8 minute read
di Andrea Calà Burocrazia: un rapporto complicato
from N. 32 MAGGIO 2020
by Scomodo
BUROCRAZIA: UN RAPPORTO COMPLICATO GUIDA PER POTER CAPIRE AL MEGLIO LA MACCHINA BUROCRATICA ITALIANA
Il 23 Maggio, Giuseppe Conte in un'intervista a Milano Finanza ha espresso la volontà del gover- no di procedere con un grande piano di semplificazione della macchina burocratica statale, pre- sentando questo piano come “la madre di tutte le riforme”.L'emergenza COVID di questi mesi ha nuovamente acceso il dibattito in Italia sulla necessità di riformare un sistema burocratico consi- derato all’unanimità lento e inaffidabile: un banco di prova importante per il Governo, che solo tra- mite una semplificazione dell’apparato potrà facilitare il processo di ripresa economica del Paese.
Advertisement
LA BUROCRAZIA È UN MODELLO CHE APPARTIENE AL PASSATO
Già fin dalla creazione del termine, avvenuta per volontà dell’economista francese de Gournay , la parola “burocrazia” ha avuto sempre un senso dispregiativo: il “potere degli uffici”,che riguarda concretamen- te con l'organizzazione dello stato e dovrebbe avere in se, come anche scritto da M.Weber, le caratteri- stiche di una divisione del lavoro e dei compiti che sia il più possibile scaglionata per fasi e per compe- tenze. Sostanzialmente il concetto vitale è che ognuno amministri il suo compito con professionalità ed imparzialità, secondo incarichi assegnati gerarchicamente e tramite una selezione del personale che sia il più possibile basata sulle competenze per garantire efficienza, trasparenza e legalità delle forme. Questo modello organizzativo tuttavia si presenta oggi nel nostro paese, ma anche in molti altri paesi Europei, piuttosto carente se pensiamo alla qualità del tipo di servizio che offre. Il grado di efficienza che questo modello rappresenta risulta ulteriormente degradante se rapportato alle spese in termini di freno imposto al progresso sociale ed in termini di concreta tutela dei diritti del singolo cittadino.
COME UN'OMBRA CHE CI SEGUE TUTTI I GIORNI
L'ufficio studi della CGIA di Mestre, associazione di artigiani e di piccole imprese, pubblica il 18 Aprile 2020 un lavoro sull'impatto in termini di spesa che la burocrazia ha sulle imprese italiane, che se- condo la ricerca ammonterebbe a circa 57 miliardi annui su tutto il territorio nazionale, di cui ben 32 miliardi spesi dalla piccola e media imprenditoria italiana, che rappresenta il cardine economico del nostro Paese. In ordine Milano, Roma e Torino sono le città che più ne risentono: le vetrine che l’Italia usa per mostrarsi al mondo sono quelle maggiormente soffocate dal peso della macchina burocratica. Come avviene in concreto questo? L'Italia ha, rispetto agli altri stati europei, una quantità di materiale normativo che fa rabbrividire: il “The European House – Ambrosetti” stima una normativa che conta le 160 mila norme contro le 7 mila e le 5 mila e cinquecento di Francia e Germania. Il sovrapporsi di legi- slazioni di vario livello su medesimi temi fa si che ogni attività che opera nei limiti della legalità si trovi a fronteggiare problemi prima di tutto di comprensione e, in seconda battuta, attuativi non indifferenti.
Si pensi soltanto che in questi mesi, sempre secondo quanto riportato dalla CGIA di Mestre, consulenti del lavoro, commercialisti ed associazioni di categoria sono stati letteralmente sommersi dalle telefonate degli imprenditori, incapaci di slittare le tasse (causa Covid) e di ricorrere alla CIG (vecchia cassa integrazione). Una tale confusione ed una così eccessiva procedimentalizzazione e ripetizione di passaggi, anche solo considerando il fattore economico “tempo” per l'adempimento, incide sia sull'operatività dell'appara- to produttivo che sulle stesse vite dei cittadini,costretti a battersi fra uffici dalle non meglio specificate competenze e costanti scarichi di responsabilità fra le varie componenti dell’amministrazione pubblica. Questo labirinto normativo viene reso ancora più complesso da una divisione delle materie concorrenti tra stato e regioni (art.117 Cost.) mai ben delineata, con problemi di sovrapposizione legislativa che met- tono in confusione sia gli operatori pubblici che quelli privati. In tutto ciò, non va sottovalutato neanche il largo e scriteriato uso che in questi anni si sta facendo dei decreti-legge, che attuabili (secondo Co- stituzione) in via di straordinaria urgenza e necessità, hanno fisiologicamente bisogno di esser seguiti da ulteriori decreti attuativi, concorrendo così ad un sistema legislativo tutt'altro che snello e flessibile e senz'altro non rispondente ad un'economia (oltre che ad una società) estremamente globalizzata. L'artificiosità con la quale un'azienda ha la possibilità di entrare nel mercato italiano e sostenere la sua attività in modo legale poi, produce influenze anche e soprattutto verso gli investitori esteri, che di fronte ad adempimenti ripetitivi e troppo onerosi (138 mld all'anno tra tasse e burocrazia) si trovano a dover scartare l'opzione italiana.Questo aspetto è testimoniato dall'ultimo rapporto Doing Business 2020 (organizzazione di rilievo internazionale che compie annualmente comparazioni tra 190 economie nel mondo), che pone l'Italia al 58esimo posto nella classifica degli stati nei quali ri- sulta più facile creare “business”, posizionato appena sotto Kosovo Kenya e Romania. Nello stesso rapporto, all'Italia viene dedicato il 98esimo posto per facilità di iniziare un'attività di impresa (con- siderati tempi, costi e numero di procedure necessarie, queste ultime pari a 7 circa) ed il 128esimo posto per l'efficienza del sistema fiscale, con 238 ore annue impiegate mediamente per adempiere.
UFFICI, FLIPPER ARRUGGINITI.
Ad un sistema legislativo pieno di incrostazioni vecchie e nuove, si aggiunge un sistema di gestio- ne del personale che potrebbe quantomeno essere rivisto, con l'attività del burocrate che nono- stante la sua ormai reputazione negativa, potrebbe potenzialmente giocare un ruolo fondamen- tale nelle sorti della nazione. Il burocrate è il dipendente statale che opera nel variegato settore dell'amministrazione pubblica, colui che si occupa di amministrare affari di interesse generale, che vanno dalla semplicissima richiesta per la carta d'identità alla resa esecutiva delle norme di legge nei singoli ministeri. Molteplici sono quindi formalmente i gradi di responsabilità dell'autorità pub- blica, che deve costituzionalmente garantire il suo buon andamento ed il principio di legalità, che se infranto può voler dire un risarcimento dovuto di diritto al singolo cittadino. Le responsabilità si fanno nello Stato di Diritto giustamente pressanti nei confronti di un'amministrazione pubblica che nel concreto operare, si ritrova impelagato al pari del cittadino negli infiniti Enti e procedimenti. Tut- to questo non fa altro che incentivare quella propensione alla deresponsabilizzazione del singolo impiegato che piuttosto che correre il rischio di una scorrettezza amministrativa si ritrova a riman- dare o delegare le pratiche ad altri, rendendo i procedimenti, già di per sé lunghi, ancora più sfinenti. Anche il livello di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, seppur migliorato notevol- mente, non risponde ancora al processo potenziale che una riconversione telematica di de- terminati procedimenti potrebbe causare, complici una generale arretratezza dei mezzi tecno- logici a disposizione degli uffici pubblici oltre che di un personale statale fin troppo anziano, che crediamo costituisca un ulteriore freno all'apertura dell'innovazione. Secondo ultimi dati elaborati dall'ARAN, agenzia statale che si occupa del pubblico impiego, l'età media dei dipen- denti che compongono l'apparato pubblico avrebbe superato i 50 anni di età (50,4). Questo dato dimostra come alla problematica di un sistema arretrato concorrano anche fattori più ampi, come assunzioni e pensionamenti, entrambi aventi a che fare con il ricambio generazionale, questione pressante per rilanciare un processo che sia realmente evolutivo nell'amministrazione.
il PLUS
Ma la burocrazia che forse maggiormente blocca arbitrariamente la possibilità di cambia- mento di un paese è quella ministeriale,composta da tecnici che sopravvivono ai costanti cambi di governo e ed esperti di tutti i regolamenti e norme necessari per smuovere la macchina statale. Esemplare ed emblematico è l'esempio che Francesco Giavazzi, eco- nomista e professore ordinario di economia politica alla Bocconi di Milano, racconta nel suo libro “I signori del tempo perso”, dove narra di essersi trovato in prima persona ad essere commissionato dal governo Monti, insieme ad altri due professori, per operare su centri evidentemente colmi di interessi confliggenti con la pubblica amministrazione. L'incarico riguardava il taglio dei sussidi pubblici alle imprese. In quell'occasione venne ela- borato dai professori sostanzialmente un piano per tagliare, da 30 miliardi di sussidi che erano destinati ad imprese pubbliche e private, 10 miliardi di euro, interamente destinati alle sole im- prese private. Giavazzi racconta come con quella manovra si sarebbe potuto diminuire il carico fiscale per tutte le imprese, e di come, con Confindustria favorevole, non si fossero presentati limiti neppure da parte di chi quei sussidi li avrebbe persi. Eppure, in quel caso furono proprio i burocrati, secondo quanto riportato dallo stesso coautore del libro, a frenare la manovra, es- sendo loro stessi i gli i incaricati di amministrare e gestire quei sussidi: erano stati costituiti per l'occasione dei tavoli di lavoro composti dagli alti dirigenti dei ministeri coinvolti e dalla ragione- ria di Stato, per portare alla chiusura di metà degli uffici del Ministero dello Sviluppo Economico. Dopo una serie di riunioni inconcludenti dovute a forti opposizioni interne si arrivò alla chiusura del progetto stesso: quella volta, il paletto non venne da chi quei soldi li riceveva ma da chi li amministrava. Nel contesto sopra descritto, i problemi relativi al potere dei burocrati risultano piuttosto mal inquadrati se anche nel primo governo Conte, come anche nei precedenti e nei successivi, ci si è fatti portatori di rivoluzioni “concrete” e vicine al cittadino facendo riferimen- to in modo contraddittorio alla norma astratta, senza passare mai per una riforma sulla pubblica amministrazione che portasse reali soluzioni ad un problema che è ormai evidente e condiviso: le leggi sono buone e le idee pure, manca il passo finale, quello esecutivo, quello sostanziale.
GESTIRE LA PA È COME GESTIRE UN'AZIENDA.
Più di recente si è sviluppato e si continua a sviluppare un discorso che riguarda nuo- ve possibilità di gestione della pubblica amministrazione, le quali consistono nella miscelazione e nell'applicazione al settore pubblico di principi organizzativi tenden- zialmente affidati al ramo privatistico d'impresa. Non si sta facendo ovviamente quì ri- ferimento a qualche specie di privatizzazione del pubblico, ma ad un concetto che ha a che fare con l'efficacia che la scienza dell'organizzazione stessa ha sviluppato in questi decenni nell'ambito dell'impresa. Hanno caratterizzato e stanno caratteriz- zando questo settore evoluzioni sempre più tendenti a modelli partecipativi, che coin- volgano l'azione dei singoli individui in tutte le fasi di produzione, incentivando il più possibile la responsabilizzazione dell'operatore al perseguimento dei fini societari. Il dibattito sulla burocrazia passa ora nelle mani del Parlamento italiano, con tutte le forze politiche che dovranno impegnarsi per cercare di semplificare un apparato amministra- tivo che rischia di schiacciare sotto il proprio peso la speranza delle aziende italiane di poter ripartire dopo questa tremenda crisi.
di Andrea Calà