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Alessandro Masone
from N. 32 MAGGIO 2020
by Scomodo
Un lavoro vero
- Che lavoro fa tuo padre? - Mio padre non dipinge, non fa l’artista, fa un lavoro vero.
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Questo scambio di battute è purtroppo realmente accaduto: bambini, voci della verità… Non essere riconosciuti come dei veri lavoratori, rappresenta nel mondo della cultura un fardello a tratti invalicabile. Il mercato del lavoro in questione si nutre di un sentimento di incertezza e di insicurezza, frutto di una biopolitica il cui risultato si traduce non soltanto in una strumentalizzazione del volontario e del lavoratore, ma anche in un autosfruttamento. L’arte si presta perfettamente a questo schema, visto che la domanda con la D maiuscola ancora oggi risulta inevasa: che cos’è l’arte? Se non siamo ancora in grado di definirla, come potremmo stabilire chi è a crearla e ne sia, quindi, un lavoratore? Ma soprattutto, siamo certi di poter parlare di lavoratori?
L’art. 4 della Costituzione dice: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
“Progresso”, non “lavoro”. Come ci racconta Numero Cromatico, centro di ricerca sulla relazione fra arte e scienza, l’artista immagina il futuro, il suo lavoro non sedimenta nella produttività di artefatti e nella mera esposizione di “decorazioni”. Le ragazze di OTTN, gruppo di giovani curatrici alla ricerca di nuovi formati per raccontare l’arte contemporanea e le sue connessioni con le persone, seppur sottolineando la criticità del rapporto fra produttività e valore monetario, non hanno dubbi: <<quando ti dedichi con professionalità, serietà 12+ ore al giorno a qualcosa è lavoro!>>
Tuttavia sentimento comune che affligge chi lavora nelle arti visive è quello di una forte precarietà. Soprattutto gli artisti si ritrovano in bilico, costretti a cedere a qualsiasi ricatto del sistema pur di ottenere finanziamenti per investire il loro tempo sia nella ricerca che nell’attuazione della loro pratica, che poi spesso è la stessa cosa. L’arte visiva è un mondo che in questi secoli è riuscito a rendere visibile l’invisibile, ma oggi, il processo si è invertito rendendo invisibili coloro che rendono possibile questo processo di cui l’umanità necessita ogni giorno.
Non è un Paese per vecchi... e artisti... e donne...
I tentativi per risanare questa condizione sono stati, ad esempio, la creazione dell’Italian Council (2017) e dell’Art Bonus (2014). Il primo, con un budget di 1.700.000 euro finanzia progetti che prevedono la promozione internazionale di artisti, curatori e critici, oltre che l'incremento delle collezioni pubbliche. L'Art Bonus prevede, invece, importanti benefici fiscali sotto forma di credito d’imposta per chi effettua donazioni spontanee in denaro per il sostegno dei beni culturali. Entrambi gli strumenti, però, non sono sufficienti a garantire una continuità di ricerca artistica. Come ci ricordava Numero Cromatico, il problema potrebbe essere di una natura più radicale, e forse si dovrebbe superare la visione dell’artista come lavoratore.
Il sentimento di precarietà risulta ancora più accentuato se si prende in considerazione un over 35, donna e madre. Per molti bandi, infatti, l’arte ha una data di scadenza. Non è possibile parteciparvi in caso si fossero superati i 35 anni di età, come si rammarica l'artista e scenografa Francesca Torricella: <<Non è solo l’età, in alcuni casi vengo respinta da lavori o residenze d’artista perché ho una figlia e quindi, “non mi potrei concentrare pienamente sul lavoro”>>.
Una nuova speranza
A combattere per questi diritti e a fronteggiare il grande vuoto lasciato dai sindacati sono alcune organizzazioni, come AWI (Art Workers Italia). Nata dai <<soliti discorsi>> che quattro “colleghi” facevano da anni e che in questa emergenza sanitaria hanno trovato la giusta spinta e adesione, ha come obiettivo quello di dare agli operatori culturali degli strumenti validi, che li aiutino a prendere coscienza dei propri diritti. Il COVID 19 ha aperto gli occhi a molti sulle necessità legate all’essere riconosciuti come lavoratori e avere, di conseguenza, una serie di strumenti a disposizione.
La strategia di lavoro che hanno adottato è ben strutturata e basata su una ricerca approfondita che vada a supporto di proposte univoche da parte di un gruppo ampio e universalmente riconosciute durante questa emergenza. Hanno costituito sette tavoli di discussione, ma sopratutto di lavoro, formati a loro volta da “sottotavoli”, all’interno dei quali si sviluppano diversi discorsi pratici e teorici legati al lavoro, come la ricerca di modelli esteri, circa la risposta alla pandemia, ma non solo. C’è poi il tentativo di contatto e unione di realtà attive le cui difficoltà risultano tangenti alle loro e una ricerca sia storica sia di come, burocraticamente, funzioni oggi l’Italia.
No Profit
Al 31 dicembre 2015 le istituzioni no profit attive in Italia erano 336.275: l'11,6% in più rispetto al 2011, ma il trend continua a salire. A “mandarle avanti” 5.529.000 volontari e 788 mila dipendenti. Questo significa che per ogni lavoratore ci sono 7 volontari, persone che, gratuitamente, si impegnano a lavorare nel settore della cultura. La quasi totalità delle realtà contattate sono “no profit”, tuttavia questa non è una scelta di convenienza: come ci racconta Rossana Ciocca di Art City Lab, l’esigenza di fondarla è nata non tanto da una scelta, ma dalla volontà di volersi occupare di arte contemporanea con una missione di progettazione all’interno dello spazio pubblico, percorso fiscalmente insostenibile agendo tramite gallerie private. Tuttavia se non con le tasse, il bisogno di fare ricerca si scontra con la mancanza di fondi per sostenerla. Molte no profit si sostengono grazie a finanziamenti esterni, e se già in una situazione di normalità faticano a esistere, con l’emergenza attuale si sono ritrovate sull’orlo del collasso. Numero Cromatico, no-profit ibrida che si muove tra cultura, arte e scienza prova a prendere fondi da tutti e tre i settori, ma è riuscita, dopo 10 anni di attività, a raggiungere una certa autosufficienza, solo grazie a un public program di eventi e incontri che ora sono, però, sospesi: <<dal punto di vista della nostra attività siamo diventati principalmente progettuali, immaginiamo e creiamo a lungo termine, ma ovviamente è difficile se non sai come pagare l’affitto>>. Certo ci sono anche realtà che hanno scelto di non avere uno spazio fisico, come OTTN: <<non per risparmiare, ma per oltrepassare l’idea che c’è un dentro e un fuori, un qui e un lì. La nostra generazione, che è anche la vostra, sa che il mondo contemporaneo è ibrido, globale, incerto - quindi è bene essere dentro al presente e viaggiare sulla sua stessa onda>>. Tuttavia quello dell’affitto è un problema comune, CASTRO, spazio per la formazione e produzione d’arte contemporanea di cui abbiamo già parlato su Scomodo, ci racconta di aver perso la gran parte dei sostenitori e ora non sa se potrà tenere la sede di Piazza dei Ponziani 8. Il problema non è certo solo pratico per realtà come queste, in cui lo spazio è al centro della loro attività di ricerca e scambio. CASTRO ha provato un programma digitale in interim nell’attesa di poter tornare ad abitare la sede fisica, ma dopo cinque settimane ha deciso di sospenderlo, perché si sono resi conto che non tutto può essere digitalizzato. Il problema del lavoro dell’arte, sottolinea Numero Cromatico, è che trattandosi di inventare futuro, spesso la contemporaneità non riesce a riconoscerlo in un sistema che reitera schemi standard del tempo. Talvolta agli artisti non manca la consapevolezza di esserlo, ma il riconoscimento, impossibile senza la possibilità di condividere.
“Non si può fare il fritto di paranza con l’arte!”
AWI, MI RICONOSCI e NUMERO CROMATICO hanno scritto, in difesa della ricerca artistica in Italia, tre lettere aperte per farsi ascoltare. La richiesta è riassumibile nella creazione di un “Sistema Culturale Nazionale” che raccolga e coordini, ma soprattutto finanzi in un’ottica collaborativa e organica tutti gli istituti e spazi culturali del Paese. Al Sistema Culturale Nazionale i lavoratori delle arti chiedono “che gli stanziamenti previsti dal ministero a beneficio di progetti ed eventi la cui realizzazione era prevista per il 2020/2021 (come l’Italian Council, Grand Tour d’Italie, Creative Living Lab) siano confermati, destinando questi specificamente a sostegno dell’attività di ricerca e di produzione, rivedendo i termini e le condizioni che potrebbero confliggere con la necessità di contenimento della pandemia ed elaborando norme che mirino ad accelerare le procedure di partecipazione e assegnazione. L'obiettivo è la crescita sociale e culturale della comunità locale e nazionale. Il principio alla base è che ogni cittadino abbia diritto alla cultura, indispensabile per rafforzare rapporti sociali e democratici. Lavorando anche per facilitare le possibilità lavorative e le opportunità di carriera attraverso la regolamentazione di dinamiche, oggi troppo carenti e discontinue. Se gli artisti venissero riconosciuti sarebbero tutelati, avrebbero sindacati, ma ogni forma d’arte dovrebbe essere riguardata a sé. Esistono artisti visivi, critici, storici dell’arte che richiedono tutele adeguate per il proprio lavoro. Non è possibile ottenere tutele che siano univoche per il macro mondo dell'arte. Bisogna sensibilizzare le istituzioni in modo tale che si rendano conto che nel mondo dell’arte esistono molteplici sfaccettature che chiedono di essere rispettate come lavoratori.
di Camilla de Fabritiis,
Luca Giordani
e Alessandro Mason