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Politica Nessuno cambia da solo! Nuovi localismi e ‘soliti’ imperialismi
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Nessuno cambia da solo! Nuovi localismie ‘soliti’ imperialismi
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Giovanni AIELLO
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“Nessuno si salva da solo. È il titolo di un famoso romanzo, ma questo concetto lo abbiamo letto e sentito ripetere tante volte dall’inizio dell’emergenza, tra confini chiusi, regioni a semaforo e richiami della politica al senso di responsabilità reciproca. Accade però poi che il commissario Arcuri, incaricato dalla Presidenza del consiglio giusto un anno fa proprio come responsabile “per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell'emergenza e- pidemiologica”, venga dimissionato perché coinvolto, sebbene non in qualità di indagato, nell’ambito di un’inchiesta per corruzione da parte della procura di Roma. E come se ciò non bastasse, nel frattempo era già stata portata a compimento, contro ogni logica almeno apparente, una crisi di governo sostenuta (quella sì) ad ampia maggioranza. Mentre di ‘responsabili’ e di costruttori, proclami televisivi a parte, non abbiamo mai visto nemmeno l’ombra.
L’Italia finge di cambiare Dal punto di vista del contrasto alla pandemia, infatti, al di là dell’aspettativa collegata ai vaccini, si è costruito davvero poco e la situazione ospedaliera in Italia è oggi paragonabile in certo senso a quella iniziale. Così come emerso dal recente report Altems, pubblicato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, se all’inizio dell’emergenza i posti letto in terapia intensiva erano complessivamente poco più di 5mila, oggi sono stabilmente quasi 9mila, sebbene con grandi differenze a livello regionale (l’incremento in Valle d’Aosta è stato del 230%, in Calabria del 4). Ma anche un altro dato attira l’attenzione, ed è relativo al rapporto numerico fra anestesisti e posti letto nelle TI, che inizialmente si attestava sul 2,5, mentre al 15 dicembre 2020 risultava essere sceso all’1,6, a riprova di come il personale medico non sia stato incrementato in modo sufficiente. A ciò si aggiunga che, come emerso in queste settimane anche con riguardo all’approvvigionamento dei vaccini e per8
l’organizzazione delle campagne, ancora una volta la situazione è molto differenziata sul territorio nazionale. Veneto ed Abruzzo, ad esempio, hanno assunto i nuovi medici a tempo indeterminato, consolidando il personale, mentre Toscana e Campania si sono avvalse di contratti prevalentemente a tempo determinato e di collaborazione libero professionale. Urge quindi un piano nazionale di investimenti nella sanità, che sia coerente e che superi gli attuali regionalismi, così come invocato dalle associazioni di categoria e anche dallo stesso report della Cattolica.
Speranze malriposte Per fare questo però servono i soldi. Ma il famoso Recovery Fund (o Next generation EU, secondo la dicitura della Commissione europea), che comprenderebbe duecento miliardi e passa, tra sussidi e prestiti, sembra sin da adesso ben poca cosa di fronte alle necessità che si prospettano. Tanto più che, per fare un esempio, il neoministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha fatto già sapere che a lui ne servirebbero ottanta, di miliardi, come emerso nel corso di una sua conversazione telefonica con l’ex segretario di stato Usa John Kerry, in viaggio nelle capitali europee come Inviato Speciale per il Clima. Questo solo per dire, insomma, che conti non possono proprio tornare. Come confermato recentemente anche dal professore Emiliano Brancaccio, economista dell’Università del Sannio, il quale in uno dei suoi interventi a Radio1 ha affermato che il piano europeo di aiuti è assolutamente insufficiente e che il recovery, qui da noi tanto atteso, potrebbe rivelarsi una grossa delusione, siccome «l’Italia effettuerà (e cita a sua volta previsioni della Banca d’Italia) interventi aggiuntivi per ventinove miliardi all’anno, (…) con una crescita stimata del 2% in cinque anni». Decisamente troppo poco quindi, per attendersi i cambiamenti di cui invece si fa un gran parlare da mesi.
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Una lezione che arriva da lontano E tra i cambiamenti più attesi c’è naturalmente quello legato alle fonti rinnovabili,
alla filiera di produzione energetica e soprattutto all’elettrico, che in dieci anni, soprattuttoper quanto riguarda la mobilità, dovrebbe diventare prevalente. In Italia,come si diceva, è stato finanche creato un ministero apposito, con la dichiaratamissione di trasformare il nostro Paese in chiave “green”. Ma la transizione verso iveicoli a cosiddetto impatto zero si basa soprattutto sulle batterie al litio, la cui costruzionerichiede a sua volta l’impiego di due preziose risorse minerarie, spessochiamate in causa in queste ultime settimane all’interno dei servizi sulla RepubblicaDemocratica del Congo e sulla tragica morte dell’ambasciatore Luca Attanasio,del carabiniere Antonio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milanbo Baguna: sitratta, come avrete capito, del cobalto e del coltan. Tutte le tensioni presenti nelCongo sono legate allo sfruttamento di questi giacimenti da parte di poche grandiorganizzazioni multinazionali, tra cui la cinese Huayou Cobalt, che fornisconomolti dei più grandi produttori di elettronica, in base ad accordi spesso opachi o secretati.Nelle miniere lavorano oltre 300mila minatori, e tra questi decine di migliaiasono bambini ridotti in schiavitù, costretti a scavare praticamente a mani nudedentro cunicoli strettissimi per oltre dieci ore al giorno. In particolare, il coltanviene anche raffinato in aziende tedesche e americane. Non deve stupire dunque sela regione in cui sono presenti la maggioranza di questi giacimenti, controllati dalleviolentissime milizie locali, sia proprio quella del Kivu, guarda caso la stessa nellaquale si è verificato l’agguato fatale al convoglio Onu in cui sono stati uccisi i nostriconnazionali. Ed ecco perché, senza una riflessione onesta da parte dei governie degli organi internazionali sul cambiamento di questi consolidati meccanismi disfruttamento, risulta così difficile credere alle presunte rivoluzioni virtuose e alletransizioni ecologiche di casa nostra.
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