Riqualificazione e valorizzazione dei laghi di cava - Parte 1

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Riqualificazione e Valorizzazione dei Laghi di Cava a

cura di Paolo Castelnovi

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Riqualificazione e Valorizzazione dei Laghi di Cava

Pubblicazione a cura di: Paolo Castelnovi con la collaborazione di: Sergio Bongiovanni, Teresa Corazza, Patrizia Franco, Daria Pizzini

Immagini di copertina: Renzo Ribetto, Luca Valente

Stampa: Nuova Stampa - Revello (Cn) - www.nuova-stampa.net

Finito di stampare: Maggio 2013

Nell’ambito del progetto di cooperazione transfrontaliera italo-francese “Risorsa Monviso”, inserito nel più ampio Piano Integrato Transfrontaliero (PIT) “Monviso: l’Uomo e le Territoire” coordinato dall’Ente Parco del Po Cuneese con il Parc naturel régional du Queyras, l’Ente Parco ha voluto affrontare, tra i molti temi, anche la tematica delle cave esistenti lungo il corso del Po.

Grazie al Piano d’Area del Po, approvato dal Consiglio Regionale nel 1995, si è attivato in questi anni un percorso virtuoso di collaborazione fra Regione, Ente Parco e gli imprenditori che operano nel settore di estrazione dei materiali litoidi.

Questa pubblicazione ha il pregio di affrontare, in modo organico, tutta la tematica del ripristino ambientale delle cave a partire dall’inquadramento nella pianificazione territoriale, illustrando gli interventi effettuati e le “buone pratiche” per quelli futuri, con l’intento di descrivere al lettore quale sarà l’assetto finale dei luoghi di estrazione, nel momento in cui tutti gli interventi di riqualificazione saranno completati.

Non dobbiamo dimenticarci che, nei prossimi anni, molte delle zone in oggetto, completato il loro ciclo produttivo, saranno affidate in proprietà all’Ente Parco, a cui spetterà la gestione per un utilizzo collettivo; una sfida difficile dal punto di vista gestionale, ma anche affascinante e sicuramente con grande beneficio per i cittadini.

E’ con piacere, infine, che ringrazio, fra gli altri, gli Imprenditori che gestiscono le cave lungo il territorio di nostra competenza, per la collaborazione e la disponibilità dimostrata negli anni e in particolare nella realizzazione della presente pubblicazione, nonché il Settore Regionale che si occupa da sempre del tema del recupero ambientale delle cave, con grande competenza e professionalità.

Le cave di sabbia e ghiaia, in Piemonte presenti soprattutto nella pianura alluvionale, necessitano un approccio gestionale in grado di conciliare le esigenze di tutela del territorio e dell’ambiente con quelle socioeconomiche della produzione di materie prime minerarie.

Questi obiettivi, che rappresentano un irrinunciabile interesse pubblico, giustificano un intervento di programmazione che si realizza attraverso il coinvolgimento di più soggetti attuatori (Regione, Enti Parco, Comuni e cavatori).

Il recupero e il percorso di rinaturalizzazione delle cave nelle aree fluviali protette, tema di questo libro, dimostrano come questa tipologia di interventi consenta, un deciso miglioramento sotto il profilo ambientale e una maggior fruizione e riutilizzo pubblico delle aree.

La Regione Piemonte, da decenni, conduce il percorso di riqualificazione delle cave secondo delle ‘buone pratiche’, in linea con quanto avviene nel resto dell’Europa, avendo come principale obiettivo la restituzione al territorio e alla collettività di aree in equilibrio dal punto di vista agro forestale e fruibili da parte pubblica.

Le ricche e numerose illustrazioni di questo libro descrivono nel dettaglio il lavoro condotto in questi anni e permettono al lettore di poter vedere i risultati raggiunti che, in stretta correlazione con le diverse caratteristiche ambientali dell’area fluviale del Po si stanno concretizzando anche nel restante territorio della fascia fluviale.

Ritengo pertanto che l’opuscolo possa fornire un contributo importante, soprattutto dal punto di vista conoscitivo e informazione, sul percorso di realizzazione di cave realmente sostenibili.

Gian Luca Vignale (Assessore al Personale e organizzazione, modernizzazione e innovazione della P.A., parchi, aree protette, attività estrattive, economia montana)

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9 INTRODUZIONE 8 1. IL TERRITORIO 10 2. IL FIUME Storia geologica e umana 16 La tutela ambientale 28 Attività estrattive lungo i fiumi 36 3. BUONE PRATICHE DI PROGETTO E INTERVENTO Il piano e i progetti 38 Il processo produttivo 40 Interventi di naturalizzazione 42 Il disegno dei laghi In asciutto: praterie e cespuglietti In asciutto aree boscate Le fasce spondali e le zone umide Interventi specifici per la fauna Interventi per la fruizione 62 Accessibilità e percorsi Fruizione dei laghi di cava Birdwatching: gli osservatori Strutture per la didattica e la fruizione Il paesaggio delle attività produttive La gestione delle aree recuperate
ESTRATTIVE NELLA PIANA DI SALUZZO: I PROGETTI, LA STORIA Cava Bastie 78 Cava Laurentia 84 Cava Fontane 90 Cava Falè 96 Cave esterne al Piano d’Area 102
PRATICHE DI RIQUALIFICAZIONE: CASI ITALIANI E FRANCESI Parco fluviale Isola Giarola 108 Polo Ecologico del Forez 110 Parco etnografico Bosco di Rubano 112 Sito di Bernières-sur-Seine 113 Bibliografia e riferimenti
4. LE ATTIVITA’
5. BUONE

La prima piana del Po, da Saluzzo a Torino, ha tutte le caratteristiche del resto della pianura padana, con una cosa in più, poco appariscente ma importante: riposa sul miglior giacimento di ghiaie d’Italia, il più ricco e soprattutto ottimo per la qualità produttiva. Non per caso una ventina di importanti attività estrattive si sono situate lungo quel tratto di fascia fluviale, e la loro attività negli ultimi vent’anni, in parte condizionata dalla “convivenza” con gli enti di gestione dell’area protetta, è argomento interessante di un racconto e di una riflessione, che in questo libretto si comincia a delineare.

Il soggetto del racconto è l’impresa collettiva che risulta come prodotto, solo in parte consapevole, del lavoro (in parte contrastante e in parte convergente) di molti uomini, delle loro istituzioni e delle loro aziende, strette in una relazione che in una prima fase sembrava costrittiva, ma che si sta dimostrando nel tempo proficua e sostenibile. È l’impresa che in vent’anni ha condotto le attività estrattive in acqua da un ruolo “corsaro”, di profitto a scapito degli equilibri ambientali e della sicurezza idraulica del territorio, ad una funzione di sostegno, fondamentale per le strategie della rete ecologica regionale e della valorizzazione del fiume. La riflessione che consegue al racconto porta da una parte ad individuare le prospettive per migliorare gli effetti di questa alleanza, da estendere nello spazio e soprattutto nel tempo, e dall’altra a proporre queste storie d’impresa come modello di buone pratiche procedurali e imprenditoriali, da riprodurre in altri contesti, con le adeguate differenze, ma alla ricerca di risultati analoghi.

L’occasione di un approfondimento sul tratto del Po saluzzese, da raccontare ad un lettore non tecnico e non conoscitore in dettaglio delle situazioni, rivela un mondo complesso, in cui emergono i fattori culturali che sono stati alla base delle innovazioni di progetto e di atteggiamento degli operatori, pubblici e privati: una lettura della specificità dei luoghi, in cui si inseriscono tecniche e processi

produttivi molto standardizzati. La capacità di valutare le caratteristiche (sia in termini di risorse che in termini di debolezze e criticità) dei contesti in cui si sviluppa l’attività estrattiva costituisce una parte rilevante della qualità dei progetti. Nei progetti si deve riuscire a indirizzare una pratica operativa piuttosto rigida, finora indirizzata solo alla produzione di inerti, ad obiettivi ogni volta sfaccettati, che riguardano risorse ambientali molto delicate, paesaggi trascurati da valorizzare, reti di relazioni territoriali da ricostruire;

una capacità di inserimento, nei progetti, di attenzioni non solo per gli aspetti

ambientali (il rispetto e la valorizzazione dei fattori fondamentali delle riserve, dei sic, etc.), ma anche per quelli paesistici e culturali. L’attrattiva dei luoghi

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è IntroduzIone

connessa ad un insieme di offerte variate, che solo nel loro insieme possono generare un effetto di rete per itinerari turistici. E sulla potenzialità turistica si può costruire uno sbocco allo sviluppo locale integrativo all’attività estrattiva, attivando una dinamica simile a quella che si è delineata per le attività agrituristiche: pensate inizialmente come complemento dell’attività agricola, e diventate via via sempre più incisive nel quadro produttivo dell’azienda stessa;

un’attenzione agli aspetti di processo, di gestione, di attuazione nel periodo • lungo e lunghissimo. Le attività estrattive sono tra le uniche, insieme a quelle dell’agricoltura specializzata, che sono abituate a mirare a risultati che si consolidano nel lungo periodo. Con quel tipo di imprenditori è possibile concordare su progetti venti o trentennali, in cui la capacità di organizzazione stabile e sostenibile deve essere posta al centro del progetto e del convenzionamento pubblico-privato. Con programmi di lungo periodo è più facile impegnarsi in equilibri di fattibilità e di sostenibilità degli interventi, e dall’altro ricercare una compatibilità permanente tra attività produttiva e qualificazione ambientale e paesistica.

Questa è solo una delle regole che, nel piano del Parco, definiscono i termini delle convenzioni per il proseguimento dell’attività estrattiva, e che sono state imposte ai cavatori della fascia fluviale del Po.

Solo così si è superata la prima generazione di convenzioni, ancora viva in molti territori della Regione, per cui l’attività di recupero si attua solo a cava cessata, con il rischio che non si realizzi mai, e comunque con un rinvio lunghissimo dei benefici collettivi degli interventi. Dai validi risultati che si stanno raggiungendo dentro l’area protetta sembra conveniente e forse d’obbligo (almeno per assicurare un equilibrio di mercato) assumere come modello quel tipo di procedure, di progetti e di modalità gestionali, estendendole a tutti i territori, anche non protetti. Ormai cominciamo a vedere gli effetti delle attuazioni dei recuperi previsti nelle convenzioni delle aziende estrattive, e verifichiamo che quegli interventi sono praticamente gli unici ad avere prodotto risultati significativi per la qualificazione ambientale dei territori di pianura negli ultimi 20 anni.

Infatti agli interventi di sistemazione naturalistica derivanti dalle attività estrattive si devono gli unici lembi di rete ambientale lungo i fiumi, in assenza del contributo delle politiche agrarie (di cui pure sono disponibili norme nella PAC, ma non si contano buone pratiche sufficientemente testate e condivise), in assenza di attenzione da parte dell’urbanistica, che della parte rurale si occupa solo per limitare gli usi non agricoli, lasciando alle infrastrutture o all’agricoltura mano libera, di alterare il paesaggio o di costruire in modo casuale attrezzature “rurali” sempre più simili a capannoni industriali.

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1.

Il terrItorIo

Il Po termina il suo percorso montano sfociando sul “terrazzo” di Saluzzo, circondato dalle prime dolci pendici montane, con uno scenario di fondo dominato dal massiccio del Monviso.

L’ambito costituisce lo sbocco baricentrico di tre valli, incise dal Po, dal Bronda e dal Varaita, più a sud. Strutturano il paesaggio, oltre agli sfondi montani, i riferimenti visivi alla media distanza, costituiti sia dai castelli sui rilievi sia dal centro storico di Saluzzo, disposto sul vertice settentrionale del basso rilievo che separa la valle Bronda dalla piana.

Il terrazzo di Saluzzo si presenta come una piana con caratteri del paesaggio agrario propri, grazie alla prossimità con la città, che ha ridotto il processo di abbandono delle terre e ha consolidato il ruolo della frutticultura, rilevante a livello regionale, valorizzando in questo modo terre evolute su conoidi accumulatesi allo sbocco delle valli alpine e sui terrazzi immediatamente sottostanti.

I due alvei alluvionali racchiusi in questo ambito di paesaggio, quello del Po a nord di Saluzzo e quello del Varaita tra Verzuolo e Costigliole Saluzzo si presentano poco depressi nella pianura, con deboli scarpate che li separano dal piano del terrazzo.

Nella fascia fluviale dominano le coltivazioni prevalenti nella pianura cuneese, con alternanza di mais e pioppo, mentre i corsi d’acqua sono solo orlati, e non in modo continuo, di alberature idrofile.

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La storica polarizzazione di Saluzzo, sede della corte dell’antico marchesato autonomo fino alla annessione sabauda all’inizio del 17° secolo, si estende ad un sistema territoriale che è organizzato a corona sul capoluogo.

La piana fertile è insediata con ricche cascine e nuclei rurali minimi ma di antica formazione, segnata ai bordi da una corona di centri fortificati (Envie, Revello sulla fascia pedemontana; Torre S.Giorgio, Scarnafigi, Lagnasco a est).

A nord di Revello sorge l’Abbazia cistercense di Staffarda, che ebbe grande importanza nella bonifica delle terre paludose o incolte. Il complesso abbaziale, del tardo ‘300, è connesso con grandi tenimenti, in parte tuttora boscati, costituendo un bene naturalistico raro in un piana intensamente coltivata: una stepping stone isolata della rete ecologica che ha un’asta principale lungo il Po.

I progressivi irrobustimenti del sistema stradale, sino al recentissimo potenziamento della SS.589, che collega Saluzzo a Pinerolo, hanno aumentato la domanda insediativa, soprattutto per le attività produttive, che necessitano di una buona accessibilità per le merci e le lavorazioni, e l’area pedemontana è stata progressivamente interessata da urbanizzazioni lineari.

Il capoluogo, dopo l’espansione tra XIX e XX secolo al piede del versante su cui si è storicamente costruito il nucleo centrale, si è sviluppato recentemente con insediamenti residenziali e impianti produttivi e

terziari soprattutto lungo la direttrice pedemontana verso Manta, con episodi di alto impatto visivo, rilevante dai punti panoramici collinari. In ogni caso, l’insediamento lineare pedemontano sta distruggendo l’organica relazione dei centri posti sul primo rilievo rispetto alla strada di bordo, e da alcuni anni si stanno occludendo anche le possibilità di fruizione continua della piana agricola a est del Varaita.

Sui rilievi progredisce, anche se con una certa lentezza, l’abbandono degli insediamenti isolati e delle coltivazioni e cresce il bosco, soprattutto nelle parti meno soleggiate.

Nella piana progredisce la distruzione del tessuto agricolo storico dovuta in parte allo sfruttamento intensivo degli impianti di frutticoltura, in parte alla coltura del mais, che è di fatto è la prima causa di banalizzazione del paesaggio, cancellandone i segni naturali e storici: dislivelli, vegetazione lineare lungo i piccoli corsi d’acqua, siepi di confine, filari.

Anche il paesaggio percettivo si è impoverito, con la scomparsa della fitta trama di filari che orlavano strade e canali, o con l’introduzione di specifiche modalità colturali: al paesaggio fiorito della frutticoltura di rosacee si sta sostituendo il kiwi, che non fiorisce; si stanno utilizzando in modo generalizzato le reti antigrandine per la protezione dei raccolti, che creano un impatto visivo simile a quello delle serre.

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La bassa Valle Po vista da Pian Munè (foto: De Casa)

Il Piano paesaggistico regionale, in corso di approvazione, è l’unico strumento di governo del territorio che, pur ad una scala molto ampia e quindi sommaria, legge, tutela e valorizza gli aspetti qualitativi (e per contro affronta quelli critici) dell’intero contesto ambientale e culturale, con un’ottica omogenea, derivata da un’indagine integrata multidisciplinare, che ha investito gli aspetti geomorfologici, ecologici, agronomici, storico-culturali, semiologici e percettivi del paesaggio.

Il territorio è stato suddiviso in ambiti caratterizzati, e la piana di Saluzzo, con il primo tratto di pianura del Po è compresa nell’ambito 47 (Saluzzo). La cartografia di piano, qui riprodotta per l’ambito, evidenzia una struttura del paesaggio in cui emergono alcuni aspetti caratterizzati:

l’importanza delle fasce fluviali (sia del Po che

degli affluenti), in azzurro in carta), a cui si accompagnano numerosi corsi d’acqua minori, trascurabili per gli apporti idrici ma potenzialmente significativi nel segno sinuoso della pur ridotta fascia vegetata;

la relazione sistematica tra i centri “rivieraschi”

storicamente consolidati (segnati con quadratino), a partire da Saluzzo (l’unico che ha una localizzazione pedemontana) a Moretta, a Cardè, Faule e Casalgrasso, allineati lungo percorsi storici frequentemente attraversanti i fiumi;

il ruolo d’eccellenza dell’ambito di paesaggio • storico in sinistra Po sino a Cavour, caratterizzato dall’Abbazia di Staffarda e i suoi tenimenti e dall’ordinamento medievale delle coltivazioni di bonifica intorno a Cavour (in tratteggio rosso);

il diffuso interesse agronomico del paesaggio • coltivato, connotato storicamente da filari lungostrada e da ordinamenti colturali variegati (vite, frutta) (il tratteggio verde rado) e la ricchezza di cascine di interesse storico, in particolare nell’intorno immediato di Saluzzo (i rombi rossi).

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Piano Paesaggistico Regionale. Tavola P.4.5. Componenti paesaggistiche

2. Il FIume

Storia geologica ed umana

Il Po rallenta la sua corsa progressivamente, uscendo dalla valle montana. Convenzionalmente si assume che inizi il percorso di pianura all’altezza di Martiniana, dove a nord termina il contrafforte della valle e si riduce la pendenza del conoide, sfociando sul terrazzo di Saluzzo. Dalla relazione di accompagnamento del Piano di assetto idrogeologico: “Nel tratto Martiniana Po-Staffarda la morfologia dell’alveo, è caratterizzata da un letto largo, a canali intrecciati, molto instabile; nell’area golenale si hanno canali secondari abbandonati sia in destra che in sinistra. Le caratteristiche prevalenti sono quelle di un alveo torrentizio con accentuati fenomeni di trasporto solido anche connessi alla formazione di banchi e/o isole. Verso la parte finale del tratto il corso d’acqua assume caratteri di transizione tra alveo torrentizio e alveo fluviale e cominciano per tratti opere di difesa spondale. La sezione ha geometria molto variabile, con larghezza mediamente compresa tra 20 e 100 m e profondità modesta (1.5-2.0 m); diventa maggiormente incassata, restringendosi, man mano che si procede verso il ponte della SS 589, in prossimità dell’Abbazia di Staffarda. Nel tratto tra Staffarda e confluenza Pellice l’alveo è monocursale sinuoso, con tratti a tendenza meandriforme; in prossimità dell’immissione del Pellice vi sono diversi meandri fortemente

irregolari, con una maggiore instabilità. La golena è interessata da numerosi paleoalvei, sia in sinistra che in destra. I processi erosivi di sponda sono di entità relativamente modesta a eccezione della zona di confluenza del Pellice. La geometria è piuttosto regolare, con larghezza media di 3040 m e profondità di 4-5 m. Le opere di difesa spondale sono limitate alla protezione di alcune infrastrutture viarie e delle curve più pronunciate. Nel tratto successivo l’alveo è monocursale meandriforme fino alla confluenza del Varaita, caratterizzato da una marcata instabilità parzialmente controllata da difese spondali, in particolare immediatamente a valle della confluenza del Pellice, confermata dalla rapida evoluzione a cui sono andati soggetti i meandri (vedi la pagina seguente, con le riproduzioni di carte IGM 1880 e 1960, da cui emerge il movimento dei meandri nel tratto di Po riquadrato nella carta a fianco). La sezione si mantiene di dimensioni pressoché uniformi, con larghezza compresa tra 60 e 100 m e profondità di 5-7 m. A valle dell’immissione del Varaita (Casalgrasso, Pancalieri) l’alveo diventa prevalentemente rettilineo, a seguito del taglio artificiale di numerose anse e meandri attuato nel secolo scorso, per allontanare il corso d’acqua dai centri abitati. La sezione ha una geometria abbastanza regolare; con quote di fondo vincolate da una briglia a valle del ponte di Casalgrasso.”

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corso d’acqua porto ponte

2007

[Ortofoto Geoportale Naionale, volo 2007]

1991

[Carta tecnica Regionale, 1991]

1960

[Carta IGM - Impianto storico, 1955 - 1969]

1854

[Carta Degli Stati Sardi in Terraferma di Sardegna, 1854]

1816

[Gran Carta degli Stati Sardi in Terraferma, 1816-1830]

Paleoalvei

Divagazioni del Po 1816-2007 leggibili attraverso il confronto tra carte storiche

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Fascia A del PAI Fascia B del PAI Fascia C del PAI

Divagazioni del Po e del Pellice alla confluenza, confronto tra carte IGM 1880 e 1960

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Le variazioni planimetriche dell’alveo del Po possono essere ricostruite mediante un esame della documentazione cartografica apparsa in questi ultimi due secoli.

I primi documenti in grado di consentire una certa ricostruzione dei tracciati fluviali sono costituiti dalla “Carta degli Stati Sardi di Terraferma”, alla scala 1:50.000, redatta dall’esercito regio nel primo quarto del XIX secolo. Comunque una sufficiente precisione, che assicura la confrontabilità di diverse carte, si ottiene solo dopo l’Unità d’Italia: a partire dal 1880 l’IGM pubblica la cartografia topografica ufficiale, in scala 1:25.000.

L’IGM ha aggiornato sistematicamente le proprie carte, per la serie diacronica qui sovrapposta a quella del 1880 si è scelta la carta dei primi anni ’60 del ‘900, riportando i tracciati sulla base della Carta tecnica regionale (CTR) dei primi anni ’90, e completando la serie con il tracciato degli alvei desunto dall’ortofoto disponibile presso il Geoportale nazionale, del 2007.

La carta inquadra il Po e le confluenze con il tratto terminale del Fiume Pellice (affluente di sinistra) e del Varaita (di destra). Come risulta evidente nel tratto il Po è incassato e non ha energia sufficiente per imporre

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2007 [Ortofoto
2007] 1991 [Carta
1991] 1960 [Carta IGM
1955 - 1969]
Geoportale Naionale, volo
tecnica Regionale,
,

pesanti divagazioni, che invece caratterizzano il tratto terminale del Pellice, e di conseguenza il fiume maggiore nei primi chilometri dopo la confluenza.

Dal confronto tra i diversi assetti degli alvei nel tempo risultano chiaramente i segni che i movimenti dei fiumi lasciano sul terreno, costituendo un ambito lineare, che coinvolge una fascia ampia, ben maggiore di quella costituita dagli attuali alvei. Il paesaggio della fascia fluviale è caratterizzato dalla presenza di elementi curvilinei, ben distinguibili quando sottolineati da alberature, che sono i segni relitti ma ancora leggibili dei paleoalvei (le linee

curve in verde), anse una volta percorse dal fiume.

La fascia fluviale è priva di insediamenti, poco percorsa da infrastrutture che non siano connesse alle attività spondali o ai transiti obbligati, con ponti o traghetti.

Il tratto d’alveo rettilineo, a valle della confluenza del Varaita, è frutto di un allineamento, voluto nella prima metà dell’800, per assicurare dalle alluvioni il Ponte di Casalgrasso.

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1816
1880
[Gran Carta degli Stati Sardi in Terraferma, 1816-1830] Paleoalvei
[Carta IGM , 1880]

Infatti più il corso d’acqua è rettilineo e preme meno sulle sponde laterali. Ma dove il fiume non è confinato artificialmente, l’energia diversamente distribuita delle acque e la diversa resistenza dei terreni facilitano i cambiamenti di direzione, in prima fase casuali, e poi segnati da incisioni sempre maggiori. Nelle curve di cambiamento di direzione, la forza centrifuga della corrente è maggiore verso l’esterno, con il risultato di erodere la sponda, mentre si depositano limi e ghiaie all’interno, dove la velocità è minore. Quindi i meandri comportano naturalmente una progressiva erosione nei punti più fragili, fino al “salto”, che comporta un nuovo allineamento del corpo idrico, con maggiore energia, e quindi lo spostamento della pressione più a valle, a formare nuove sinuosità.

Il salto di meandro fa passare la maggior parte del corpo idrico lungo il

nuovo percorso, più breve e quindi più pendente, provocando nell’ansa abbandonata dalla corrente un progressivo impaludamento: la formazione di lanche che nel periodo di 50/70 anni si riempiono e vengono infine utilizzate a scopi agricoli, residuando solo la forma curvilinea della sponda antica (i paleoalvei evidenti lungo la fascia).

E’ evidente che l’ampia fascia laterale all’alveo, percorsa dal movimento recente dei meandri ospita i depositi alluvionali più accessibili dal piano di campagna, pur insistendo su un “materasso” di ghiaie di profondità omogenea, del tutto simile a quello che si registrerebbe scavando direttamente in alveo. Questo spiega la disponibilità a rilocalizzarsi lungo la fascia delle attività estrattive, allontanate qualche decennio fa dall’alveo, per la pericolosità delle alterazioni di quota lungo il percorso delle acque vive.

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La formazione delle lanche provocate dai salti di meandro

I confini comunali, quasi sempre secolari, sono collocati sull’andamento del fiume in epoche passate e rivelano oggi l’ampiezza della fascia di divagazione dell’alveo, contrappuntati dai piloni votivi e dalle cappelle, tradizionalmente poste sul primo contrafforte

non toccato dalle inondazioni, quasi a segnare il bordo delle terre abitabili, ancora verificato, alla luce delle recenti alluvioni catastrofiche, e quindi il fronte delle terre “di mezzo” non più del fiume e non ancora completamente dell’uomo.

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Stralcio Carta Topografica degli Stati in Terraferma di S.M. di Sardegna, Corpo Reale dello Stato Maggiore, 1854

Infatti le aree abbandonate dal fiume si interrano lentamente. In una fase di grande interesse per la biodiversità e di nessun interesse per le attività umane le zone umide si coprono di vegetazione spontanea e vengono prima colonizzate da coltivi, a basso reddito (in

particolare pioppete), per la bassa fertilità e la troppa umidità della cotica superficiale, mentre si integrano pienamente con il resto della piana solo nel secolo successivo. Continuamente percorse da processi trasformativi potenti, tra uomo

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e natura, le fasce fluviali sono storicamente poco interessate da processi insediativi stabili. Era comunque necessario dotare di attrezzature per lo scavalco del fiume le vie di comunicazione che collegavano i centri maggiori (tutti in sicurezza, sui terrazzi argillosi pedemontani o sui loro relitti di “vauda”).

Dove la strada intercettava un fiume trovando un sito favorevole per la posizione e la potenza delle acque, si predisponevano passi da guadare. Dove la potenza delle acque riduceva troppo il periodo sicuro per i guadi, come lungo il Po, erano attrezzati traghetti (e i relativi attracchi, chiamati “porti”).

Le tracce dei “porti” sono spesso ancora leggibili e in alcuni casi gli attracchi sono ancora utilizzabili. Un traghetto tipo “era formato da due barche accostate o da una sola,

grande, sulle quali veniva costruito un impalcato con una baracca. L’ancoraggio era effettuato tramite un pilotto di legno piantato al centro del corso del fiume, al quale era legata una corda collegata alle baracche del porto sull’una e l’altra riva. Una barca sussidiaria, più piccola, veniva posta a metà del tiro di corda” [dal museo civico di Carignano]

Dove l’importanza della strada imponeva una transitabilità permanente, si sono realizzati ponti, prima in legno, poi, in muratura, in modo diffuso solo a partire dal secolo XIX. In questo periodo talvolta si interviene pesantemente sul fiume, come accade a Casalgrasso per la strada militare, assestando e rettificando l’alveo a monte e a valle, per garantire la sicurezza e la durabilità del ponte.

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Il porto e il traghetto di Pancalieri ai primi del ‘900 (Archivio privato)
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Carta Topografica [...] 1854, con indicazione delle strade di collegamento principali e secondarie, dei punti di attraversamento dei corsi d’acqua (porti, guadi, ponti) e dei boschi

La tutela ambientale

La Regione Piemonte protegge con un Parco l’intera asta del Po che interessa il suo territorio, sin dal 1990. Nel tratto di pianura il Parco istituito ha interessato una fascia fluviale abbastanza ampia, per lo più confinata dai segni dei paleoalvei che definiscono il campo di gioco della sinuosità “recente” del fiume. Alla fascia fluviale si sono aggiunti i limitrofi tenimenti dell’Abbazia di Staffarda, con significative parti boscate, che costituiscono l’ultimo relitto dei vasti boschi planiziali del terrazzo (lontani dal fiume) ormai da molto tempo sostituiti da coltivi o frutteti.

Nell’area protetta regionale ricadono i Siti di interesse comunitario (SIC), selezionati nell’ambito del progetto europeo Natura 2000 per specifiche situazioni (le confluenze degli affluenti: Bronda, Pellice, Varaita), o endemismi (Boschi e chirotteri a Staffarda) classificati di interesse regionale (SIR). Ad oltre 20 anni dalla sua istituzione, l’area protetta del Po cuneese (come tutte le altre aree protette regionali) è stata inserita entro la rete ecologica, con L.R.26/2009. Ai fini della protezione della natura e della funzionalità della rete ecologica, la legge distingue diversi tipi di zone da proteggere: parchi naturali e riserve, naturali o speciali, identificate con una severa selezione tra le aree che effettivamente presentano oggi aspetti di qualificazione ambientale che le rendano “core

area” ai fini della rete ecologica. Le Riserve naturali che nella legge regionale si sono identificate corrispondono ai SIC nelle fasce di confluenza fluviale, già classificati con Natura 2000. Oltre ad essi sono classificati come riserva un tratto di Po in località Paracollo (comuni di Revello e Saluzzo) e l’area estrattiva Fontane, in recupero ambientale (comune di Faule e Pancalieri), come illustrato dalle schede riportate di seguito. Inoltre si sono identificate come Zone naturali di salvaguardia, le parti delle aree protette preesistenti che non sono state classificate come parchi naturali o riserve. Una successiva sentenza della corte costituzionale ha bocciato la possibilità di definire le aree naturali di salvaguardia (in cui la legge regionale ammette la caccia) come una delle tipologie di zone facenti parte delle aree protette. Quindi ad oggi, data la illegittimità della definizione delle aree di salvaguardia, le aree protette regionali si limitano alle parti definite riserve (naturali o speciali) e ai parchi naturali, mentre le rimanenti parti istituite come aree protette negli anni precedenti il 2000 sono considerate Zone contigue all’area protetta, sottoposte ad un blando regime di attenzione e di promozione di attività di qualificazione da parte dell’ente Parco. E’ comunque fatta salva l’osservanza di piani ambientali o d’area, che continuano ad essere vigenti, come quello per le aree protette della fascia fluviale del Po.

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riserve naturali (ente di gestione aree protette del Po cuneese)

aree contigue della fascia fluviale del Po tratto cuneese

aree contigue della fascia fluviale del Po cuneese

Rete Natura 2000

SIC (Siti di Importanza Comunitaria)

SIR (Siti di Importanza Regionale)

aree boscate e/o a gestione naturalistica formazioni vegetazionali lineari

bacini di cava

Elementi della rete ecologica della pianura del Po cuneese, classificati ai sensi L.R. 26/2009

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Riserva Naturale Fontane Zona umida di Zucchea [SIR] Bosco di Vigone [SIR] Bosco e colonia di Chirotteri di Staffarda [SIR] Riserva Naturale Confluenza del Bronda [SIC IT1160009 ] Riserva Naturale Paracollo, Ponte pesci vivi Riserva Naturale Confluenza del Pellice [SIC IT1110015] Riserva Naturale Confluenza Varaita [SIC IT1160013 ]

Riserva naturale della CONFLUENZA PO-BRONDA

SIC IT1160009

Comuni Revello, Saluzzo (CN)

Superficie 136 ha

Ambiente area di greto colonizzata da vegetazione erbacea e cespugliosa sommersa durante le piene. Nei pressi della confluenza boscaglie di salici e robinie costituiscono un rifugio per la fauna, in un’area dominata dall’attività agricola a prevalenza di seminativi, pioppeti e frutteti.

Fauna

ittica anfibia

trota marmorata (Salmo marmoratus)

vairone (Leuciscus souffia)

sanguinerola (Phoxinus phoxinus)

lasca (Chondrostoma genei)

barbo (Barbus plebejus)

tritone crestato (triturus carnifex)

tritone punteggiato (triturus vulgaris meridionalis)

lucertola muraiola (Podarcis muralis)

avicola

corriere piccolo (Charadrius dubius)

piro piro piccolo (Actitis hypoleucos)

garzetta (Egretta garzetta)

averla piccola (Lanius collurio)

invertebrata

Sympetrum pedemontanum

Orthetrum albistylum.

Vegatazione riparia a salice bianco (Salix alba)

Riserva naturale di PARACOLLO PONTE PESCI VIVI

Comuni Revello, Saluzzo (CN)

Superficie 19 ha

Ambiente tratto strettamente di pertinenza fluviale con presenza di alcune zone umide caratterizzate da una notevole ricchezza di flora acquatica, abitata da numerose specie di anurudi. Nell’area è presente una cascina ristrutturata, adibita a struttura ricettiva e didattica in gestione agli Amici del Po (Villafranca P.te).

Riserva Naturale FONTANE

Comuni Faule (CN), Pancalieri (TO)

Superficie 58 ha

Ambiente zona caratterizzata dalla presenza di un sito estrattivo con progetto di rinaturalizzazione in corso di realizzazione. Nella fascia compresa tra il fiume e il sito di cava è stato attivato un intervento di rimboschimento, la ricostituzione della situazione vegetazionale spontanea di ripa.

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Paracollo (Foto: R.Ribetto) Fontane (Foto: R.Ribetto) Confluenza Po-Bronda (Foto: A.Gaggino) Confluenza Po-Bronda (Foto: R.Ribetto)

Riserva naturale della CONFLUENZA DEL PELLICE

SIC IT1110015

Comuni Faule (CN), Pancalieri, Villafranca P.te(TO)

Superficie 145 ha

Ambiente zona di confluenza tra corsi d’acqua di quasi pari grado, a valle della quale il Po acquista l’aspetto di fiume. Le sponde sono costituite da fascia di bosco ripariale, interrotta solo in corrispondenza della confluenza da una ristretta area di greto

Fauna

ittioca

trota marmorata (Salmo marmoratus)

vairone (Leuciscus souffia)

savetta (Chondrostoma soetta)

lasca (Chondrostoma genei)

barbo (Barbus plebejus e meridionalis)

barbo canino (Barbus meridionalis)

cobite (Cobitis taenia)

scazzone (Cottus gobio)

anfibia

lampreda padana (Lethenteron zanandreai)

rana di Lessona (Rana lessonae)

ramarro (Lacerta bilineata)

avicola

totano moro (Tringa erythropus)

gambecchio (Calidris minuta)

garzetta (Egretta garzetta)

airone rosso (Ardea purpurea)

martin pescatore (Alcedo attui)

Vegetazione pioniera dei banchi fangosi

riparia legnosa a salici (Salix eleagnos, S. purpurea, S. triandra)

Riserva naturale della CONFLUENZA VARAITA

SIC IT1160013

Comuni Casalgrasso, Faule, Polonghera (CN), Pancalieri (TO)

Superficie 170 ha

Ambiente zona di confluenza caratterizzata dalla presenza di una esigua fascia boscata di tipo ripariale, saliceti ad alto fusto e robinieti lungo le sponde, l’area esterna alla confluenza è a prevalenza agricola con zone a seminativi, prati stabili e pioppeti.

Fauna

ittica

lampreda (Lethenteron zanandreai)

luccio(Esox lucius)

scazzone (Cottus gobio)

ghiozzo di fiume (Padogobius martensi)

trota marmorata (Salmo marmoratus)

anfibia avicola

raganella italiana (Hyla intermedia)

rana dalmatina (Rana dalmatina)

rana di Lessona (Rana lessonae)

ramarro (Lacerta bilineata)

lucertola muraiola (Podarcis muralis)

totano moro (Tringa erythropus)

gambecchio (Calidris minuta)

garzetta (Egretta garzetta)

airone rosso (Ardea purpurea)

martin pescatore (Alcedo atthis)

Vegetazione riparia a salice bianco (Salix alba)

del Ranunculion fluitantis e CallitrichoBatrachion

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Confluenza Pellice (Foto: R.Ribetto) Confluenza Pellice (Foto: R.Ribetto) Confluenza Varaita (Foto: R.Ribetto) Confluenza Varaita (Foto: R.Ribetto)

Piano d’area e Progetto territoriale operativo del Po nel tratto cuneese di pianura

LIMITEDEL SISTEMADELLE AREE PROTETTE

L.R. 28/90 E S.M.I

LIMITE RISERVA NATURALE SPECIALE

L.R. 28/90 E S.M.I

FASCIA DI PERTINENZA FLUVIALE - art. 2.2

ARTICOLAZIONI IN ZONE - da 1 a 313 - art. 2.3

Zone di interesse naturalistico - art. 2.4

N1 - Zone di primario interesse

N2 - Zone di integrazione tra aree naturali ed agrarie

N3 - Zone di potenziale interesse

Zone di prevalente interesse agricolo - art. 2.5

A1 - Zone senza sostanziali limitazioni all’uso agricolo

A2 - Zone con parziali limitazioni all’uso agricolo

A3 - Zone con forti limitazioni all’uso agricolo

Zone urbanizzate - art. 2.6

U1 - Zone urbane consolidate

U2 - Zone di sviluppo urbanolo

U3 - Zone per impianti produttivi o specialistici di livello territoriale

T - Zone di trasformazione orientata

EMERGENZE DEL SISTEMA NATURALISTICO - art. 3.3

Lanche

Boschi

Sito ad alta concentrazione di specie faunistiche rare Garzaie

Siti di interesse geologico

Principali corridoi ecologici Reticolo ecologico minore

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Centri e nuclei storici

Emergenze architettoniche di rilevante interesse storico-culturale

Beni di interesse documentario e di architettura minore

Annucleamenti rurali

Siti di interesse archeologico

Percorsi storici accertati

Percorsi panoramici collinari

AREE DEGRADATE - INSEDIAMENTI MARGINALI E AMBIENTALI - art. 3.11

Insediamenti arteriali

Baracche fluviali

Principali aree degradate

STRADE, PERCORSI E CIRCUITI DI ACCESSO E DI FRUIZIONE - art. 3.8

Ferrovie e stazioni di interesse del Parco

Autostrade e superstrade

Assi portanti del sistema di accessibilità

Percorsi di connessione secondaria e di accessibilità al fiume

Attestamenti del sistema di accessibilità

Percorsi di fruizione

Traghetti, porti natanti, guadi, passerelle pedonali

ATTREZZATURE PER LA FRUIZIONESTRUTTURE DI INTERESSE DEL PARCO - art. 3.9

Attrezzature del sistema di fruizione

Strutture di interesse del Parco

STRUMENTI ATTUATIVI - art. 4.1

Ambiti relativi alle schede progettuali e agli schemi grafici illustrativi - art. 4.1.3

Il Piano d’area del Po, approvato nel 1995 per tutta l’asta piemontese del fiume, è ad oggi l’unico strumento pubblico che assicura un’attenzione senza soluzioni di continuità lungo la fascia fluviale, in modo da farle svolgere un effettivo ruolo di asta di connessione della rete ecologica, in un territorio intensamente sfruttato dall’agricoltura intensiva e quindi ecologicamente poco permeabile. Accompagnava il Piano d’area un Piano territoriale operativo (PTO), oggi decaduto, redatto ai sensi della legge urbanistica regionale, che individuava gli interventi infrastrutturali e di gestione urbanistica di maggior peso, da realizzare per completare le strategie di valorizzazione e tutela della fascia fluviale.

Il Piano d’area individua in modo articolato le aree sottoposte a diversa disciplina di attenzione, di fatto separando l’area considerata “pertinenza fluviale”, da restituire al paesaggio e alla vegetazione spontanea, dalle aree rurali o insediate del contesto, che dovrebbero essere semplicemente “allertate” della presenza delle risorse ambientali. In tali aree il piano raccomanda da una parte la permeabilità ambientale negli usi rurali e dall’altra un’attenzione specifica alle situazioni critiche e agli inserimenti paesistico ambientali delle trasformazioni funzionali.

Nel Piano d’area il primo tratto di Po di pianura non risultano situazioni gravemente problematiche, anzi, le modeste risorse ambientali evidenziate come zone N, di interesse naturalistico, sono per lo più state riprese come siti di interesse comunitario.

D’altra parte, i riquadri in cartografia segnalano le aree dove sono concentrate le attività estrattive, posizionate immediatamente a valle delle zone di confluenza, per gli apporti di materiale recati dagli affluenti, e quindi, e coincidenti aree di interesse naturalistico.

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AREE
SPECIFICO INTERESSE
ED ELEMENTI DI
STORICOARTISTICO-CULTURALE-PAESAGGISTICO - art. 3.7

Il Piano d’area dedica un’attenzione particolare al tema delle attività estrattive in zona parco, curandone gli aspetti gestionali e il processo di sistemazione.

Una norma di attuazione prevede il progressivo allontanamento delle attività produttive esistenti, e soprattutto vieta l’apertura di nuove attività; ad essa si accompagnano però le indicazioni sulla contrattualizzazione dei recuperi ambientali conseguenti alla fine delle coltivazioni di cava. Infatti il piano agisce sul doppio registro, di disciplina regolativa e di incentivo alla sistemazione, in modo che l’intero processo di conclusione dell’attività estrattiva si risolva in opere di sistemazione qualificate e non richiedano ulteriori costi per interventi di bonifica o recupero a carico della mano pubblica.

Le indicazioni generali per il recupero (e il contestuale prolungamento dell’attività estrattiva sino ad un massimo di 20-22 anni) sono contenute in una normativa dettagliata che definisce anche i contenuti della convenzione che accompagna gli accordi tra Parco, Comuni e operatori, e in una serie di schemi cartografici di dettaglio, indicativi delle potenzialità e dei limiti posti nei siti di trasformazione, già oggi interessati da attività estrattive pregresse, come quello a valle della confluenza del Pellice.

Piano d’area e Progetto territoriale operativo del Po. Stralci per le aree delle cave Laurentia e Bastie (sotto ) e per la zona dell’ambito 16 di Faule e Casalgrasso (a destra) Schema grafico Ambito 16 del PIano d-Area del Po - Comuni di Casalgrasso, Faule e Polonghera

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La carta geologica rende evidente la relativa omogeneità della stratigrafia alluvionale della pianura saluzzese, interessata solo per una parte dai relitti del terrazzo argilloso più antico e per il resto occupata da sedimenti ghiaiosi di diversa portata ma relativamente omogenei, soprattutto nell’ampia fascia di “riempimento” accumulata nell’ultimo periodo (geologico, naturalmente) dal Po e dai suoi affluenti (in giallo chiaro).

E’ evidente che i giacimenti di ghiaie, di interesse produttivo per il settore edilizio, sono diffusi in tutta la fascia di accumulo più recente, ma sono particolarmente accessibili quelli a ridosso delle fasce fluviali, dove lo strato fertile del terreno non si è ancora consolidato, e con esso la risorsa produttiva per l’agricoltura.

D’altra parte si deve tener conto che la propensione degli operatori, a rimanere a ridosso del fiume, deriva dalla modalità storica di estrazione delle ghiaie: direttamente dall’alveo, con tecniche che sfruttavano la capacità della corrente di apportare sempre nuovi materiali nelle fosse predisposte lungo il corso d’acqua, o rimuovevano i depositi accumulati nelle parti interne dei meandri.

Così lungo il Po insistono quattro cave per lo più localizzate in siti recentemente percorsi dal fiume o ad esso limitrofi, in qualche caso in zona di riserva naturale a valle delle confluenze, e allo stesso modo lungo il Varaita si localizzano due importanti attività con i bacini posti in parallelo all’alveo, come a triplicarne la portata.

La localizzazione prossima al fiume consente di predisporre progetti di recupero non isolati ma integrati a formare tratti reali della rete ecologica, nominalmente riconosciuta lungo l’asta fluviale con le aree protette.

I recuperi realizzeranno le uniche “stepping stones” di questo tratto di fiume, punti tappa che saranno preziosi per la connettività complessiva della rete nella piana agricola, come dimostrano le seguenti schede analitiche dei progetti di riqualificazione ambientale.

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Attività estrattive lungo i fiumi

Dimensione attività [mc/anno]

> 200.000

50.000 - 100.000

20.000 - 50.000

< 20.000

Alluvioni fluvio-glaciali ghiaiose e ciottolose, talora con grossi trovanti alterate in terreni argillosi Alluvioni ghiaiose talora sabbiose e limose, antiche e terrazzate Depositi alluvionali prevalentemente limoso-argillosi con lenti sabbioso-ghiaiose, loess argillificato, ferretto Alluvioni sabbiose e limose con debole strato di alterazione

Alluvioni ghiaiose e sabbiose non recenti

Alluvioni ghiaiose recenti ed attuali degli alvei fluviali

Cave di sabbie e ghiaie per quantità estrattiva autorizzata al 2012 su carta litologico giacimentologica (Arpa)

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3. Buone PratIche dI Progetto e Intervento

Il piano e i progetti

La qualità degli interventi lungo il fiume dipende prevalentemente da due fattori: la progettazione e la gestione. A loro volta la qualità della progettazione e quella della sua gestione operativa dipendono da un buon rapporto tra i soggetti territoriali pubblici (gli enti che devono pianificare e controllare) e privati (gli imprenditori che devono progettare e realizzare).

Nella fascia del Po piemontese si è verificato un caso di diffusa “buona pratica” dei progetti estrattivi e di sistemazione ambientale, in cui gli enti hanno stabilito regole abbastanza condivise dagli operatori e gli operatori hanno redatto progetti, discussi, assestati e controllati nelle sedi pubbliche. Inoltre, caso raro nel panorama italiano, le attese pubbliche e private si sono poi realizzate in una sintesi di risultati accettabili dal punto di vista naturalistico, valorizzando un ambito fluviale in altro modo non fruibile e si stanno dimostrando sostenibili, sia economicamente che ambientalmente. Per ottenere questo risultato è contata molto la disponibilità di uno strumento pianificatorio con spiccata attenzione per gli aspetti gestionali, quale il Piano d’area, ma poi sono indispensabili i soggetti che hanno facilitato gli accordi, sperimentato le convenzioni (tra privati, Regione e Comuni), accompagnato la lunga fase di

gestazione amministrativa e tecnica: in particolare gli Enti di gestione delle aree protette.

Nel Piano d’area, che costituisce il quadro di riferimento per le attività pubblico-private nell’area Parco, le attività estrattive esistenti alla data di adozione (1995) sono ammesse, sino ad esaurimento, compresi eventuali ampliamenti, purché incorporate entro progetti di sistemazione e recupero naturalistico dei luoghi.

Il Piano d’area raccoglie i criteri generali di buona coltivazione della cava, di sicurezza idrogeologica e di recupero del sito ad attività cessata, disciplinati dalla L.R. 69/1978 e da successivi provvedimenti (in particolare il Documento regionale di programmazione delle attività estrattiveDPAE, del 2000, e il Piano di assetto idrogeologico - PAI, del 2001), a cui aggiungono regole di qualificazione del recupero poste dal Parco.

Nell’insieme gli elementi tecnici della disciplina per i progetti di sistemazione a cui attenersi lungo il Po sono sintetizzabili in:

riuso finalizzato alla fruizione • pubblica o come verde attrezzato o come area a destinazione ecologico naturalistica, non edificabilità delle fasce A del • PAI e delle aree con vincolo paesaggistico (150 m. dall’alveo) salvo interventi di recupero finalizzati alla

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