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Minutillo Turtur

Il metronomo dei processi -------------------------------------------------------------------- Come la riforma della prescrizione nasconde la crisi del sistema processuale italiano

La media europea dei casi finiti in prescrizione va dallo 0,1% al 2%. In Italia il dato si alza fino al 10-11%. Le cause di questa discrepanza sono diverse e si ricollegano a problemi strutturali dell’apparato giudiziario italiano. I sintomi di queste mancanze sono evidenti: carenza di organico nei tribunali, una scarsa informatizzazione e soprattutto un allungamento esponenziale delle durate dei processi. Il fatto che i riti alternativi al processo sono impiegati solo il 25% delle volte, a fronte di un loro utilizzo pari al 90% nei paesi anglosassoni, sicuramente non aiuta. Nel dicembre del 2018 il primo governo Conte ha approvato un emendamento alla legge “spazzacorrotti”, che prevedeva l’interruzione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. A un anno di distanza la questione è tornata al centro del dibattito pubblico in seguito al tentativo fallito da parte del centrodestra di bloccarne gli effetti, previsti a partire dal 1 gennaio 2020. Tuttavia il fatto che la riforma della prescrizione sia stata inserita all’interno di un provvedimento che dovrebbe limitare la corruzione, denota un errore metodologico e di interpretazione di tale istituto giudiziario. E finisce per non affrontare una reale necessità dell’Italia: una riforma strutturale dell’intero apparato della giustizia.

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Da garanzia sostanziale a rimedio processuale Definita dal linguaggio giuridico come “la perdita di un diritto come conseguenza del suo mancato esercizio entro un termine prefissato dalla legge”, la prescrizione, in campo penale, trova la sua ragione nella perdita di interesse da parte dello Stato e nella funzione rieducativa della pena, che verrebbe progressivamente meno con il trascorrere del tempo.

Perché la strategia difensiva possa essere efficace, infatti, ha bisogno di ricostruire accuratamente il fatto e ad anni di distanza è difficile sia reperire le prove, che utilizzarle per la ricostruzione dell’accaduto; senza contare che una sanzione inflitta dopo un notevole lasso di tempo rispetto alla commissione di un reato, avrebbe la pretesa di operare la rieducazione di un soggetto già diverso da quando si è verificato l’evento. La prescrizione nasce, quindi, come strumento a garanzia del diritto di difesa e della funzione rieducativa della pena. Esistono casi però che la collettività ritiene di una gravità sociale tale da far prevalere sulle garanzie l’esigenza di punire; per i reati punibili con l’ergastolo, infatti, è prevista l’imprescrittibilità. La rapidità del processo non garantisce soltanto l’innocente ma anche il colpevole, per il quale è una necessità saldare il conto con la giustizia. In Italia alcuni processi sono tuttavia estremamente lunghi, sia per inefficienze interne al sistema giudiziario sia per la volontà delle parti, spesso orientata a trarre beneficio da una durata maggiore del processo. Da questa sua funzione originaria, la prescrizione si è trasformata così in metronomo dei processi: uno dei primi dati su cui cade l’occhio del giudice guardando il fascicolo è il termine di prescrizione, e su questo si baserà per scandire i tempi e fissare le udienze. Questa centralità dell’istituto è da rintracciarsi nello scarso ricorso agli strumenti dell’amnistia e dell’indulto, che fino al 1992 venivano utilizzati regolarmente per ridurre il carico giudiziario, ma che per evidente violazione del principio di uguaglianza - veniva infatti operata una inevitabile scelta su quali casi far estinguere - hanno smesso di essere impiegati, facendo sì che il loro ruolo venisse ricoperto interamente dalla prescrizione. Non sorprende allora che agli occhi di larga parte dell’opinione pubblica la prescrizione appaia come un istituto che impedisce alla giustizia di fare il suo naturale corso, oltre che come una fonte di disuguaglianza. Questo perchè a venire prescritti sono molto spesso reati edilizi (nel 2018 sono stati circa 13.000) o ambientali - compiuti per lo più da multinazionali o ricchi imprenditori - soprattutto grazie alla strenua difesa assicurata loro da costosi avvocati. La prescrizione è passata dall’essere una patologia di sistema ad essere la “cura” di un diverso aspetto patologico: l’irragionevole durata del processo.

“La media europea dei casi finiti in prescrizione va dallo 0,1% al 2%. In Italia il dato si alza fino al 10-11%. ”

Una storia sbagliata Il rischio di aver inserito la riforma della prescrizione all’interno di una legge volta a contrastare la corruzione, senza riformare il processo, è evidente: partire monchi può significare restare monchi, soprattutto in un paese la cui coesione strutturale delle forze governative si mette sistematicamente in discussione. È chiaro, del resto, che l’attuale instabilità della maggioranza, che sottende un elettorato particolarmente fluido, renda ormai poco realistica la possibilità di ottenere la riforma del processo tanto auspicata, la quale avrebbe senz’altro inserito il provvedimento all’interno di una cornice legislativa che ne avrebbe ottimizzato l’efficienza, riducendone i margini di disfunzionalità. Le radici del problema sono profonde: numerose forze politiche nel corso degli ultimi decenni hanno ostacolato la possibilità di un dibattito sistematico e costruttivo sul tema. Non è un caso che la crisi del sistema processuale penale si sia molto aggravata dopo Tangentopoli, quando una parte della classe dirigente ha utilizzato il potere legislativo per ridurre al minimo il rischio penale rispetto a determinati reati, creando falle catastrofiche nel sistema processuale. Emblematica in merito la riflessione del PM Paolo Ielo, contenuta nel libro Diritti e castighi: storie di umanità cancellata in carcere: “Il Palazzo di giustizia di Milano rappresenta alla perfezione le diverse velocità del processo penale, che viaggia su un doppio binario a seconda dei reati: al piano terra si trattano gli arresti in flagranza, i “reati di strada”, droga, rapine, violazione della Bossi-Fini. Il processo è rapido e ogni giorno vengono comminati svariati anni di galera. La prescrizione, in questo piano, non esiste. Una delle principali ragioni della rapidità è la condizione di povertà degli imputati, che non possono permettersi un avvocato di fiducia e spesso ricorrono al gratuito patrocinio e alla difesa d’ufficio. Al terzo piano, la giustizia ha tempi diversi. È il piano dei reati di aggiotaggio, corruzione, falso in bilancio, per i quali non è previsto l’arresto in flagranza. Gli imputati non sono “i meno abbienti” del piano terra. Gli anni di galera che vengono comminati ogni giorno sono di gran lunga inferiori. Il processo è più garantito, molti reati vanno in prescrizione anche perché la legge ex Cirielli ne ha ulteriormente diminuito i tempi”. Ielo concludeva: “La differenza tra i piani del Tribunale rispecchia una diversa giustizia e si riflette nel carcere. È ovvio che con questo sistema, in galera ci va la carne da cannone”.

Il rischio che la maggioranza in Parlamento venisse meno è arrivato dopo la richiesta di procedura di urgenza presentata da Forza Italia - partito che, d’altronde, ha spesso ostacolato le riforme per il corretto funzionamento del processo - che chiedeva il rinvio dell’entrata in vigore della riforma e il ripristino della normativa attuale. Per comprendere il dibattito nazionale ad altissimo grado di valenza politica scatenato dall’emendamento, è utile prima avere una percezione reale del problema: secondo il Ministero della Giustizia nel 2018 sono stati definiti per prescrizione 117.367 processi, di cui 57.707 nelle fasi iniziali del processo davanti al Gip, 27.747 davanti ai tribunali, 2.550 dinanzi al giudice di pace, 29.216 in corte d’appello e 626 in Cassazione. Dunque, poiché la riforma si limita ad interrompere il decorso della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, restano fuori da questa azione tutte le fasi del processo antecedenti, nelle quali si concentra più del 65% dei casi di prescrizione. Il dibattito politico sviluppatosi attorno al provvedimento ha sfumature fatte di luci e ombre, con oscillazioni considerevoli dell’asse del discorso da un clima di tensione e di spaccatura della maggioranza ad un uno, invece, di dialogo e di lealtà governativa. Infatti, in occasione del vertice del 3 dicembre a Palazzo Chigi, il PD assieme agli uomini di Italia Viva aveva già annunciato la possibilità di votare con Forza Italia a favore della controproposta di Costa, a meno che non si fossero aperti dei margini di dialogo. Controproposta che, se fosse passata, avrebbe ripristinato la normativa allo stato attuale, annullando di fatto la nuova riforma grillina sulla prescrizione. “La prescrizione è passata dall’essere una patologia di sistema ad essere la “cura” di un diverso aspetto patologico: l’irragionevole durata del processo.” Tentativi falliti Questa situazione malsana del processo penale ha portato negli ultimi anni a più tentativi di riforma. Dapprima la legge ex Cirielli del 2005 è intervenuta riducendo i termini prescrizionali vincolandoli alla pena in concreto stabilita per ogni tipo di reato, modificando così la precedente disciplina che suddivideva i termini della prescrizione in fasce a seconda della gravità del reato. L’evidente rischio, di fatto realizzatosi, di questa riforma era quello di ricollegare il termine di prescrizione non alla più stabile parte generale del Codice penale, ma alle singole fattispecie, la cui disciplina è in balia della politica sanzionatoria delle maggioranze governative che si succedono. Con la naturale conseguenza di un generale inasprimento delle pene al fine di concedere tempi più lunghi alla magistratura. Il comunicato dell’Associazione Nazionale dei Magistrati del 2014 mostra l’interesse dei giuristi ad un confronto con la politica per trovare soluzioni a evidenti limiti del sistema. “L’ANM è pronta a fornire al Governo e al Parlamento il proprio contributo per una riforma radicale che, inserita in un più ampio progetto di revisione del processo e del sistema delle impugnazioni, permetta di coniugare il diritto delle parti con una ragionevole durata del processo e con l’interesse della collettività alla repressione dei reati”. Al tentativo del 2005 ha fatto seguito nel 2017 la legge Orlando, la quale ha previsto la sospensione della prescrizione per un anno e sei mesi, sia dopo la sentenza di primo che di secondo grado. La riforma è stata accolta di buon grado dalla magistratura, che comunque l’ha ritenuta ancora insufficiente. Gli eventuali effetti positivi che ne sarebbero potuti scaturire, però, non possono essere valutati, data la modifica intervenuta circa un anno e mezzo dopo ad opera della “spazzacorrotti”. Come prevedibile, questo ha generato non soltanto un acceso dibattito tra i tecnici del diritto, ma anche una certa agitazione politica che fatica a dipanarsi. Giochi di forza Il 3 dicembre scorso è stata una giornata di messa alla prova della tenuta del governo, che ha mostrato tutta la propria instabilità e mancanza di visione programmatica.

D’altra parte, già prima di questa occasione, i toni erano stati duri, lasciando presagire una plausibile spaccatura della maggioranza di Governo proprio sul tema della giustizia. “Riforma Bonafede senza senso ed incostituzionale” aveva dichiarato il 2 dicembre Bordo (vice capogruppo PD) ai microfoni del Fatto Quotidiano. Il Ministro della Giustizia Bonafede, prima del voto del progetto di legge Costa, aveva mostrato incredulità, sfidando le dichiarazioni ostili degli alleati: “Se volete, fate pure, vi assumerete le vostre responsabilità. Sappiate che così mettete a rischio il governo”. Minaccia esorcizzata il 3 Dicembre in aula parlamentare dai 269 no vincenti sui 245 sì, che hanno bocciato così, in via definitiva, la proposta di Forza Italia, cestinata in extremis anche dai dem, perché definita “strumentale”. Dal canto suo Italia Viva, dichiaratamente contraria dal principio, si è mostrata più volte pronta a votare la legge Costa. Tuttavia, alla fine del colloquio con il premier Giuseppe Conte, mediatore di fatto, ha finito per mollare la presa sul tema, portando con sé al termine della votazione 28 determinanti assenti che, con i numeri alla mano, sarebbero stati in grado di ostacolare definitivamente l’iniziativa del governo. “Assenti per non dividere la maggioranza” ha dichiarato Italia Viva: una forza politica che è nata accompagnata da questi propositi di non ostacolo ma che, come dimostrano questi stessi numeri, riveste un ruolo decisivo sulla scacchiera politica. Il partito di Renzi, nonostante la decisione di non partecipare alla votazione, in seguito ha palesato esplicitamente il proprio dissenso in piazza, protestando assieme alle camere penali davanti alla Corte di Cassazione. A votare a favore del progetto di legge Costa sono stati, oltre a Forza Italia, Fratelli d’Italia e la Lega, mentre a votare contro Pd, M5s e Leu. Il voto si è dimostrato quindi, di fatto, una grande prova di lealtà e coesione per le forze di governo, con il M5s che grida alla “trappola fallita” e dichiara “con le minacce non si va da nessuna parte. È opportuno, invece, dimostrare chiaramente di essere leali e andare avanti in maniera compatta. Con la riforma della prescrizione abbiamo la possibilità di mettere la parola fine all’era Berlusconi che ha fatto solo del male al nostro Paese. Siamo certi che il PD farà la scelta giusta pensando all’interesse dei cittadini”. PD che, d’altra parte, alla fine ha dimostrato di essere leale, ma che ha sentenziato senza mezze misure che la riforma è inaccettabile senza garanzie sulla durata dei processi, come ha spiegato Zingaretti dopo il voto di bocciatura in Parlamento. Le proposte sulla riforma del PD, secondo quanto dichiarato dal dem Bordo, sarebbero numerose a tal punto da offrire ampio margine di dialogo e manovra. Il Ministro Bonafede dichiara all’entrata del Parlamento ed ai microfoni della stampa nazionale di aver già pronta una proposta da ottobre e di esser pronto al dialogo quando si parla di certezza dei processi, ma dichiarandosi al contempo non disposto ad introdurre una prescrizione mascherata in altre vesti, né ad accettarne una specifica per ogni grado di giudizio e processo: proposta peraltro già mossa dai dem, che avrebbero nel cassetto delle opzioni quella del passato Ministro della Giustizia, Orlando. Secondo Bordo, non c’è possibilità che si verifichi crisi di governo sulla prescrizione, c’è un ventaglio di proposte su cui discutere, benché se non ci saranno aperture del M5S sul tema diventerà difficile uscire da questo nodo. Tuttavia, è questo il compito della politica: trovare una sintesi coerente di posizioni provenienti da diversi orizzonti sociali e ideali. “Nel dicembre del 2018 il primo governo Conte ha approvato un emendamento alla legge “spazzacorrotti”, che prevedeva l’interruzione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio.”

Dibattiti interni La posizione ufficiale dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) vede con favore l’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, richiesta avanzata già dal 2012, ma richiede interventi strutturali che possano garantire una maggiore efficienza del processo penale, nonché una sua ragionevole durata. A detta di molti magistrati, tra cui l’ex componente del CSM oggi GIP di Palermo Piergiorgio Morosini e il Presidente della Corte d’Appello di Lecce Roberto Tanisi, eliminare la prescrizione significherebbe in ogni caso risolvere un primo problema, in quanto ogni processo per cui matura è un fallimento per lo Stato, che non è in grado di pronunciarsi nel merito e eventualmente punire i responsabili. Se Piercamillo Davigo - membro del Consiglio Superiore della Magistratura - ritiene che “tale misura, risultando utile a scoraggiare strategie dilatorie, possa costituire un primo passo verso il recupero di efficienza del processo penale”, l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI) è di tutt’altro avviso. L’avvocato Eriberto Rosso, segretario dell’UCPI, ha espresso alla redazione di Scomodo le sue preoccupazioni circa la lunghezza dei procedimenti: “Chiaramente se la prescrizione rimane come riferimento del solo primo grado di giudizio, questo è destinato ad allungarsi all’infinito, non solo per l’assenza della prescrizione dopo il primo grado, ma perché tutto il tempo della prescrizione sarà utile a concludere la sola prima fase di giudizio. Se oggi ad esempio alla prima sentenza si giunge in 3 anni, per tener conto delle possibili impugnazioni, ora si avrà a disposizione tutto il tempo della prescrizione per il solo primo grado di giudizio. Quindi la scommessa che l’ordinamento fa è sull’imputato colpevole.” Senza considerare la presunzione di innocenza infatti, si inserisce una riforma che o condanna alla detenzione o condanna al processo a vita. Ad ogni modo gli effetti di questa riforma si potranno verificare solo a partire dal 2025 per le contravvenzioni e dal 2027 per i delitti puniti fino a sei anni di reclusione. In questo lasso di tempo c’è lo spazio per elaborare proposte di riforme che si affianchino all’abolizione della prescrizione per bilanciarne gli effetti: su questo punto sembrano convergere tanto l’ANM quanto l’avvocatura che ritengono prioritario garantire un processo di ragionevole durata.

Piani per il futuro Un primo passo, ritenuto essenziale da entrambe le parti, consiste in una massiccia depenalizzazione - molte contravvenzioni potrebbero essere trasformate in illeciti amministrativi, conservando un’idea di diritto penale minimo, ossia come ultima possibilità risolutiva - e un incremento dell’organico giudiziale.

E’ parimenti ritenuto essenziale un massiccio investimento nei riti alternativi così da diminuire drasticamente i carichi giudiziali; si pensi che la Cassazione riceve oltre 55.000 ricorsi l’anno. Una riforma organica che va in questa direzione è stata intrapresa nel processo civile e gli effetti sono stati innegabilmente positivi: una riduzione da 4,5 milioni a 3 milioni di pendenze negli ultimi dieci anni. Lo sfoltimento del carico giudiziario non è comunque sufficiente, deve essere accompagnato da adeguate garanzie che agiscano attenuando le conseguenze di un processo eccessivamente lungo. Delle valide ipotesi sono ad esempio forme di attenuazione della pena, come ad oggi avviene in Germania, dove più si allunga il processo più si riduce la pena, fino ad arrivare in alcuni casi limite ad una non inflizione della sanzione, a partire dalla constatazione che il fatto stesso di essere sotto processo è di per sé una sofferenza e, in un certo senso, una “forma di pena”. Il dibattito e le proposte da parte dei giuristi quindi ci sono, ciò che manca è la volontà politica di discuterle. Per Eriberto Rosso è mancato il confronto produttivo tra politica e tecnici del diritto in senso stretto, avvocati, magistrati e accademici: “Questa riforma non ha visto nessun dialogo, è stata inserita con un emendamento alla “spazzacorrotti”, ennesima ridefinizione dei reati contro la Pubblica Amministrazione, peraltro con una definizione giuridica zoppicante. Il dibattito c’è stato dopo, con una divisione in seno alla maggioranza, che ha diversi orizzonti, anche culturali, dicendo che era necessario accompagnare la norma con una riforma del processo incidente sulla durata, fino a quel punto da renderla inutile. L’obiezione è chiara: perché fare una riforma che poi renderai inutile? Detto ciò la riforma del processo non c’è, non ci sarà, e non è assolutamente in programma. Ci sono state delle proposte ai tavoli ministeriali, ma resta il fatto che dal primo gennaio ci sarà la nuova disciplina della prescrizione senza prima aver riformato il processo”.

di Andrea Calà, Lorenzo Cirino, Chiara Falcolini e Claudio Minutillo Turtur

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