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di Lorenzo La MalfaIl grande tabú storico

IL GRANDE TABÙ STORICO LE FOIBE, UNA FERITA ANCORA APERTA NEL DIBATTITO POLITICO ITALIANO

Stretta tra le mura Aureliane e il GRA, Roma Sud si caratterizza per l’atmosfera popolaresca e accogliente. È evidente già se si percorre una qualsiasi via a Testaccio, come quando ci si affaccia dalla basilica di San Paolo verso l’Ostiense delle università, dei ragazzi sempre per strada, dei concerti al parco Schuster, o anche fermando lo sguardo su un qualsiasi cortile silenzioso di Garbatella. Questa sensazione è ancora più palpabile procedendo verso le strade consolari Appia, Ardeatina e Laurentina, in tanti rioni esterni e sempre più nuovi del meridione romano. Tra questi, il quartiere giuliano-dalmata sorge proprio attaccato alla Laurentina, su un versante piuttosto anonimo. Di là dalla via si arriva, attraverso un viale alberato da pini, alla piazza principale del quartiere, intitolata appunto piazza dei Giuliani e dei Dalmati. Intorno alla Lupa capitolina sita nella piazza, i ragazzi quotidianamente si incontrano, studiano, riportano agli amici le avventure parascolastiche del giorno. La piazza “della lupa” è insomma luogo di raccolta e di svago, come se ne vedono tanti in un quartiere periferico, di quelli che tipicamente dimostrano poche attrattive per un estraneo.

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Tuttavia le vicissitudini attraversate dalla zona e dai suoi abitanti possono essere un racconto entusiasmante e drammatico, che merita di essere scoperto.

Come detto, i frammenti di popolo su cui è impostato tutto l’aspetto urba- no della capitale, porta alla costruzione dello stesso Villaggio Giuliano: na- sce come agglomerato di case per operai al lavoro della quarantaduesi- ma Esposizione Universale, poi EUR. Anni di guerra e di impoverimento dello Stato impediscono il termine dei lavori e la manifestazione stessa, mentre i manovali del cantiere vanno, fucili in pugno, al fianco dei tedeschi. Innumere- voli i crimini di guerra di cui i leader dell’esercito verranno accusati, tra cui l’ita- lianizzazione forzata nei territori conquistati, soprattutto Balcani e nord Africa.

La guerra di conquista si rivela presto un fallimento, e gli Alleati sbarcano in Sicilia. L’otto settembre 1943 il Re e l’esercito si schierano definitiva- mente al fianco degli americani. Sul fronte orientale, insurrezioni slave contro l’oppressione fascista degenerano caoticamente in epurazioni etniche contro gli italiani. Le esecuzioni sono stimate sull’ordine delle centinaia di persone uccise. Furono veri e propri massacri, promossi da- gli organi di liberazione slavi contro leader e burocrati fascisti, ma i cui effetti si allargarono su cittadini innocenti e tesserati fascisti in genere.

La Germania Nazista interviene presto in soccorso della potestà mussoliniana, e ristabilisce l’ordine pubblico. La situazione rima- ne però tesa, e non appena anche il Reich collassa riprendono vita gli stermini spontanei della minoranza italiana. Questa volta la puli- zia etnica assume le dimensioni di guerra organizzata di liberazione. Tanto più atroci si fanno le stragi: il nemico non è più l’oppressore fascista, ma chiunque si opponga all’esercito del maresciallo Tito. E difatti l’obiettivo è triplice. Anzitutto punire i criminali di guerra, in secondo luogo annientare gli oppositori all’annessione iugoslava, tra cui anche membri di organizzazioni antifasciste tricolori, ma so- prattutto (e questo porterà alla più consistente uccisione di popola- zione italiana) lo scopo intimidatorio e terroristico nei confronti della parte civile, esortata sotto minaccia ad abbandonare le terre natali. La stima delle vittime ci si mostra spietatamente: una cifra che oscil- la tra 5'000 e 15'000 tra scomparsi e salme riesumate, anche se di sicuro il numero preciso dei morti non potrà mai essere recuperato.

Il 10 febbraio 1947 i vincitori della guerra si spartiscono l’Europa. La Cortina di Ferro dividerà Est e Ovest per altri quarant’anni; lo stato iugoslavo, in mezzo ai due, ed unico ad essersi liberato senza diret- to intervento esterno, viene percepito come il leader dei cosiddetti paesi “non allineati”. La sua politica estera sarà dunque caratteriz- zata da continue negoziazioni con l’uno e l’altro fronte. Per quanto riguarda le conquiste, andrà a Tito tutta quella fascia costiera co- stituente l’Istria e la Dalmazia, su cui i soldati d’Italia avevano ap- pena piantato il moschetto. Si tratta di territori non particolarmen- te ricchi che dai Balcani si affacciano sull’Adriatico, un tempo sotto il dominio di Venezia e oggi facenti parte di Croazia e Serbia. Così ha inizio l’esodo ultimo degli abitanti italiani di Istria e Dalmazia.

Ora, i conferenzieri dell’Istituto Giuliano-Dalmata, nell’esporre la tematica dell’esodo, devono sempre raccontare mille e mille sto- rie intrecciantisi alla Storia, e si ritrovano comunque con poco tem- po da dedicar loro. Per questo usano mostrare un breve documen- tario dell’epoca riguardo all’esodo, che riassume l’abbandono in navi traghetto di Pola, ultima tra le città cedute alla Iugoslavia.

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La testimonianza del documentarista è particolarmente toccan- te; discorsi di chi ha visto il dramma con i propri occhi: “…Hanno sperato fino all’ultimo, hanno sperato che non fosse vero... Il To- scana procede nelle gelide acque del bacino di San Marco, e segna il tracollo delle speranze. […]. Non guardano la nave, hanno tutti lo sguardo volto alla città che non guarderanno più, a quelle strade che non percorreranno più… <<Pola; addio>>, <<Pola, addio>>…”

Al largo delle uggiose acque adriatiche, il destino degli esuli rima- ne sospeso. Molti espatrieranno all’estero, perdendo anche l’ulti- mo legame con le origini. Non tocca miglior sorte a chi rimane nel- lo stivale: in un’Italia pronta a dimenticare il dramma della guerra, chi ancora la vede nel suo quotidiano diviene il suo più spaven- tevole fantasma. Così gli Istriani, già persa la patria, la riperdono ogni giorno. Talvolta vengono considerati alla stregua di comunisti iugoslavi, altrimenti sono trattati come fascisti. Di certo il clima della Guerra Fredda non scioglie i pregiudizi: lo Stato Italiano, sot- to l’ala degli Stati Uniti, rimane silente, per non allontanare Tito dalle posizioni sempre più filoatlantiche. Sono, in definitiva, soli.

Le comunità più fortunate continueranno a vivere unite in caseggiati di fortuna: dopo essere passati dalla Risiera di San Sabba verranno disloca- ti in zone specifiche delle città d’Italia, soprattutto in quelle industriali del nord e nelle grandi città. Tra tutte, Roma. Prende così forma il quartiere giuliano-dalmata, abitato oggi per lo più da eredi degli esuli. Va detto che la presenza giuliana non è più assolutamente maggioritaria, ed il volto del quartiere è cambiato in favore di diverse componenti sociali, soprattut- to provenienti da altre zone d’Italia. A più di settant’anni dall’esodo, solo il tempo e la progressiva pacificazione dell’Europa hanno lenito le ferite. Pace che non sarebbe stata possibile senza l’entrata in scena dell’Unione Europea, che ha assicurato la possibilità agli esuli di rintracciare le pro- prie radici, e agli storici di ricostruire le vicende. Al contrario, non verran- no mai ripagate le perdite umane e le espropriazioni subite dagli abitanti.

Sull’esodo interviene anche l’ex ministro degli interni: “I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali. Non esistono martiri di serie A e vittime serie B”. Salvini opera un pericoloso parallelismo tra due eventi che non devono in alcun modo essere messi a confronto, come affermando “tali morti sono più gravi, o anche meno gravi o ugualmente gravi a tal al- tre.” Se poi si vanno ad analizzare i crimini di guerra sono tutti, sì, crimini, su questo non vi è alcun dubbio. Le modalità con cui i fascisti e quelle con cui i titini andarono a soffocare le minoranze sono sostanzialmente di- verse: l’aggressività in guerra dei fascisti fu motivata dall’imperialismo, mentre la pulizia etnica realizzata dagli slavi va inquadrata in una ge- nerale risposta all’oppressione fascista. Fenomeni, ugualmente orribili e spontanei, avvennero in tutti i territori prima conquistati dai nazi-fascisti.

Sfruttando poi una manifestazione dell’Anpi (Associazione Na- zionale Partigiani d’Italia) sulla questione foibe Salvini si spin- ge oltre. Lancia una minaccia contro l’organizzazione partigia- na: "Anpi nega Foibe, rivedere i contributi alle associazioni”. Affermazione che ha ovviamente suscitato molto più clamore di qual- siasi altro intervento sulle foibe. Come si motiva una contrapposizio- ne così marcata ad un’istituzione legata alla storia della Repubblica?

Certo, l’antipatia del padano nei confronti delle parti di sinistra non è nuova, ma in questo caso la natura della dichiarazione ha radici ben più profonde: Salvini ce l’ha con un aspetto fondamentale del- la Prima Repubblica, ovvero con l’appiattimento della realtà storica su posizioni ideologiche e unilaterali. In particolare, tanto il nega- zionismo sullo sterminio degli ebrei quanto il negazionismo rosso, tentarono di dare una lettura ideologica della guerra, nascondendo gli aspetti più controversi dei rispettivi fronti. I negazionisti ros- si mettono in dubbio, alcuni il numero dei morti infoibati, altri an- che la stessa esistenza di un fenomeno foibe. Tuttavia questa non è la posizione ufficiale dell’Anpi, se non solo di alcuni suoi membri.

Anche ammettendo che l’Anpi abbia assunto pareri discutibi- li, Salvini dimentica che la Prima Repubblica è terminata trent’an- ni fa, e la verità storica è stata ristabilita. Sappiamo con chia- rezza quanto è accaduto sulle foibe come su tutte le atrocità commesse dal nazi-fascismo. Il compito della nuova generazione politica è prettamente quello di rispettare i fatti, evitando inutili pa- ragoni, e soprattutto evitando di rigettare nel calderone ideologizzato eventi che toccano un nervo ancora scoperto della società italiana. È vero, la realtà storica è ancora ignota ai più, meno conosciuta di quanto lo siano Auschwitz, i crimini di guerra al fronte, il massacro del- le Fosse Ardeatine… E questo ci testimonia ancora una volta quanto l’Italia abbia difficoltà a fare i conti col proprio passato. Troppe ambi- guità sono lasciate nel ricordo dei caduti, dei martiri, dei perseguitati e dei soldati stessi. L’unica possibilità di recuperare una più giusta me- moria storica risiede nell’intervento diretto dal basso. Chiunque deve agire per recuperare, diffondere i fatti ed il loro effetto sul presente.

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di Lorenzo La Malfa

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