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e Giovanni Tiriticcoe Giovanni Tiriticco

INDUSTRIE OCCIDENTALI E IMPERIALISMO CINESE, CHI RESISTE E CHI NO LA CINA E LE SUE INGERENZE ECONOMICHE: I CASI NBA E BLIZZARD

IL CASO NBA. TIRO LIBERO?

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La NBA, National Basketball Association, sta vivendo in questi giorni una si- tuazione di grande tensione con i partner economici cinesi. L’incrinarsi dei rapporti tra Nba e Cina è iniziato con le parole di Daryl Morey, general manager della squadra Houston Rockets: “Fight for freedom, stand with Hong Kong” (“combatti per la libertà, stai dalla parte di Hong Kong”).

Ma facciamo un passo indietro. Innanzitutto la Nba è la lega delle squadre di pal- lacanestro professionistiche americane ed è il campionato di basket più seguito al mondo, dove giocano i migliori cestisti. I giocatori della Nba sono di nazionalità diverse e il campionato è un esempio di multietnicità. La lega è da anni attenta e sensibile alle tematiche sociali americane, soprattutto quelle legate al razzismo e ai diritti umani. Inoltre la Nba dà ascolto alle voci di sportivi e affiliati che possono esprimersi liberamente su temi di attualità e problemi del loro Paese, arrivando persino a criticare il Presidente Trump, definito da Lebron James “a bum” (‘un fan- nullone”). L’attivismo degli sportivi è sostenuto dalla Lega come nel caso di “Black Lives Matter”, un movimento di protesta contro le uccisioni di afroamericani da parte delle forze dell’ordine, a cui hanno aderito i giocatori Dwayne Wade, Anthony Carmelo e lo stesso James. Nel 2014 il sovrintendente delle Lega, Adam Silver, ha bandito a vita dalla Nba Donald Sterling, proprietario dei Los Angeles Clippers, e lo ha multato di 2,5 milioni di dollari a causa di un’intercettazione telefonica conte- nente dichiarazioni razziste. Ancora Silver, nel 2017, ha rifiutato la città di Charlotte in North Carolina, come sede degli Nba All-Star Games, per una legge che impediva alle persone transessuali di usare i bagni pubblici secondo la loro identità sessuale.

Il basket americano ha spettatori ovunque per la qualità dei suoi cestisti ed e’ nettamente superiore a qualsiasi altro campionato nazionale. È per questo motivo che ha deciso di espandersi in Cina, il paese più popolato al mondo dove il basket è lo sport più popolare, nonché il preferito del Presidente Xi Jinping. La scorsa stagione di Nba è stata seguita da 490 milioni di Cinesi (gli abitanti degli USA sono 327 milioni). Lo sport (o forse il denaro) ha fatto da ponte tra Cina e USA, nonostante la rivalità economica tra le due potenze e l’opposta visione del mondo. L’attore protagonista del business Cina-Nba è la Tencent: azienda cinese che ha un fatturato maggiore di Facebook.

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Il colosso mondiale della high-tech sta investendo moltissimo sulle impre- se occidentali e comprando parte delle loro azioni; si trova ovviamente in un rapporto di subalternità al governo di Pechino, dal momento che l’eco- nomia cinese è fortemente centralizzata e controllata dal Partito Comuni- sta. Nell’estate 2019 la Tencent ha firmato un contratto quinquennale con la Nba per i diritti TV del basket americano: si stima che l’investimento cinese sia di 1,5 miliardi di dollari. L’enorme bacino di spettatori ha attirato inoltre numerosi sponsor cinesi verso le squadre di Nba; tra i più importanti vi sono la Shangai Pudong Development Bank, l’azienda telefonica Vivo e la compagnia di fast-food Dicos. La squadra di Nba più tifata dai fan ci- nesi sono proprio gli Houston Rockets, che devono la loro popolarità ol- tre-oceanica al leggendario Yao Ming, centrale dei Rockets negli anni 2000.

Il 4 ottobre, Daryl Morey, manager di Houston, ha pubblicato un tweet in suppor- to delle proteste di Hong-Kong. Le dichiarazioni di Morey sono state percepite in Cina come un oltraggio, un attacco alla sovranità nazionale e hanno messo a repentaglio affari miliardari. Da mesi infatti, nella città del Sud-Est asiatico, hanno luogo manifestazioni contro il governo di Pechino, accompagnate da richieste di più democrazia e maggiore indipendenza dalla Cina continentale.

Il tweet è stato repentinamente eliminato e il presidente dei Rockets si è subito scusato pubblicamente: ”La posizione di Daryl Morey non ri- specchia quella degli Houston Rockets. Noi non siamo un partito po- litico”. Lo stesso James Harden, giocatore di punta della squadra, ha tentato di riparare il danno dichiarando: ”Ci scusiamo, amiamo la Cina. Amiamo giocare là, ci andiamo due/tre volte all’anno. I tifosi dimo- strano sempre un grande affetto ed è per questo che li apprezziamo”. Nonostante le rapide contromisure, gli sponsor cinesi degli Houston Rockets, nei giorni seguenti, hanno sospeso qualsiasi tipo di collaborazione con la squadra. La CCTV (tv nazionale cinese) ha annunciato che non avrebbe più trasmesso le partite dei Rockets. Dal canto suo, la Nba ha inizialmente tempo- reggiato, dichiarandosi dispiaciuta per l’inconveniente, ma non esprimendosi su eventuali provvedimenti a danno di Morey. La lega è stata evidentemente messa in una posizione estremamente delicata. Da una parte c’è la decisione di mantenere la coerenza verso i propri valori e le scelte del passato, garan- tendo la libertà di parola dei propri affiliati, e dunque non procedere contro il general manager. Dall’altra, quella di continuare a fare ricchissimi affari con la Cina e di garantirsi un futuro nel mercato più vasto e promettente al mondo.

Sembra che gli americani della pallacanestro abbiano imboccato pru- dentemente la prim a via, anche perché punire Morey macchierebbe in modo indelebile l’immagine della Nba ed esporrebbe la lega alla gogna dei media occidentali. Martedì 8 ottobre, il sovrintendente Silver ha detto in conferenza stampa: ”Non ci scusiamo per Daryl, che ha soltanto eserci- tato la sua libertà di parola. Siamo sì dispiaciuti per le conseguenze del tweet, ma allo stesso tempo difendiamo il diritto di Daryl alla libertà di espressione. Sono personalmente dispiaciuto che la situazione sia causa di disagio tra i fan cinesi”. In risposta la CCTV ha interrotto la trasmissio- ne delle partite di inaugurazione della nuova stagione di Nba, che si sta svolgendo proprio adesso in Cina. I dirigenti della tv cinese hanno di- chiarato: “Qualsiasi affermazione che metta in discussione la sovranità nazionale e la stabilità sociale non rientra nell’ambito della libertà d’e- spressione”. In questo clima da Guerra Fredda, l’ultima mossa della Lega è stata quella di sospendere conferenze stampa e interviste post-par- tita della tournée cinese: una parola fuori posto potrebbe costare cara.

La Tencent è anche al primo posto tra tutte le aziende videoludiche nel mondo. La gigantesca azienda cinese non solo ha un contratto miliardario con l’NBA, ma possiede anche il 5% del pacchetto azionario della Activision Blizzard, una casa produttrice e distributrice di videogiochi, anch’essa statunitense. La stretta collaborazione tra le due società ha diffuso dei sospetti sulla natura dei prov- vedimenti presi dalla direzione della Blizzard nei confronti di Chung Ng Wai, vi- deogiocatore professionista originario di Hong Kong. Proprio il giorno dopo le discussioni scaturite dal tweet di Daryl Morey, al termine di una partita del torneo di “Hearthstone”, un videogioco di carte collezionabili, Chung conosciuto come “Blitzchung” è stato sospeso e penalizzato per essersi dichiarato a favore del- le proteste in corso nella sua città, il tutto in diretta streaming e con indosso una maschera antigas come quella utilizzata dai manifestanti di Hong Kong. Come ha evidenziato la Blizzard, Blitzchung ha infranto consapevolmente una delle regole stabilite dall’azienda, secondo cui qualsiasi azione compiuta da un giocatore che vada a screditare, a ledere la sensibilità del pubblico o comun- que a danneggiare l’immagine della società, è punibile con la sospensione e il ritiro del premio in denaro. Dopo molti diverbi e svariate reazioni, il verdetto, che ha visto inoltre il licenziamento di due cronisti per aver partecipato e reso possibile la vicenda, è stato modificato dalla Blizzard riducendo il periodo di sospensione del giocatore da un anno a sei mesi e riconsegnandogli il premio.

Blitzchung ha risposto su Twitter ringraziando la società per aver riesaminato il suo caso, nonostante sei mesi siano comunque troppi a suo avviso.

Il giocatore cinese non è stato l’unico a ritenere esagerata la sanzione, per questo motivo il presidente della Blizzard Entertainment, J. Allen Brack, ha ri- tenuto opportuno pubblicare una dichiarazione sul sito ufficiale dell’azienda, nel tentativo di legittimare il suo operato. Un aspetto della questione più volte sottolineato dal presidente è proprio quello che ha creato più dubbi e discussio- ni – “Voglio essere chiaro: la nostra partnership con la Cina non ha influenzato in alcun modo le nostre decisioni” – ha ribadito Brack. Inoltre, ha affermato che “le specifiche opinioni espresse da Blitzchung non sono state prese in conside- razione per il provvedimento”, cercando così di difendersi dalle accuse di viola- zione della libertà di opinione e di mantenere per la sua società un ruolo neutra- le all’interno della questione politica in corso tra Cina e Hong Kong. Una presa di posizione ancora più netta è evidente nelle dichiarazioni della Blizzard pub- blicate sulla piattaforma di social media cinese Weibo: “Esprimiamo la nostra forte indignazione e la nostra condanna degli eventi accaduti nella competizio- ne di Hearthstone Asia Pacific e ci opponiamo assolutamente alla diffusione di idee politiche personali durante qualsiasi evento. I giocatori saranno banditi e i commentatori coinvolti saranno immediatamente esclusi da qualsiasi at- tività ufficiale. Inoltre, proteggeremo la nostra dignità nazionale”. Molti gio- catori hanno visto dietro le decisioni della Blizzard l’ombra della Tencent, che avrebbe forzato la mano alle direttive dell’azienda; è innegabile la crescente influenza delle grandi case videoludiche cinesi nel mondo del mercato globale.

La sfera d’influenza del colosso cinese in questione però non si limita al mondo dei videogiochi, ma arriva a coprire l’intero settore tecnologico, con una serie di investimenti di alto profilo che abbracciano aziende qua- li Snapchat, Spotify, Tesla e Hollywood film. Si tratta di un gigante aziendale tentacolare che ha recentemente superato Facebook nel valore di mercato, diventando la quinta società quotata più importante a livello internazionale.

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Il giovane cofondatore Ma Huateng, soprannominato Pony Ma, è una del- le persone più ricche del mondo, con una fortuna di quasi 50 miliardi di dollari, ed ha inoltre un ruolo di grande rilevanza all’interno del Congres- so Nazionale del Popolo, il ramo legislativo della Repubblica Popolare Ci- nese. Quindi, se da un lato i provvedimenti presi dalla Blizzard si sono dimostrati necessari per preservare gli accordi economici dell’azienda con il mercato cinese, dall’altro l’episodio ha sollevato delle polemiche da parte del pubblico occidentale, convinto dei propri valori. Le severe decisioni fortemente discusse confermano un modus operandi caratte- ristico di una società proattiva, come la Blizzard, assai scrupolosa nel- la correzione e nell’autocensura. Tuttavia, le dichiarazioni di neutralità dell’azienda appaiono tanto eccessive da coinvolgerla di fatto nel merito delle questioni politiche cinesi. In America, durante i Collegiate Cham- pionship, campionati universitari di Hearthstone, tre studenti hanno vo- luto mostrare solidarietà verso Hong Kong e in particolare verso Chung “Blitzchung” Ng Wai, brandendo il cartello “Hong Kong libera, boicotta Blizzard” in diretta streaming. Contro le aspettative degli stessi studen- ti, anche per loro la Blizzard ha annunciato un periodo di sospensione di sei mesi per aver consapevolmente infranto le regole di condotta previ- ste dalla società. “Mi fa piacere vedere una parità di trattamento” tra i giocatori americani e quelli di Hong Kong, ha detto uno dei tre ragazzi.

Su Twitter l’hashtag #BoicottaBlizzard si è diffuso rapidissimamente, e molti giocatori lo stanno utilizzando per annunciare la cancellazione dei propri ac- count di Hearthstone e altri giochi dell’azienda. Il malcontento è fortemente presente anche all’interno della società stessa, e lo hanno dimostrato circa trenta impiegati che sono usciti dagli uffici con gli ombrelli aperti, utilizzati dai manifestanti di Hong Kong e simbolo del cosiddetto “Movimento degli ombrelli”.

Altri dipendenti hanno coperto una targa, situata all’ingresso del quartier generale della Blizzard in California, che recita “Ogni voce conta. Pensare globalmente”, due dei valori fondamentali teoricamente sostenuti dalla Bliz- zard. L’ondata d’indignazione scatenatasi online ha visto protagonista la Fight For The Future, un’organizzazione non-profit per i diritti digitali, che ha diffuso sul web delle iniziative contro la Blizzard. L’azione che avrà presumi- bilmente un impatto enorme è la protesta organizzata per il primo novem- bre al di fuori dell’Anaheim Convention Center, il grande centro congressi dove si svolgerà la BlizzCon, convegno annuale gestito dalla stessa Blizzard.

La convention è l’evento più importante dell’anno per la società, poi- ché vi si registrano le più massicce oscillazioni azionarie, ed è proprio per questo motivo che anche altri gruppi di manifestanti hanno deciso di boicottarla. Ad alimentare le tensioni si è aggiunta la decisione di Brian Kibler, figura chiave nel legame fra Hearthstone ed il suo pubbli- co, di annullare la sua partecipazione alla finale dei Grandmasters del videogioco, che si svolgerà proprio alla BlizzCon. L’obiettivo di Fight For The Future è duplice: incoraggiare gli sviluppatori e gli editori a impegnarsi pubblicamente in difesa dei diritti di giocatori, dipendenti e fan in tutto il mondo e convincere Blizzard a cambiare radicalmen- te le decisioni prese riguardo al caso Blitzchung. La priorità centrale dell’organizzazione è rendere Internet “libero da censura o interferenze e con piena privacy”. Ma questo, in una Cina sempre più controllata e priva di valori democratici, sembra essere un obiettivo irraggiungibile.

Le vicende di Nba e Blizzard testimoniano l’egemonia della sfera d’influen- za cinese sul mercato internazionale, governato da regole non scritte. Nel fare affari con la Cina, le imprese occidentali devono “evitare le tre T”: Taiwan, Tibet e Piazza Tienanmen. Se uno di questi argomenti vie- ne menzionato, bisogna affrontare il governo cinese. Nel 2019, alle tre T si deve aggiungere una H, quella di Hong-Kong. Il caso Blizzard è un esempio di quando soldi e interessi vincono su tutto, anche sulla liber- tà. Sembra invece che la Nba abbia preso posizione in difesa di diritti che in Occidente consideriamo fondamentali. Ma la Lega si sta battendo dav- vero per pluralismo e libertà? Oppure ha soltanto paura di perdere credi- bilità e di essere ripudiata dal pubblico americano? Noi non lo sappiamo.

di Elena Lopriore e Giovanni Tiriticco

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