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1.2 Bullismo e violenza
from Cyberbullismo
by Jon Bove
1.2 BULLISMO E VIOLENZA
«A tutti coloro che oggi imputano la formazione di bande al solo fenomeno delle banlieues3, io dico: certo, avete ragione, la disoccupazione, certo, l’emarginazione, certo, i raggruppamenti etnici, certo, la dittatura delle marche, certo, la famiglia monoparentale, certo, lo sviluppo di un’economia parallela e di traffici di ogni genere, certo, certo… Ma guardiamoci bene dal sottovalutare l’unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempi pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono»4 .
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«Solitudine e senso di vergogna», lo scrittore di libri per ragazzi Daniel Pennac (1944) non poteva scegliere parole più rappresentative di ciò che il ragazzo, in piena crisi adolescenziale, può provare. Tali sentimenti spesso sono vissuti dall’adolescente non solo in relazione alla percezione di sè e della propria identità, ma sopratutto in rapporto con la dimensione sociale. La crisi evolutiva, che può riferirsi ad una perturbazione temporanea del ragazzo, può favorire lo sviluppo di uno stato patologico. In ambito psicopatologico viene infatti
3 Banlieue è un termine francese che indica l'area periferica dei grandi agglomerati urbani.
4 Daniel Pennac, Diario di scuola, 2007.
definita come una fase disequilibrio che può avere un’evoluzione autodistruttiva. Una particolare forma di deviazione relazionale tra pari può essere indicata con il termine bullismo che può essere definito come «un atteggiamento di sopraffazione sui più deboli, con riferimento a violenze fisiche e psicologiche attuate specialmente in ambienti scolastici o giovanili»5. Il fenomeno del bullismo è stato studiato per la prima volta nel 1978 in Norvegia grazie alle ricerche condotte dallo psicologo Dan Olweus (1931-2020) il quale utilizzò questa espressione per definire il comportamento di alcuni studenti che intenzionalmente aggredivano ed escludevano i loro coetanei più indifesi. I paesi scandinavi hanno coniato un vero e proprio termine per definire questo fenomeno, “mobbing” ad oggi utilizzato in gran parte del mondo, il cui significato deriva dalla radice inglese mob che indica “un gruppo di persone implicato in atti di molestie”. Tuttavia, nonostante i primi studi sul bullismo siano stati svolti in anni relativamente recenti, non è opportuno credere che tale fenomeno contraddistingua solamente l’epoca moderna. Infatti, le ricerche svolte dallo studioso, sono strettamente legate alla nascita di una nuova espressione rivolta alla definizione di un comportamento umano che da sempre caratterizza la natura umana. Il bullismo raggruppa forme di violenza e sopraffazione
5 https://www.treccani.it/vocabolario/bullismo/
che vengono commesse tra i coetanei, quasi sempre appartenenti a gruppi, in ambito scolastico. Questa interazione deviata è contraddistinta da tre elementi principali quali, l’intenzionalità, la persistenza temporale e il disequilibrio (o asimmetria nella relazione). Essi sono legati tra loro da un filo conduttore, ovvero quello di un azione recidiva-intenzionale compiuta al fine di arrecare danno alla vittima. Il protagonista dei continui atti di prevaricazione è il bullo il quale, con le sue azioni, mette in atto un comportamento vessatorio nei confronti di un’altro che, a suo malgrado, si ritrova nell’opprimente ruolo della vittima. I bulli assumono atteggiamenti persecutori per il desiderio di dominare il coetaneo sia dal punto di vista fisico che psicologico, il quale spesso presenta una personalità timida e introversa, rendendo incapace la sua capacità di ribellione. Come conseguenza di tale condizione di emarginazione e solitudine i “perseguitati” vivono forti sentimenti di paure e impotenza che può condurli a svalutare la propria identità.
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