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Cosimo Maj di La pupa e il secchione

La Pupa e il Secchione -------------------------------- Il diritto ad essere bischeri

Una delle coppie comiche più fa- mose è Stanlio e Olio. Stan Lauren e Oliver Hardy hanno basato tutta la loro comicità, oltre che sul tipi- co slapstick dell’epoca, sul rappor- to ironicamente conflittuale tra i due. Olio ha sempre da ridire su Stanlio, difatti quelle che ci sono rimaste più impresse sono le sue espressioni di frustrazione a favo- re macchina rispetto ai casini che combina il compare. Alla base di ogni racconto che funzioni c’è un conflitto. Per cui anche per inne- scare gli effetti comici c’è bisogno del conflitto. E il conflitto tra due personaggi di carattere diametral- mente opposto (all’apparenza) è diventato un archetipo classico, ad esempio, della commedia ameri- cana. Ne abbiamo avuto un esem- pio con il vincitore dell’Oscar al miglior film dell’anno scorso, Green Book, che, nonostante sia un film mediocre, trova una sua forza proprio nel suo essere strutturalmente classico. Anche Todd Philipps, quando non giocava a fare l’autore, fece un film molto divertente basato su questo arche- tipo, Parto con il folle, con il solito Galinfianakis e un Robert Downey J.R sotto le righe, in cui le diversità tra i personaggi emergono ancora di più perché costretti ad una con- vivenza forzata. Uno dei maggiori successi della TV statunitense, Due uomini e mezzo, creato da Chuck Lorre, è basato sulla convivenza tra due fratelli, uno sfigato l’altro don giovanni. Verso i primi anni del duemila Lorre idea uno show di cui realizzerà un pilota nel 2006, il quale gli viene bocciato dalla produzione, che poi gli darà una seconda possibilità un anno dopo.

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Nel settembre del 2007 esce la prima puntata, e secondo pilota, di Big Bang Theory. La sitcom guadagna sempre più successo di stagione in stagione portando i tre attori protagonisti (Penny, Leonard e Sheldon), dall’ottava stagione in poi, a guadagnare un milione di dollari a puntata. Anche qui il concept si basa sul nostro caro topos, l’ingresso nella vita di tre nerd, o geek, di una at- tricetta non particolarmente fan del Signore degli Anelli o di Star Wars e ignorante rispetto alla Fi- sica teorica. Due anni prima, nel giugno del ’05, veniva lanciato un format di reality venduto poi in tutto il mondo, The beauty and the geek. Il programma propone un “esperimento sociale” basato sulla convivenza dentro una vil- la di due gruppi di persone, uno formato da nerd socialmente disabili, ma preparati cultural- mente e l’altro da ragazze belle, ma ignoranti. Una dovrà impa- rare dall’altro a essere più colta e l’altro ad essere più socievole e attento al proprio aspetto. Il pro- gramma comunque ripropone un cliché, quello dell’abbinamen- to nerd e figa, già presente nella pornografia e che, appunto, viene affermato prepotentemente due anni dopo, in maniera sicura- mente più blanda e raffinata, da Big Bang Theory. Partendo dal reality per arrivare alla sit di Lor- re percepiamo quanto la figura del nerd rappresenti la maggio- re subcultura del nostro tempo. Insomma, il format statuniten- se, come naturale che sia, supe- ra i confini nazionali e arriva in tutto il mondo. In Italia, com- prato dalla Endemol, va in onda su Italia Uno con il nome de La pupa e il secchione. Viene pro- dotto per due stagioni, nel 2007 e nel 2010, con la conduzione di Enrico Papi e un ottimo indi- ce di ascolti, ma forse poco per un epoca in cui il Grande Fra- tello troneggia spavaldamente.

Il programma sparisce lasciandoci un offuscato ricordo e Francesca Cipriani, pseudo diva dalle forme felliniane, spinte all’eccesso dalla chirurgia estetica, in dote a programmi come la Ruota della fortuna e GF Vip vari. Il reality fa il suo ritorno nel primo anno della seconda decade del ventunesimo secolo, a dieci anni di distanza dall’ultima stagione, con in conduzione Paolo Ruffini. Il carattere del programma sembra appartenere a un lontano, seppur vicino, periodo storico televisivo. Tuttavia, per avvicinarsi all’attualità del nostro tempo, gli autori aggiungono un “viceversa”. La presenza anche del pupo e della secchiona dovrebbe, in parte, ripararli da accuse di sessismo. Anche se sono le zinne e i culi, cercati vouyeristicamente dalla telecamere, più i secondi, a comandare, conferendo al programma un’aura da avanspettacolo che sa di vecchio. Da l’altra parte ci sono i secchioni, più che secchioni casi umani, poco in grado di contrastare il sottotesto erotico della trasmissione, quello maggiormente d’impatto. L’attenzione voyurestica della regia però spinge ancora di più su di un altro tasto, un altro segmento dei personaggi femminili, la loro ignoranza, che sembra essere l’elemento comico maggiore. La “noncultura”, come la definisce Ruffini, delle pupe, è quasi parodistica, grottesca. Non sanno le tabelline, scambiano Mattarella per un prete, i Nirvana per i Beatles. E noi ridendo a mezza bocca sappiamo quanto rappresenti una linea comica già vista. Giocando sull’ignoranza delle persone ci mangia già un canale Youtube di successo, il Milanese imbruttito e in passato la Gialappa’s con Mai dire GF e le famose interviste ai provini. Di conseguenza l’opposta lacuna fisica del secchione va sicuramente in secondo piano rispetto alle carenze intellettuali delle nostre protagoniste. Comunque le rispettive mancanze delle due file di personaggi non vengono approfondite più in là della battuta. La presunta volontà di rendere il programma “esperimento antropologico” lascia il posto ad una serie di giochi, giochetti, quizzini da villaggio turistico. Se da una parte al GF gli si deve dare il merito di proporre un contenuto dalle caratteristiche quasi distopiche qua ci troviamo davanti un circo di bassa lega in cui, ad esempio, il viceversa, uno dei pochi aspetti di interesse, risulta un piatto ribaltamento della situazione. Nonostante la chiara, quasi palesata, natura trash del programma, proprio grazie alle mancanze dei protagonisti ci troviamo davanti a momenti di tenerezza. Una volta fatte le coppie, alcune di esse diventano solide quasi da subito. Si crea un’alchimia tra alcuni personaggi che sotto una certa luce fa pensare a Califano quando canta “semo due soli ar monno”. A rafforzare il concetto c’è la galanteria maldestra del secchione che, più della sua intelligenza, apre una breccia nel cuore delle nostre pupe. A dirigere la baracca c’è un Ruffini brizzolato, che si fa da parte, inibendo le sue “doti” comiche, per lasciare il palco ai nostri eroi. Si ispira dichiaratamente a Corrado, a una certa placidità del conduttore d’altri tempi. Vedere il nome di Ruffini alla conduzione di un programma così trasparentemente trash fa pensare a quanto, riferendoci a Boris, possa essere definito non so se “il”, ma certamente un “Re della merda”. È sicuramente autore di uno dei più brutti film mai concepiti da un essere umano, Fuga di cervelli, ed è riuscito perfino ad inimicarsi De Sica e Boldi per aver fatto un nonfilm che è il Greatest Hits dei cinepanettoni, Supervacanze di natale, passando per il siparietto ai David di qualche anno fa in cui disse alla Loren “rimane una gran topa” con scarso apprezzamento da parte della vecchia diva. Durante la prima puntata dell’anno di Tv Talk, il programma condotto da Massimo Bernardini su Rai3, Ruffini viene messo sotto torchio, in modo molto blando, riguardo la conduzione del programma. Il livornese difende a spada tratta il piatto in cui mangia e rivendica il diritto alla “bischerata”, alla leggerezza, esternando il suo malcontento per la mancata uscita di un cinapanettone sotto le feste. Soprattutto accusa un processo di intellettualizzazione del mondo dello spettacolo che, a dir suo, appare molto più intollerante nei confronti del trash rispetto al passato. E conclude rispondendo a una domanda velatamente esistenziale “Ruffini fa il regista, l’attore, il conduttore, teatro, cinema, ma cosa fa, chi è Ruffini?”. “sono un buffone”. “Sono un buffone. E fiero di esserlo. Volgendo uno sguardo tenero non solo alle pupe poco scolarizzate e ai secchioni disagiati, ma anche al loro capocirco, ci troviamo di fronte un mondo che pretende il suo diritto di essere leggero, forse mediocre.”

E fiero di esserlo. Volgendo uno sguardo tenero non solo alle pupe poco scolarizzate e ai sec- chioni disagiati, ma anche al loro capocirco ci troviamo di fronte un mondo che pretende il suo diritto di essere leggero, forse mediocre. L’attrazione ver- so la leggerezza non è però una prerogativa dei dichiaratamen- te mediocri, va a toccare anche quei personaggi apparentamenti associati alla “cultura”. L’ospite della prima serata, Alessandro Cecchi Paone, accademico di medio livello, promotore di sto- ria e scienza, finisce per navigare anche lui in questo mare di inet- titudine, trovandosi a suo agio. Pensiamo poi ad un altro dotto uomo di cultura, Vittorio Sgarbi, uno dei maggiori produttori di trash televisivo in Italia. A questo appello di Ruffini alla leggerezza rispondono, idealmente, i perso- naggi più disparati. Anche Ales- sandra Mussolini, ospite della seconda serata, che è passata dal cinema, deviando per una breve carriera musicale, alla politica, rimanendo, però, a sguazzare nel nulla. Si può immaginare Ruffini che li prende per mano e li por- ta alla stazione, come in Amici Miei, a tirare gli schiaffi alle per- sone affacciate dal finestrino sul treno in partenza, facendoli sen- tire “bischeri” e sereni di esserlo.

di Cosimo Maj

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