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Tancredi PaterraTancredi Paterradi di Tesori ritrovatiTesori ritrovati
from N.25 OTTOBRE 2019
by Scomodo
Tesori ritrovati --------------------------------------------------------------------- Tra Parmalat, Stato e Pandolfini
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Il 29 Ottobre di quest’anno, a Milano, è stata messa all’asta una ricca collezione d’arte da Pandolfini, una tra le più importanti case d’asta del nostro Paese. Nel panorama italiano si tratta di un’asta di grande importanza, con pochi precedenti. Infatti parliamo di alcuni nomi del calibro di Picasso, Magritte, Monet, Kandinskij e Van Gogh, per un totale di 55 opere. L’interesse suscitato da quest’asta però, non risiede esclusivamente nel prestigio delle opere che saranno vendute (da alcuni tra l’altro messo in discussione), ma anche dal motivo per cui e dalle modalità con le quali queste saranno vendute. A rendere quest’asta unica è soprattutto il fatto che per oltre trent’anni la collezione è stata proprietà di Callisto Tanzi. Chi scrive quest’articolo lo sta facendo proprio mentre l’asta si sta svolgendo, una scelta particolare, ma ragionata. L’idea infatti è quella di non commentare a caldo il successo o l’insuccesso dell’iniziativa, per quanto, come vedremo, questa volta più di altre un fallimento sarebbe inaccettabile, bensì presentare un’analisi di quanto sta accadendo, dalle origini fino alle scelte circa la sua gestione. Callisto Tanzi. Il cavaliere dei bilanci. Il cavalier Tanzi (anche se questa carica gli è stata revocata per “indegnità” nel 2010) è stato, nel bene e nel male, uno dei più importanti imprenditori italiani del secondo Novecento. Fondatore del colosso Parmalat, è attualmente agli arresti domiciliari (in cui rimarrà probabilmente a vita, essendo ottantacinquenne) condannato per quello che è stato, al livello europeo, il più grave scandalo di bancarotta fraudolenta di una società privata. Il Parmacrac. Infatti a fine 2003, si scoprì che la Parmalat aveva lasciato dietro di sé, negli anni, un buco da 14 miliardi di euro di cui nessuno pareva essersi accorto fino ad allora. Questo, grazie a una costante falsificazione dei bilanci societari e alla contraffazione di numerosi documenti che dovevano garantire la salute della sua azienda.
Inoltre, la strategia di Tanzi fu quella di continuare a investire acquisendo altre imprese, tramite ingenti prestiti richiesti alle banche, nonostante la Parmalat fosse in rosso. Il suo scopo era di “dimostrare” al mercato e alle banche che la sua società era in costante crescita, e quindi in salute, principalmente per 2 motivi: al mercato, poiché un qualsiasi segnale di stagnazione se non addirittura di perdita, avrebbe declassato la società in borsa; alle banche poiché, fidandosi della salute di Parmalat, continuavano a prestargli i soldi che gli permettevano di evitare il default. La realtà invece era un’altra; i magistrati, ricostruendo la vicenda, hanno ipotizzato addirittura che la società avesse un bilancio in passivo già dagli anni ’90.
Nonostante le ingegnose falsificazioni e strategie messe in atto da Tanzi per mascherare la pessima condizione della propria azienda, ancora oggi non ci si spiega come nessuno, dal mondo della finanza a quello della politica, si sia accorto di ciò che stava succedendo. Comunque , inoltrarsi negli intrecci politici che hanno permesso a Tanzi di far crescere l’indebitamento di Parmalat fino a 14 miliardi prima di essere “scoperto” non è l’obiettivo di questo articolo. prima di proseguire è tuttavia necessario ricordare l’estensione di questa vicenda e la quantità di persone che ne rimase coinvolta. Basti pensare che le maggiori banche Europee hanno venduto i bond della Parmalat ai propri clienti fino al giorno precedente il suo fallimento. La consigliavano come la società sui cui investire i propri risparmi. Si calcola che i risparmiatori colpiti dalla bancarotta Parmalat, cioè quelli che avevano prestato soldi all’azienda prima che fallisse (tramite l’acquisto di bond), furono oltre 130.000, e solo parte di loro recuperò il proprio patrimonio quando la società fu risanata. I più colpiti furono però gli azionisti, quelli il cui patrimonio investito dipendeva interamente dal valore azionario della Parmalat. Questi videro da un giorno all’altro il valore delle loro azioni crollare a picco: si può dire infatti che l’impero creato da Tanzi, che negli anni arrivò a raggiungere tutti e 5 i continenti (35 paesi) e a stipendiare circa 32.000 lavoratori, crollò da un momento all’altro il 23 Dicembre 2003. Quel giorno infatti si venne a sapere che il fondo di garanzia da ben 4 miliardi di euro che Tanzi dichiarava essere alle Cayman, e su cui le banche facevano affidamento nel continuare a prestargli denaro, non esisteva, o meglio era vuoto. Di lì poco il valore delle azioni crollò a picco, Tanzi fu sospeso dal suo incarico e al suo posto venne nominato Commissario Straordinario Enrico Bondi. Così finì tutto. Subito dopo infatti cominciarono le inchieste dei magistrati per scoprire i colpevoli di questo crac, indagando su oltre 40 soggetti. Tanzi fu uno dei pochi condannati: secondo 2 sentenze della Cassazione, 10 anni e 17 anni di reclusione rispettivamente per aggiotaggio e bancarotta fraudolenta. In realtà poi, viste le sue pessime condizioni di salute, gli saranno concessi gli arresti domiciliari. La Collezione Tra i vari beni che vennero pignorati all’ex patron di Parmalat c’è la sua collezione di opere d’arte, la cui vendita, il prossimo 29 Ottobre, è il motivo di questo articolo. Una collezione di 100 opere, comprata per buona parte con i soldi della Parmalat, e che per diversi anni sarà al centro di varie indagini e processi. Infatti, quando i vertici della Parmalat (Tanzi, il suo contabile e i suoi familiari) si resero conto dell’inevitabile e imminente fallimento della propria società, non persero un momento per portare quanto possibile fuori dalla barca che affondava, in una vera a propria corsa contro il tempo. I familiari saranno tutti coinvolti nel cercare di nascondere quel poco rimasto dall’impero che Tanzi aveva costruito negli anni. Ed è così che inizia per la famiglia Tanzi, potremmo dire, la seconda parte di questa infinita telenovela. Infatti, buona parte dei loro sforzi furono concentrati nell’impedire che la collezione finisse nelle mani della Guardia di Finanza. Inizialmente Anita Chiesi, moglie di Tanzi, riuscì a “salvare” parte del patrimonio artistico di famiglia, dimostrando che alcune tra le opere d’arte che gli inquirenti avrebbero voluto sequestrare erano sue e non della società di Collecchio. Le altre opere furono invece nascoste, come scoprì la Procura di Parma, tra gli immobili dei figli e della moglie di Tanzi (Anita ne aveva dichiarate solo 13 di sua proprietà). Quasi come in un film, appunto, qualche anno dopo la guardia di finanza ritrovò le opere mancanti, 103 pezzi, tra magazzini, sottoscala e officine dei Tanzi. In particolare 3 opere furono ritrovate a casa di Paolo dal Bosco, mercante d’arte che si scoprì avere avuto un ruolo fondametale nella costituzione di questa collezione. “La guardia di finanza ritrovò le opere mancanti, 103 pezzi, tra magazzini, sottoscala e officine dei Tanzi” “Si calcola che i risparmiatori colpiti dalla bancarotta Parmalat, furono oltre 130.000”