trionfato se l’Impressionismo non fosse a sua volta apparso come un’arte dotta. Superato l’iniziale disprezzo di coloro che erano abbagliati 45

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L’Arca di Noè, particolare.

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dai fondi bianchi, dai colori chiari e dalle ombre azzurre e violette, venne il momento in cui ci si stupì dei pregi di una pennellata così allusiva e nondimeno così efficace da consentire non soltanto al pittore di dare consistenza alle «impressioni» che il soggetto gli suggeriva, ma soprattutto di dare allo spettatore la sensazione di trovarsi dentro la luce stessa del paesaggio. Arte illusionista al pari di altre, azzarderemo che bastò alla borghesia trovare materia di stupore, perché questa pittura fosse accettata. Riconosciamo a Chagall, che ha sempre professato profonda ammirazione per Monet, di non aver mai pensato alla sua pittura da questo punto di vista, ma di aver apprezzato anzitutto la grazia suprema del colore, che oltrepassa di molto il problema del disegno: «Non sono abbastanza preciso, diciamo così – afferma –, ma le parole non sono precise. La fluidità divina, quella è veramente precisa, quella di Monet, di Mallarmé. Quando un pittore traccia delle linee, ad esempio, crede di essere preciso, in realtà non lo è. Non esiste un “disegno” in pittura. Il disegno del pittore è la sua scrittura. Più la scrittura è, per così dire, informale, meglio essa esprime il pittore o il poeta» (Marc Chagall, citato da Charles Sorlier nel 1979). Riconosciuto come arte dotta sul finire del ventesimo secolo, l’Impressionismo doveva essere parimenti riconosciuto come pittura di paesaggio: senza dubbio la clientela americana, che conosciamo pioniera nel campo delle acquisizioni di opere di questa scuola, si è dimostrata molto sensibile a questo aspetto del problema. Per cui, a un artista che nel 1900 si ponesse la questione di quale fosse la via del rinnovamento, non restava che rifiutare il temibile recupero dell’Impressionismo ovunque in atto sotto il profilo della decorazione. I colpi di maglio alla sensibilità imperante sarebbero venuti da tutti i lati: in primo luogo dal mondo germanico, dove gli espressionisti austriaci e tedeschi avrebbero scardinato quel sistema accademico e sociale del bello che già i francesi avevano cominciato a demolire. Ma anche dalla progressiva convergenza fra una storia dell’arte più accorta e artisti avidi di nuove «impressioni», che non avevano nulla a che vedere con quelle offerte dalle rive della Senna. Alla riabilitazione dell’arte romanica, già da tempo preparata da Dumège, Lenoir o Mérimée, si aggiungono apporti esotici: non 46

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IL PASTELLO COME MEZZO ESPRESSIVO NELL’ARTE DI CHAGALL

quelli provenienti dal Giappone, già assimilati dopo essersi arenati sulle rive dell’arte occidentale e concepiti fin dall’inizio come manifestazione di un’arte colta e quindi rispettabile, ma quelli dell’Africa, il cui impatto micidiale non necessita più di essere studiato né celebrato. Quando Chagall lavora a Mosca nel 1910, la scelta per lui non si pone già più tra accademismo e avanguardia, ma fra il recupero attraverso l’arte decorativa delle più recenti acquisizioni europee, perfettamente rappresentato dal suo maestro di un giorno Lev Bakst, e un percorso spirituale e plastico autentico. Tutto ciò è stato detto da André Malraux, il cui interesse professato per l’arte di Chagall andava di pari passo con una fede nella conoscenza universale di tutte le produzioni artistiche come unica griglia di analisi possibile per l’opera d’arte oggi; è al filtro di tale griglia che spariscono evidentemente le nozioni di abilità e di mancanza di destrezza, anche se ancor oggi sussistono solidamente. Chagall non rifiuta il disegno di Ingres o di David: a lui interessa soltanto un disegno «giusto», che non è fatto da un profilo realistico, ma dalla sua necessità in quel preciso luogo, scaturita dall’opera intera. I pastelli del Messaggio Biblico non sono Crocifissioni, Arche di Noè, Sacrifici di Isacco, come vedremo più avanti, bensì disegni: fatti di colori e di tratti insieme, esigono un equilibrio fra tratto e colore che deve approdare alla loro fusione. I disegni di Chagall dimostrano a sazietà nel 1910, nel 1920, nel 1930 che egli sa disegnare alla perfezione. Ma non ha mai voluto sacrificare al sistema, piacere sorprendendo, sbandierare il mestiere senza dominarlo e soprattutto, poiché esso nondimeno esiste, senza assoggettarlo a un superiore intento spirituale.

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La comparsa del pastello è tardiva nell’opera di Marc Chagall. Possiamo dire che finché non lascia la Francia nel 1940, l’artista resterà imperturbabilmente fedele all’acquerello e al guazzo per eseguire qualsiasi opera su carta. Il primo pastello che possiamo citare, per ciò che ci interessa, è il ritratto di Ida Chagall eseguito negli Stati Uniti nel 1943 (catalogo delle opere su carta, 1984, n° 132). È a tecnica mista, poiché sono presenti matite colorate. Forse fu per il moltiplicarsi dei suoi viaggi che Chagall ricorse al mezzo che qui ci interessa. Fin dal ritorno in Francia – l’inizio del successo significa anche nuove commissioni, la collaborazione con specialisti diversi a Parigi per la litografia, a Reims per le vetrate, nel Sud della Francia per la ceramica –, comincia a portare con sé carta e pastelli. Con l’avanzare dell’età, è Valentina Chagall a curare che egli abbia sempre sottomano la carta giapponese o l’Arches necessaria e la scatola di pastelli. I vari soggiorni degli anni ’70 non sono infatti unicamente motivati da impegni di lavoro o da inaugurazioni, ma anche dalla necessità di concedersi un po’ di riposo e di consultare i medici: così che l’inazione, per lui inaccettabile, si allevia grazie a questo mezzo simile alla pittura, che l’allontanamento dallo studio gli preclude. Ciò premesso, dobbiamo ricordare che Chagall ha sempre disegnato durante i suoi viaggi: i fogli datati e annotati della Foresta Nera, nel 1922-23, i ritratti di Bella e di Ida, dimostrano fino a che punto egli abbia vissuto con la matita in mano, facendo dei suoi familiari dei soggetti a portata di mano. Ma a partire dal 1950 tutto questo cambia: i soggetti preferiti diventano le libere composizioni sul tema biblico, fantasticherie molto vicine alla grande opera che esegue nello studio, il Messaggio Biblico. Ne fa fede una grande Crocifissione, realizzata a pastello nel 1972, quando gli Chagall risiedevano in un hotel a Sils Maria, in Svizzera. I pastelli del Messaggio Biblico sono contemporanei a queste opere e alcuni di essi possono essere stati concepiti in tal modo, tanto Chagall fu assorbito da questa grande impresa, la mente occupata, ovunque si trovasse, dal ricordo dei grandi dipinti già eseguiti o da quelli che ancora doveva realizzare. Ma diversamente dal pastello di Sils Maria e da molti altri oggi 49

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Cantico dei Cantici IV.

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andati dispersi, quelli del Messaggio Biblico sono realmente studi e insieme opere finite, e ciò conferisce loro un gusto ulteriore. Il pastello consente infatti di creare con un mezzo asciutto un’opera molto vicina alla pittura. I grandi fogli a pastello sono opere compiutamente realizzate, destinate al godimento completo dell’intenditore, e sono contraddistinte da un’ambizione generale: quella di riassumere un concetto su uno dei temi cari a Chagall: il «Circo», la «Bibbia», lo «Studio», ecc. In un certo senso sono pittura su carta, monumentali come delle tele. Qui, però, la tela a venire le costringe alla scala del tavolo da disegno e non del cavalletto. Per vederle bene, bisogna accostarvisi e immaginare l’artista, la mente piena del progetto compositivo e della poesia da esprimere, curvarsi sul foglio come noi. Il formato di questo libro, salvo poche eccezioni, ha consentito di mantenere l’insieme nel formato reale. Tale specifica caratteristica dà a questa presentazione, parziale se parliamo di pastello nell’opera di Chagall, una profonda legittimazione.

Mosè davanti al Roveto ardente, particolare.

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IL PASTELLO A METÀ STRADA FRA DISEGNO E PITTURA

Il problema sta infatti nel collocare i nostri pastelli fra la tradizione e la modernità, così come fra lo schizzo preparatorio e l’opera compiuta. Il pastello come opera d’arte «vera e propria» risale al diciottesimo secolo. Escludendo il disegno a tre matite – sanguigna, gessetto e carboncino, con le relative varianti materiche nel corso degli anni –, in questo campo le più belle invenzioni ci vengono dai veneziani e dai francesi: Vivien già nel diciassettesimo secolo esegue grandi ritratti, ben presto seguito da Quentin de la Tour – il Louvre conserva un suo famoso, immenso pastello di Madame de Pompadour – e Boze; in Italia, Rosalba Carriera ne fa una tale specializzazione che le viene impropriamente attribuita l’invenzione stessa della tecnica. Ancora nel diciottesimo secolo Liotard dipinge – disegna? – mirabili ritratti oggi a Dresda. Questa tecnica rimane stranamente confinata al ritratto: anche gli inglesi, e fra essi Gainsborough, la praticano nello stesso modo, dandoci pochi paesaggi, e Turner, nei suoi viaggi in Europa, le preferisce l’acquerello. È vero che essa costringe l’esecutore a grande cautela nella posa degli strati successivi di gessetto e che si constata immediatamente quanto l’uso dei fissativi possa alla lunga nuocere alla freschezza dell’opera. I pastelli moderni usati da Chagall non hanno tale inconveniente: la loro pasta alquanto grassa aderisce meglio al supporto, e in tal modo l’artista ha potuto evitare il fissativo conservando al colore il fulgore originario. Abbiamo potuto constatare, avendone curato la conservazione per oltre dieci anni, quanto la cura con la quale i pastelli erano stati stesi abbia garantito a queste composizioni un’assoluta stabilità. Non lo stesso si può dire, paradossalmente, del supporto che è leggermente sbiadito per esser stato troppo a lungo esposto alla luce del giorno nello studio dell’artista. Ad ogni modo, l’intenzione di Chagall non è in alcun caso quella di considerare il pastello un surrogato della pittura. La sua materia argillosa è usata per se stessa, e non per ricreare sulla carta i passaggi e le velature dell’olio sulla tela. Possiamo quindi parlare di rottura con la tradizione antica del pastello, sia per il soggetto sia per il modo di disegnare a matita e non dipingere. Né dobbiamo dimenticare quel grande innovatore in questo campo che fu Edgar Degas. Le Ballerine e le Donne alla toilette non sono pit54

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tura più di quanto non lo siano le opere qui presentate: la scelta del mezzo è consapevole, tanto in Chagall quanto in Degas. Per l’uno e per l’altro la possibilità che esso offre di giovarsi della carta, ma soprattutto della luce, giustificano da sole la scelta tecnica. Del resto è interessante notare in entrambi gli artisti fino a qual punto la matita e il disegno abbiano contrassegnato i loro esordi, mentre giungono tardi, molto più tardi, al pastello.

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Pagina precedente: L’Arca di Noè.

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Il Sacrificio di Isacco.

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LA FUNZIONE DEI PASTELLI NELLA PREPARAZIONE DELLE TELE DEL MESSAGGIO BIBLICO

Abbiamo riprodotto nel presente volume tutti i pastelli eseguiti da Chagall per preparare le grandi tele, così che sia possibile constatare fino a che punto essi costituiscano una parte importante del lavoro. Si possono infatti contare trentanove disegni a matita, fra i quali vi sono i lucidi per la quadrettatura, venticinque oli su carta o cartone, ventiquattro oli su tela e svariate tecniche inconsuete: una matita litografica su carta litografica, un carboncino, inchiostro e matita colorata, un olio su tavola, quattro lavis. Infine possiamo aggiungere tre guazzi, tecnica usata volentieri da Chagall per questo lavoro, a giudicare dal numero delle opere di questo genere dal 1910 al 1914, e poi nel secondo periodo parigino dal 1923 al 1939. Ugualmente la creazione delle incisioni per le Anime morte di Gogol’ diede origine a dei guazzi concepiti come prime prove delle future acqueforti (catalogo del Centre Georges Pompidou, 1984, doc. n° 56). Les Fables de la Fontaine furono all’inizio dei guazzi, così come le incisioni della Bibbia nel 1930 e 1931. Ciò premesso, è arduo parlare realmente di schizzi preparatori, mentre è più giusto considerare questi guazzi come versioni preliminari, successivamente interpretate in bianco e nero. In questo complesso, novantasette pastelli hanno una data chiaramente anteriore agli oli e ai lucidi. Il loro stesso numero ci dice quanto l’artista abbia apprezzato la comodità e i pregi del procedimento. Ma il suo impiego, evidente in ognuno dei fogli, ci dice anche che Chagall ha scelto il pastello come mezzo rapido per ottenere, con succinte annotazioni, l’impianto generale che intendeva dare alla composizione. Questa velocità di esecuzione, che un tempo equivaleva a una garanzia di virtuosismo – il «far presto» degli italiani – in Chagall rivela la fluidità dell’ispirazione. Egli afferra i concetti e immediatamente deve fermarli sulla carta; così l’abbiamo visto prima modificare una figura ancora sulla tela nel corso dell’esecuzione. Abbiamo citato l’esempio dell’altare dei sacrifici in Noè e l’arcobaleno, diventato all’ultimo momento un’isba, una casa di villaggio nella quale è stato appiccato il fuoco, simbolo delle persecuzioni contemporanee. Sarebbe facile trovare centinaia di esempi di tali invenzioni finali, sia nelle grandi tele che nelle opere su carta; ci limiteremo qui a rilevare l’aggiunta di un quadrato di carta incollato con nastro adesivo su uno dei primi disegni de 58

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La Creazione dell’Uomo, un Cristo che stravolge di colpo tutto il significato del bozzetto del dipinto e del Messaggio Biblico che questa tela inaugura. Prendendo le mosse da tale modifica, è possibile stabilire la successione delle opere: a parte un piccolo olio su tela e tre disegni, tutti gli schizzi sono successivi, compresi i nove pastelli con la figura di Cristo. È infatti relativamente importante stabilire in alcuni casi l’esatto ordine di successione delle opere; occorrerebbe rispondere all’insidiosa domanda: il disegno precede l’opera a colori? O all’altra equivalente: il colore precede il disegno? E già questa precisazione sarebbe preziosa. Purtroppo, per i cultori di cronologia, l’artista stesso pare abbia fatto del suo meglio per imbrogliare le carte. Non uno dei fogli o degli oli è datato; Chagall inoltre si è sempre rifiutato di fornire a chi gli stava accanto la benché minima informazione sulla successione nella quale gli schizzi prima, i grandi dipinti poi, sono stati realizzati. Aggiungiamo infine che la straordinaria omogeneità del complesso non consente alcuna classificazione cronologica. Ci dovremo perciò accontentare di proporre un approccio diverso alle impegnative domande che, pur convinti della loro vanità, tuttavia affronteremo. Alla luce degli schizzi per Mosè che percuote la roccia è possibile supporre che Chagall persegua contemporaneamente i due percorsi: da un lato il disegno, ed ecco una folla di figure, di ritratti a matita e inchiostro di china; dall’altro numerose composizioni cromatiche, nelle quali le monocromie si alternano a superfici miste. Ovunque, in queste ultime, il nero trasformato in arabeschi che prefigurano l’irruzione dei corpi ha il valore di un colore. Una volta conclusa la carrellata delle possibilità, avendo sempre ben presente l’equilibrio reciproco dei colori, Chagall riesce a fondere l’una nell’altra – ma solo sulla tela – le due soluzioni adottate. Lo stesso avviene per il Mosè che riceve le Tavole della Legge. Da tutto ciò si delinea abbastanza chiaramente l’atmosfera in cui si svolge il lavoro nello studio: carte di tutti i generi a portata di mano, scatole di pastelli sempre aperte; non lontani, nelle cartelle, i guazzi del 1930-31, che lasceranno Vence solo nel 1966 per essere donati allo Stato insieme con le tele ultimate e un esemplare della Bibbia le cui incisioni costituiscono un potente fermento alla nascita del Cantico dei Cantici. Qua e là precedenti 59

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pastelli, talvolta montati su passe-partout provenienti da precedenti mostre nelle quali sono stati esposti: uno appartenente alla serie del Cantico dei Cantici V ne reca ancora i segni. I colori a olio di qualche tela in corso di lavorazione sono lì a disposizione, e molti schizzi su carta ne mostrano lumeggiature. Nella confusione delle tecniche e con impressionante velocità, Chagall insegue la forma e il colore ideali. 60

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Mosè che percuote la roccia, due pastelli.

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LA CARTA, FATTORE DETERMINANTE DELLA COMPOSIZIONE

Due disegni ritrovati negli anni Ottanta (catalogo del Centre Georges Pompidou, 1984, n° 3 e 4) dimostrano fino a che punto Chagall, proprio agli inizi, abbia saputo usare da vero disegnatore la carta sulla quale lavorava. Datati 1909 – l’artista aveva allora ventidue anni –, rappresentano le strade e i vicoli della sua cittadina di Vitebsk. Non sono opere «piacevoli», le case paiono impastate con la stessa terra della strada sterrata; alle finestre dipinte di bianco, unica luce, fanno riscontro i bulbi azzurri della chiesa ortodossa. Si pensa subito ai giudizi dell’artista su Van Gogh, quando, parlando delle sue prime prove d’artista al Borinage belga, dice di lui che allora era «di colore patata». Quella che questi disegni ci pongono sotto gli occhi, è la Vitebsk degli ultimi anni del secolo precedente: un borgo contadino affondato nella terra argillosa. Ciò che stupisce di più si rileva da un esame più ravvicinato; il colore brunastro che dilaga sulle costruzioni è dato dalla carta stessa, una carta da droghiere composta di mille corpi strani, fibre e impurità di ogni genere. La sua rozzezza è pari a quella del paese, del clima evocato dai cieli grevi, degli abitanti assenti dai due disegni, ma che si intuiscono intenti ai lavori dei campi e alle attività quotidiane. Fra la materia-carta e l’anima di questa città si stabilisce un legame di indiscussa evidenza; la Russia dei tempi lontani è presente in questa trama frusta, lasciata intenzionalmente «in negativo». La delicatezza dei blu è riservata al cielo, ma con pennello e guazzo così leggeri che è ancora la carta bruna a trasparire sotto la leggera velatura delle nubi, come se la terra si confondesse con il cielo. Poco colore per le cupole, poco bianco per le finestre aperte come porte su un altro mondo e nei due sensi: verso la strada e verso l’interno. Fin dal 1909, dunque, Chagall è in grado di valersi, reinventandola, della tecnica dei grandissimi disegnatori. Giocare con la materia-carta, scegliendola consapevolmente nella misura in cui serve ad esprimersi, si riallaccia a una tradizione che ha per maestri Claude Lorrain – suo il famoso paesaggio del British Museum con il fiume, nel quale il balenio dell’acqua nell’ansa è dato da una vasta porzione del foglio lasciata libera da ogni inchiostro – e Rembrandt, le cui Tre Croci altro non sono che una notte che si fa più nera da uno stadio all’altro sul sacrificio di Cristo, come inchiostro sulla carta. 62

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Mosè davanti al Roveto ardente.

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COME CIPRIA SUL VISO

È dunque necessario esercitare una oculata attenzione nella scelta della carta: anzitutto quelle nere, che consentono a Chagall di far balenare i colori come luci che trapassano l’oscurità. Molti fogli sono impostati in questo senso per La Creazione dell’Uomo, per Abramo e i tre Angeli, per Mosè davanti al Roveto ardente. Questo fondo si dimostra particolarmente indovinato nei due ultimi lavori, in cui il nucleo preponderante è l’irradiarsi della luce dalle ali degli angeli. A ciò si potrebbe aggiungere che l’opulenza e l’incandescenza di questi schizzi deriva dal rapporto fra colore e fondo colorato, più che dalla delicatezza del supporto adottato, che la ricca varietà di carte scelte dall’artista smentisce deliberatamente. Curiosamente è con il Cantico dei Cantici che vediamo apparire una carta giapponese madreperlata e affermarsi le carte Ingres leggermente vergate, armonizzate con i rosa delicati. Alle grandi scene bibliche vengono talora riservati più austeri supporti: Noè e l’Arcobaleno su cartone, Il Sogno di Giacobbe su compensato. Del pari mutano i mezzi espressivi: qui inchiostro di china con pennello, là olio, e ancora, per il Cantico dei Cantici, rileviamo la maggior parte di schizzi a olio su carta bianca, che furono in seguito reintelati e montati su telaio. Senza dubbio Chagall vi sperimenta la tecnica adottata in seguito per i cinque grandi dipinti della stessa serie, eseguiti su grandi fogli di carta crema rinforzata su tela. Al vantaggio di dipingere su fondo bianco, alla maniera degli impressionisti, Chagall aggiungeva quello di stendere i suoi impasti su una superficie liscia, esaltando in tal modo la trasparenza delle velature, l’equivalente nella pittura a olio dei tocchi leggeri del pastello.

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Il pastello è un mezzo sensuale: maneggiandolo lo si strofina sul foglio, quasi si accarezza, sfiorandolo, come abbiamo detto prima. Lo sfumino, che consente di coprire di gesso gli incavi della trama della carta, è un utensile morbido al tocco, come la carta assorbente o il feltro. Forse per questa ragione Chagall decise un giorno di eseguire per La Lotta fra Giacobbe e l’Angelo un pastello su carta assorbente? In questo caso il riferimento alla pelle non è fortuito, poiché Chagall stesso ebbe a spiegare un giorno al suo mosaicista, con il quale correggeva l’esecuzione di un bozzetto a pastello: «bisogna stendere il pastello sulla carta come una donna si incipria il viso». La ricerca di una materia impalpabile percorre tutta l’opera di Chagall. È inutile cercarne le anticipazioni nelle opere giovanili e, oltretutto, probabilmente fuorviante. Chagall infatti aveva altri problemi negli anni 1910-14 a Parigi, e poi in Russia negli anni Venti. I suoi disegni a china già citati presentano violenti contrasti fra bianco e nero, non passaggi. Qua e là, tuttavia, un segno premonitore dell’evoluzione futura: un pizzo appoggiato con effetto tachiste, a macchia, dei punteggiamenti che dissolvono un colore nell’altro. Ma l’ottica del lavoro è ancora altrove, tutta tesa allo studio del movimento del corpo umano nella natura primitiva. Avevamo proposto la spiegazione di un contagio vero e proprio, dopo la Rivoluzione russa, dell’ambiente sociale, dello slancio di un’intera società sospinta dalla sua avanguardia verso nuovi orizzonti. Alcuni fogli molto espliciti di Chagall – l’En avant del 1917 – confortavano tale interpretazione. Ma ancora più evidente è il radicale cambiamento del lavoro dell’artista allorché abbandona quell’ambiente dinamico – a meno che non sia stato il dinamismo rivoluzionario ad abbandonare l’ambiente – e ritorna in Europa. Alcuni guazzi del 1924-25, gli studi della campagna, certe scene bucoliche che ruotano intorno a Les Fables de la Fontaine, che illustra per Ambroise Vollard, dimostrano come Chagall imboccasse deliberatamente un’altra strada. Il piumaggio degli uccelli del poeta, il fogliame dei paesaggi della Loira e dell’Île-de-France lo stimolano verso un altro tipo di pittura, fatta di innumerevoli vibrazioni, di una frammentazione del colpo di pennello che cerca in ogni opera la presenza della luce. Così i viaggi in Palestina nel 1930 e poi in Costa Azzurra nel 1936 e 1937, lo stabilirsi a Gordes nel 1939, acquistano significato nella logica del pit-

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Pagine precedenti: Cantico dei Cantici II, particolare. A fronte: Mosè davanti al Roveto ardente.

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tore e un grandissimo influsso sulla sua tavolozza. Trasferirsi a Vence nel 1950 è una scelta precisa dell’artista, per il quale l’incidenza della luce al massimo della sua purezza è alimento indispensabile alla pittura. Nascono infatti opere sempre più chiare, fino a Dafni e Cloe, ispirato da due viaggi in Grecia. Contemporaneamente ai nostri pastelli, questo complesso di litografie che racchiude una quarantina di passaggi di colori diversi rivela la preoccupazione di portare la vibrazione della forma al climax. Con i pastelli del Messaggio Biblico, Chagall procede in modo identico: le figure di Dafni e Cloe, che giungono dal leggendario Mediterraneo, sono irreali quanto quelle dei Profeti biblici. Ma la tecnica stessa scelta per realizzarle conferisce loro la qualità di apparizioni, in un’atmosfera talvolta aerea, talvolta acquatica. Le foschie colorate dalle quali emergono potevano essere studiate e preparate solo grazie a quelle polveri di argilla posate sulla carta, così come i loro volti improbabili, non disegnati a tratto, ma resi con semplici accenni.

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Cantico dei Cantici IV.

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Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso.

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LA NON-COINCIDENZA TRA FORMA E CONTORNO

Il privilegiare la suggestione alla descrizione è un tipico atteggiamento della mentalità moderna, ma qui non si tratta più di chiamare l’Impressionismo alla riscossa, quanto piuttosto di evocare ben più grandi personalità allusive quali Debussy per la musica e Mallarmé per la poesia. Il procedimento che consiste nello scindere il contenuto dalla forma per riproporlo in una configurazione diversa è azione essenzialmente poetica: dar vita propria al rosato di una guancia o di un braccio al di fuori del profilo del viso e del corpo equivale a usare la parola per la sua musicalità e non per il suo significato. Così Chagall ricompone il Cantico dei Cantici usando la carne stessa della donna, estesa a tutta la tela e modulata dai toni più caldi a quelli più freddi da un dipinto all’altro, mentre un giallo o un verde diventano all’ultimo momento, e cioè sulla tela, i volti dei due fidanzati dolcemente rischiarati dai raggi di un sole iridescente. Qui i pastelli diventano preziosi e mostrano come l’artista distribuisca sul fondo rosato due accenti verde e giallo, e là una velatura viola che a sua volta diventerà un re Davide. Ciò significa affermare in modo palese fino a che punto i pastelli sono colore puro: ogni variazione di contorno o sua assenza conferisce al colore la consistenza di una materia, formata dalla polvere e dalla carta, e la qualità di una luce. Gli schizzi meglio riusciti, sotto questo aspetto, sono quelli dove Chagall dipinge degli angeli: Abramo e i tre Angeli ha almeno due versioni mirabili nelle quali le celesti creature sono vere e proprie effusioni luminose, impalpabili come l’angelo con cui combatte il denso violetto di Giacobbe. Così, quando l’inchiostro o la matita si sovrappongono a questi conflitti di elementi, appaiono quasi una scrittura, come il commento in una lingua nota di ciò che è invisibile e incomprensibile, vale a dire l’essenza divina. Abbiamo già fatto notare fino a che punto Chagall sia stato condizionato nella sua infanzia dalla lettura della Bibbia nel vero senso della parola: tramite i caratteri impressi sulla carta, il dramma divino acquista consistenza terrena, conosce una sorta di incarnazione. Chiunque trascuri di considerare l’educazione ebraica del giovane Chagall, e il suo carattere religiosamente iconoclasta, non riuscirà a capire fino a che punto l’inchiostro nero 74

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Cantico dei Cantici II. Pagine seguenti: particolare.

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è il surrogato dell’immagine. Qui sta ancora il mistero dei disegni eseguiti per illustrare le poesie ebraiche degli anni Venti, tracciati per accompagnare la parola scritta, ma più ancora l’invocazione, efficaci antagonisti di una forma e una forza invisibili, e tuttavia così potenti. Il colore puro, avulso dal segno, può ricreare i turbini, gli ondeggiamenti e le modulazioni, i percorsi della sfolgorante sfera che Dio gettò nell’universo della creazione. Quando il pastello non basta più a scatenarne la violenza, le lumeggiature a olio o a guazzo impongono la loro opacità sulla trasparenza. Significato e significante si abbandonano così sul foglio alla battaglia tra l’ineffabile e lo scritto. 75

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L’AMBIGUITÀ DELL’ASTRAZIONE

Il Novecento, scosso da una molteplicità di nuove creazioni, turbato dalle sue avanguardie e dai traumi profondi delle numerose ecatombi, succube infine della invenzione di tecniche nuove di cui accusiamo gli inevitabili contraccolpi, il ventesimo secolo, dicevamo, si è creato delle ancore di salvezza, rassicuranti tanto quanto furono inquietanti le tempeste. Tra queste ancore, il distinguersi della creazione in due famiglie, l’astratta e la figurativa, è servito per un certo tempo a mascherare il profondo conflitto sulla natura e la funzione della pittura in questo periodo. Applicato all’arte di Marc Chagall, il problema è tanto più pertinente in quanto i disegni a inchiostro nero su carta bianca degli anni 1918-22 già lo preannunciavano: non si avvertivano forse nel rigore e nell’economia di questi fogli tutte le caratteristiche di un procedere astratto o tendente all’astrazione? Non abbiamo ancora ricordato in questa sede che sono questi gli anni nel corso dei quali prende vita il movimento astrattista, e che Chagall vi si trova seriamente immischiato. La nomina a Commissario del popolo per le Belle Arti a Vitebsk fin dal 1918 gli era valsa un posto eminente non solo negli ambienti amministrativi e politici, ma più ancora nell’enunciazione dell’indirizzo da dare all’estetica del potere. In quanto capo dell’Accademia di pittura della sua città, egli era in grado di imprimere all’attività creativa una spinta esemplare. Cinto del prestigio che i quattro anni parigini e le importanti mostre di Berlino gli conferivano, poteva sperare di essere per lo meno ascoltato e di attirare l’attenzione sulle sue opere più recenti. Due furono le ragioni per le quali ciò non avvenne, la prima delle quali è solo apparente: in seno alla stessa Accademia un conflitto lo contrappose ad alcuni dei suoi professori. La lotta per il potere, nella quale El’ Lisickij fu il primo a schierarsi contro Chagall, ebbe come immediata conseguenza l’ingresso di Malevi/ in questa comunità di creatori. Le sue composizioni «suprematiste» in bianchi e neri articolati in quadrati contrapposti potevano far colpo e sedurre i radicali. El’ Lisickij, che dipingeva «alla Chagall», passò nel 1919 all’astrazione pura. In questo va ricercata la seconda causa, che non riguarda affatto la lotta per il potere, bensì le opinioni di Chagall sull’arte. 78

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La Rivoluzione era per lui uno sconvolgimento da vivere sia come corpo sociale che in se stessi. L’ideologia conquistatrice aveva trovato nelle sue stesse forme dinamiche, quelle testimoniate dai guazzi e dalle opere parigine, un’immediata rispondenza. Il movimento che sospingeva allora il corpo sociale «in avanti» – per riprendere il titolo del disegno già citato del 1917 – dava vita agli inchiostri, ai guazzi, agli acquerelli, in circoli, diagonali o spirali che stritolavano le figure e qualsiasi altro tipo di rappresentazione naturalistica. Ma nello stesso tempo la pittura seguiva altre vie. Né il Doppio ritratto con bicchiere di vino del 1917, né le scene russe, i ritratti di rabbini o di familiari contemporanei possono aspirare alla qualifica di grandi composizioni astratte. Sono senza dubbio percorsi da una forte tensione geometrica, ma probabilmente uno solo, la Danza del 192021, eseguito per la decorazione murale del Teatro Ebraico di Mosca, può veramente dirsi astratto. Per il resto la figura, l’animale, i paesaggi sono sempre presenti e sempre trasfigurati. Ma in nessun caso la loro alterazione – etimologicamente alter – diventa distruzione o negazione. Se i disegni del periodo rivoluzionario si prestano a dei dubbi, i dipinti non ne concedono alcuno sul procedere di Chagall: esso è figurativo. Lo stesso avviene negli anni 1960-70 per i nostri pastelli da un canto, e per i grandi dipinti del Messaggio Biblico dall’altro. Tutto avviene come se Chagall, sollevato dalla preoccupazione di narrare o descrivere, potesse buttar giù sui fogli forme e colori, imprimere ritmi e godere delle reazioni della carta alle carezze del pastello. Quale che sia il risultato del grande lavoro preparatorio, le condizioni della creazione mutano nel momento in cui si accinge a realizzare la tela. Il miglior esempio è nel Mosè che percuote la roccia. Qui vediamo l’artista abbandonarsi a numerosi esperimenti, in rosso, in rosa e giallo, in bruno. In quest’ultimo pastello la monocromia bruna è rotta da accenni di rosso, di azzurro, di verde e di giallo raggruppati in coppia, i cui rapporti si richiamano in due posizioni diverse nella composizione. Chagall l’adotta definitivamente, e la grande tela bruna presenta questi accenti: il blu, il rosso e il verde sono diventati qui volti e là vesti, là ancora acqua che scorre sgorgata dal suolo riarso. Uno dei gialli è diventato un cielo con il sole al tramonto; ma il giallo che gli risponde non 79

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Pagine precedenti: Mosè che percuote la roccia, particolare.

è diventato alcunché. È un giallo per il giallo, senza ulteriore significato, libero da qualsiasi altra funzione che non sia quella di equilibrare, in quanto colore, un altro colore. Quante volte questa tela ci ha fatto pensare ai dipinti invernali dei Bassano, questi artisti veneziani che dipingevano paesaggi crepuscolari, bruni e neri, per folgorarli con contrasti di colore puro ed equilibrare in sapienti armonizzazioni i rossi, i gialli, i blu e i verdi, che incidentalmente si chiamavano cappello, veste, cielo o arbusto! Tuttavia siamo lontani dal procedere astratto. I seguaci di Mondrian e di Kandinskij non si preoccupano di giustificare a posteriori le loro invenzioni; esse ubbidiscono ad altre logiche, a un meccanismo proprio. In questo senso i quadri cubisti, o il Nudo che scende le scale di Marcel Duchamp, non sono affatto quadri astratti. Quale sarebbe del resto l’opera astratta pura? Secondo gli uni o gli altri, le tele di Pollock parlano di foreste, quelle di Rothko di un cielo incombente che il Caspar David Friedrich del Monaco in riva al mare non avrebbe rinnegato, quelle di Soulages di architetture. Mondrian prendeva le mosse dall’albero, Kandinskij e Paul Klee dalla musica, ma entrambi anche dal paesaggio. Gli impasti di Olivier Debré ci parlano di pittura-materia, e abbiamo già ricordato Lucio Fontana come disegnatore-scultore. La pittura della luce ha subìto nel Novecento moltissime metamorfosi: Rothko, Sima, Noland, Asse non sono affatto pittori del nulla. La loro forza è fatta di silenzio, ma di quello che è il silenzio della natura: un continuo mormorio. Sostenere l’esistenza di uno Chagall astratto, o che avrebbe potuto diventarlo percorrendo queste vie, rivela la stessa frode che opprime l’astrazione e che consiste nel considerarla avulsa da radici naturalistiche. L’aspra controversia preannunciata all’inizio di questo capitolo è diversa e verte sulla funzione stessa della pittura oggi. Astratta o figurativa, può toccare i più ardui problemi o stagnare nel decorativo. È indubbio che il ventesimo secolo sia assetato di arte decorativa, né si può più contestare l’evidenza di una trasformazione delle forme artistiche che esprimono questa ansia: dominio privilegiato del decorativo, la pittura è stata quasi detronizzata oggi dall’architettura, senza che nessun’altra espressione d’arte la venga a sostituire, in particolare la scultura. La pittura è così destinata al collezionismo o al mu82

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seo: staccata dalla parete, diventata oggetto e punto focale di speculazione mentale, essa si apre necessariamente all’astrattismo. Ora, la via scelta da Chagall con il Messaggio Biblico è un’altra ancora: è quella del monumentale. Il progetto iniziale della decorazione di una cappella, del connubio fra i muri, le volte e l’ombra pensosa è di un ordine diverso dal progetto per un museo o per l’abbellimento di un’abitazione. Pur abbandonandosi al pellegrinaggio fantastico, da un foglio all’altro, che un certo episodio biblico gli suggerisce, il pittore pensa da pittore, e deve arricchire con un messaggio spirituale la tecnica più consona alla propria raffigurazione. La rapidità del suo pensiero è visibile sulla carta: procedendo per accenni ad uso personale, lasciando sul foglio rapide annotazioni, richiami per meglio ricordare, Chagall deve necessariamente sopprimere il particolare. Guardando questi pastelli si può credere talvolta di scoprire un pittore astratto; e invece abbiamo un pittore al lavoro e la maggior parte dell’opera è ancora a venire, e tuttavia così presente nella misura in cui questa sintesi delle tonalità principali, della futura composizione riesce ad esprimere uno o più significati. Una parte dell’opera è già sulla tela, il resto verrà, ma è già preannunciato. Questa parte ancora inespressa non difetta nei pastelli più di quanto ci manchino i giorni che ci restano da vivere. E tuttavia non per questo non si tratta di schizzi, di embrioni che solo l’opera compiuta potrà definire. Così facendo, Chagall sa che nel mettere sulla carta queste tracce a pastello esegue ciò che chiamiamo un bozzetto, che riunisce le favolose qualità dei progetti di Rubens per la chiesa dei Gesuiti di Anversa, il carattere quasi astratto degli acquerelli di Cézanne per le sue Sainte Victoire, e, anche, la forza evocativa del racconto biblico con tutta la sua poesia e violenza? E sa che esiste anche un gusto moderno dello schizzo, al quale dedicheremo ora una breve analisi? E, sapendolo, è stato al gioco?

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I PREGI DELL’INCOMPIUTO

Si rimane stupiti nel constatare fino a che punto la maggior parte dei contemporanei dimostri una predilezione speciale per il bozzetto. Tale gusto per l’incompiuto cela origini molteplici, che è opportuno analizzare in questa sede per poter cogliere le ragioni del successo – continuamente riconfermato nelle sale del Messaggio Biblico – di questa serie di circa duecento schizzi. La prima delle ragioni per le quali questi pastelli attirano il nostro occhio è che sono l’espressione di un genio. Teniamo presente che nel diciannovesimo secolo tutta la concezione romantica del processo della creazione artistica mira a fare dell’artista un essere solitario, dolente e pertanto visionario. Alla sua solitudine si addice l’immagine del tavolo di lavoro al quale sta legato come un galeotto al remo. Lo studio diventa la cella monastica, il laboratorio dell’alchimista. Alcuni disegni o pitture romantiche tedesche prefigurano questo gesto del creatore imprigionato. L’immagine di Friedrich chiuso nello studio è simile a quella di Courbet a Sainte Pélagie: entrambi hanno l’unico sollievo di una finestra nella prigione o del foglio di carta, posato sul tavolo e offerto alla loro matita. Al loro dolore, fatto di mille dubbi, incertezze e pentimenti – termine tecnico, ma quanto rivelatore e cristiano! – corrispondono quegli album di schizzi sempre ripresi, quegli studi fatti da tutte le angolazioni di modelli restii a ogni resa, quelle molteplici versioni di uno stesso dipinto. Il concetto del parto con dolore di un’opera d’arte è stato rovesciato dall’ideologia corrente durante lo stesso secolo borghese: l’artista di genio doveva soffrire per realizzare quell’opera d’arte che si aveva il diritto di aspettare da lui. Così il mito impressionista fu la logica conclusione di un equivalente comportamento collettivo nei confronti della creazione artistica: la miseria nella quale erano vissuti quei pittori era la condizione necessaria all’alchimia del loro lavoro. Da qui a credere che l’artista per ben operare dovesse vivere una condizione di povertà non c’era che un passo, che esempi antichi e numerosi inducevano a compiere: Rembrandt morto nello squallore, Balzac inseguito dai creditori e dall’editore; neppure Chagall si sottrae a questo sordido elenco, gli esordi a Pietroburgo e a Mosca non erano nulla di meglio della vita di bohème. Notiamo di sfuggita e per concludere quanto tale fola possa influire sul mercato delle opere d’arte. 84

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Cantico dei Cantici V.

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A ciò si aggiunga l’interesse che i musei, al seguito dei collezionisti, dimostrarono assai presto per gli schizzi, i disegni preparatori di un’opera, che fosse da loro posseduta o meno. Alcuni di essi avevano una importanza determinante, qualora l’opera originale fosse andata perduta: è il caso dei piccoli oli di Rubens per il soffitto della chiesa dei Gesuiti di Anversa, già citati. La storia dell’arte, ma anche la critica, seppero apprezzarne subito il 85

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I PASTELLI DEL MESSAGGIO BIBLICO, OPERE D’ARTE A PIENO TITOLO

valore plastico, e il loro entusiasmo non sarebbe stato notato se Delacroix non ne avesse seguito l’esempio e se il movimento romantico nel suo insieme non avesse portato in primo piano queste «opere di getto». Il primo getto è espressione importante di per sé, perché dimostra come la nascita di un’opera di pittura affascini il grande pubblico. Ricordiamo quel film nel quale il regista aveva fatto disegnare a Picasso una figura su un vetro davanti alla macchina da presa; il pubblico poteva così seguire la creazione mentre si compiva, assistere alla celebrazione del «mistero Picasso». Daniel Lecomte rifece con carta e matite colorate la stessa esibizione insieme con Chagall per la televisione. Non è certo se l’uno e l’altro abbiano dato il meglio di sé, e se questi filmati abbiano contribuito a svelare il famoso mistero; sono tuttavia rivelatori del problema che ci appassiona: in che modo un’idea si traduce subitamente in un’immagine. La rapidità del procedere è una componente di questo gusto per lo spettacolare, il «far presto» degli antichi. Lo schizzo è una frazione di tempo fissata sulla carta. Dobbiamo infine aggiungere che la pittura stessa si è ispirata al bozzetto al punto di assumerne le apparenze, che la pittura gestuale ci ha educato l’occhio e nutrito l’inconscio, che le cosiddette arti minori – che tuttavia dopo la guerra occupano il proscenio e fra le quali si trovano il disegno pubblicitario e i fumetti – hanno modificato la nostra grammatica estetica e il modo di guardare, e che infine lo stesso fenomeno si verifica per tutte le altre arti, compresa la scultura. Così, nonostante le pesanti distruzioni operate, i bozzetti del diciannovesimo secolo sono oggi ricercati. Colui che passa accanto a un gruppo funerario o commemorativo in una pubblica piazza senza porvi attenzione, si blocca davanti alla loro creta preparatoria nella vetrina di un antiquario; e per tornare alla pittura, la conseguenza più pericolosa di questa esaltazione del bozzetto è la sua identificazione con l’opera d’arte finita: un buon ingrandimento fotografico potrebbe fare di un piccolo olio un quadro «moderno» di fattura eccezionale, in barba all’epoca e all’anima dell’opera, senza neppure considerare l’intento del suo autore.

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Quale fu dunque in questo caso l’intenzione dell’autore? È anzitutto significativo il fatto che egli non abbia inserito questa raccolta, così importante per comprendere il procedere dalle prime opere bibliche alle grandi tele, insieme con i guazzi e le incisioni della Bibbia, nella sua donazione allo Stato francese, nel 1966. Pensava forse allora che questo lavoro preparatorio non «meritasse» di entrare in un museo, dove doveva vedersi solo il risultato finale? Ciò è anche possibile e tale atteggiamento corrisponde alla psicologia degli artisti come la immaginiamo noi, prima che fosse invalsa l’abitudine – iniziata in Francia esattamente negli anni Sessanta – di presentare nelle mostre dei veri e propri «dossiers» relativi a un’opera importante, nei quali sono riuniti tutti gli studi. Nel 1972, data della seconda donazione, quella dei pastelli, l’uso era diventato legge, e Chagall, molto attento alla vita dei musei, ed egli stesso inveterato frequentatore di mostre e gallerie, non poteva certo ignorarla. Inoltre la sua mostra al Grand Palais di Parigi nel 1969-70 aveva fornito l’occasione per presentare un primo gruppo relativamente importante di opere su carta. Gli schizzi per il teatro, i guazzi, i lavis, appassionavano senza dubbio il grande pubblico, già da tempo impegnato ad apprezzare tali tecniche e il posto che occupano nell’economia dell’opera. I suoi familiari insistettero pure perché egli offrisse alla curiosità dei visitatori del suo futuro museo anche i fogli più personali; non solo la moglie Valentina, ma anche Charles e Brigitte Marq, i suoi vetrai-pittori, che conoscevano da vicino questo lavoro su carta per aver studiato bozzetti simili in occasione della preparazione delle vetrate. La sorpresa ci fu quando Chagall accompagnò la donazione con una raccomandazione. Dichiarò infatti ripetutamente che egli desiderava che si esponessero queste opere senza titolo né riferimento alcuno. I grandi quadri del Messaggio Biblico, appesi permanentemente nella sala accanto, sarebbero bastati a evocare nella memoria del visitatore il significato della composizione. Si doveva quindi ricevere il Messaggio Biblico a ritroso, cominciando là dove Chagall aveva terminato. Così fu, e nessun cartellino o etichetta disturbò lo spazio luminoso nel quale splendeva la freschezza di queste carte a partire dal luglio 1973, data di inaugurazione del museo. 87

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SOLO PER VEDERE MEGLIO

Perseguendo con logica imperturbabile la decisione di presentare i pastelli come opere d’arte autonome, Chagall non li datò nemmeno. Lo storico se ne dorrà certamente; è infatti difficile collocare con sicurezza uno schizzo prima di un altro e trarne le debite conclusioni sulla successione dei fogli. Così facendo, l’artista adottava un atteggiamento diametralmente opposto a quello di Picasso, che nel 1971 esponeva alla Galerie Louise Leiris, a Parigi, diverse decine di disegni, dei Moschettieri, creati in poche settimane con una stupefacente frenesia e accuratamente datati giorno dopo giorno. Non è detto che Picasso non abbia fatto uno sberleffo alla storia dell’arte, di cui non gli importava proprio nulla. Ma all’insolenza dello spagnolo corrisponde il silenzio di Chagall, alla sfida dell’uno, la sfiducia dell’altro. A che gioverebbe infatti la cronologia di queste opere? Abbiamo rilevato l’importanza dell’aggiunta del Cristo ne La Creazione dell’Uomo, ma i pastelli sono tutti posteriori e la diversità e l’invenzione sono tali che è impossibile pretendere di «classificarli». Concordemente a ciò che abbiamo scritto in precedenza sul «tempo» dei bozzetti, preferiamo considerare tutto il complesso come più significativo nella sua simultaneità che nella sua successione. Certo, è allettante cercare di datare un foglio prima di un altro, pensare che Il Sogno di Giacobbe, che proviene dall’incisione del 1931, sia stato inizialmente oggetto di una serie assai imitativa, e poi, nel preciso momento in cui risveglia il fascino dell’osservatore cui abbiamo accennato, immaginare che sia nata la nuova concezione dell’angelo recante il candelabro associato all’episodio della scala. Ma non riusciremmo a trovare il minimo bozzetto per questo angelo nel Messaggio Biblico, al di fuori delle composizioni di lunghezza doppia. È dunque a doppio titolo un’«apparizione». Ciò che certamente Chagall respinse, rinunciando a stabilire una successione cronologica, è che possa esistere una fatalità meccanica nella creazione. Fatto molto importante per ciò che lo riguarda, perché dietro a questa prima rivendicazione di un osservatore troppo rigoroso se ne profila una seconda: pretendere che esista un «progresso» dall’una all’altra opera. Anche a questo si oppone Chagall, lui che ha sempre rivendicato all’artista la possibilità di modificare il proprio lavoro, la libertà di cambiare, e soprattutto di ripetere sempre lo stesso concetto attraverso forme e tecniche diverse. 88

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Se nel «dossier» che possiamo raccogliere intorno a ogni quadro figurano disegni, oli e pastelli, sono questi ultimi che rappresentano la parte più spettacolare del lavoro svolto. Fra tutte le ragioni che possono aver indotto l’artista a presentarli insieme con i guazzi, le incisioni e i dipinti, la più importante è senza alcun dubbio il desiderio di dare a chi guarda la certezza della necessità di un enorme lavoro per condurre in porto un progetto di grande respiro. In questo atteggiamento nessuna ingenuità o ambizione, ma la continua preoccupazione dell’artista di sottrarsi al mito che lo circonda, di stabilire con il destinatario della propria opera un contatto il più intimo possibile, visto che non è dato di avviare altrimenti il minimo dialogo. Così, quando si decise di esporre il Messaggio Biblico, Chagall venne al museo per vedere le sue opere nella loro collocazione definitiva. Davanti al Cantico dei Cantici I, che era stato incorniciato come le altre tele con un listello di semplice quercia chiara, si accorse che la carta su tela sporgeva sul lato superiore, senza pittura. Non era necessario coprire quella carta bianca, la stessa che egli aveva scelto per conferire alla tela tutta la sua trasparenza e luminosità? Davanti alle nostre facce incerte egli ammise: «Sì, avete ragione: lasciamola. Così si vede il lavoro!». Questa fatica quotidiana, per tutti i tredici anni in cui si protrasse la realizzazione del Messaggio Biblico, non appare mai come una costrizione. Più che la celebrata «freschezza» che si affibbia continuamente all’insieme dell’opera di Chagall, questi fogli ne evidenziano la gioia. La quale non è incompatibile con la preoccupazione, per non dire la sofferenza, che l’artista prova davanti alla tela o al foglio di carta. Occorre un lavoro immenso per ottenere quelle trasparenze e dar vita a quelle apparizioni. Ma abbiamo noi veramente sotto gli occhi tutti gli schizzi eseguiti da Chagall per il Messaggio Biblico? Chagall ha proseguito la sua ricerca a lungo dopo aver terminato questi schizzi. Nel 1984 esponemmo dei grandissimi lavis esclusivamente costituiti da bianchi, grigi e neri stesi in vibrazioni, realizzati tra il 1982 e il 1984, quando Chagall aveva novantacinque anni. Nessun segno di debolezza, una padronanza del «colore» nonostante il non colore: la luce smorzata della carta dilaga dolcemente filtrando attraverso le figure, gli alberi, i villaggi. 89

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Cantico dei Cantici IV.

La loro consistenza è quella di un lieve acquerello sulla carta, così come i Profeti sono vivi per un frottis, un tocco di pastello viola su fondo rosa. Così improbabili, sono tuttavia più vicini a ciò che la natura è realmente, e che Claude Roy definisce così bene in A la Lisière du Temps, in versi tanto esatti che Marc Chagall potrebbe farli suoi: «Conserverò un buon ricordo / della nebbia mattutina prima dell’arsura 90

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del giorno / del vapore che sale sul fiume all’alba / dell’arcobaleno dopo il temporale di agosto / della foschia di calore che fa tremare l’orizzonte / dello sguardo che si confonde impercettibilmente / se si vede avanzare colui che si ama e che fu a lungo lontano / Era anche un bel tempo e lo sguardo chiaro / lo sguardo talvolta appena appannato solo per vedere meglio». 91

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PARTE SECONDA

I PASTELLI SOGGETTO PER SOGGETTO

Chagall stesso dispose che si potessero vedere le sue opere senza riferimento obbligato a una «storia», come opere a sé stanti. Tuttavia è molto interessante studiarle in gruppi, ognuno collegato a una delle grandi tele. Queste ultime sono state esaurientemente commentate nel volume pubblicato dallo stesso editore (Marc Chagall. Messaggio Biblico, Jaca Book, Milano 1983), al quale rimandiamo. Occorreva focalizzare le principali modifiche apportate da Chagall alle sue prime invenzioni, spesso in funzione dell’episodio da illustrare e del significato simbolico e universale da attribuirgli.

Interno del Musée national Marc Chagall, Nizza, Sala Grande.

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LA CREAZIONE DELL’UOMO

La Creazione dell’Uomo è fra tutti il soggetto più accuratamente preparato: diciotto schizzi di cui nove a pastello. Ma è anche al di fuori di questi ultimi che agisce l’invenzione del tema principale: il Cristo regna sul destino del mondo. Due registri suddividono la composizione: in alto un sole turbinante trascina moltitudini e figure. Il movimento a spirale è oggetto ogni volta di un disegno preciso, che si dipana in senso antiorario: da destra a sinistra, che è anche il senso della scrittura ebraica. Si accompagna alle due curve incrociate dell’angelo e del primo uomo che occupano il registro inferiore del dipinto. L’armonia generale si basa sul blu che invade poco alla volta il giallo. Lo schizzo centinato in alto, che è anche il più vicino alla composizione definitiva (n° 68 dell’attuale catalogazione compiuta nel 2001 dal MNMC), richiama l’architettura di una chiesa. L’insieme dei pastelli riflette le esitazioni di Chagall per quanto attiene alla distribuzione della luce. A volte il Cristo, a volte la coppia angelo-uomo o le ali delle creature celesti ricevono così dei bagliori che l’impiego della carta un poco scura, o nera, fa risaltare. Il più incredibile di questi fogli è senza dubbio il n° 65 (tavv. 3 e 32), di una vibrazione e delicatezza assolutamente aeree. L’insieme dispone in un universo celeste e vaporoso la discesa – in diagonale – dell’uomo sulla terra, e quasi tutti i pastelli presentano le figure di Adamo e di Eva, che sono il divenire stesso della creazione.

La Creazione dell’Uomo – MNMC 1 [1956-1958], olio su tela, H 299; L 200,5. S.d.r.b.g.: Marc Chagall 1956-1958.

Per La Creazione dell’Uomo Chagall ha realizzato 9 pastelli, tutti riprodotti qui di seguito.

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IL PARADISO

Il Paradiso, così come Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso ci introducono invece in un universo acquatico e insieme silvestre. La forma oblunga sulla sinistra, quasi grottesca, è quella della nuvola sembiante di Dio nel Paradiso; l’uccello fantastico che l’accompagna si piega verso il centro del dipinto a chiudere lateralmente la composizione, mentre altri animali, stavolta profilati d’ombra, la concludono sulla destra. Al centro l’albero-boschetto nel quale si celano i primi amanti, sotto lo sguardo tutelare dell’angelo. Un astro, altre figure appena accennate – in particolare un Adamo accovacciato e celato da un braccio in posizione dormiente, dato che tutta la parte sinistra è in realtà la creazione di Eva – troveranno posto nella composizione definitiva. Per finire, segnaliamo che il boschetto con Adamo ed Eva ritornerà nel grande bozzetto che Chagall affiderà a Charles e Brigitte Marq per le vetrate della chiesa oggi sede del museo lapidario di Sarrebourg, un Albero di Iesse, composto degli stessi blu, verdi e rossi dei nostri pastelli.

Il Paradiso – MNMC 2 [1961], olio su tela, H 198; L 288. S.r.b.g.: Marc Chagall.

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Per Il Paradiso Chagall ha realizzato 6 pastelli, tutti riprodotti qui di seguito.

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ADAMO ED EVA CACCIATI DAL PARADISO

Il secondo episodio, quello della Caduta, o Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso, si basa sugli stessi sfondi blu o verdi. Se l’argomento richiede meno studio, è anche perché la composizione generale è magistralmente padroneggiata da Chagall; è stata ripresa per La Foresta incantata, scenografia del primo atto de L’Uccello di fuoco, realizzata a New York dall’artista nel 1945 e adatta, anche come soggetto, a servire per questo nuovo significato biblico.

Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso – MNMC 3 [1961], olio su tela, H 190,5; L 283,5. S.r.b.dr.: Chagall.

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Per Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Chagall ha realizzato 5 pastelli, di cui 4 sono riprodotti qui di seguito e uno nella Parte prima (tav. 24, pp. 72-73).

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L’ARCA DI NOÈ

Marc Chagall sceglie di rappresentare l’Arca che Dio ha ordinato a Noè di costruire non come un’imbarcazione rudimentale e pittoresca, ma come uno spazio astratto, che si intuisce visto dall’interno. Vi si trova riunita l’umanità tutta, uomini, donne e bambini a destra, e gli animali dei tre tipi, pesci, creature terrestri e uccelli, a sinistra, attorno a un’apertura che simboleggia la finestra presso la quale il patriarca attende la discesa delle acque e la fine del Diluvio, apprestandosi a far uscire una colomba che cercherà una terra emersa ove tutti potranno approdare. È dunque il destino comune a uomini e animali, già enunciato dal testo biblico stesso, a farsi qui chiaramente leggibile, fornendo una base di riferimento e delucidazione all’onnipresenza degli animali nella pittura di Chagall, dalle prime tele russe sino alle opere della maturità. Uniti nella Creazione del Mondo, lo sono ancora nel castigo del Diluvio, condividendo il sacrificio, nella Bibbia come nel quotidiano: l’agnello sostituito a Isacco – citato in basso a sinistra –, il Cristo crocefisso tenuto dalla donna in alto a destra sono chiaramente leggibili nei pastelli n° 106 (tav. 53) e n° 108 (tav. 50). Ma è lo schizzo n° 104 (tav. 16) che testimonia in maniera spettacolare la ricerca e le brillanti soluzioni dell’artista, in tempo reale: sopra la finestra resa con un blu scuro, un frottis bianco a spirale, rapido come una nota buttata sul pentagramma, fa nascere la luce. Questa indicazione sarà mantenuta nel grande dipinto, nel quale la luce non proviene dall’esterno e dalla finestra, ma dall’interno dell’Arca, dove si realizza il mistero della prova collettiva di tutta l’umanità. Bianca è anche la colomba nel pastello n° 105 (tav. 52), che Chagall riprenderà nel dipinto definitivo come uccello portatore di luce e messaggero di salvezza.

L’arca di Noè – MNMC 4 [1961-1966], olio su tela, H 236; L 234. S.r.b.g.: Chagall Marc.

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Per L’Arca di Noè Chagall ha realizzato 6 pastelli, di cui 5 sono riprodotti qui di seguito e uno nella Parte prima (tav. 16, p. 55).

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NOÈ E L’ARCOBALENO

Noè e l’Arcobaleno nasce senza dubbio da un intento più ambizioso. Non si tratta più di una elegia, ma di un dramma, né di uno spazio aereo, ma di una «scenografia»; l’arcobaleno adempie in questo dipinto una funzione architettonica vera e propria, sostenendo letteralmente l’apparizione dell’angelo, e suggella, sopra al dramma dell’umanità sacrificata come l’agnello sull’altare, un’alleanza con Noè, coricato e curvo al suolo per sognare e controbilanciare l’arco che lo sovrasta. Il n° 115 (tavv. 4 e 6) è uno degli schizzi più straordinari di questo complesso; il n° 118 (tav. 12), con il suo collage di pagine di quaderno di scuola, risulta ugualmente tra i più forti della serie. È inoltre in questo ultimo foglio che si manifesta al meglio la maliziosa libertà che Chagall si concede separando forma e contorno, colore e nero al tratto. La figura di Noè, che la riproduzione ci permette di esaminare con agio, è uno dei più sensazionali disegni di tutti i nostri schizzi.

Noè e l’Arcobaleno – MNMC 5 [1961-1966], olio su tela, H 205; L 292,5. S.r.b.g.: Marc Chagall.

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Per Noè e l’Arcobaleno Chagall ha realizzato 8 pastelli, di cui 6 sono riprodotti qui di seguito e 2 nella Parte prima (tav. 6, pp. 28-29 e tav. 12, pp. 40-41).

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ABRAMO E I TRE ANGELI

Abramo e i tre Angeli offre il grande interesse di essere stato tratto da un dipinto, l’unico che Chagall abbia deciso di riprendere completamente: ne esiste ancora la prima versione, conservata nella sua collezione privata. In modo quasi certo, possiamo affermare che il pastello su carta nera n° 139 (tav. 64), così come il disegno a matita n° 138 – di nuovo colore e disegno associati – e il n° 141 (tav. 65) formano un primo gruppo nel quale il Sacrificio di Isacco occupa l’angolo superiore sinistro. Cronologicamente, poiché l’altro gruppo con gli angeli che muovono verso Sodoma e Gomorra sostituisce il Sacrificio e sarà ripreso nel dipinto, esso è da considerarsi anteriore. Ma la cosa più straordinaria è il lavoro eseguito sui tre angeli e le loro ali, l’elemento più significativo del dipinto, definizione stessa dell’identità dei visitatori. Sotto questo profilo il n° 132 (tav. 8) è un capolavoro, tanto la materia vellutata e luminosa del pastello è al servizio di una effettiva diffusione della luce.

Abramo e i tre Angeli – MNMC 6 [1960-1966], olio su tela, H 190; L 292. S.r.b.g.: Chagall Marc.

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Per Abramo e i tre Angeli Chagall ha realizzato 6 pastelli, di cui 5 sono riprodotti qui di seguito e uno nella Parte prima (tav. 8, p. 34).

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IL SACRIFICIO DI ISACCO

Con Il Sacrificio di Isacco ritorna l’epica: l’istante scelto è quello dell’intervento di un angelo che ferma il braccio di Abramo. Nel 1983 avevamo sottolineato le tappe fondamentali di una tradizione che si richiamava a Tiziano, Veronese e Rembrandt, e che faceva di tale irruzione un momento importante nella «ballata» barocca. Da notare qui che il Cristo, modello evangelico prefigurato dalla Bibbia poiché è il Figlio sacrificato dal Padre, compare in tutti gli schizzi.

Il Sacrificio di Isacco – MNMC 7 [1960-1966], olio su tela, H 230,5; L 235. S.r.b.g.: Marc Chagall.

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Per Il Sacrificio di Isacco Chagall ha realizzato 5 pastelli, di cui 4 sono riprodotti qui di seguito e uno nella Parte prima (tav. 17, p. 57).

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IL SOGNO DI GIACOBBE

Il Sogno di Giacobbe ha una complessa elaborazione; rileviamo del resto che il lavoro è cominciato con la ripresa dell’incisione della Bibbia del 1931: questi primi studi formano un insieme omogeneo, uno dei quali (n° 157, tav. 71) si distingue per la sua audacia: Giacobbe sogna la visione degli angeli attraverso il filtro di un arcobaleno, che ha, lo sappiamo, il significato biblico di alleanza fra il Creatore e le sue creature. Poi il soggetto si arricchisce di un’altra figura, quella dell’angelo custode che reca a Giacobbe, di cui è l’apparizione, il candelabro della creazione, la Menorah. Nessuno dei pastelli presenta le figure secondarie del Cristo e di Abramo che sacrifica Isacco, modificando alquanto il significato dell’opera finale e sovvertendo soprattutto il concetto creato da questi pastelli sugli intendimenti più profondi dell’autore.

Il Sogno di Giacobbe – MNMC 8 [1960-1966], olio su tela, H 195; L 278. S.r.b.dr.: Marc Chagall.

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Per Il Sogno di Giacobbe Chagall ha realizzato 10 pastelli, di cui 9 sono riprodotti qui di seguito e uno nella Parte prima (tav. 10, p. 37).

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LA LOTTA DI GIACOBBE CON L’ANGELO

La Lotta di Giacobbe con l’Angelo è anzitutto una composizione di luce notturna: tutte le gamme del blu creano l’armonia cromatica fondamentale. Ma mirabili verdi turchese e squilli di bianco per l’angelo vengono ad accenderle. Sotto questo profilo il n° 175 (tav. 79) è un assoluto capolavoro, in cui Giacobbe, stagliato nella massa di colore con un tratto di bianco un po’ spento, si delinea inconsistente e umile nella splendida luce divina.

La Lotta di Giacobbe con l’Angelo – MNMC 9 [1960-1966], olio su tela, H 251; L 205. S.r.b.g.: Chagall.

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Per La Lotta di Giacobbe con l’Angelo Chagall ha realizzato 5 pastelli, tutti riprodotti qui di seguito.

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MOSÈ DAVANTI AL ROVETO ARDENTE

Tutti gli schizzi della storia di Mosè hanno come secondo tema la luce: Mosè davanti al Roveto ardente irraggia onde colorate, Mosè che riceve le Tavole della Legge irradia luce dalla fronte glorificata, e finalmente Mosè che percuote la roccia si svolge al tramonto e il più giallo fra i gialli dorati è l’ultimo balenio del giallo chiaro e veramente diurno dell’episodio del monte Sinai. Sin dai primi schizzi, il progetto dell’artista è quello di riunire due episodi, quello nel quale Mosè riceve l’ordine divino e la liberazione degli Ebrei dall’Egitto. Il passaggio del mar Rosso è descritto in un turbinio di polvere bianca, specialmente nel pastello n° 185 (tav. 20): rafforza il movimento ascendente delle fiamme del Roveto e del nimbo circolare nel quale appare l’angelo messaggero della Parola. Il collegamento si effettua con una lettura da destra a sinistra, secondo il senso della scrittura ebraica, e il miracolo della divisione delle acque del mar Rosso davanti agli Ebrei costituisce il corpo stesso di Mosè, quasi il suo destino, mentre il capo è vicino alla Tavole della Legge che gli saranno consegnate sul Sinai. Ne emerge, grazie all’uso deciso delle linee oblique, un fenomeno d’accelerazione della lettura che conduce l’occhio del riguardante sempre più velocemente da destra verso sinistra e dal messaggio al suo compimento. Come per saggiare l’effetto della composizione, Chagall ne disegna gli elementi costitutivi su un fondo di carta nera – n° 185 (tav. 20).

Mosè davanti al Roveto ardente – MNMC 10 [1960-1966], olio su tela, H 195; L 312. S.r.b.g.: Chagall.

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Per Mosè davanti al Roveto ardente Chagall ha realizzato 7 pastelli, di cui 4 sono riprodotti qui di seguito e 3 nella Parte prima (tav. 11, pp. 38-39, tav. 20, p. 63 e tav. 22, pp. 68-69).

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MOSÈ CHE PERCUOTE LA ROCCIA

Lo schizzo si presenta in questo caso nel formato che doveva essere quello del dipinto, concepito per la parete di fondo di uno dei bracci del transetto della cappella di Vence, sotto la volta. Approfittando della cornice a tutto sesto che dominava la composizione, Chagall traccia sulla corda del semicerchio un orizzonte ribaltato che dinamizza la prospettiva della vasta terra su cui si affollano gli Ebrei assetati. L’acqua che Mosè fa scaturire dalla roccia proviene da questo orizzonte e da un sole fonte di vita, bella fusione tra la potenza della natura-nutrice e delle forze antagoniste qui associate, l’acqua e il fuoco. La scelta del colore dominante del dipinto è risolta solo nel pastello n° 196 (tavv. 19 e 27), ove prevale il bruno e i colori vivaci si equilibrano a due a due: giallo nell’arco superiore e traccia gialla in basso a destra, blu in alto e in basso, bianchi, rossi, e così via. Solo nel momento in cui l’artista mette mano alla tela finale i colori diverranno qui un cielo, là il manto di Mosè. Non solo l’uso del colore, coi suoi equilibri e i suoi contrasti, fornisce al quadro la sua architettura, ma i segni neri, che alludono alla folla degli Ebrei, contano nello schizzo quanto le piombature di una vetrata, ovverosia nulla. Solo nell’olio Chagall opererà la sintesi tra colori e personaggi, che diventano quale giallo, quale rosso o blu. Questa dissociazione del colore e del disegno, completamente leggibile nei pastelli, sembra oggi una conquista della modernità – degli espressionisti, Picasso in primis. Nel caso di Chagall, è più da collegarsi a una sfida che già la pittura antica aveva cercato di affrontare, il sodalizio dei bruni e dei colori puri di cui Jacopo Bassano era stato uno dei campioni nella Venezia del sedicesimo secolo.

Mosè che percuote la roccia – MNMC 11 [1960-1966], olio su tela, H 237; L 232. S.r.b.g.: Marc Chagall.

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Per Mosè che percuote la roccia Chagall ha realizzato 4 pastelli, di cui 2 sono riprodotti qui di seguito e 2 nella Parte prima (tav. 18, p. 60 e tav. 19, p. 61).

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MOSÈ CHE RICEVE LE TAVOLE DELLA LEGGE

I quattro pastelli che preparano il dipinto finale del ciclo della Genesi e dell’Esodo illustrano la fedeltà del pittore al bianco per la figura di Mosè – allusione al celebre marmo michelangiolesco? – e al giallo, gamma luminosa estrema alla quale si sottomettono tutti gli altri colori, limitati allo stretto necessario. La composizione, che privilegia l’obliquo, avvicina e al contempo oppone la linea dell’orizzonte all’asse sul quale avviene l’incontro del Profeta con Jahvè, due dialoghi fra terra e cielo strettamente associati in uno schema solidamente centrato sulla croce eppure dilatato dallo slancio delle diagonali. Più tardi sulla tela si aggiungeranno alla figura di Aronne, in basso a destra, quelle di Davide e Geremia. La folla degli Ebrei, già rapita nell’adorazione del Vitello d’oro a sinistra, esalta maggiormente la grandezza del Profeta, gigantesco e solitario. L’insieme è un bell’omaggio alla pittura barocca, ai voli di Rubens e Tiziano e sembra proprio che Mosè abbia ispirato a Chagall i suoi più sentiti omaggi alla pittura italiana.

Mosè che riceve le Tavole della Legge – MNMC 12 [1960-1966], olio su tela, H 237; L 233. S.r.b.g.: Chagall Marc.

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Per Mosè che riceve le Tavole della Legge Chagall ha realizzato 4 pastelli, tutti riprodotti qui di seguito.

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CANTICO DEI CANTICI

Il Cantico dei Cantici forma un insieme a sé, nella Bibbia come nel Messaggio Biblico. Nella Bibbia poiché non si tratta più di un racconto, ma di una elegia sacra, senza precisi riferimenti storici né figure profane o sacre; il dialogo fra la Sulamita e il suo Signore è in realtà un poema e un canto d’amore, interpretato dall’esegesi biblica come un dialogo sacro fra l’anima e il suo Creatore. Nel Messaggio Biblico Chagall gli riserva un posto a parte sia dal punto di vista cromatico che per la totale libertà inventiva delle figure. Potremmo qui redigere un elenco degli elementi ricorrenti, che compongono il discorso poetico di queste opere; la donna, anzitutto, i fidanzati, re Davide associato o no a Betsabea, e una miriade di uccelli, di animali molto simili a quelli dei due Paradisi precedenti. E, per finire, la città è presente ovunque, sia essa Gerusalemme o Vitebsk, secondo il gusto di Chagall di assimilazione della propria biografia al mondo biblico. Di tutti questi pastelli, quello nel quale egli si ritrae davanti al cavalletto è forse uno fra i più rivelatori.

Pagina precedente: Cantico dei Cantici I – MNMC 13 [1960], olio su carta incollata su tela, H 146,5; L 171,5. S.r.b.g.: Marc Chagall. Cantico dei Cantici II – MNMC 14 [1957], olio su carta incollata su tela, H 139; L 164. S.d.r.b.dr.: Chagall Marc 1957. In questa pagina: Interno del Musée national Marc Chagall, Nizza, Sala del Cantico dei Cantici.

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Cantico dei Cantici III – MNMC 15 [1960], olio su carta incollata su tela, H 149; L 210. S.r.b.g.: Marc Chagall. Cantico dei Cantici IV – MNMC 16 [1958], olio su carta incollata su tela, H 144,5; L 210,5. S.d.r.b.dr.: Marc Chagall 1958. Cantico dei Cantici V – MNMC 17 [1965-1966], olio su carta incollata su tela, H 150; L 226. S.r.b.g.: Chagall Marc.

Per il Cantico dei Cantici Chagall ha realizzato 24 pastelli, di cui 17 riprodotti qui di seguito e 7 nella Parte prima (tav. 7, pp. 30-31, tav. 9, p. 35, tav. 14, pp. 50-51, tav. 23, p. 71, tav. 25, p. 75, tav. 28, p. 85 e tav. 29, pp. 90-91).

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CATALOGO DEI PASTELLI

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LA CREAZIONE DELL’UOMO

Tav. 30 – MNMC 63 [1956-1958] – Pastello e acquerello diluito su carta vergata, H 49,2; L 28,3. S.v.: Marc Chagall.

Tav. 33 – MNMC 66 [1956-1958] – Pastello su carta nera, H 49,9; L 32.

Tavv. 3 (particolare) e 32 – MNMC 65 [1956-1958] – Pastello, matita e inchiostro nero su carta velina azzurra, H 50,2; L 32,5. S.v.: Marc Chagall.

Tav. 31 – MNMC 64 [1956-1958] – Pastello, matita e inchiostro nero su carta giapponese, H 49,7; L 33,6. S.v.: Marc Chagall.

Tav. 35 – MNMC 67 [1956-1958] – Pastello e matita su carta velina blu (verso di una pagina della galleria Pierre Matisse, New York 1947), H 42,3; L 30,3. S.v.: Marc Chagall.

Tav. 34 – MNMC 68 [1956-1958] – Pastello e lumeggiature a guazzo su carta velina arrotondata alla sommità, H 53; L 35,5. S.v.: Marc Chagall.

ABBREVIAZIONI Le abbreviazioni qui utilizzate fanno riferimento a quelle della catalogazione ufficiale degli olii e dei pastelli compiuta a cura del Musée national Marc Chagall nel 2001. MNMC

H L S. d. h.

rinvio al numero di inventario del Museo altezza larghezza firmato datato in alto 230

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b. g. dr. m. r. v.

in basso a sinistra a destra al centro recto verso Tav. 36 – MNMC 69 [1956-1958] – Pastello e matita su carta giapponese, H 49,4; L 32.

Tav. 37 – MNMC 70 [1956-1958] – Pastello e inchiostro nero su carta marrone, H 54,5; L 35,6. Monogrammato r.b.dr.: Ch.

Tav. 38 – MNMC 71 [1956-1958] – Pastello, inchiostro nero e guazzo diluito su cartone, H 43,7; L 27,9. S.v.: Marc Chagall – Titolato v.: Création de l’Homme.

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IL PARADISO

Tav. 41 – MNMC 85 [1961] – Pastello e guazzo su carta verde, H 24,2; L 33,5. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 39 – MNMC 86 [1961] – Pastello e inchiostro di china su carta vergata blu, H 22,2; L 34,7. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 48 – MNMC 100 [1961] – Pastello, acquerello diluito e lumeggiature a guazzo su carta grigio-verde, H 24,8; L 33,7. S.r.b.dr.: Chagall. Tav. 24 – MNMC 99 [1961] – Pastello e inchiostro di china su carta vergata blu, H 33,2; L 47. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 43 – MNMC 87 [1961] – Pastello, inchiostro di china e guazzo diluito su carta bianca, H 23,2; L 32,5. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 40 – MNMC 88 [1961] – Pastello, guazzo e inchiostro di china su carta verde, H 33,5; L 48. S.r.b.dr.: Chagall. Tav. 46 – MNMC 101 [1961] – Pastello e inchiostro di china su carta bianca, H 37; L 54,4. S.r.b.dr.: Chagall.

L’ARCA DI NOÈ

Tav. 42 – MNMC 90 [1961] – Pastello e inchiostro nero su carta verde, H 33,1; L 45,8. S.r.b.dr.: Chagall. Tavv. 5 (particolare) e 44 – MNMC 89 [1961] – Pastello e acquerello diluito su carta bianca, H 31,2; L 47,5. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 16 – MNMC 104 [1961-1966] – Pastello, inchiostro di china e acquerello diluito su carta vergata, H 31,7; L 25,7. S.r.b.g.: Chagall.

ADAMO ED EVA CACCIATI DAL PARADISO

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Tav. 45 – MNMC 97 [1961] – Pastello e inchiostro di china su carta vergata grigio-blu, H 33,5; L 49,5. S.r.b.dr.: Chagall.

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Tav. 47 – MNMC 98 [1961] – Pastello e inchiostro di china su carta vergata blu, H 31; L 41,7. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 49 – MNMC 107 [1961-1966] – Pastello, guazzo e inchiostro di china su carta, H 26,9; L 21. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 52 – MNMC 105 [1961-1966] – Pastello e inchiostro di china su cartone grigio, H 30,3; L 23,5. S.r.b.g.: Chagall.

Tavv. 13 (particolare) e 50 – MNMC 108 [19611966] – Pastello e inchiostro di china su carta bianca, H 31; L 24,8. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 53 – MNMC 106 [1961-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta bianca, H 32,7; L 28,1. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 51 – MNMC 109 [1961-1966] – Pastello e guazzo su carta, H 31,4; L 24,7. S.r.b.g.: Chagall.

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NOÈ E L’ARCOBALENO

IL SACRIFICIO DI ISACCO

Tavv. 4 (particolare) e 6 – MNMC 115 [1961-1966] – Pastello, inchiostro di china e guazzo diluito su carta, H 19,5; L 27,1. S.r.b.dr.: Chagall. Tav. 57 – MNMC 117 [1961-1966] – Pagina da un quaderno di schizzi, pastello, matita e guazzo su carta bianca, H 26; L 36,2. Monogrammato r.b.dr.: M. Ch. Tav. 65 – MNMC 141 [1960-1966] – Pastello, inchiostro di china, lumeggiature di guazzo bianche e matita su carta bianca, H 32,1; L 25,2. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 67 – MNMC 142 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta verde, H 33,6; L 24,7. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 17 – MNMC 143 [1960-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta grigia, H 33,7; L 29. S.r.b.dr.: Chagall.

IL SOGNO DI GIACOBBE

Tav. 12 – MNMC 118 [1961-1966] – Pastello, inchiostro di china, collage di carta e guazzo diluito su carta vergata, H 26,4; L 36,7. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 56 – MNMC 120 [1961-1966] – Pastello, matita e leggere lumeggiature a guazzo su carta vergata bianca, H 25,6; L 32,1. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 54 – MNMC 126 [1961-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta vergata crema, H 24,6; L 32. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 77 – MNMC 151 [1960-1966] – Pastello, guazzo e olio su carta bianca, H 18; L 26,5. Monogrammato r.b.m.: M. Ch. Tav. 68 – MNMC 145 [1960-1966] – Pastello, acquerello diluito e tracce di inchiostro di china su carta bianca, H 34,5; L 28,3. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 58 – MNMC 127 [1961-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta bianca, H 25,5; L 32,4. Monogrammato r.b.dr.: M. Ch.

Tav. 59 – MNMC 128 [1961-1966] – Pastello, inchiostro di china e guazzo diluito su carta bianca, H 16; L 19,4. Monogrammato r.b.dr.: M. Ch.

Tav. 66 – MNMC 144 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta grigia, H 33,7; L 33. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 55 – MNMC 129 [1961-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta verde, H 15,9; L 20,9. S.r.b.dr.: Chagall. Tav. 75 – MNMC 152 [1960-1966] – Pastello, guazzo, olio e carta incollata su carta crema, H 18; L 26,4. S.r.b.dr.: Chagall.

ABRAMO E I TRE ANGELI

Tav. 60 – MNMC 131 [1960-1966] – Pastello, matita, guazzo e inchiostro di china su carta crema. Verso: bozzetto a inchiostro, H 25; L 37,8. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 63 – MNMC 134 [1960-1966] – Pastello, matita, inchiostro di china e collage di carta e tessuto su cartone, H 25,4; L 34. S.r.b.dr.: Chagall.

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Tav. 8 – MNMC 132 [1960-1966] – Pastello, guazzo e inchiostro di china su cartone grigio, H 20,3; L 32,1. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 61 – MNMC 135 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta bianca, H 23; L 32,3. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 74 – MNMC 153 [1960-1966] – Pastello su carta bianca, H 19,2; L 27,3. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 73 – MNMC 154 [1960-1966] – Pastello su carta bianca, H 24,3; L 31,2. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 71 – MNMC 157 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta, H 33; L 29. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 10 – MNMC 158 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta bianca, H 33; L 28,5. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 69 – MNMC 155 [1960-1966] – Pastello e matita su carta color sabbia, H 19; L 27,9. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 62 – MNMC 133 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta bruna, H 22,4; L 31,2. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 64 – MNMC 139 [1960-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta nera, H 25,1; L 32. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 76 – MNMC 159 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta bianca, H 32,5; L 28,5. S.r.b.dr.: Chagall.

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LA LOTTA DI GIACOBBE CON L’ANGELO

Tav. 22 – MNMC 183 [1960-1966] – Pastello, inchiostro di china e matita su cartone grigio, H 21,7; L 28. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 70 – MNMC 160 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta bianca, H 33,1; L 28,2. S.r.b.dr.: Chagall.

Tavv. 15 (particolare) e 86 – MNMC 184 [1960-1966] – Pastello, inchiostro di china e fondo acquerellato su carta rosata, H 25,6; L 36. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 20 – MNMC 185 [1960-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta nera, H 22,5; L 32. S.r.b.dr.: Chagall.

MOSÈ CHE PERCUOTE LA ROCCIA

Tav. 72 – MNMC 161 [1960-1966] – Pastello e tracce di inchiostro di china su cartone, H 33; L 28. S.r.b.dr.: Chagall. Tav. 80 – MNMC 169 [1960-1966] – Pastello, guazzo, collage di tessuti e carta, inchiostro di china su carta bianca, H 41; L 31,9. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 87 – MNMC 192 [19601966] – Pastello, inchiostro di china e acquerello diluito su carta vergata bianca, H 35; L 31,7. S.r.b.dr.: Chagall. Tav. 88 – MNMC 193 [1960-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta vergata crema, H 38,1; L 29,2. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 81 – MNMC 173 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta grigio-blu (verso di programma per un’esposizione Chagall della galleria Pierre Matisse, New York, 1947), H 40,7; L 32. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 78 – MNMC 174 [1960-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta azzurra solarizzata, H 32; L 25. S.r.b.g.: Chagall.

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Tavv. 19 e 27 (particolare) – MNMC 196 [1960-1966] – Pastello, inchiostro di china e lumeggiature a guazzo su cartone marrone, 40,2; L 32,8. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 91 – MNMC 200 [1960-1966] – Pastello, matita, inchiostro di china e lumeggiature a guazzo bianche su carta bianca arrotondata alla sommità, H 33; L 33. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 83 – MNMC 179 [1960-1966] – Pastello, matita e inchiostro di china su carta bianca, H 22,2; L 29,3. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 79 – MNMC 175 [1960-1966] – Pastello, guazzo, acquerello e inchiostro di china su carta bianca, H 43; L 35,6. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 11 – MNMC 180 [1960-1966] – Pastello, guazzo, inchiostro di china e matita su carta bianca, H 16; L 19,2. S.r.b.dr.: Chagall.

MOSÈ CHE RICEVE LE TAVOLE DELLA LEGGE

Tav. 82 – MNMC 176 [1960-1966] – Pastello, matita e acquerello diluito su carta assorbente, H 48; L 40. S.r.b.g.: Chagall.

MOSÈ DAVANTI AL ROVETO ARDENTE

Tav. 18 – MNMC 194 [1960-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta bianca, H 32; L 31,4. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 84 – MNMC 181 [1960-1966] – Pastello, inchiostro di china e matita su carta vergata, H 24; L 31,2. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 85 – MNMC 182 [1960-1966] – Pastello, inchiostro di china e matita su carta assorbente, H 23,5; L 38,5. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 89 – MNMC 202 [1960-1966] – Pastello, guazzo, inchiostro di china e matita su carta, H 33,1; L 33,2. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 90 – MNMC 206 [1960-1966] – Pastello, guazzo e inchiostro di china su carta bianca strappata, H 29,3; L 26,5. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 92 – MNMC 207 [1960-1966] – Pastello grasso, matita, inchiostro di china e guazzo su cartone beige, H 36,5; L 28. S.r.b.dr.: Chagall.

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IL CANTICO DEI CANTICI

Tav. 103 – MNMC 240 [1960] – Pastello, matita e lumeggiature a guazzo su carta bianca, H 19,2; L 28,2. S.r.b.m.: Chagall. Tav. 101 – MNMC 239 [1960] – Pastello e matita su carta bianca, H 25; L 32,8. S.r.b.dr.: Chagall – Riferimento in russo r.h.m. Tav. 94 – MNMC 214 [1960] – Pastello su carta bianca, H 25; L 30,6. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 95 – MNMC 215 [1960] – Pastello e matita su carta bianca, H 24; L 29,9. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 93 – MNMC 216 [1960] – Pastello e inchiostro di china su carta rosa, H 38,7; L 41. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 102 – MNMC 241 [1960] – Pastello e matita su carta bianca, H 28,5; L 38. S.r.b.dr.: Chagall.

IL CANTICO DEI CANTICI IV

IL CANTICO DEI CANTICI II

Tav. 105 – MNMC 248 [1958] – Pastello su carta bianca, H 25; L 33. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 104 – MNMC 247 [1958] – Pastello su carta bianca, H 28,2; L 38,3. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 29 – MNMC 249 [1958] – Pastello su carta bianca, H 19,2; L 28,5. S.r.b.dr.: Chagall.

Tavv. 25 e 26 (particolare) – MNMC 226 [1957] – Pastello, inchiostro di china e matita su carta bianca, H 24,4; L 30. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 23 – MNMC 254 [1958] – Pastello e matita su carta bianca, H 19,2; L 28,5. S.r.b.dr.: Chagall. Tav. 96 – MNMC 224 [1957] – Pastello e inchiostro di china su carta bianca, H 51,5; L 67. S.r.b.dr.: Chagall. Tav 106 – MNMC 250 [1958] – Pastello, matita e acquerello diluito su carta bianca, H 28; L 43. S.r.b.g.: Chagall. Tav. 100 – MNMC 227 [1957] – Pastello e olio su carta bianca, H 24,3; L 29,5. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 97 – MNMC 225 [1957] – Pastello e inchiostro di china su carta bianca, H 37,7; L 48. S.r.b.dr.: Chagall.

Tavv. 1 (particolare) e 107 – MNMC 255 [1958] – Pastello, matita e collage su carta bianca, H 32,1; L 42,5. S.r.b.dr.: Chagall.

IL CANTICO DEI CANTICI V

Tav. 109 – MNMC 271 [1965-1966] – Foglio di studio, matita colorata, pastello, carboncino e inchiostro su carta bianca, H 26,5; L 39,4. S.r.b.m.: Chagall.

V Tav. 98 – MNMC 230 [1957] – Pastello e matita su carta bianca, H 24,3; L 30. S.r.b.g.: Chagall.

Tav. 14 – MNMC 256 [1958] – Pastello, acquerello diluito, collage su carta bianca, H 32,3; L 42. S.r.b.dr.: Chagall – Annotazione in russo r.b.dr.

IL CANTICO DEI CANTICI III

Tavv. 21 (particolare) e 99 – MNMC 231 [1957] – Pastello e matita su carta beige, H 28; L 34,8. S.r.b.dr.: Chagall.

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Tav. 9 – MNMC 238 [1960] – Pastello, matita e lumeggiature a guazzo su carta bianca, H 19,2; L 28,4. S.r.b.dr.: Chagall – Riferimento in russo a matita r.h.dr.

Tav. 7 – MNMC 266 [1965-1966] – Pastello su carta bianca, H 19,1; L 28. S.r.b.g.: Chagall.

Tavv. 2 (particolare) e 108 – MNMC 267 [1965-1966] – Pastello e inchiostro di china su carta bianca, H 24; L 32. S.r.b.dr.: Chagall.

Tav. 28 – MNMC 269 [1965-1966] – Pastello e matita su carta bianca, H 32; L 48,2. S.r.b.dr.: Chagall.

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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

1931 1953 1956 1956 1957 1961 1961 1969 1970 1970 1973 1975 1975 1979 1983 1984 1987 1988 1990 1990 1995 2001

CHAGALL Marc, Ma vie, Stock, Paris, 2ª ed. 1957; trad. it. La mia vita, Il Saggiatore, Milano 1960, nuova ed. SE, Milano 1998. CHRIST Yvan, Chagall. Dessins, Mondes, Paris. CHAGALL Marc, Bible. Eaux-fortes originales, commissionata da Ambroise Vollard, Tériade, Paris. VENTURI Lionello, Chagall, Skira, Genève. MEYER Franz, Marc Chagall. Das graphische Werk, Verlag Gerd Hatje, Stuttgart. MEYER Franz, Marc Chagall. Leben und Werk, M. DuMont Schauberg, Köln; trad. it. Marc Chagall. La vita e l’opera, Il Saggiatore, Milano 1962. CABANNE Pierre, DUPONT Jacques, MARITAIN Raïssa, MARQ Charles (a cura di), Chagall. Vitraux pour Jérusalem, catalogo della mostra delle vetrate della sinagoga dell’ospedale Hadassah presso il Musée des Arts décoratifs, Mourlot, Paris. CAIN Julien, Chagall lithographe, 1962-1968, André Sauret, Monte-Carlo. BACHELARD Gaston, Introduction à la Bible de Chagall, in Le Droit de rêver, PUF, Paris; trad. it. Il diritto di sognare, Dedalo, Bari 1974, 2ª ed. 2008. WERNER Alfred, Chagall. Watercolours and Gouaches, Watson-Guptill, New York; 2ª ed. 1977. MARQ Charles, PROVOYEUR Pierre, Musée national Message Biblique Marc Chagall, catalogo della collezione permanente, Réunion des musées nationaux, Paris. CHAGALL Marc, Poèmes, Cramer, Genève. HAFTMANN Werner, Chagall. Gouachen, Zeichnungen, Aquarelle, M. DuMont Schauberg, Köln; trad. it. Marc Chagall. Disegni, acquerelli, guazzi, Silvana, Milano 1976. SORLIER Charles (a cura di), Marc Chagall de Draeger, pref. di Werner Schmalenbach, Vilo, Paris. PROVOYEUR Pierre, Marc Chagall. Messaggio Biblico, Jaca Book, Milano; edito anche in francese, inglese, spagnolo e tedesco. BOZO Dominique, ESTEBAN Claude, MARCADÉ Jean-Claude, PROVOYEUR Pierre, Marc Chagall. Œuvres sur papier, catalogo della mostra presso il Centre Pompidou a Parigi e presso i Musei Capitolini a Roma (1985), Centre Georges Pompidou, Paris. FORESTIER Sylvie, Marc Chagall. Opera monumentale: le vetrate, Jaca Book, Milano, 2ª ed. 1995; edito anche in francese e tedesco. FORESTIER Sylvie, Gli Chagall di Chagall, Jaca Book, Milano; edito anche in francese e tedesco. FORESTIER Sylvie, Catalogue des collections du Musée national Message Biblique Marc Chagall, Nice, Réunion des musées nationaux, Paris. FORESTIER Sylvie, MEYER Meret, Chagall e la ceramica, Jaca Book, Milano; edito anche in francese e tedesco. CRAMER Patrick, Marc Chagall, catalogue raisonné des livres illustrés, pref. di Meret Meyer, P. Cramer, Genève. Musée national Message Biblique Marc Chagall, Nice. Catalogue des collections, Réunion des musées nationaux, Paris 2001 (2a ed.).

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