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“LU CAFAUSU” il luogo misterioso
testimonianza di un passato vittima della modernità di Alessio Marenaci
Avete mai sentito parlare de “Lu Cafausu”? Al centro, attorniato da grandi palazzi, una piccola struttura di muratura sgretolabile, una specie di pagoda vagamente stravagante, fragile, decadente, quasi in disagio. È come se fosse un luogo alieno, così piccolo e misterioso. Ha da sempre affascinato e incuriosito gli abitanti della piccola cittadina salentina di San Cesario di Lecce e più recentemente un gruppo di artisti che lo ha trasformato in un processo artistico relazionale partecipato. Ma quali sono le sue origini?
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Le ville storiche del Salento sono tipicamente circondate da un piccolo parco, arricchito da statue e sedili in pietra. Ai margini del parco in alcuni casi è possibile osservare una coffe house.
Nascono a partire dal Settecento come padiglioni di ogni foggia, circolari, poligonali o quadrati e rappresentano corredi architettonici fortemente ricorrenti nei giardini delle famiglie più agiate e sorgono spesso al termine dell’asse primario.
La Coffee House diventa così Lu Cafausu in dialetto salentino.
Uno dei più antichi era proprio quello della famiglia Marulli, ma superstite è quello che sorge tra via Carlo e Francesco Barbieri e via Europa. La villa viene distrutta negli anni 70 e la costruzione intorno di nuovi palazzi lo ha reso un luogo fragile. Le auto accostate ai muri che lo circondano, l’indifferenza nella quale si è consumato tra vandalismo e utilizzi impropri lo hanno reso un corpo estraneo e un luogo di straordinarie suggestioni.
Lu Cafausu è metafora di qualcosa che è insieme centrale e marginale, in cui le contraddizioni estetiche si incontrano con i significati (o forse con la mancanza di significato) del nostro tempo. È stato definito “un luogo immaginario che esiste per davvero”.
«Lu Cafausu è territorio d’accumulazione di senso, di svolgimento di senso. Di mancanza di senso. È quello che siamo e non siamo simultaneamente. È ciò che stiamo diventando e quello che siamo “non stati”.»
Queste sono le riflessioni di un collettivo di artisti che nel 2006 ha iniziato a promuovere attività ed eventi intorno all’antica struttura, deturpandolo secondo alcuni, decorandolo parzialmente secondo altri con frasi e metafore al suo interno.
Nasce così nel 2009 la “Festa dei vivi che riflettono sulla morte” che si svolge ogni 2 novembre, un progetto complesso e aperto di Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti e Luigi Presicce, a cui di volta in volta si associano curatori, artisti, cittadini e semplici curiosi.
I cinque artisti-curatori hanno impiantato un’idea di vita e analisi in un luogo misterioso e affascinante che in paese chiamano “Lu Cafausu”: sorta di coffee house di un’antica villa, oggi inesistente, sopravvissuta all’ansia edilizia e che si presenta come un piccolo tempietto ad aula unica, luogo da contemplare anche per la sua storia irrisolta di architettura immaginaria e reale.
La struttura ha ispirato anche artisti locali come il sancesariano Fabio Greco, che lo vede come un luogo strano e incantato, architettonicamente stridente con le moderne abitazioni vicine ma nel contempo attraente. Le sue opere sono così un viaggio in un suggestivo percorso artistico.
L’unica entrata è rappresentata da una porta con un arco ogivale tipicamente gotico. Oltrepassata tale soglia si entra in una dimensione che trascende l’effettivo spazio angusto della struttura. Le coordinate spazio-temporali sembrano annullarsi per trasformarsi in frequenze vibranti.
“Sappiamo che ogni vibrazione tende a far risuonare tutto ciò che risulta in frequenza con essa. Sta alla volontà dell’uomo, però, decidere di varcare la soglia di questa nuova esperienza ed entrare in risonanza con l’universo, ovvero con se stesso. Del nostro essere, la coscienza rappresenta forse l’elemento più scomodo e quasi un impedimento al nostro agire quotidiano, soprattutto nelle relazioni interpersonali. Un dialogo con la nostra coscienza sarebbe forse opportuno per ristabilire un minimo di armonia interiore invece di indirizzare le nostre energie verso l’esterno per giudicare i nostri simili o adeguare la nostra condotta al pregiudizio altrui. Se pensiamo ad un iceberg, Lu cafausu è la punta emersa della coscienza che attende di essere svelata con la consapevolezza dei nostri limiti e fragilità spesso celati per paura di essere troppo vulnerabili”.
La raccolta di dipinti diventa il nucleo di riflessione dell’artista che in “OItre lu cafausu” che lo interpreta come luogo dell’anima. Perché per lui questa strana dissonanza archi- della periferia è soprattutto uno spazio interiore. Lo frequentava da bambino pensando che fosse abitato dai folletti o da esseri soprannaturali e ora lo ve de come una porta ideale verso un altro mondo, quello della coscienza, delle radici, un momento di sosta temporale e fisica per sfuggire al rumore e all’omologazione del presente. In “Coscienza cafausica” immagina una botola invisibile che consente l’accesso ai tre immaginari piani sotterranei del piccolo edificio in un viaggio verso l’interno di se stessi. La pittura ha toni accesi, i soggetti fanno riferimento alle opere delle antiche culture del Mediterraneo, quella minoica e quella greca ma le sue tele sono Bei popolate anche da figure schematiche che sono soprattutto segni dell’omologazione dell’uomo contemporaneo. Quello che l’artista rivela è il bisogno di cogliere l’essenza più profonda delle cose, in una costruzione di spazi metafisici in cui “lu cafausu” è quasi sempre presente.