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Sara De Benedictis di Prevenzione per “una concretissima utopia

Prevenzione per “una concretissima utopia”

Il disturbo psichiatrico in adolescenza è oggi un’emergenza. Sta diventando una vera e propria epidemia, le strutture di cura e riabilitazione scarseggiano e hanno liste di attesa lunghe mesi. I fondi per le strutture ed i servizi vengono tagliati continuamente. Le strutture pubbliche specialistiche in Italia sono poche e in pochi le conoscono. Il reparto di Neuropsichiatria infantile di Via dei Sabelli del Policlinico Umberto I di Roma è una struttura di avanguardia, unica e centrale per tutto il Centro-Sud Italia. L’unico posto dove è presente un reparto apposito per la malattia psichiatrica in adolescenza, ragazzi dagli 11 ai 18 anni, ricoverati in degenza e in diurno. C’è bisogno di più strutture come queste, che siano in grado sia di gestire i ragazzi nell’emergenza, sia di creare progetti di riabilitazione personalizzati nel lungo periodo. Attualmente arrivano continuamente nei pronto soccorso ragazzi in emergenza psichiatrica e psicologica che vengono o parcheggiati nei reparti per adulti, perché i posti nelle strutture specialistiche non ci sono, o rispediti al mittente dopo aver risolto momentaneamente la crisi.

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L’assistenza statale al paziente in una situazione non emergenziale è quasi assente. I ragazzi che necessitano una psicoterapia devono provvedere privatamente, questo genera necessariamente una divaricazione sociale tra coloro che possono permettersi un terapeuta privato e coloro che non possono farlo. Nelle scuola è raro trovare uno “sportello di ascolto” che funzioni e nei consultori la specificità per l’età evolutiva è inesistente.

In sintesi: se hai bisogno di aiuto, devi essere in emergenza per avere accesso ad un primo sostegno. Farmaci, diagnosi e poi di nuovo a casa. Con una bella etichetta stampata addosso ed una famiglia traumatizzata. Dopo tutte queste analisi e questioni la domanda che sorge spontanea è se è possibile fare un lavoro a monte del problema, sbilanciandosi fino ad arrivare a chiamarlo spaventosamente prevenzione. Una scelta di priorità che investe anche la politica, nella definizione di spazi, investimenti e dibattito pubblico. La questione qui si divide su due piani: uno pratico e uno teorico. Nel primo, quello più concreto, c’è l’inevitabile necessità di formare una rete. Specialistica ed individualizzata per ognuno, che colleghi tutte le strutture e le istituzioni: ospedale e territorio, scuola ed equipe medica, tra la famiglia ed il neuropsichiatra infantile, il neuropsichiatra e lo psicoterapeuta, lo psicoterapeuta e la scuola, la scuola e l’adolescente e fondamentalmente tra l’adolescente e la famiglia. Senza omettere nessuno degli elementi qualificanti del processo quali la tempestività, l’appropriatezza e la specificità per età e per disturbo, la condivisione e la personalizzazione, la globalità e l’integrazione, mantenendo continuità, centralità della persona e della famiglia. Ovvero creare dei percorsi individualizzati per ciascun caso a trecentosessanta gradi, sempre e costantemente di integrazione tra struttura e famiglia e possibilmente anche con il paziente. Partendo dalla prima visita, che si spera sia in età infantile così da poter intervenire anticipatamente, passando per la diagnosi e poi per tutto il percorso riabilitativo. Tuttavia, il concetto più importante da premettere è che la diagnosi non è mai il punto di arrivo e spesso nemmeno quello di partenza, specialmente durante l’infanzia e l’adolescenza. Fare una diagnosi ad un bambino o ad un adolescente è come mettergli un timbro a vita e molto spesso è anche controproducente per la terapia,

poiché è difficile staccarsi dall’idea che il ragazzo sia solamente la malattia, sia per il paziente che per il medico. Ed è per questo stesso motivo che è indispensabile che anche la famiglia sia sostenuta ed accompagnata durante il percorso, formata strategicamente dagli operatori senza però sottrarsi al proprio ruolo. Insomma creare delle linee guida che coprano tutto l’ambiente sociale in cui il ragazzo vive, oppure, in cui ha bisogno di essere reinserito. Per questo è fondamentale che soprattutto le scuole siano coinvolte in questa rete, perché molto spesso sono il centro poliedrico della vita dell’adolescente e sbilanciandosi è necessario che collaborino anche le attività ricreative, sportive ed artistiche.

Tutto questo però non è esattamente il concetto di prevenzione ma la descrizione di quella che dovrebbe essere l’assistenza post-esordio. Ma è possibile evitarlo ed in un certo senso anticiparlo? Prima di ipotizzare quale potrebbe essere una strategia efficace per fare prevenzione, è necessario interrogarsi su quanto la malattia psichiatrica sia una questione culturale. Trent’anni fa per una ragazza andare al consultorio era necessariamente essere una “poco di buono”, oggi invece le madri accompagno le proprie figlie dal ginecologo. Perché non dovrebbe essere così anche per lo psicologo? Per prevenire bisogna iniziare a sfatare tutta una serie di stereotipi, primo tra tutti che il disagio mentale sia da considerarsi una vergogna. Quindi: l’interpretazione, i contenuti e la cura sono una questione culturale mentre le cause sono di natura sociale e politica. Qui si ritorna al secondo piano della questione. La parte teorica, vergognosamente presente nella realtà, è che viviamo in una società in cui l’individuo non è tutelato. Se si vuole parlare di prevenzione non si può omettere questa evidenza: per prevenire un disagio mentale e personale è necessario creare una società in cui sentirci accettati ed integrati. Una collettività in cui comunicare non terrorizzi e che non costringa a scappare, a chiudersi in una propria realtà. Per prevenire il disagio è necessario cambiare la mentalità a favore di una società in cui non si provi vergogna, favorendo un dialogo concreto ed intergenerazionale tra le parti che la compongono. Esiste una possibilità di cambiare profondamente questo sistema facendo una sorta di

“prevenzione pratica”: fare informazione e formazione. Sensibilizzare le famiglie al tema, insegnargli a non respingere o sorvolare il problema ma ad affrontarlo. Lo stesso va fatto soprattutto nelle scuole che dovrebbero smettere di istruire ed iniziare ad educare facendo formazione a riguardo, come dovrebbe essere per l’educazione sessuale e affettiva. Fare informazione, in modo tale da poter realizzare, come avrebbe detto Marco Lombardo Radice, tutte queste “concretissime utopie”. di Sara De Benedictis

di Davide Antoniotto

Brexit poll

Boris Johnson ha ottenuto un risultato storico alle elezioni del 12 dicembre. Ma non è tutto merito suo.

I risultati delle elezioni del 12 dicembre hanno segnato una svolta nella politica inglese dopo circa tre anni e mezzo di impasse. Parte del merito va sicuramente a Boris Johnson che ha dimostrato di saper aspettare il momento giusto, ma ciò che ha aiutato è anche l’assenza di una costituzione scritta insieme a un sistema elettorale che in nome della governabilità sacrifica le proprie divisioni interne. L’unica evidenza per il momento è il ritratto che viene fuori dalle analisi del voto: un Paese frammentato sia socialmente che geograficamente, preda di pulsioni indipendentiste e conflitti generazionali. E che nel 2021 sarà fuori dall’Unione Europea.

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