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Chiara Falcolini di Romanzo settentrionale
from N.28 GENNAIO 2020
by Scomodo
Come e dove ha investito la 'ndrangheta al nord?
E’ il 1963, anno in cui Rocco Lo Presti, calabrese originario di Marina di Gioiosa Jonica, si stabilisce nel comune di Bardonecchia in Piemonte. E’ lui il padrino della 'ndrangheta nel settentrione e di lì a pochi anni sarà chiaro a tutti che “non si muove foglia che Rocco non voglia”, nonostante l'opinione pubblica si mantenga restìa ad ammettere che anche il nord si è “sporcato” di mafia. “Un provvedimento forse eccessivamente duro in relazione alla reale gravità del fenomeno, (...) iniziative tese alla revisione del caso, al fine di procedere ad una riabilitazione dell'immagine e della dignità del comune in questione”. Queste le parole con cui l'allora Ministro degli Interni Gianni Alemanno si riferì allo scioglimento di Bardonecchia nel 1995. Da allora ci sono voluti 25 anni, altri 11 comuni indagati e innumerevoli indagini per ammettere, malgrado la continua tendenza a minimizzare, l'esistenza di una “metastasi” mafiosa nel settentrione, peraltro particolarmente organizzata. Le origini degli insediamenti mafiosi nel settentrione hanno radici lontane e, contrariamente all'immaginario comune che li vuole dediti prevalentemente a grandi attività finanziarie, trovano tutt'ora una base in comuni di piccole dimensioni, dove è più facile ricreare quei legami di fedeltà che garantiscono la vita delle 'ndrine e dove il potere pubblico è più facilmente avvicinabile. Ma da dove si insinua e che dimensioni raggiunge questa “metastasi”?
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La cementificazione Se analizziamo la concentrazione delle ‘ndrine locali troviamo una stretta corrispondenza tra densità mafiosa e densità di popolazione. L'alto tasso abitativo infatti permette di coniugare il modello del piccolo comune con un buon bacino di capitale sociale, spesso frutto di processi migratori, e una più facile mimetizzazione sociale. E inoltre queste aree sono spesso soggette ad una massiccia cementificazione: secondo l'ISTAT le zone con maggiori percentuali di superfici edificate sono Monza-Brianza, Milano e Varese, tre delle principali zone di attività della 'ndrangheta Lombarda.
Proprio l'edilizia è l'ambito privilegiato dalle cosche, occupando il 48% delle loro attività, secondo quanto emerge da i rapporti svolti per la presidenza della Commissione Antimafia dall'Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell'Università di Milano (CROSS). Spicca qui il settore del movimento terra, privilegiato e non raramente monopolizzato dalla 'ndrangheta, in parte per la scarsa qualificazione che richiede, in parte grazie al fatto che fino al 2006 la normativa permetteva che il vincitore di un subappalto potesse servirsi di una ditta per la terra movimentata senza che questa fosse controllata. Se a questo si aggiunge la possibilità di coniugare il trasporto di terra con quello di rifiuti, anche tossici, era inevitabile che il percorso di insediamento partisse da qui. La spinta più forte arriva ad ogni modo nel 2008: con la crisi finanziaria le banche chiudono i rubinetti ai prestiti e risulta sempre più difficile per aziende come la Perego Strade Srl reperire le liquidità necessarie, spingendole a rivolgersi alla 'ndrangheta. Il prestito usuraio è da sempre uno dei primi punti di contatto con le cosche, insieme alla gestione di conflitti, non di rado inscenati, e la protezione dagli altri clan. Attività tutte imputabili a delle mancanze dello Stato nel provvedere a servizi per le imprese, che si affidano all'intervento delle consorterie tramite degli “uomini cerniera”, non di rado professionisti, che si pongono da mediatori con i capi delle locali. Fin qui l'intervento è generalmente pacifico e la violenza non è neanche necessaria: chi scende a patti con i boss ne sottovaluta lo spessore criminale e, reputandosi il contraente forte, accetta di contraccambiare i favori con delle quote di partecipazione nelle società. Per meglio comprendere la portata di queste partecipazioni riferiamoci a quello che è stato uno dei casi più eclatanti: la Perego Strade Srl. L'azienda, originariamente familiare e tutta lombarda, si rivolge nell'estate del 2008 ad Andrea Pavone e Salvatore Strangio per ottenere dei prestiti e una concorrenza “spianata”.
Immediatamente Pavone entra nella Perego Strade srl, fino a diventarne poi amministratore: crea una seconda società, la Perego General Contractor, in cui fa confluire l’intero insieme di dipendenti, con l’aggiunta di alcuni neossunti calabresi di dubbia qualificazione professionale, così che libero da passività possa meglio concorrere nel mercato. Già dopo pochi mesi nella compagine sociale della Pgc figurano due fiduciarie, per una quota complessiva del 49 per cento: sono la Carini Spa e Comitalia Compagnia Fiduciaria Spa. Se ne solleviamo il velo scopriamo che il 39 per cento della Carini rimanda a Strangio e Pavone, e il 10 per cento della Comitalia al noto boss Cristello. Nel dicembre 2008 la Perego è una partecipata della ‘ndrangheta. Una volta assunto il controllo di imprese di queste dimensioni non sarà difficile imporre i propri “padroncini” come unici contraenti per tutte le attività connesse, dal movimento terra al ciclo del cemento, fino allo smaltimento di rifiuti.
La sanità La 'ndrangheta va dove vanno i soldi e i soldi al nord vanno alla sanità, che vanta una spesa pubblica regionale tra il 75 e l'80%. A renderla ancor di più un settore appetibile concorrono le reti di dipendenze e l'insieme di relazioni sociali di prestigio che permettono di costruire un importante bacino di voti. Un'infiltrazione a questi livelli era ritenuta impensabile fino a quando l'inchiesta Infinito non ha portato alla luce la vicenda pavese: al vertice della ASL di Pavia nel 2008 veniva nominato Carlo Chiriaco, “uomo di 'ndrangheta” con alle spalle fatti di sangue ed estorsioni. Nello stesso anno l'azienda sanitaria gestiva un budget di 780 milioni di euro e aveva alle dipendenze sedici istituti tra ospedali, strutture private e centri di ricovero e cura di eccellenza. Nei due anni in carica, fino al suo arresto, Chiriaco è stato il punto di riferimento dell'intreccio mafia-politica-sanità, garantendo posti di lavoro, concessioni di appalti, false prove e, non da ultimo, rapporti con alti livelli politici. Questi ultimi confermati da intercettazioni in cui Chiriaco, nelle regionali del 2010, prometteva intorno alle 12 mila preferenze a due candidati del PdL, per tramite dei capi della 'ndrangheta lombarda Pino Neri e Cosimo Barranca. Il caso pavese è stato senza dubbio il più eclatante, ma non l'unico: la sanità della regione lombarda in generale si presta particolarmente all'infiltrazione mafiosa.
Secondo l'osservatorio CROSS questo sarebbe dovuto alla forte componente politica nella vita sanitaria. In particolare la fedeltà partitica è la base su cui vengono stabilite promozioni e nomine dei dipendenti fino ai primari, che sono nominati e non scelti per concorso pubblico. Questa sensibilità sarebbe poi accentuata da una forte liberalizzazione del settore, priva però di adeguati meccanismi di controllo: l'apertura di appalti ha così permesso la nascita di nuclei di aziende private di grandezza tale da riuscire a condizionare il potere pubblico.
Quanto emerge da questo quadro è la sorprendente capacità degli 'ndranghetisti di comprendere il contesto e coglierne ogni opportunità. Quando i riflettori di tutta una nazione erano puntati verso lo stragismo di Cosa Nostra, la 'ndrangheta si muoveva nell'ombra di una mafia silenziosa, sussurrata. La violenza che ha usato è una extrema ratio e soprattutto, difficilmente rivolta alle persone. Ha saputo capire che il ricco nord aveva abbassato le difese, ritenendosi immune da una criminalità da poveri e meridionali, ma era pieno di risorse. Soprattutto il nord non era, oggi come allora, privo di lacune, in particolare vuoti dello Stato che la 'ndrangheta vede e prevede come opportunità. Non è un caso che la vicenda Perego nasca dalla crisi del 2008 e non è un caso che le più recenti attività a Milano si sviluppino tra i venditori alimentari ambulanti, mercati che il pubblico ha lasciato privi di regole. A “gestire i conflitti” oramai ci pensano le locali.
13 di Chiara Falcolini
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Risiko libico
La Conferenza di Berlino del 19 Gennaio ha cercato di mettere ordine nella difficile gestione della guerra civile libica.
L’obiettivo dichiarato era quello di evitare che si venisse a creare una situazione simile a quella sviluppatasi in Siria. Negli ultimi mesi infatti, la Libia è divenuto il centro delle mire espansionistiche di Russia e Turchia, mentre l’Italia appare relegata ad un ruolo di secondo piano. La situazione nel Paese nordafricano appare ogni giorno sempre più complessa, ma rimangono elementi stabili a partire da cui è possibile condurre un’analisi approfondita della questione.
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