![](https://assets.isu.pub/document-structure/200331163817-618de74b1683121434e4bda88f152824/v1/eb529a6339e92fed2bb7e10728f7b136.jpg?width=720&quality=85%2C50)
6 minute read
Luca Giordani e Gaia Del Bosco di I will not make any more boring art
from N.28 GENNAIO 2020
by Scomodo
I will not make any more boring art -------------------------------------------------------------------- Vita morte e “miracoli” di uno dei padri dell’arte contemporanea
Il 5 gennaio 2020 è morto John Baldessari. E come ogni povero diavolo che viva d’arte, a meno che non sia sposato con qualche grande di Hollywood o passato a miglior vita, è completamente sconosciuto, fatta eccezione per i pochi appassionati del settore e il mai deludente Matt Groening, che lo fa apparire nell’episodio 14 della 29esima stagione dei Simpsons in un flashback risalente all’epoca del college di Marge, quando l’arte era “solo una scusa per fare festa” e la lei giovanissima si ritrovò ad intervistare uno dei più importanti artisti emergenti d’avanguardia. Questo episodio, secondo il racconto della sig.ra Simpson, risale infatti agli anni ’70, decennio durante il quale si manifesta una grande rivoluzione in Baldessari: brucia tutte le sue opere precedenti – con le cui ceneri, più di 10 kg, prepara dei biscotti da esporre – e dopo poco esordisce con un’opera audiovisiva che consiste in una mano, probabilmente la sua, che scrive in loop su un foglio a righe per tutta la durata del video “I will not make any more boring art”(non farò più arte noiosa). Da qui la perpetua presenza di ironia nelle sue opere. I lavori di Baldessari vengono spesso riconosciuti come appartenenti all’arte concettuale, filosofia artistica la cui teoresi mette in conflitto professionisti di tutto il mondo, i quali però convengono su un solo importante elemento: lo scopo dell’opera non risiede nel destare ammirazione (per materiali o tecnica utilizzati)
Advertisement
nel pubblico, bensì nella capacità di confondere lo spettatore, portarlo inevitabilmente a porsi delle domande ed aprire una discussione, spesso riguardo oggetti o fatti completamente assenti nelle nostre riflessioni quotidiane; e questo è possibile grazie alla traslazione che viene fatta dell’oggetto scelto come soggetto dell’opera dal suo ordinario contesto. In un’epoca in cui, seguendo questo filo logico, tutta l’arte è finalmente concepita come concettuale, accogliendo con entusiasmo la lezione di Duchamp, il ready-made, passando per il dadaismo e le speculazioni filosofiche di Joseph Kosuth, mescolando i colori della pop art, Baldessari si contraddistingue per la sua arte assolutamente non noiosa, impregnata d’ironia.
L’ironia (dal greco έίρωνεία, finzione e interrogazione, in riferimento all’ironia socratica con cui si riassume il procedere speculativo di chi, dichiarandosi ignorante, chiede lumi all’altrui sapienza per mostrare come quest’ultima si riveli in effetti infruttuosa per rispondere al suo stesso «sapere di non sapere») è per definizione un atteggiamento di superiore distacco dalle cose di chi coglie l’aspetto ridicolo o paradossale o banale di una situazione.
L’ironia di Baldessari dunque non provoca risa sganasciate, essa attira la nostra attenzione e fa automaticamente sorridere: non si rimane interdetti come spesso accade di fronte ad un’opera di arte moderna, percepiamo sin da subito la presenza di qualcosa di diverso, critico, provocatorio, per questo sorridiamo, pur senza comprendere di che si tratti ; rimaniamo quindi fermi di fronte al lavoro, cercando tra i cassetti della nostra mente una spiegazione razionale al significato dell’opera, ed è lì che Baldessari raggiunge il suo obiettivo.
Capita spesso, di fronte ad un’opera apparentemente incomprensibile, di decidere di disimpegnarsi dall’analisi di questa ed andare oltre; ciò non avviene con Baldessari: egli ci mette nella condizione di restare, ci attrae, ed è difficile trovare poi il coraggio di allontanarsi senza neanche provare a riflettere. Baldessari parla alla pancia e raggiunge la mente. Un esempio lampante della sua ironia è la mostra del 2010 per la Fondazione Prada: ”Giacometti Variations”. Una serie di enormi figure, alte circa 4,5 metri, ispirate all’immaginario dello scultore svizzero, abbigliate e accessoriate con oggetti e vestiti disegnati da Baldessari stesso, al fine di formare un’ipotetica sfilata di figure immobili. A detta di alcuni, tragicomica e mancante di rispetto nei confronti di Giacometti, che con tale accusa portò l’artista californiano in tribunale. Evidentemente i due non godevano della stessa ironia. Secondo la Fondazione Prada si trattava di “un’ipotesi di integrazione che tende a captare le valenze di un dialogo tra arte e moda, dove l’osmosi tra mannequin ed entità scultorea diventa una dichiarazione di reciproca attrazione e comunicazione”.
Tuttavia, il vestiario, tolto dal suo naturale contesto e posizionato sulle enormi riproduzioni delle filiformi figure di Giacometti è una, neanche troppo velata, critica all’industria della moda, i cui fruitori non sono persone, ma mannequin privi di animo, che nonostante indossino i migliori capi firmati, rimangono spogli. Ciò spiegherebbe l’azzeccatissima scelta di Baldessari di rifarsi alle sculture di Giacometti, simbolo della solitudine e della desolazione dell’animo umano. Se si pensa poi che questa mostra sia stata realizzata presso la Fondazione Prada a Milano, l’ironia e la provocazione sono lampanti, e il Genio indiscusso. Baldessari, come molti suoi contemporanei, si caratterizza anche per la sua attenzione al linguaggio, strumento che gli uomini, sin dalla preistoria, utilizzano per scambiarsi informazioni ed eventualmente discutere. Molteplici le scritte, le parole, i testi che si possono ritrovare nei lavori di Baldessari. Una delle sue più interessanti opere è Tips for artists who want to sell: una tela con su scritte, in acrilico, tre “chicche” per artisti che vogliono vendere, come propone il nome. Nell’ approcciarsi a quest’opera probabilmente ci si aspetta qualcosa di estremo, ridicolo, paradossale, e invece ci ritroviamo a leggere dei suggerimenti veritieri, dove risiede la pura ironia di Baldessari. In questo caso la realtà dei fatti – gente che fa arte al solo scopo di guadagnare - è già paradossale di per sé, dal momento che va a distruggere l’ideale di artista che si impegna per divulgare messaggi di valore, facendo inevitabilmente rivolgere l’attenzione verso la riflessione sull’essenza dell’arte ed il significato della figura dell’artista oggi.
Ciò che più desta entusiasmo riguardo questo tipo di lavori, con protagoniste parole e frasi, il linguaggio nella sua forma più accessibile, è che sempre riusciranno nel loro scopo. Anche a distanza di decenni, essi saranno ammirati e soprattutto compresi, non si tratta di semplice apprezzamento estetico - come può avvenire con la scultura classica o con i ritratti del Rinascimento, comportando una concezione dell’arte, citando Baldessari, masturbatoria, ovvero inutile, tesa al solo piacere momentaneo e senza valore educativo alcuno - ma di dubbi sorti, pensieri smossi.
Ciò però non significa che Baldessari, durante tutta la sua vita, non sia stato al passo con i tempi, anzi. Ha iniziato a “fare arte non noiosa” negli anni ’70, negli Stati Uniti, più precisamente a New York City, in seguito al boom economico e in pieno periodo di proteste pacifiste contro la guerra in Vietnam, la rivoluzione sessuale e la facilissima fruizione di droghe leggere e non solo: non poteva che fare arte non noiosa. Se la sua arte non fosse stata dinamica, ironica, provocatoria, sarebbe stata anacronistica e di conseguenza non avrebbe mai attirato l’attenzione del pubblico, non utilizzando quindi il suo stesso linguaggio, punto chiave, possiamo ormai dire, della filosofia dell’artista californiano, una non lo avrebbe guidato su alcune riflessioni, avrebbe fallito. Baldessari prosegue così per il resto della sua vita, guardandosi intorno e cercando di essere quanto più aderente ai tempi che corrono. Indimenticabile il suo ricoprire la facciata del Padiglione centrale della Biennale di Venezia con la gigantesca immagine di un paesaggio paradisiaco: l’oceano, il cielo azzurro e due palme. L’opera “Ocean and Sky (with Two Palm Trees)” funzionava come un fondale, un invito a fotografarsi davanti allo sfondo per trarre in inganno chi avrebbe visto le immagini, dando l’idea non di una visita alla Biennale di Venezia ma di un viaggio in un luogo completamente diverso. Correva l’anno 2009, e l’era di Photoshop e dei social network - astrazione dalla realtà ed ironia per eccellenza - era alle porte. È stata per noi una fortuna avere avuto - e continuare ad avere, grazie alle sue opere - in un momento storico in cui non si è abituati all’approfondimento, poiché tutto è disponibile subito, all’istante, un John Baldessari che prendendoci per mano ci fa fare tremila piroette e poi ci rimette giù, regalandoci un attimo di pausa dalla quotidiana frenesia. Ancora frastornati dall’esperienza appena vissuta, ci ritroviamo a riflettere e a cercare di conoscere la realtà, attraverso l’unica cosa che l’artista afferma averlo aiutato a capire il mondo esterno e l’arte: l’arte.
di Gaia Del Bosco e Luca Giordani