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DOSSIER CORONA VIRUS

One Health. Una salute per tutti

Il 21 marzo scorso si è tenuto a Bari il corso in streaming di Educazione e Divulgazione Sanitaria sui Coronavirus – One Health, che ha offerto un taglio interdisciplinare capace di affrontare in modo unitario salute animale e salute umana. Un approccio particolarmente importante soprattutto per fare chiarezza in occasione dell’emergenza da SARS-CoV-2, un virus che ha fatto il salto di specie ed è all’origine della peggiore pandemia dai tempi della Spagnola.

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a cura della Redazione

Il 21 marzo scorso si è tenuto a Bari il corso in streaming di Educazione e Divulgazione Sanitaria sui Coronavirus – One Health, organizzato da Federazione Cisl Medici Puglia e la Federazione Cisl Medici Bari, con il patrocinio e la collaborazione dell’Ordine dei medici di Bari e dell’Ordine dei veterinari di Bari. L’evento, che ha visto la partecipazione da remoto di oltre 1900 tra medici, veterinari ed altri operatori socio-sanitari, ha offerto un taglio interdisciplinare “One health”, cioè capace di affrontare in modo unitario salute animale e salute umana. Questo approccio è particolarmente importante per l’emergenza da SARS-CoV-2, un virus che ha fatto il salto di specie, come spiega Giovanni Albergo, presidente dell’Ordine dei veterinari: “L’ottica, com’è intuibile, è stata quella di una “One Health” territoriale: cioè di un approccio unitario alla domanda di salute collettiva, umana e animale, cui la medicina contemporanea si va uniformando in senso sempre più globale”. “Nei giorni scorsi abbiamo sperimentato, qualora ce ne fosse bisogno, come la comunicazione con i cittadini sia fondamentale per gestire e arginare una pandemia. Mandare il messaggio corretto all’opinione pubblica può fare la differenza. Per questo, oltre che sul fronte degli ospedali, i ricercatori e i medici devono essere in prima linea anche nel diffondere informazioni veritiere e capaci di orientare i comportamenti dei cittadini.” - ha commentato Filippo Anelli, Presidente dell’Ordine dei medici di Bari e della Federazione nazionale degli Ordini dei medici. L’incontro, moderato da Edoardo Altomare, direttore medico Asl Bari ha visto tra i relatori Fulvio Marsilio - virologo veterinario dell’Università di Teramo, Gioacchino Angarano - infettivologo dell’Università degli studi di Bari, Nicola Decaro - infettivologo veterinario dell’Università degli studi di Bari, Michele Quarto - docente di Igiene dell’Università degli studi di Bari e Alessio Lorusso - direttore veterinario dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo. Riportiamo di seguito una sintesi dei temi che sono stati toccati durante il corso.

Il SARS-CoV-2 è un virus che, come molti coronavirus, è in grado di mutare e quindi di adattarsi a specie animali diverse, portando quindi a quei salti di specie che consentono la trasmissione all’uomo.

IL SALTO DI SPECIE

Dato che anche questa epidemia, come già quelle della SARS e della MERS è una zoonosi, Fulvio Marsilio - virologo veterinario dell’Università di Teramo ha descritto il percorso seguito dal virus nel passaggio dall’animale all’uomo. Il SARS-CoV-2 è un virus che, come molti coronavirus, è in grado di mutare e quindi di adattarsi a specie animali diverse, portando quindi a quei salti di specie che consentono la trasmissione all’uomo. In medicina veterinaria i coronavirus sono noti fin dal 1937, quando un agente patogeno di quel tipo fu riscontrato nei polli. Seguirono la scoperta del coronavirus della gastroenterite del suino nel 1946 e quello dell’epatite del topo nel 1949. Successivamente furono riscontrati diversi coronavirus in svariate specie animali come conigli, vitelli, cavalli, furetti, gatti e cani, con sindromi molto differenti e che interessano l’apparato respiratorio, quello gastrointestinale o il sistema nervoso. L’attuale epidemia è arrivata però all’uomo da un animale selvatico, probabilmente direttamente da un pipistrello oppure attraverso un ospite intermedio. Alessio Lorusso, direttore veterinario dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo, ha precisato che dalle prime analisi di sequenza emerge che il genoma del SARS-CoV-2 sia al 97% uguale a quello del pipistrello. Ha inoltre degli elementi in comune con il coronavirus del pangolino, un insettivoro presente in Cina. Sei aminoacidi del SARS-CoV-2 sono diversi dal virus del pipistrello ma sono identici a quello del pangolino, per cui un recente studio pubblicato su Nature ipotizza che si tratti di una nuova variante derivata da un evento ricombinatorio tra i due virus. Il salto di specie è probabilmente stato favorito da alcune caratteristiche dei pipistrelli: • possono vivere in stretta coabitazione con l’uomo, • sono gli unici mammiferi in grado di volare, • compiono migrazioni. Il fatto che l’epidemia abbia avuto origine in Cina è probabilmente legato alla stretta coabitazione tra uomo e specie animali in quel paese, oltre che ad abitudini alimentari e tradizioni gastronomiche che prevedono l’acquisto di animali vivi nei mercati. Mentre gli animali domestici non trasmettono il virus all’uomo, il salto di specie è favorito dall’invasione degli habitat naturali della fauna selvatica da parte delle società più avanzate. Per questo, per combattere epidemie come quella da Covid-19, che potrebbero ripresentarsi anche in futuro, è fondamentale un approccio One health e un maggior rispetto dell’ambiente.

Il periodo di incubazione dell’infezione è in media di 6,4 giorni, una fase in cui gli anticorpi non si sviluppano e in cui quindi tutti i test basati sugli anticorpi sono inefficaci nella rilevazione dei positivi.

LA LETALITA' DEL VIRUS

Nicola Decaro, infettivologo veterinario dell’Università degli studi di Bari, ha ribadito che al momento non siamo in grado di dire se il virus che sta circolando in Lombardia appartenga a un cluster virale più aggressivo rispetto a quello cinese. Sicuramente non è esattamente lo stesso agente patogeno che ha colpito la Cina, perché i coronavirus hanno una grande plasticità genetica e quindi un’evoluzione molto spinta, che li porta a subire processi di ricombinazione del patrimonio genetico e ad accumulare mutazioni. Dal punto di vista genetico il virus isolato in Italia è leggermente diverso rispetto a quello cinese, ma questo non basta per dire che si sia sviluppato un cluster con caratteristiche biologiche e di aggressività differenti. Stiamo parlando infatti di un virus biologicamente molto giovane che probabilmente non ha avuto ancora il tempo di accumulare mutazioni capaci di influire sulla sua patogenicità. La letalità registrata in Lombardia è probabilmente dovuta alla presenza di diversi cluster ospedalieri che sono andati a colpire soggetti fragili, ma anche a un numero di infetti sottostimato dalle fonti ufficiali, come fanno presumere i dati emersi dai tamponi effettuati sulla popolazione di Vò Euganeo, da cui emerge come oltre il 50% dei positivi sia asintomatico. È di questo avviso anche Michele Quarto, direttore del Dipartimento di Igiene dell’Università degli studi di Bari, che ha confermato come il tasso di letalità sia fortemente influenzato dai soggetti asintomatici e sia difficile fare stime in un contesto in cui esistono così tante variabili. Un dato certo è che i coronavirus di solito tendono a diventare meno letali mano a mano che mutano. È successo per esempio al virus della SARS.

A QUANDO IL VACCINO?

Per essere utilizzato su ampia scala sulla popolazione un vaccino deve essere protettivo, ovvero capace di proteggere dalle forme cliniche dell’infezione, e sicuro. Per molte forme di coronavirus in ambito veterinario non si è riusciti ad arrivare a vaccini protettivi, ha puntualizzato Nicola Decaro. Inoltre, nel caso di molti coronavirus animali, con la somministrazione del vaccino si sono creati anticorpi citofili che tendono a veicolare il virus all’interno delle cellule, portando allo sviluppo dell’ADE (Antibody-dependent enhancement), con un peggioramente delle condizioni del paziente. Oggi abbiamo a disposizione potenti tecnologie per lo sviluppo dei vaccini come quella basata sul DNA ricombinante - ha sottolineato Nicola Decaro - ma i tempi non possono essere brevi soprattutto perché l’uso umano richiede diverse fasi di sperimentazione. Inoltre, occorre calcolare i tempi richiesti da una produzione massiccia del vaccino, capace di rispondere alla domanda globale. Per queste difficoltà, Gioacchino Angarano ritiene più utile lavorare alla ricerca di efficaci farmaci antivirali generici, che agiscano sulla replicazione del virus, con i quali si potrebbero ottenere risultati in tempi più brevi per combattere l’epidemia. Finora in ambito veterinario non sono stati sviluppati con successo antivirali per i coronavirus, un dato che sconta soprattutto la mancanza di interesse da parte delle case farmaceuti- che prima dello scoppio della pandemia. Lo sviluppo di farmaci antivira- li generici potrebbe dare una risposta, come ha evidenziato Alessio Lorus- so, anche all’eventuale nascita di nuovi ceppi del virus. Un altro problema legato allo svilup- po di un vaccino efficace è infatti la velocità con cui il virus muta, uno degli elementi che ha inciso sul mancato sviluppo di un vaccino per esempio nel caso della SARS. A questo proposito Fulvio Marsilio ha citato l’esempio del coronavirus della bronchite infettiva dei polli: non è detto che un vaccino usato negli USA sia efficace in Italia, perché a causa delle mutazioni i ceppi possono essere differenti.

QUALI TEST SONO AFFIDABILI?

Alessio Lorusso, direttore veterinario dell’Isti- tuto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo che è impegnato in questi giorni nelle ana- lisi molecolari sui tamponi rinofaringei, ha cercato di fare chiarezza sui diversi test che vengono promossi anche commercialmente in questo periodo di emergenza. Tutti i test molecolari e sierologici per il SARS-CoV-2 sono stati sviluppati in un momento di emergenza, per cui in molti casi non hanno una validazione completa. Poiché non abbiamo dati relativi all’andamento degli anticorpi nel- la malattia, i test sierologici possono essere fuorvianti, mentre il tampone, attraverso il test molecolare, rimane il più affidabile nell’i- dentificazione dei positivi.

HA SENSO AMPLIARE IL NUMERO DEI TAMPONI?

Secondo Michele Quarto non ha senso ese- guire tamponi a tappeto su tutto il personale sanitario perché non rileverebbero i possibili contagi recenti. Meglio invece concentrare i test sui casi più a rischio e affidarsi, per la protezione degli operatori, ai dispositivi di protezione individuale. Un’opinione condivisa da Gioacchino Angarano, infettivologo dell’università degli studi di Bari, convinto che la via più efficace per tutelare i medici passi da un corretto uso dei DPI. Il loro utilizzo è fondamentale per impedire che piccole epidemia ospedaliere, colpendo pazienti anziani e deboli, si trasformino in “vulcani” di infezione sul territorio. Serve quindi una cultura della protezione personale attraverso i dispositivi, che non sempre è diffusa in modo uniforme persino tra gli stessi operatori sanitari e che richiede quindi formazione. Inutili da questo punto di vista anche i test sugli anticorpi: il periodo di incubazione dell’infezione è in media di 6,4 giorni, una fase in cui gli anticorpi non si sviluppano e in cui quindi tutti i test basati sugli anticorpi sono inefficaci nella rilevazione dei positivi. Potrebbero invece essere utili per rilevare i soggetti protetti, ovvero coloro che hanno già sviluppato e superato la malattia. Per garantire la sicurezza è importante, ha evidenziato Michele Quarto, eliminare tutte le zone d’ombra, come l’uso di DPI non a norma o di test non validati. Da questo punto di vista negli approvvigionamenti occorre che le istituzioni sanitarie pubbliche vengano privilegiate.

Lo sviluppo di farmaci antivirali generici potrebbe dare una risposta all’eventuale nascita di nuovi ceppi del coronavirus.

CORONAVIRUS E TEMPERATURE

L’impatto delle temperature sul coronavirus non è ancora chiaro. In generale, come accade con i virus influenzali, la trasmissione dovrebbe avvenire più facilmente d’inverno perché la popolazione sta meno all’aperto e più a stretto contatto in ambienti chiusi. Sulla MERS, per esempio, non incidono le alte temperature, come dimostra l’epidemia in atto dal 2012 in Medio Oriente, con un focolaio importante in Arabia Saudita. Nel caso del virus della MERS però il serbatoio è di origine animale e legato al dromedario con periodici cluster interumani che però si spengono presto perché a differenza del SARS-COV 2, l’agente patogeno non si adatta all’uomo. Anche nel caso della pandemia del 2009 da virus influenzale H1N1 le alte temperature non ebbero impatto, dato che il contagio avvenne a partire dalla primavera.

LE CARATTERISTICHE DELL’INFEZIONE

Le 30mila persone che si sono spostate all’inizio di marzo da nord a sud sicuramente hanno contribuito alla diffusione del virus in Puglia. I sintomi della malattia sono molto variabili e in alcuni pazienti, soprattutto donne e giovani, possono essere blandi. Quale quota di popolazione presenti questo andamento lo potremo capire solo dopo approfonditi studi epidemiologici. La malattia ha 3 fasi di una settima circa ognuna: 1. Malattia simil influenzale 2. Polmonite 3. Gravissima polmonite interstiziale Nella terza fase, il rischio è legato alla reazione immunitaria dell’organismo e allo scatenarsi di una tempesta citochinica. Per questo si stanno usando con successo farmaci immunosoppressori. Ed è probabilmente questo il motivo per cui i pazienti immunodepressi sembrano essere più protetti dallo sviluppo di forme gravi della malattia.

Un altro problema legato allo sviluppo di un vaccino efficace è infatti la velocità con cui il virus muta.

SSN: COME REGGERE ALL ’URTO?

Secondo Gioacchino Angarano, data la conformazione geografica del nostro Paese, stretta e lunga, e dato che l’epidemia si sposta da nord verso sud, una soluzione potrebbe essere quella di unità mobili, come ospedali da campo capaci di spostarsi e seguire l’andamento dell’epidemia.

I sintomi della malattia sono molto variabili e in alcuni pazienti, soprattutto donne e giovani, possono essere blandi. Quale quota di popolazione presenti questo andamento lo potremo capire solo dopo approfonditi studi epidemiologici.

Sulla MERS non incidono le alte temperature, come dimostra l’epidemia in atto dal 2012 in Medio Oriente, con un focolaio importante in Arabia Saudita.

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