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e Jacopo Andrea Panno e Jacopo Andrea Panno Alessandro Luna Alessandro Luna di di I dolori del giovane trapperI dolori del giovane trapper
from N.25 OTTOBRE 2019
by Scomodo
Dal Bosco era l’uomo a cui Tanzi si riferiva sistematicamente per acquistare arte; era il suo consigliere e allo stesso tempo colui che si occupava dell’acquisto delle opere; aveva praticamente carta bianca nel comprare. Secondo Sonia Farsetti, Presidente dell’Associazione Nazionale delle Case d’Asta Italiane, infatti, “C’è necessità di rendere materiale, tangibile, un patrimonio instabile, fragile e indissolubilmente legato al castello di carte false costruito da Tanzi, quale era quello della Parmalat, acquistando dei beni facilmente trasportabili e nascondibili, oltre che prestigiosi.”
La raccolta sarebbe quindi nata esclusivamente come strumento di distrazione di capitale e non per le velleità artistiche del cavaliere. Ciò che risulta evidente, analizzando la lista dei lotti dell’asta, è che gran parte delle opere sono disegni, spesso su carta. Questi costano per loro natura meno dei dipinti ed è quindi probabile che del Del Bosco ne avesse giustificato l’acquisto per via del nome, nonostante il valore non fosse appunto dei più alti.
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Pubblico o privato? Una volta terminata la parabola storica sulle origini di questa collezione, non resta che analizzare la modalità con cui questa collezione sarà venduta. Per farlo però, bisogna tenere a mente lo scopo di questa vendita: contribuire al risarcimento di quei risparmiatori frodati nel 2003. In casi di fallimento, normalmente, il giudice responsabile dell’ufficio indice un’asta giudiziaria che dispone la vendita forzata di alcuni beni del soggetto indebitato;
questo con il fine di soddisfare, in parte o del tutto, i relativi creditori. Lo Stato quindi, incassa la totalità dei proventi delle vendite e con questi risarcisce i creditori. In un caso di bancarotta della portata di Parmacrac, sono stati sequestrati dalla Procura tutti quanti i beni di proprietà di Callisto Tanzi, tra cui (nonostante i vari ostacoli) la famosa collezione d’arte.
Latte su tela 75 x 85 mm
A differenza da quanto vorrebbe la norma, non tutti i lotti di questa collezione sono stati pubblicati e messi all’asta sul sito istituzionale di aste giudiziarie di Parma, nel quale chiunque può fare la propria offerta sui vari beni sequestrati. Per 55 lotti si è deciso di affidare la vendita ad una casa d’aste privata, Pandolfini appunto; lo Stato ha quindi evidentemente ritenuto fosse meglio appaltare la vendita delle opere di maggior valore ad un privato, nonostante, probabilmente, dovrà pagargli una sostanziosa commissione per il servizio (a volte però le case d’asta, previo accordo con il venditore, si accontentano di guadagnare esclusivamente dai fee sulla vendita). Inoltre, è interessante che Il 29 ottobre, formalmente non ci sarà un’asta giudiziaria, ma in apparenza una normale asta di opere appartenenti ad un collezionista privato. Infatti, non è possibile trovare nessun collegamento tra l’asta in questione e la figura di Callisto Tanzi. Basti pensare che il nome dell’asta è : “Tesori ritrovati, impressionisti e capolavori moderni da una raccolta privata”. Ogni legame con l’origine di questa collezione, e con la reale funzione di questa vendita, non è minimamente nominato da Pandolfini. In realtà, quando viene venduta all’asta una collezione di opere, si tende a lasciare anonimo il proprietario. Questo avviene soprattutto in quei casi in cui il venditore non vuole far supporre dei prblemi finanziari a suo conto, o non vuole si sappia che ha opere d’arte. Il nome del proprietario si comunica invece in quei casi in cui la stessa appartenenza a tale persona aumenta il valore della collezione. Su tutti basti vedere la recente asta delle opere d’arte possedute in vita da David Bowie, che ha raggiunto prezzi molto elevati rispetto al reale valore delle opere in sé. Questo però non fa altro che sottolineare la contraddizione di questa operazione; infatti sui maggiori quotidiani è comunque uscita la notizia della vendita della collezione di Tanzi da parte di Pandolfini.L’elemento centrale della discussione, è che questa non può essere considerata una collezione tra le tante, avendo avuto il crac Parmalat una rilevanza e una risonanza enorme a livello nazionale.
Simbolicamente, questa collezione rappresenta un prodotto delle frodi messe in atto da Tanzi ai danni di numerosi risparmiatori italiani. Lo Stato, avendo la possibilità di compiere un gesto forte in favore di quei suoi cittadini colpiti, decide, per qualche motivo, di affidarsi ad un privato lasciando passare in sordina la finalità di quest’asta. A questo punto non resta che chiedersi il perchè di questa scelta: perché lo Stato preferisce pagare una commissione a un intermediario perdendo il diritto di rivendicare la vendita di queste opere, piuttosto che gestirla personalmente come tutte le altre aste giudiziarie? Evidentemente, è convinto che Pandolfini possa garantirgli, almeno per quanto riguarda la vendita di opere d’arte, dei guadagni maggiori. La questione quindi si sposta da chi vende a cosa viene venduto. Per comprendere meglio la situazione, ed evitare così di cadere in facili stigmatizzazioni incolpando questo o quell’altro soggetto, bisogna analizzare le dinamiche del mercato dell’arte. Si può infatti affermare senza remore, che un’asta in cui si vende arte, a causa delle caratteristiche del prodotto venduto e dei relativi acquirenti, sia intrinsecamente diversa da ogni altra asta in cui vengono battute categorie differenti di beni. Sono proprio queste differenti caratteristiche che tendono a privilegiare un venditore privato rispetto alla normale asta giudiziaria. Ad esempio, è impensabile mettere in piedi un’asta d’arte senza aver prima sentito diversi collezionisti, più o meno grandi, disposti a partecipare all’asta. Diventa per la maggior parte una questione di rapporti e di bravura nel coltivarli, fattore che si addice molto di più ad un privato piuttosto che a un ente pubblico. Infatti, più relazioni si posseggono e minore sarà il rischio di opere invendute o svendute, l’incubo di ogni asta; a maggior ragione in un’asta d’arte in cui un invenduto o svenduto causa la quasi diretta svalutazione di tutte le altre opere dello stesso artista. Detto ciò però, resta ancora da capire la scelta di Pandolfini rispetto alle varie case d’asta estere, ben più importanti della nostrana, e che una collezione simile avrebbe senza dubbio attratto facilmente. Probabilmente si è scelto di privilegiare una vendita interna, a collezionisti italiani, più facilmente reperibili da Pandolfini, piuttosto che stranieri. In realtà è possibile che-appunto visti i nomi presenti nella collezione-questa attirerà ugualmente anche alcuni collezionisti stranieri. Inoltre, leggendo le basse stime fatte da Pandolfini sulle opere, non si prevede che queste raggiungeranno prezzi stellari. Dal momento in cui però gran parte delle opere sono dei disegni, e non rappresentano quindi il top di gamma dei vari artisti, potrebbe aver senso essersi rivolti a una casa d’arte media che coltiva appunto relazioni con collezionisti medi per cui queste opere rappresenterebbero un ottimo colpo. Pandolfini è stata una decisione corretta o invece un grave errore che si ripercuoterà sui risparmiatori, da anni in attesa di questi soldi? Difficile dirlo visto che l’alone di mistero del mondo dell’arte prevede che i compratori restino anonimi e le cifre si dissolvano al battere del martelletto… difficile ma non impossibile. Ci vediamo alla prossima puntata. di Tancredi Paterra Latte parzialmente scremato su tela 75 x 85 mm
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I dolori del giovane trapper -------------------------------------------------------------------- La difficoltà di emergere in un genere in cui non è più concessa gavetta
I primi anni di carriera per un artista non devono per forza essere un periodo di frustrazione e insoddisfazione. Però chiaramente chi decide di provare a sfondare nello spietato mondo della musica lo fa con la consapevolezza del fatto che dovrà vivere con pochi soldi, scarsi riconoscimenti e affrontando molte delusioni prima di arrivare alla piena realizzazione. È un compromesso a cui si accetta di scendere per poter sperare di vivere della propria passione e magari di raggiungere la fama e il successo, ma molti artisti trap emergenti si trovano a giocare una partita diversa. Nonostante sia presente in Italia almeno dal 2014-2015, grazie a Maruego e poi Sfera Ebbasta, è solo dopo la strage di Corinaldo e la partecipazione di Achille Lauro a Sanremo che la nostra opinione pubblica si è veramente accorta dell’esistenza di questo nuovo genere. Un tipo di musica che le generazioni meno giovani si sforzano vanamente di comprendere e che, a causa del suo linguaggio e immaginario particolare, ha sconvolto i genitori, i nonni ma anche tutti quei parenti che vediamo solo a Natale. Probabilmente allo scorso cenone, mentre i ragazzi erano fuori a “fare una passeggiata”, avranno sussurrato tra loro chiedendosi se anche gli altri avessero avuto modo di sentire questa nuova musica perversa che va tanto tra i giovani. “Io ho sentito uno che parlava di cocaina”, “Ci sta questo Ulisse Lauro che canta di ecstasy”, “Ma Giacomino sembra tanto un bravo ragazzo, non posso credere che ascolti quella roba”.
In effetti l’esplosione mediatica della trap ha coinvolto una parte non indifferente di noi e molti nostri coetanei hanno scelto di provare anche loro a “sfondare” nel genere che oggi, più di qualunque altro, appare alla portata di tutti. Un ascensore sociale ed economico che, visto da fuori, da’ l’impressione che creare potenziali hit di successo sia talmente facile da non sembrare vero. In palio c’è la fama, un successo improvviso e inspiegabile con le donne e una stabilità economica che fino a poco tempo prima era solo un miraggio.
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La prospettiva di farcela con poco impegno, sia nella produzione che nella stesura del testo, ha fatto e continua a far gola ai tanti su cui inciampiamo quando, scorrendo le storie di Instagram, compaiono i preziosi teaser sponsorizzati della loro ultima fatica. Quindici secondi su cui puntano tutte le loro fiches per convincerci che sono loro il nuovo astro nascente della trap italiana, che questo è l’anno in cui si “prenderanno tutto”. Proprio per il fatto di avere pochissimo tempo, ci si concentra generalmente su una frase provocatoria, un ritornello orecchiabile o un’immagine del video che resta impressa. Una sorta di speed dating del mercato musicale. Ma spesso, proprio per l’overloading e il bombardamento di questo genere di prodotti, noi ascoltatori siamo portati a una naturale indifferenza e assuefazione al fenomeno, che tende a far cadere ogni esperimento nell’immenso calderone del già visto. Nei video degli emergenti una delle componenti che sembra non poter mancare è l’ostentazione di tutti quei beni materiali che il successo artistico comporta. Si nota poi chiaramente come in molti casi i ragazzi che decidono di cimentarsi nel genere più in voga al momento hanno recepito un messaggio distorto e ingannevole per cui la conditio sine qua non per sfondare nella trap è quella di vestire i panni del personaggio strafottente, provocatorio, arrogante e che deve necessariamente mostrare al pubblico la sua vita chic e il fatto che la sua figura sia universalmente invidiata ed acclamata. Hanno capito che fare trap equivale in un certo modo a fare invidia. Quando in realtà la figura dell’emergente, in tutti i generi, è decisamente lontana dall’essere invidiabile. E’ una fase fisiologica e naturale del percorso artistico e i cantanti, rapper e trapper che vediamo in cima alle classifiche non fanno eccezione. Un periodo in cui non si guadagna neanche per vivere, spesso si fa un secondo lavoro per finanziare i propri progetti musicali e si accetta di suonare a ogni serata sperando sia quella giusta per farsi conoscere.
Oggi sembra però che per un trapper questo periodo non se lo possa concedere. Per potersi cimentare in un genere che molti credono sia quasi solamente pura autocelebrazione, non è accettabile rimanere nel limbo della fase artistica embrionale, ma bisogna avere un’ascesa immediata. Ragione per cui, se si confrontano i testi di questo esercito di trapper emergenti e la loro vita reale, spesso ci si accorge delle enormi incongruenze che nascono da questo controsenso. Persino Sfera Ebbasta, il golden boy della trap italiana, ha passato anni di gavetta tra enormi difficoltà, come racconta lui stesso in una delle sue canzoni dove ricorda che “ai live erano in dieci sotto al palco”. E anche Ketama126, un artista che è esploso solo in questo ultimo anno, ha raccontato di quando “non avevo una lira, spicci solo per la birra, pensavo a farla finita”. Gli stessi artisti che ce l’hanno fatta parlano quindi con grande sincerità e naturalezza del periodo prima del successo come un qualcosa di necessario e formativo. Mentre i trapper che ancora sperano di sfondare nascondono, quasi vergognandosene, questo lato che invece, alla fine dei conti, potrebbe risultare molto più interessante, affascinante e coinvolgente della solita fotocopia autocelebrativa. Massimo Pericolo, uno dei rapper di cui l’Italia si è recentemente innamorata, ha scelto di puntare la propria narrativa e il proprio immaginario su uno storytelling disperato del disagio di provincia. Una scelta vincente che lo ha fatto emergere tra i tanti altri che invece insistono sugli stessi temi perché sono convinti che per fare la trap l’ingrediente irrinunciabile sia questo. Negli Stati Uniti la trap ha innegabilmente questo lato di ostentazione che però ha una spiegazione sfuggente per i giovani emergenti: i gioielli, i soldi e la popolarità sfoggiati non sono solo un vanto effimero, ma soprattutto il simbolo della rivalsa e del riscatto da un passato criminale che è costato loro molto e da cui ora si sono allontanati grazie alla musica. Un passato che però è molto distante dalla realtà quotidiana vissuta da molti di questi emergenti italiani. Sempre Massimo Pericolo, in una traccia di quest’anno, riesce a sintetizzare questa contraddizione tutta nostrana: “Sei David Guetta, zio, non fare il gangsta, sto coi criminali e neanche uno rappa”. Per avere una prospettiva dall’interno a questa tendenza ci siamo così avventurati nel gruppo Facebook in cui gli emergenti italiani pubblicano i loro pezzi chiedendo opinioni ai loro pari. Un ragazzo di un paesino della Basilicata in particolare ha attirato la nostra attenzione, perché nel condividere il suo video ha allegato questo commento: “Il pezzo si chiama L******, è una traccia molto forte e potrebbe sembrare provocatoria per com’è stato fatto il video. Il video è stato strutturato così per cercare di ricevere più visibilità possibile vista la situazione dei neoemergenti che se non fanno vedere qualcosa di particolare non vengono calcolati minimamente. Questo è il link per il pezzo spero che possa venir apprezzato da qualcuno!”. Nel video, che siamo chiaramente subito corsi a vedere, il ragazzo giocherellava con un AK-47 finto puntandolo verso la camera, scelta ormai non più particolarmente provocatoria o rivoluzionaria, come gli hanno fatto notare molti dei partecipanti al gruppo. Nel testo di un’altra delle sue composizioni si vantava delle sue incontestabili abilità al microfono e del fatto che “ai miei concerti è tutto esaurito”. Senza voler prendere in giro inutilmente chi cerca di esprimere la propria arte e far valere la propria musica, capita però spesso di imbattersi in artisti che, contando numeri di iscrizioni al canale Youtube, visualizzazioni e follower decisamente bassi, vantano poi un fantomatico successo che chiaramente ancora non hanno raggiunto. Però, per qualche ragione, sentono di dover fingere di essere già arrivati perchè hanno inteso che lo stupido gioco della trap, parafrasando Salmo, non ammette gavetta. La condizione del trapper emergente nel 2019 sembra quindi una non-condizione, un paradosso, un’antinomia inevitabile ed evidente di cui i ragazzi, alla fine, sono vittime. Scegliere di intraprendere una carriera nell’ambiente significa dover affrontare un genere in cui la concorrenza, vista da fuori, sembra una gara a chi fa vedere di più che è un figo, quando c’è davvero poco di “glamour” nei primi anni di produzione artistica. Ma mentre gli aspiranti cantanti indie e itpop nei loro testi possono sempre appellarsi a grandi storie d’amore, “La condizione del trapper emergente nel 2019 sembra quindi una non-condizione, un paradosso, un’antinomia inevitabile ed evidente di cui i ragazzi, alla fine, sono vittime.”