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«ILSENODI ABRAMO»
greco koimeterion (dal verbo koimaomai, che significa addormentarsi). Il termine designa dunque, letteralmente, il luogo in cui riposano coloro che si sono addormentati, sottintendendo «nel Signore». Ogni cosa è un simbolo. A Roma, i luoghi di sepoltura cristiani collocati in gallerie sotterranee, che molto più tardi verranno detti «catacombe», erano designati dal termine «cimitero», proprio come le sepolture in superficie. All’immagine del sonno si può associare quella del riposo, quies o requies in latino, in uso anche nelle rappresentazioni romane dell’aldilà. I cristiani la riprenderanno. A questo riguardo possediamo un testo molto rappresentativo, anche nel vocabolario, che ritroveremo nella liturgia romana. Si tratta del Quinto libro di Esdra, testo apocrifo dell’inizio del III secolo, tenuto in grande considerazione dalla tradizione latina. Investito da Dio di una missione sul monte Oreb, Esdra dichiara: «A voi che ascoltate e capite, dico: Aspettate il vostro pastore! Vi concederà il riposo della vostra eternità; vicina è, infatti, la fine del mondo e la diminuzione degli uomini. Siate pronti per le ricompense del regno. Brillerà per voi una luce eterna; è preparato per voi un tempo eterno»3 . L’idea cristiana del «riposo» dopo la morte va integrata con l’idea del riposo dello shabbat, il riposo di Dio dopo la creazione. Questo «riposo» non è dunque la semplice tranquillità, ma la partecipazione attiva alla gioiosa beatitudine presso Dio, rappresentata come un banchetto nello shabbat eterno di Dio. Occorre infine precisare che la fede nella resurrezione si accompagna, presso i cristiani permeati di cultura ellenistica, alla fede nell’immortalità dell’anima; le due concezioni, che dipendono da antropologie differenti, hanno fatto talvolta fatica ad armonizzarsi. Ciò spiega le differenze nella rappresentazione della dimora dei beati nell’aldilà.
«ILSENODI ABRAMO»
L’espressione «seno di Abramo» si trova nella parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro, riportata da san Luca: «Il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo» (Luca 16,22). L’espressione, nota al giudaismo rabbinico, corrisponde alla formula biblica che designa la sorte dei giusti dopo la morte: «essere riunito ai propri padri», cioè ai patriarchi, di cui Abramo è tipo; significa giungere alla dimora dei beati. Un’altra parola di Gesù avvalora quest’interpretazione: «Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Matteo 8,11). Il banchetto escatologico fa anch’esso parte delle immagini che solitamente evocano la beatitudine celeste dei giusti (→ Banchetto celeste). Tra i Padri si nota una certa esitazione riguardo al significato da attribuire all’espressione. Tertulliano, che si oppone agli gnostici, i quali disprezzano il corpo e minimizzano la fede nella resurrezione, pensa che il «seno di Abramo», in relazione alle antiche rappresentazioni dell’aldilà, designi il luogo intermedio in cui i giusti riceveranno il riposo ristoratore (refrigerium, «refrigerio»), in attesa
218 I SIMBOLI ESCATOLOGICI 1. Veduta d’insieme della catacomba di via Dino Compagni a Roma.
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