N. 27 DICEMBRE 2019

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Prevenzione per “una concretissima utopia” Il disturbo psichiatrico in adolescenza è oggi un’emergenza. Sta diventando una vera e propria epidemia, le strutture di cura e riabilitazione scarseggiano e hanno liste di attesa lunghe mesi. I fondi per le strutture ed i servizi vengono tagliati continuamente. Le strutture pubbliche specialistiche in Italia sono poche e in pochi le conoscono. Il reparto di Neuropsichiatria infantile di Via dei Sabelli del Policlinico Umberto I di Roma è una struttura di avanguardia, unica e centrale per tutto il Centro-Sud Italia. L’unico posto dove è presente un reparto apposito per la malattia psichiatrica in adolescenza, ragazzi dagli 11 ai 18 anni, ricoverati in degenza e in diurno. C’è bisogno di più strutture come queste, che siano in grado sia di gestire i ragazzi nell’emergenza, sia di creare progetti di riabilitazione personalizzati nel lungo periodo. Attualmente arrivano continuamente nei pronto soccorso ragazzi in emergenza psichiatrica e psicologica che vengono o parcheggiati nei reparti per adulti, perché i posti nelle strutture specialistiche non ci sono, o rispediti al mittente dopo aver risolto momentaneamente la crisi. L’assistenza statale al paziente in una situazione non emergenziale è quasi assente. I ragazzi che necessitano una psicoterapia devono provvedere privatamente, questo genera necessariamente una divaricazione sociale tra coloro che possono permettersi un terapeuta privato e coloro che non possono farlo. Nelle scuola è raro trovare uno “sportello di ascolto” che funzioni e nei consultori la specificità per l’età evolutiva è inesistente.

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In sintesi: se hai bisogno di aiuto, devi essere in emergenza per avere accesso ad un primo sostegno. Farmaci, diagnosi e poi di nuovo a casa. Con una bella etichetta stampata addosso ed una famiglia traumatizzata. Dopo tutte queste analisi e questioni la domanda che sorge spontanea è se è possibile fare un lavoro a monte del problema, sbilanciandosi fino ad arrivare a chiamarlo spaventosamente prevenzione. Una scelta di priorità che investe anche la politica, nella definizione di spazi, investimenti e dibattito pubblico. La questione qui si divide su due piani: uno pratico e uno teorico. Nel primo, quello più concreto, c’è l’inevitabile necessità di formare una rete. Specialistica ed individualizzata per ognuno, che colleghi tutte le strutture e le istituzioni: ospedale e territorio, scuola ed equipe medica, tra la famiglia ed il neuropsichiatra infantile, il neuropsichiatra e lo psicoterapeuta, lo psicoterapeuta e la scuola, la scuola e l’adolescente e fondamentalmente tra l’adolescente e la famiglia. Senza omettere nessuno degli elementi qualificanti del processo quali la tempestività, l’appropriatezza e la specificità per età e per disturbo, la condivisione e la personalizzazione, la globalità e l’integrazione, mantenendo continuità, centralità della persona e della famiglia. Ovvero creare dei percorsi individualizzati per ciascun caso a trecentosessanta gradi, sempre e costantemente di integrazione tra struttura e famiglia e possibilmente anche con il paziente. Partendo dalla prima visita, che si spera sia in età infantile così da poter intervenire anticipatamente, passando per la diagnosi e poi per tutto il percorso riabilitativo. Tuttavia, il concetto più importante da premettere è che la diagnosi non è mai il punto di arrivo e spesso nemmeno quello di partenza, specialmente durante l’infanzia e l’adolescenza. Fare una diagnosi ad un bambino o ad un adolescente è come mettergli un timbro a vita e molto spesso è anche controproducente per la terapia, Scomodo

Dicembre 2019


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