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LADISCESAAGLI INFERI
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1. Le tre donne al sepolcro e l’ascensione di Gesù, pannello in avorio proveniente da Roma, V secolo, Bayerisches Nationalmuseum, Monaco.
2. Ascensione, pannello del portale ligneo (particolare), V secolo, basilica di S. Sabina, Roma.
3. Cristo vincitore sul monte apocalittico dei quattro fiumi, affiancato da Pietro e Paolo, reca la croce gemmata, sarcofago, IV secolo, Museo Pio Cristiano, Città del Vaticano.
LADISCESAAGLI INFERI
A questo punto, è opportuno spiegare un aspetto insolito del mistero pasquale, illustrato dal tema della «discesa di Cristo agli Inferi», tema tradizionale che abbiamo già incontrato in più occasioni, e che viene introdotto intorno all’anno 400 nel simbolo apostolico: «Egli è disceso agli Inferi». La menzione si inserisce tra il riferimento alla morte e al seppellimento di Gesù e quello alla resurrezione e all’ascensione in cielo. Essa deve dunque essere considerata come parte di questo insieme. Questo tipo di rappresentazione, generalmente non compreso dai nostri contemporanei, deve essere collocato nel suo contesto culturale, cosmologico e antropologico. Questo contesto è in primo luogo, e soprattutto, ebraico. «Discendere agli Inferi» è la traduzione di «discendere nello Sheol» o nella «fossa», cioè nella dimora dei defunti. Secondo un primo significato, l’espressione non ha niente a che vedere con la mitologia: è una semplice metafora che indica la morte di un uomo. Corrisponde alla nostra espressione «morto e sepolto». Quando i primi cristiani, nati dal giudaismo, affermano che Gesù è disceso nello Sheol (o nell’Ade, quando si esprimono in greco), intendono semplicemente dire che egli è veramente morto, avendo subito l’esito finale della condizione umana, da lui accettata fino in fondo. La sua morte non è stata apparenza, non più della sua umanità, contrariamente a quello che pretendevano certi eretici. L’espressione in sé appare dunque come un doppione dell’affermazione che la precede nel simbolo di fede: «morto e sepolto». Ciò spiega perché, anche in certi simboli più sviluppati e teologici, come quelli di Nicea o di Atanasio, questa metafora sia stata eliminata in quanto semplice doppione. Tuttavia, la questione è più complessa. Perché la si è conservata nel simbolo apostolico, nei testi liturgici e patristici? Sarebbe troppo semplice individuare la ragione di ciò nel rispetto per una formula tradizionale riconosciuta da tutti. Questa metafora, come tutte le espressioni simboliche, possiede un contenuto significante più ricco dei concetti astratti e realistici di «morto e sepolto». Innanzitutto la metafora ha una duplice valenza, poiché è collegata alla nozione di resurrezione. Se è vero che Gesù è disceso nello Sheol, ne è anche risalito, «si è rialzato dai morti». In secondo luogo, l’espressione tradizionale rimanda a tutto un insieme di rappresentazioni che ha lo scopo di dare conto del mistero pasquale, mistero di salvezza che riguarda tutta l’umanità. Abbiamo ricordato questo punto nodale a proposito della salvezza di Adamo. È necessario delinearlo dall’inizio, tornando al retroterra culturale. A partire da questa espressione metaforica, l’immaginario cristiano ha elaborato una trama articolata, utilizzando gli elementi mistici che accompagnavano la concezione greca dell’Ade. Il regno dei morti, situato nelle profondità della terra, era governato dal dio Ade, da cui prendeva il nome. La letteratura riportava racconti straordinari di eroi che erano discesi nell’Ade: Eracle, Orfeo, Teseo, Ulisse. È in questo contesto culturale che ha preso forma il racconto della discesa di Cristo nell’Ade e della sua vittoria sulle potenze infernali. L’elaborazione del primo testo risale probabilmente al II secolo e si trova nell’apocrifo intitolato Vangelo di Bartolomeo. Si presenta come una rivelazione di Gesù stesso al suo apostolo: «‘Discesi nell’Infero a liberare Adamo e tutti i patriarchi’ (...) Si spezzarono allora le porte di bronzo e le spranghe di ferro. Entrò il Signore, lo afferrò [Ade], lo colpì, ordinò che fosse bastonato, lo legò con catene insolubi-
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li e liberò tutti i patriarchi»10. È un tema ricorrente in tutti i testi antichi. Il più rappresentativo si trova nelle Memorie (o Vangelo) di Nicodemo, un apocrifo del V secolo, che riprende le diverse tradizioni e le rielabora in un racconto pittoresco che otterrà un successo considerevole, arricchendo l’immaginario cristiano per i secoli a venire11. In sintesi, il racconto illustra gli avvenimenti fondamentali: la morte di Gesù, il suo seppellimento, la sua resurrezione e la sua ascensione. Suo scopo dottrinale è mettere in rilievo l’universalità della salvezza. Nessuno lo ha spiegato meglio del vescovo di Lione Ireneo: «Cristo non è venuto solo per coloro che, dai tempi dell’imperatore Tiberio, hanno creduto in lui; e il Padre non ha esercitato la sua provvidenza solo a favore degli uomini del presente ma, senza eccezione, a favore di tutti gli uomini che, dal principio, secondo le loro capacità e nel loro tempo, hanno desiderato vedere Cristo e ascoltare la sua voce»12. Pertanto, ci si può meravigliare che un tema così ben attestato nei testi antichi, perfino nella liturgia eucaristica (sin dalla Tradizione apostolica di Ippolito, § 4), non si trovi illustrato nell’arte paleocristiana. La più antica rappresentazione conosciuta si trova in un affresco (VII-VIII secolo) di S. Maria Antiqua, nel foro romano. Bisogna dire che la crisi iconoclasta in Oriente ha causato la distruzione della maggior parte delle immagini antropomorfiche. È in Oriente, infatti, che l’immagine della discesa di Cristo nell’Ade avrebbe assunto un’importanza considerevole, in quanto immagine della resurrezione, in greco anastasis. In effetti, l’icona dell’anastasis rappresenta la risalita di Cristo vittorioso dall’Ade, mentre tiene Adamo per mano per entrare con lui in paradiso. È dunque anche l’illustrazione del significato mistico della resurrezione: la salvezza di tutta l’umanità.
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1. Ricostruzione dell’affresco che rappresenta la risalita diGesù dagli Inferi, S. Maria Antiqua, Roma. Questo tipo di rappresentazione sarà detto in seguito anastasis (resurrezione) poiché diverrà l’icona classica della resurrezione.
2. La Vergine Maria in atteggiamento da orante, placca in marmo del pluteo, basilica di Saint-Maximin, V-VI secolo, Var, Francia.
3. Maria orante tra Pietro e Paolo, rilievo, vetro dorato, Musei Vaticani, Città del Vaticano.
4. Maria orante con colomba, affresco, cupola della cappella della Pace, necropoli di Bagawat, oasi di Kharga, Egitto.