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Religione e Politica Tutti i fiori hanno un calice
Religione e Politica
Tutti i fiori hanno un calice
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Rosanna Marina RUSSO
Immaginiamo un campo sterminato di fiori. Ogni fiore ha il suo profumo, la sua forma, il suo colore, un numero diverso di petali, l’altezza diversa; alcuni fiori sono terrestri, altri acquatici. Immaginiamo, insomma, che ci siano tutte le specie presenti sul nostro pianeta. Ebbene, la scienza ci dice che quella distesa colorata è composta di fiori e non di altro, perché spogliando i fiori dei loro colori e dei loro profumi, della loro altezza e del luogo in cui vivono, rimangono delle caratteristiche essenziali e comuni. Non è, infatti, possibile che i fiori esistano senza polline e senza un calice che lo raccolga. Il fiore, anche se vestito in maniera diversa, anche se ci appare diverso, anche se vive in zone diverse, anche se si rivela a noi con un linguaggio diverso, è sempre fiore. Questa la ragione del viaggio di Bergoglio in Iraq, questa l’essenza del suo discorso prima della partenza: mettere in evidenza il nucleo fondativo
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delle tre religioni monoteiste più grandi al mondo, rappresentato dalla venerazione per il profeta Abramo, in una terra che è la loro culla. Il papa, con questo suo pellegrinaggio, ha raccolto il grido che viene da più parti, non solo dai cristiani, e si è fatto cassa di risonanza per promuovere la pacificazione e la stabilità di questo luogo martoriato, esigenze che appartengono a tutti. E proprio delle differenze che contengono l’uguale ha parlato Francesco, quando nella cattedrale di Qaraqosh ha detto : “Vedo le diversità culturali e religiose di Qaraqosh e questo mostra qualcosa della bellezza che questa vostra regione offre al futuro. La vostra presenza qui ricorda che la bellezza non è monocromatica, ma risplende per la varietà e le differenze.” Il Papa è atterrato proprio lì, nella città della piana di Ninive, dove vive la maggioranza cristiana più grande dell’Iraq. Ed è stato accolto dai cristiani siriaci come fu accolto Gesù al suo ingresso a Gerusalemme, come fu accolto Giona, il predicatore della verità: con palme agitate e canti in aramaico. Ma i canti, stavolta, sono stati composti anche dai musulmani, perché la tranquillità, la serenità del vivere quotidiano non è il desiderio solo di una parte, ma dell’intera umanità. Visibili sono ancora in quelle zone le ferite causate dall’odio religioso o che appaiono motivate da risentimento religioso. La stessa cattedrale di Qaraqosh, ora ricostruita, fu bruciata. Le sue statue vennero decapitate, i libri sacri furono buttati al rogo e il coro fu usato come poligono di tiro. È a Mosul, dove ancora sono presenti le macerie della guerra, che il Papa ha detto: “Qui a Mosul le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilitá sono fin troppo evidenti. Com’è crudele che questo Paese l’Iraq, culla di civiltá, sia stata colpita da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia di persone, musulmani, cristiani, jazidi che sono stati annientati.” Questa è la Mesopotamia, terra che per secoli è stata pacifica e che ha visto nascere e poi farsi florida una civiltà multietnica e multireligiosa, ma che poi ha subìto delle brusche interruzioni in questo suo percorso di crescita. E molto è successo negli ultimi 30 anni. Abbiamo visto la drammaticità di ciò che è accaduto durante e dopo le operazioni militari americane, quelle definite Desert storm del 1990-91 e la Iraqi freedom
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del 2003, e tutte le guerre che portarono alla fine del regime di Saddam Hussein e poi l’invasione da parte dell’Isis dal 2014 al 2017 che ha sparso delirio e terrore un po’ in tutto il paese. Prima del 2003 i cristiani erano circa 1 milione e mezzo e ora sono 300.000. Un esodo che non ha fatto del male solo a chi lo ha vissuto, ma che ha impoverito lo Stato islamico che li ha rifiutati. Da quel momento in poi il problema della mancanza di sicurezza e di stabilità ha favorito la crisi economica e l’avanzata della disoccupazione e della corruzione e il dramma di questo milione e mezzo di sfollati cristiani interni ha ovviamente messo a dura prova i progetti di sviluppo dell’Iraq. Ricordiamo che la pace non è soltanto una richiesta dell’anima, lo è certamente in maniera prioritaria, ma è il terreno nel quale tutte le potenzialità di un popolo possono liberamente svilupparsi. il Papa ha messo l’accento proprio su questo a Mosul. Lì ha incontrato Najeeb Michaeel, Arcivescovo di Mosul e Aqra dei Caldei, ma anche Gutayba Aagha, musulmano sunnita, Capo del Consiglio Sociale e culturale indipendente per le famiglie di Mosul che ha invitato la comuntá cristiana a ritornare a Mosul e ad assumere “ il ruolo vitale che le è proprio nel processo di risanamento e di rinnovamento”. Ma Francesco ha aperto un dialogo anche col mondo sciita, divenendo ponte al contempo, tra sciiti e sunniti. Ha, infatti, visto il grande a- yatollah Alì al-Sistani, un incontro di particolare significato dopo la dichiarazione del 2019 di fratellanza con i sunniti di Al-Azhar. E storico per più versi, visto che lo ayatollah per la prima volta si è alzato in piedi all’ingresso di un capo di stato. Tutti hanno espresso la volontà di costruire un futuro fatto di unità, di collaborazione e di pace. Papa Francesco, che ha innalzato in questi luoghi una preghiera per tutte le vittime delle guerre, ha soprattutto espresso un concetto che si collega strettamente al pensiero di un altro Francesco che intraprese un altro viaggio per la pacificazione di un altro territorio. “Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli».
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