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Cosimo Majdi È solo una storia estiva
from N. 32 MAGGIO 2020
by Scomodo
È solo una storia estiva ----------------------------------------------------------- Summertime, un romanzetto popolare tra Sapore di mare e Tre metri sopra il cielo
C’è un vecchio aneddoto che racconta del sogno ricorrente di uno sceneggiatore il quale ogni notte trova nel sonno l’idea perfetta per un film. Ogni mattina, appena sveglio, cerca di ricostruire l’idea del sogno, che però, puntualmente, sfuma. Dopo giorni che si ripete la stessa cosa riesce finalmente ad appuntare uno schizzo dell’idea su un pezzo di carta: lui incontra lei. Questo è il grande archetipo fondante della maggior parte delle storie, sia lette, che viste, o ascoltate e il topos diventa chiaramente ancora più centrale se parliamo del romance. In questo caso, nella sua declinazione comedy, diventa la rom-com, uno di quei generi dalle regole chiare seguente quasi sempre lo stesso schema, nonostante i film che ne fanno parte siano spesso i più difficili da scrivere. Tuttavia se ne scrivono tanti, e pochi buoni. Questo genere affonda le radici nella commedia brillante della Hollywood classica, in particolare nella sua declinazione di screwball comedy, traducibile in italiano come “commedia svitata”, ma piu solitamente definita “commedia sofisticata”, ripresa dai fratelli Coen per il loro film del 2003 Intolerable Cruelty, tradotto seguendo la pessima abitudine di rovinare i titoli originali, Prima ti sposo poi ti rovino. Elevatore della romantic comedy in tempi moderni è stato Woody Allen, che a partire dal capolavoro Annie Hall, si è affacciato
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nell’arco del tempo al gene- re, traendone quasi sempre qualcosa di interessante, so- prattutto nella costruzione di personaggi femminili tra i più belli di quest’ultimo mezzo secolo di cinema. In Italia il romanticismo sembra abitare più dalle le parti della musi- ca nazional-popolare che al cinema, dove nel caso della commedia all’italiana preva- leva l’asprezza, mentre nei film con Nino D’Angelo sca- deva nel melò più trash. La convivenza tra romanticismo e commedia non è un bino- mio così classico del nostro cinema e da ciò deriva l’affer- mazione del sentimentalismo più ridondante: un esempio su tutti, un romanzo, il primo, di Federico Moccia, Tre metri sopra il cielo. Lo scrittore ro- mano pagò di tasca sua la pri- ma edizione del libro, nel ’92.
Bisogna aspettare i primi anni ’00 per vedere il libro diventare un bestseller, che viene ripubblicato da Feltrinelli adattato dall’autore dalle atmosfere anni ’90 a quelle dei primi duemila. Il romanzo ha un tale successo da essere tradotto persino in Giappone. Soprattutto, lancia la moda dei lucchetti a Ponte Milvio, che da lì in poi si sparge in tutto il mondo. Moccia va a creare un simbolo, quello del lucchetto, che per le coppie diventa il suggello dell’amore. Il suo adattamento al cinema del 2004 diretto da Luca Lucini è invece il capostipite di una breve ma redditizia saga cinematografica, definita da Morandini del “moccia-muccinismo”. È anche il film che sancì l’affermazione di Scamarcio come vero primo divo degli anni 2000: “Piaccio, anche più di Scamarcio”, pensando alla rima di Gue Pequeno in Puro Bogotà dei Club Dogo di Vile Denaro. Nel 2020 Moccia è un ricordo sbiadito, e Scamarcio non è Carmelo Bene, ma è un buon attore. Tuttavia anche nel caso di Summertime, quarta serie italiana originale Netflix, prodotta da Cattleya, scritta a otto mani (!), e diretta da Lorenzo Sportiello e Francesco Lagi, la storia è quella di una lei che incontra un lui. Intorno troviamo un mosaico di personaggi, tutti sulla falsariga del moccia-muccinismo che appunto afflisse la nostra cinematografia ormai quasi un decennio fa, e a cui la serie si ispira esplicitamente. Summertime, fotografato con una patina estiva da farlo sembrare un lunghissimo spot di qualità dell’Algida, o di un Acquapark, è la storia di Summer, interpretata da un’esordiente e misurata Coco Rebecca Edogamhe, che allarga le narici quando è arrabbiata, una liceale di Marina di Cesenatico, cittadina sulla riviera romagnola, che, nonostante il nome e il luogo in cui abita, odia l’estate. La odia, forse perché più profonda rispetto ai suoi coetanei annebbiati dalla salsedine e dalla figa, o forse soltanto perché in estate si ripropone il fantasma della separazione dei genitori. Decide di esorcizzare la noia estiva facendosi assumere in un hotel abbastanza lussuoso, dove la direttrice è, però, la madre di Ale (che, grazie a Dio, non si chiama Alex), un John Travolta malinconico, pilota motociclistico che, dopo un incidente, entra in una crisi esistenziale ed è incerto se rimettersi in sella, con un padre classicamente pressante e duro, un po’ come quello di Troy Bolton in High School Musical. I due inizialmente si scontrano: lui appare un po’ troppo spavaldo, bullo (per poi dimostrarsi un bonaccione della Garbatella) rispetto a lei che ostenta una certa lucidità e risolutezza, poco avvezza a festini in costume. Fatto sta che bisogna attendere un boato di tempo, farcito di banali fraintendimenti e ancora più deboli intrecci tra gli altri personaggi, per vedere sti due scopare, quando è palese che lo faranno fin dall’inizio. Ludovico Tersigni è probabilmente lo Scamarcio degli anni ’20 del 2000, data la mole di ragazza con cui va a letto nei film e nelle serie, ed è allo stesso tempo un attore dalla recitazione naturalistica che forse potrebbe fare di più. La regia celebra l’aria festosa del luogo in cui è ambientata la storia con riprese e skyline vertiginosi, quasi a dare a Marina di Cesenatico un’aura da California;
svalutando invece il potenziale malinconico del luogo, appena accennato nell’ultima puntata, in cui assistiamo ad uno dei pochi momenti in cui i dialoghi non sono stucchevoli o ridondanti, nel caso precipuo della scena in cui Thony (la madre di Summer) dialoga con il suo capo guardando la pioggia che si porta via l’estate, la mattina dopo ferragosto. In quella scena emerge la circolarità di un posto che vive solo da giugno ad agosto, in cui le villeggianti che si susseguono vengono sì purgate ma ti possono anche spezzare il cuore, come insegna il rustico padre di Edo, interpretato da Giuseppe Giacobazzi, redivivo dallo Zelig di Bisio, della Incontrada e di Zalone. “Abitiamo in un luogo di sfigati, dove vengono a fare le vacanze sfigati da tutto il mondo”: le parole del personaggio di Edo fortificano ancora di più l’idea che probabilmente l’unico punto di forza papabile di questo reboot mocciano risieda in quelle figure caratterizzate, classicamente all’italiana, in chiave strettamente regionale, e provinciale, in grado però di ricondurci (molto alla lontana) alla scena finale del terzo film di Federico Fellini, I vitelloni, ambientato in una riviera romagnola ritrovata dal regista riminese nel litorale romano. La scena in cui Franco Interlenghi decide di fuggire dalla noia di un luogo in cui la mediocrità è un po’ il destino di tutti. Nel caso di Summertime gli autoctoni si fanno travolgere sentimentalmente dai forestieri, per poi tornare alle loro vite piccole ed insignificanti, da cui, forse, vorrebbero fuggire. Con la leggerezza e l’aria di mare, gli otto autori (!!) e i due registi, Sportiello e Lagi ci regalano un romanzo popolare di infima categoria, dove la regia patinata vuole nascondere le grosse carenze di una sceneggiatura fiacca, in cui abbondano cliché narrativi, la prevedibilità fa da padrona e la gran parte delle scene sono un vagare senza meta. La serie rappresenta soprattutto un notevole passo indietro rispetto a teen drama come Skam Italia, dove la qualità degli attori è finalmente buona e la regia funzionale alla storia segue i personaggi con disinvoltura. Qua la prima è scarsa, ai minimi storici, e la seconda va in overload. Più che il riadattamento del romanzo di Moccia, Summertime sembra essere riconducibile al filone vacanziero estivo lanciato nel ’83 dai Vanzina con Sapore di mare, dove perlomeno, anche nella forma di commedia più bassa, potevi intravedere una vaga forma di satira di costume. Non che dalle parti di Summertime sia richiesta, ma i personaggi fin troppo macchiettistici (il motociclista tormentato, il romano bamboccione, la lesbica ribelle e la figlia matura perché la madre ha la sindrome di Peter Pan) fanno pensare che quelle otto mani, colpevoli della sceneggiatura, si siano sforzati ben poco per rendere questo Summertime perlomeno più godibile, più intrigante. Inoltre la combinazione tra dialoghi alla Disney Channel e le canne e il sesso non fa capire bene il target a cui la serie è rivolta. Ma comunque, in fondo, “è solo una storia estiva”.
di Cosimo Maj