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ILPARADISO

della resurrezione alla fine dei tempi. Per Origene, invece, l’espressione indica il cielo, come luogo della beatitudine finale. Anche sant’Ambrogio vede nel «seno di Abramo» il «rifugio della pace eterna», secondo l’immagine classica che rappresentava la dimora celeste come un luogo di riposo e di pace. È questa l’interpretazione che prevarrà. È noto che le parole pax, «pace», e quies, «riposo», ricorrono spesso negli epitaffi. In questo senso vanno intesi quelli che menzionano il «seno di Abramo», come il seguente: «Ricordati o Dio della tua serva Criside e concedile il celeste soggiorno, luogo di refrigerio nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe»4 . Notiamo infine che l’immagine del «seno di Abramo», piuttosto insolita per i nuovi convertiti dal paganesimo, non sembra aver ispirato gli artisti. È infatti assente dall’iconografia paleocristiana. La più antica rappresentazione, datata al VI secolo, si trova nel manoscritto greco 500 di Gregorio di Nazianzo, conservato nella Biblioteca Nazionale di Francia.

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È la definizione più comune per designare la dimora dei beati. Si conosce la parola che Gesù rivolge al «buon ladrone», secondo san Luca: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Luca 23,43). Si tratta del paradiso celeste, di cui quello terrestre era figura. Il giardino dell’Eden era stato tradotto in greco con paradeisos, che designava un vasto e ameno giardino o, più esattamente, un giardino ornamentale con magnifici alberi e fiori. La sua trasposizione in paradiso celeste si è compiuta nel tardo giudaismo, come si può constatare negli Scritti intertestamentari. Sotto l’effetto delle trasformazioni antropologiche e cosmologiche che abbiamo segnalato, «la dimora dei beati» è stata collocata in cielo. Una valida testimonianza di questo mutamento si trova nello scritto apocrifo detto Libro dei segreti di Enoch o Secondo libro di Enoch, che narra l’ascesa al cielo del patriarca: «Salii nel paradiso dei giusti» racconta, «e là vidi un luogo benedetto e ogni creatura è benedetta, tutti vivono in gioia e in letizia e in una luce senza misura e nella vita eterna»5 . Nel paradiso celeste non si ritrovano solo gli alberi, tra cui l’albero di vita, ma anche i quattro fiumi, simboli anch’essi della vita divina trasmessa agli eletti: «Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi» (Genesi 2,10). La riattualizzazione celeste dell’Eden è ben illustrata nell’Apocalisse: «Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello (...) da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita» (22,1-2). Nei «quattro fiumi» si è visto anche il simbolo dei quattro Vangeli, dato che essi rappresentano la rivelazione della vita divina trasmessa ai credenti. Questa visione del paradiso come un giardino in cui regna la felicità, si ricollega a quella del mondo romano che rappresenta la felicitas, la «felicità», con scene agresti e pastorali in cui uomini e animali vivono in armonia con la natura. A

220 I SIMBOLI ESCATOLOGICI

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