Reinventare il classicismo
Come Palladio o Schinkel nelle rispettive epoche, Lewerentz si arrischiò a reinventare il classicismo. Per questo, i progetti del maestro svedese stanno agli antipodi rispetto a quelli di matrice Beaux-Art, e più in generale rispetto ad ogni forma di accademismo. Allo stesso modo essi sono ben lontani anche da tutti i tipi di classicismo monumentale e rigoroso, come quelli che si sono manifestato in diversi periodi tra il XVIII secolo e la metà del XX secolo, così come anche da ogni sua declinazione postmoderna.
Colin St John Wilson paragonò Lewerentz a K. F. Schinkel1, non perché seguisse le forme di quest’ultimo, ma perché allo stesso modo del prussiano, Lewerentz reinventò il classicismo. Ma non lo ha fatto attraverso la semplificazione o l’eliminazione dell’apparato decorativo, ma operando all’interno del sistema formale stesso con i suoi stessi elementi, come gli ordini classici e le diverse parti che li compongono. Il lavoro di questo architetto deve, tuttavia, essere inserito all’interno dello scena della generazione di architetti svedesi di cui faceva parte e tra i quali si trovavano anche Asplund stesso o Ivar Tengbom, i quali delinearono i caratteri di quella stagione che fu denominata Swedish Grace 2 e produssero edifici notevoli, inediti e privi di ogni forma di accademismo o di eccesso di rigore.
1. Si veda C. St J. Wilson, Edifici e luoghi sacri, in N. Flora, P. Giardiello, G. Postiglione, op. cit.
2. La definizione di Swedish Grace è stata coniata da Philip Morton Shand in riferimento al padiglione svedese all’Esposizione Universale di Parigi del 1925.
In alto: Erik Gunnar Asplund, Cappella nel Bosco, Cimitero Sud di Stoccolma, 1918-22.
In basso: Cachicanía del Monastero di San Lorenzo del Escorial.
È
la Cappella
Bosco di Asplund, collocata nello stesso cimitero, per analizzare due differenti possibilità di attualizzazione o reinvenzione del classicismo a cui si fa qui riferimento.
Nella Cappella del Bosco, di qualche anno prima5, Asplund sceglie di attuare un progetto che rispetto a quello di Lewerentz risulta opposto, sotto due aspetti. Rispetto allo sviluppo storico del classicismo, immagina una sorta di origine primitiva, attraverso il riferimento alla “capanna primitiva”, cui fanno riferimento sia Vitruvio che l’Abate Laugier. Si trattava cioè di sostenere una sorta di ritorno alle origini, contrariamente a quanto sia Palladio che Schinkel avevano proposto nelle loro rispettive epoche e a quanto lo stesso Lewerentz mostrerà nella Cappella della Resurrezione. Indubbiamente, quello di Asplund è un percorso valido e già sperimentato nel corso della storia del classicismo, di cui troviamo esempi nella Cachicanía del Monastero di San Lorenzo del Escorial o nella Casa delle Arti e Mestieri dello stesso Monastero.
D’altra parte e per quanto concerne l’inserimento all’interno del cimitero, Asplund predilige una visione pittoresca e neo-vernacolare, mediante la quale intende integrare la cappella con la Natura, celandola al suo interno. La possibilità proposta da Lewerentz nella Cappella della Resurrezione è invece più rischiosa e, se si vuole, più ambiziosa. Esplora infatti un percorso ricco
interessante confrontarla con
nel5. La datazione del progetto di Asplund per la Cappella nel Bosco è 1918-22; si tratta del primo edificio realizzato all’interno del Cimitero Sud di Stoccolma.
Il Chiosco dei fiori e Växjö
os’altro si può fare di nuovo dopo un progetto come quello di San Pietro a Klippan? Un edificio che sembra riassumere e sintetizzare un’intera traiettoria può avere difficilmente seguito nel lavoro di un architetto. Ma, tuttavia, per Lewerentz c’è ancora una nuova svolta nei suoi ultimi anni durante il suo soggiorno ‒ quasi un isolamento ‒ a Lund, città dove si ritirerà dopo la morte della moglie1.
A Lund coltivò i contatti e l’amicizia con due architetti più giovani, di generazioni diverse, Klas Anshelm e Bert Nyberg2, che lo hanno accompagnato nel periodo che trascorse lì e lo hanno aiutato, in un certo senso, a proseguire nel lavoro. Furono questi ultimi anni fruttuosi che aprirono nuove strade nel lavoro dell’architetto dopo l’apogeo di Klippan.
Anshelm realizzò per Lewerentz il suo nuovo studio, come ampliamento della casa di sua proprietà, un ambiente costruito in pannelli prefabbricati, dove avrebbe realizzato i suoi ultimi progetti; mentre Nyberg, più giovane di Anshelm, aveva affiancato l’architetto fin dai tempi della costruzione di San Pietro, realizzando
1. Nel 1969 Lewerentz lascia la casa di Skänor, dove aveva vissuto con la moglie dal 1956, per trasferirsi a Lund. Qui l’amico Klas Anshelm predispone per lui gli ambienti della casa di sua proprietà e costruisce un piccolo volume annesso, che ospiterà lo studio dell’anziano architetto nell’ultima parte della sua vita.
2. Klas Anshelm nato a Göteborg nel 1914, città dove compie gli studi, dal 1947 si trasferisce a Lund dove vive e pratica la professione fino all’anno della sua morte nel 1980. Bernt Nyberg nasce nel 1927 a Ockelbo, si forma a Stoccolma, per poi trasferirsi a Lund, inizialmente per lavorare nello studio di Anshelm, poi sviluppando progetti propri e collaborando con Sigurd Lewerentz. Muore nel 1978.
numerosi reportage fotografici e filmati sullo stato di avanzamento del cantiere.
Entrambi gli architetti sarebbero morti poco dopo il nostro architetto, quindi è difficile indovinare fino a che punto avrebbe potuto incidere sul loro lavoro l’influenza di Lewerentz, il quale è sempre stato considerato da loro come un maestro. Tuttavia, è vero che Nyberg realizzò alcuni progetti in cui si può notare l’influenza del vecchio maestro e dell’esperienza di San Pietro, mentre Anshelm realizzò in quel periodo un capolavoro, la Konsthallen di Malmö, in cui si riconosce un atteggiamento deshabillé che ricorda ‒ fatte salve le specificità di ciascun lavoro
‒ l’atteggiamento di Lewerentz nelle sue ultime opere. Sul lavoro di Anshelm torneremo più avanti, per collocare Lewerentz in un contesto più ampio.
Ma torniamo al nostro architetto e ai suoi ultimi progetti. La prima cosa che si riconosce in loro è l’abbandono del mattone scuro, che caratterizzava le sue opere immediatamente precedenti.
Il primo di questi, e il più riconosciuto, è il Chiosco dei fiori del cimitero di Malmö3, un’opera che potremmo descrivere come essenziale e, allo stesso tempo, complessa. Di carattere un po’ deshabillé, costruita in cemento armato a vista, casserato con pannelli metallici, e con un tetto in rame a una sola falda, che copre l’intero piccolo edificio e si estende a protezione della parete vetrata. Due finestre senza serramenti, simili a quelle
Sigurd Lewerentz, chiosco dei fiori del Cimitero Est di Malmö, 1969.
Foto di Karl-Erik Olsson-Snogeröd, ArkDes, ARKM.1985-107-09-155 / ARKM.1986-106-LEW-U-5
Lewerentz e i suoi contemporanei
Aquesto punto, penso che, nonostante quanto scritto in quest’occasione e nei numerosi studi sulla figura di Lewerentz sviluppati in tempi recenti1, sarebbe un errore considerare la sua figura come isolata rispetto all’architettura svedese del Novecento. Il particolare interesse che la critica gli ha dedicato negli ultimi tempi può portare, infatti, a guardare a questo architetto come a un’eccezione all’interno dell’ambiente in cui ha operato. Eppure non è così, come si può vedere analizzando l’architettura svedese di quel periodo e anche gran parte dell’architettura scandinava.
Proverò, quindi, a formulare alcune considerazioni su questa questione, soprattutto prendendo in considerazione il lavoro di Asplund e le successive collaborazioni del nostro architetto con Peter Celsing e Klas Anshelm. In queste pagine abbiamo già cercato di riconoscere similitudini e differenze tra Asplund e Lewerentz nei loro diversi contributi al progetto del Cimitero di Stoccolma, ma vorrei qui approfondire ulteriormente il lavoro di Asplund, non solo per confermare tali differenze, ma anche per verificare le somiglianze che lo avvicinano al nostro architetto.
Biografi e critici di entrambi gli architetti hanno insistito molto sulle differenze personali tra i due: creativo e perfino spensierato, ironico e con una tendenza alla
1. Si vedano a questo proposito: K. Long, J. Örn, M. Andersson, Sigurd Lewerentz. Architect of Death and Life, ArkDes, Stoccolma ‒ Park Books, Zurigo 2021; J. Foote, H. Göritz, M. Hall, N. Matteson, Lewerentz Fragments, Actar Publisher, New York ‒ Barcelona 2021.