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di Marco CiabiniEssere il cavallo nella scacchiera

Essere il cavallo nella scacchiera --------------------------------------------------------------------------------------------------------- e altri insegnamenti di Germano Celant

Il 29 Aprile è scomparso Germano Celant, anche lui colpito da questo virus di cui non vogliamo nemmeno sentir più parlare. Le vaste conquiste da lui lasciateci, come quelle dei primi imperatori, i quali le hanno viste cadere, chi lentamente (vedi Augusto) chi velocemente (vedi Alessandro), sembrano destinate a essere prive di eredi. Nel caso di Celant, però, abbiamo il compito di valorizzare e preservare i doni della sua ricerca e dei suoi insegnamenti. Secondo Averroè, «È cosa nota che la fama di molti predecessori è spesso causa di errori in molti successori» e, dunque, più che continuare il suo percorso, dovremmo forse crearne uno nuovo, accompagnati da quegli splendidi punti interrogativi su cosa verrà e chi seguirà che contraddistinguono il futuro. La perdita di un protagonista, indagatore, innovatore e profondo conoscitore dell’arte contemporanea del XX e XXI secolo come Celant, può e deve, come in tutti i casi del genere, essere da noi ristretta solamente alla sua persona, rendendo invece immortali le sue lezioni e continuando, quando necessario, le sue lotte. Parlarne significa forse troppo spesso parlare d’Arte Povera, limitando ingiustamente il suo ineguagliabile lavoro. Non dobbiamo infatti dimenticare le diverse mostre e allestimenti per i più grandi musei del mondo, ma anche le riflessioni ed i saggi che, oltre a tentare di offrire una via di fuga dal mondo moderno, hanno costituito un fondamentale passaggio per l’insegnamento e le indagini del mondo artistico. Germano Celant non è stato e mai sarà riducibile alla sola Arte Povera, così come l’Arte Povera non è da ridurre al solo Celant. La sua personale concezione “inter-espositiva”, per cui ogni mostra rappresentava un tassello di un più lungo percorso continuativo e la sua tipica volontà di armonizzare architettura e opere, ambiente e contenuto, erano sempre volte a rendere il visitatore parte di una riflessione e di un confronto ulteriore alla sola mostra. La sua visione, rimasta rivoluzionaria ora, ma ancor di più negli anni del Boom Economico, ci ha mostrato come l’univocità possa solo appartenere all’uomo e mai ai suoi prodotti, così da distaccare creatore e creazioni e attaccare la nemica coerenza che tutt’ora ci viene imposta dal mondo industriale. Amante dell’arte in tutte le sue infinite forme, ha poi lottato contro quella legge nata nel secondo Novecento e ancora viva oggi per cui, a suo vedere, l’opera in arte, così come l’idea e l’azione nella vita, debba essere sempre e comunque seguita e giustificata dal suo creatore. Egli, quindi, non potrà mai abbandonarla. La sua risposta fu dunque valorizzare tutto ciò che si rivela inaspettato ed imprevisto alle sistematiche convenzioni. L’uomo non doveva nel ‘67 e non deve nel 2020 accettare di diventare strumento, ma combattere per tornare ad essere «Fulcro e fuoco della ricerca». In Appunti per una guerriglia, l'ufficiale manifesto dell’Arte Povera scritto da Celant stesso nel 1967, possiamo analizzare parte della sua ampia visione. Essa ci appare universalmente vera e drammaticamente attuale: alla comoda assunzione del sistema, dobbiamo opporre la necessaria volontà di esprimerci liberamente. «Scegliere, mai lasciarsi scegliere». Simbolico inoltre fu il fortuito caso di avere in quegli anni di sommosse Torino, città dell’Industria e del prodotto, oltre alla sua Genova, come centro dell’Arte Povera. Essa, infatti, fu simbolo di reazione al moderno e al tecnologico, di lotta alla mercificazione del gesto artistico, nonché di rievocazione del naturale e del preindustriale. Non identificatasi come una corrente, bensì come «un modo di comportarsi» per cui l’opera deve tornare ai dimenticati valori simbolici e l’artista stesso deve ritrovarsi, liberandosi dall’opprimente mercificare ed esaltando il proprio stile e le singolari differenze. Non solo nell’arte, ma anche nella vita quotidiana, possiamo esaltare questo messaggio, che risulta ancora più importante nell’era digitale della popolarità da cercare e mantenere a tutti i costi. Nel mondo, dunque, c’è stato, c’è e sempre ci sarà bisogno dei ribelli. Tuttavia per diventarlo non basterà dichiararsi tali, ma sarà necessario intraprendere un lungo e impegnativo percorso. Capiamo allora come esserlo voglia dire uscire dagli schemi, superare il sistema, eliminando il bisogno di giudicare, di interpretare e di ottenere consenso in ogni caso. Tutti i restanti tentativi ancora soggetti al convenzionale, infatti, sono da considerare come sole sperimentazioni. Rimane comunque essenziale «porre in crisi le affermazioni» su cui viviamo, «per ricordarci come ogni cosa rimanga precaria». Quindi, «basta infrangere il suo punto di rottura ed essa salterà». Appurati questi troppo spesso dimenticati concetti, egli si chiedeva poi: «Perché non proviamo col Mondo?» Che sia proprio questo imprevedibile momento storico la giusta opportunità da cui rinascere e il giusto momento per far saltare ciò che ci opprime? In attesa di scoprirlo, dobbiamo rimanere «il cavallo nella scacchiera, imprevedibili e guerriglieri.»

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di Marco Ciabini

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