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In asciutto: aree boscate
Dove la sponda risale al piano di campagna, la presenza del fiume influenza poco l’assetto vegetazionale che spontanemente evolve, senza presenza umana, verso il bosco mesofilo (cioè con fabbisogno idrico medio, rispetto al bosco idrofilo e a quello xerico). Nell’area della pianura piemontese il bosco mesofilo è a prevalenza di farnia (Quercus robur), con rovere (Quercus petraea), frassino maggiore (Fraxinus excelsior), e carpino bianco (Carpinus betulus) quali principali specie accompagnatrici.
Dunque nel progetto di recupero, per la parte arborea massiva, si fa riferimento a queste formazioni arboree, da distribuire secondo impianti non regolari e con una densità media di 800 piante/ha (una ogni 12/13 mq).
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Per un buon risultato almeno la metà
Un caso: Cava Ghiarella a Modena degli impianti è di farnia, poi il carpino e il frassino per almeno il 10% e altre in misura minore: olmo e acero campestre, tiglio, ciliegio selvatico, pioppo bianco.
A completamento dell’associazione vegetale, da impiantare anche successivamente all’attecchimento delle piante arboree, un impianto arbustivo delle essenze in precedenza citate, per almeno il 25 % del totale degli alberi (una densità di circa 200 piante/ha).
Il sesto di impianto per un bosco naturaliforme è privo di geometrie riconoscibili, tuttavia, per facilitare la manutenzione e lo sfalcio nei primi anni, è normale ricorrere a un impianto “a onde” parallele la cui regolarità a piante cresciute non è percepibile ma, mantenendo un intervallo solo erbato di circa 4 metri, consente il passaggio delle macchine operatrici.
Un rimboschimento ormai consolidato del fondo (13.000 mq.) di una cava in asciutto, a circa 15 m sotto al piano di campagna attuale. Nei due anni precedenti all’impianto si inerbì il fondo con erba medica (Medicago sativa L.), per migliorarne le caratteristiche fisiche e agronomiche. L’erbaio al secondo anno fu poi interrato (sovescio), l’area concimata con letame bovino maturo e arata per 50 cm di profondità ed, infine, erpicata. Teli in polietilene nero impedivano la crescita di specie erbacee concorrenti per luce e nutrienti, assicurando una certa umidità del suolo. Il sesto d’impianto (3 x 3 m), scelto al fine di favorire la chiusura delle chiome, limitava ulteriormente la crescita delle specie erbacee concorrenti (contenendo in tal modo anche i costi di manutenzione per gli sfalci). Le piante utilizzate sono delle specie classiche per il bosco mesofilo con aggiunta di salici per le parti più vicine alla falda, e sono state posate per lo più in fitocella, dell’età di 1-2 anni ed altezza di 20-50 cm, per il resto a radice nuda o in forma di talea.
Sopra, schema e realizzazione di bosco mesofilo con sesto di impianto a onde parallele Sotto, bosco planiziale con sesto di impianto naturaliforme ad uno stadio evoluto
In molti casi i programmi di recupero devono ottimizzare i risultati attraverso una strategia di intervento che, fase per fase, media tra l’obiettivo di ottenere una vegetazione climax (cioè, nella fase matura, naturalmente adatta alla situazione geoclimatica locale) e la difficoltà ad ottenere in tempi relativamente brevi tale evoluzione, a partire da suoli degradati. Il primo intervento spesso richiede formazioni vegetali “di colonizzazione” che costituiscono il primo stadio evolutivo della serie di vegetazione che si vuole costituire, che poi vengono accompagnate verso le associazioni vegetazionali più evolute (ed esigenti).
Un metodo efficace per innestare con una certa velocità e naturalezza il processo è quello di impiantare sin dalla prima fase macchie seriali, ponendo in sequenza specie diverse di vegetazione partendo dalle formazioni erbacee situate verso l’esterno e finendo con la formazione boschiva verso l’interno.
Si utilizzano specie arboree in zolla di altezza elevata (circa 2,5 metri) al centro della formazione e di taglia minore, fino a piantine di 40-60 cm al margine della formazione; lo stesso per le specie arbustive (tra i 150 e i 40 cm), in modo da ottenere effetti di questo tipo:
Una nota specifica occorre per gli interventi di valorizzazione della vegetazione spontanea preesistente, che per lo più, nella parte mesofila, è ridotta a minimi termini per la pressante incidenza dell’agricoltura, che sgombra le piante improduttive. Non dovunque va mantenuto ciò che resta di non coltivato. Infatti, a parte rari casi di esemplari arborei importanti, lasciati nel campo proprio per il loro portamento, le macchie alberate sono spesso infestate dalla Robinia pseudoacacia e da varie specie alloctone del sottobosco, che vanno contenute, limitandone la diffusione con decespugliamenti sistematici e viceversa densificazioni con piante autoctone, ove risultino parti più rade.
Infine, la gestione naturalistica del bosco impone di lasciare sul terreno parte della piante abbattute che costituiscono rifugio per la fauna selvatica (per rettili, piccoli mammiferi), alimento per insetti xilofagi e quindi appoggio di biodiversità e di stabilità delle catene ecologiche locali.
Esempi di recupero e rinaturalizzazione con inserimento di macchie seriali