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Lorenzo Vitrone

Tolo Tolo -------------------------------- Trapasso di un successo

Sarebbe rimasto indietro chi in questo inizio del 2020 non avesse notato la mastodontica invasione mediatica dell’ultima fatica di Luca Medici, in arte Checco Zalone: Tolo Tolo. Nell’era dello streaming e del binge watching ossessivo e frenetico, pochi sono i film (pochissimi quelli che escono in sala) che riescono ancora a porre su se stessi una potente lente d’ingrandimento che faccia addirittura un oggetto di discussione. Alcuni di essi sono in grado di travalicare le consuete sedi di competenza cinematografica e diventano a tutti gli effetti un fenomeno di interesse pubblico, in questo caso nazionale. Che il ritorno di Checco Zalone avrebbe suscitato un nuovo clamore mediatico era assodato già dall’annuncio sulle stampe dell’uscita del nuovo film. Con già quattro lunghi di enorme successo alle spalle, il comico pugliese sapeva di avere una spada di Damocle puntata sulla testa. La sua grande capacità di gestire questa sentitissima aspettativa del pubblico (e di portarla a suo favore) è resa manifesta dalla grande attesa che ha saputo creare attorno alle sue pellicole. Se tra il primo e il secondo film di Zalone sono passati due anni, tra Quo vado? (2016) e quest’ultima pellicola l’attesa è stata di ben quattro anni. Un periodo di gestazione nella norma per qualsiasi film d’autore, ma di certo inusuale per chi fa commedia, soprattutto in Italia. Il fenomeno Tolo Tolo, al di là del prodotto filmico in sé, sta assumendo così tante sfaccettature e chiavi di lettura che appare quasi impossibile cercare di portare avanti un discorso analitico in maniera totalizzante o complessivo. Una recensione del film risulterebbe fin troppo riduttiva per sezionare un’opera che ha visto parte delle sue finalità realizzarsi anche e soprattutto fuori dalla sala. Tanto vale provare a seguire un iter che ci porti dentro il film in sé e tutto quello che ha causato nel panorama nostrano. Al di là e al di qua dello schermo.

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Al di qua dello schermo Tolo Tolo è stato scritto da Zalone con la collaborazione di Paolo Vir- zì e diretto dallo stesso Zalone al suo esordio alla regia. Questi due dati bastano per comprendere che nel film qualcosa di diverso sareb- be emerso. La trama (di cui nulla è trapelato se non in maniera vaga dall’uscita del brano-trailer Immi- grato) narra le vicende del solito “italiano medio, senza alcuna qua- lità” costretto ad un esilio/latitanza in Africa - simile a un altro “esilio” molto noto e ora al cinema, quel- lo di Bettino Craxi in Hammamet di Gianni Amelio. Con un background comico legato all’ennesimo faticoso rapporto di Checco con le tasse e altre varie questioni fiscali (un tema ormai ben codifi- cato nell’universo dei suoi film, an- che troppo), Zalone si ritrova a do- ver affrontare la travagliata odissea dei migranti africani verso l’Euro- pa. Si prefigura così la surreale immagine di una fuga dalla guerra dei villaggi subsahariani e la con- seguente traversata del deserto e del Mediterraneo di un italiano medio. Il dispositivo “Checco” è sempre il medesimo: un tamarro di provincia che per via della sua ignoranza dilagante e sproposi- tata si rapporta al contesto preso in considerazione in maniera così estrema da suscitare ridicole con- seguenze. Ciò che cambia, seppur flebilmente, è tutto ciò che sta in- torno al personaggio di Zalone.

“Che il ritorno di Checco Zalone avrebbe suscitato un nuovo clamore mediatico era assodato già dall’annuncio sulle stampe dell’uscita del nuovo film.”

“Tolo Tolo è sicuramente il film meno “checcocentrico” del compositore barese: è tutto il mondo che circonda il protagonista a cambiare.”

Tolo Tolo è sicuramente il film meno “checcocentrico” del com- positore barese: è tutto il mondo che circonda il protagonista a cam- biare. Per la prima volta in tutta la filmografia del comico pugliese l’intreccio degli altri protagonisti sembra avere una ragion d’essere diversa da quella esclusivamen- te più sterile di servire la battuta nel migliore dei modi e dei tempi. Se da sempre a dirigere le azioni e le reazioni erano state le scelte strampalate del nostro zotico, in Tolo Tolo il focus su Checco spes- so si perde. E questo è un bene. In molti momenti si ha addirittura l’impressione che la sua presen- za in scena si riduca a quella di “commento comico” delle azioni portate avanti dagli altri protago- nisti africani che spesso sembra- no non curarsi neanche delle sue parole. Questo “distanziamento” del punto di vista dalla maschera zaloniana a cui eravamo abitua- ti permette a Tolo Tolo di mettere in luce più di ogni altro film pas- sato una natura mediocre di un personaggio mediocre. Checco è un sempliciotto, un ignorante, incapace di comprendere e di leg- gere effettivamente la realtà che lo circonda. Se al film sono state mosse molte critiche per le poche risate che ha saputo suscitare è perché in molti non hanno sapu- to cogliere il chiaro distaccamen- to della storia da un personaggio che mai è stato positivo e che ora più che mai è incapace di stabili- re un’empatia con lo spettatore.

Se Zalone ha sempre suscitato impressioni e opinioni contrastanti è proprio perché nessuno, in quattro film, ha mai saputo bene in fondo come relazionarsi ad un personaggio del genere. Un personaggio che per natura suscita ilarità per la sua goffaggine, quindi provoca empatia, ma dal quale poi ci si distacca perché “è la rappresentazione dell’italiano medio, e io non lo sono!”. Se Zalone ha sempre instillato il dubbio dividendo il pubblico è perché le risate dei suoi film sono ambigue, armi a doppio taglio: si ride perché ci si identifica e si riconosce se stessi? O perché ci fa ridere la parodia di comportamenti che non condividiamo e che quindi amiamo vedere scherniti? In Tolo Tolo le risate ci sono, ma si caricano di un’amarezza dovuta a un più chiaro (ma non ancora esplicito) riposizionamento del personaggio: Checco Zalone è un cafone. La natura patetica del suo atteggiamento si è fatta più evidente. Se da una parte qualcuno ha saputo ancora ridere di gusto nel vederlo preferire la guerra alla ex-moglie o alle tasse, d’altra parte a molti, moltissimi, è risultato molto difficile ridere quando lo hanno visto calato in un universo come quello del tema dell’immigrazione. Un tema attualissimo, di cui Zalone non ha saputo dare né una corretta interpretazione né tantomeno una precisa considerazione o esplicita presa di posizione. Il discorso sull’immigrazione viene portato avanti dalle parole dal personaggio già descritto prima: il criterio per cui Checco decide se l’accoglienza sia giusta o no è mossa per tutto il film dal suo interesse di evadere o no le tasse. La parodia mussoliniana evidenzia chiaramente un orientamento di critica verso una certa modalità di far politica impossibile da non cogliere. Ma la presa di posizione rimane molto tiepida e il trasformismo politico del film è costante. Mereghetti ha parlato di uno Zalone che “non cura più il suo personaggio, ma lo getta”. La maturità del film non risiede di certo nel tema trattato: inutile ancora cercare di intellettualizzare ciò che non ha niente da intellettualizzare (e neanche vuole averlo). La tanto agognata maturità di Tolo Tolo è nella più chiara pateticità di un personaggio per troppo tempo rimasto molto ambiguo. Si ricordi, come bene ha suggerito nella sua recensione sul Fatto Quotidiano Gianni Canova, che “far vedere qualcuno che non vede, è il modo migliore per far vedere qualcosa che non si vede”. Per il resto, il film presenta numerosissime falle narrative, registiche e, incredibilmente, soprattutto tecniche: inaccettabile ad esempio vedere nel trailer Immigrato una color correction terribile, a tal punto che a un certo punto la mano dell’immigrato-lavavetri sul parabrezza si colora di giallo quando si sovrappone al volto di Zalone accuratamente ingiallito. Questi errori presenti in più momenti sul film forse possono essere carpiti solo all’occhio di un professionista del settore; ad ogni modo non giustificano una superficialità nella lavorazione di un prodotto che rimane sempre cinematografico e che dunque è fatto anche di reparti tecnici e di professionisti. Un errore all’apparenza così irrilevante dimostra tuttavia un’approssimazione del lavoro che sembra volersi ridurre solo ad un one-man show. Ma i film, seppur forti al botteghino, non possono esistere solo della maschera che chiama al box-office. Tale negligenza nell’offrire un prodotto costellato da diversi errori tecnici anche nel montaggio è l’ennesima dimostrazione di un arrogante convinzione per cui basta vedere la faccia di Zalone per portare la gente in sala, mancando di rispetto a intere categorie professionali che fanno della cura dell’insieme di un prodotto la loro principale finalità. Al di là dello schermo Non è un caso infatti che il film stia avendo una vita più fuori che dentro la sala. Tolo Tolo si è aggiudicato il record di miglior esordio al botteghino nella storia del cinema italiano, più di 8 milioni di euro nel primo giorno. Una cifra esorbitante che ha continuato a salire nelle settimane successive: più di otto milioni di italiani hanno visto Tolo Tolo a tre settimane dalla prima. “Se Zalone ha sempre suscitato impressioni e opinioni contrastanti è proprio perché nessuno, in quattro film, ha mai saputo bene in fondo come relazionarsi ad un personaggio del genere.” “Il grande fraintendimento sta nel concepire la comicità di Zalone come un “alto che si abbassa” quando, come scrive bene Davide Turrini per il Fatto Quotidiano, è solo un “basso che esagera”.”

La grande e accuratissima macchina del marketing e della promozione di Pietro Valsecchi ha sicuramente contribuito a potenziare l’impatto di un prodotto che già da sé avrebbe trascinato. La lungimiranza di Luca Medici nel far uscire un film circa ogni tre anni - durante i quali la sua figura pubblica scompare totalmente dai riflettori - garantiscono una più forte ricezione del film dunque molto atteso, a differenza della solita annuale commedia delle tre carte dove sceneggiature fatte con lo stampino e attori interscambiabili non portano nulla di nuovo. Impossibile prescindere anche dall’enorme clamore politico che il film ha suscitato. Con l’endorsement iniziale di Salvini e di tutta la destra al trailer Immigrato, erroneamente (davvero, seriamente?) scambiato per l’anticipatore di una pellicola “sovranista”, il film è diventato banco d’accusa tra due altre fazioni di pubblico, la sinistra che vede in Zalone il grande artista perché “bisogna essere molto colti per far finta di essere scemi”, e l’ala più reazionaria che forse ha sempre riso alle battute di Zalone perché forse non le considerava tali. Da questo tipo di diatribe totalmente futili e sovrastrutturali, Checco Zalone non può che uscirne vincitore. La critica più progressista continua a voler vedere in Tolo Tolo rimandi a Monicelli, a Risi, a Sordi o addirittura a riferimenti culturali extra-cinematografici, ostinata a voler scovare un “altro”, una doppia lettura o una base nascosta d’intenti o di ideali dietro un film che a detta di certi critici “è stupido solo in apparenza”; l’italiano medio intanto ride inconsapevole delle gag che hanno per bersaglio proprio lui. Il grande fraintendimento sta nel concepire la comicità di Zalone come un “alto che si abbassa” quando, come scrive giustamente Davide Turrini per il Fatto, è solo un “basso che esagera” e che fa finta di elevarsi. Zalone si fa così beffe di tutti, e lo fa portandosi a casa più di 40 milioni di euro. Ostinati a cercare una sovrastruttura e a voler giustificare un successo che non vogliamo ci appaia immotivato, ci sfugge che Tolo Tolo è un film di consumo.

Un prodotto commerciale concepito e nato per raggiungere nelle migliori condizioni la copertura su tutto il territorio nazionale, distribuzione che sembra aver nuovamente ottenuto con estrema facilità. I numerosi orari di spettacolo di Tolo Tolo offerti dalle sale non fanno altro che rispecchiare una domanda di mercato che difficilmente si è vista con altri film commerciali. Zalone parla agli italiani, a quella fetta di pubblico che al cinema ci va a Natale con la famiglia.

Pensare che numeri del genere facciano male a un cinema più all’ombra è una considerazione erronea: un film che esce al cinema nello stesso periodo di Tolo Tolo non può che beneficiarne, e questo è dimostrato anche dagli incassi degli altre pellicole che hanno avuto un notevole rigonfiamento proprio nelle settimane dopo l’uscita dell’ultima fatica di Luca Medici, anche a distanza dal periodo di festività. Se il cinema è anche industria, l’esistenza di Zalone e della sua commedia risulta chiaramente motivata. Anzi, se devono essere prodotti film di consumo da cashflow, tanto vale che sia Tolo Tolo e non la solita commedia di scoregge e rutti: va riconosciuto a Checco la lungimiranza di gettare in ogni suo film precise componenti sociali del presente. Così mentre il pubblico si divide e si azzuffa, Zalone se ne va proprio come fa alla fine di Tolo Tolo: canticchiando, in mongolfiera, mettendo se stesso in ridicolo e dandoci per l’ennesima volta l’impressione di averci capito qualcosa. Quando in realtà non c’è niente da capire.

di Lorenzo Vitrone

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