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Politica e Storia Considerazioni su una Ricostruzione
Politica e Storia
Considerazioni su una Ricostruzione
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Giovan Giuseppe MENNELLA
Oggi si sta discutendo sulla ricostruzione dell’economia e della vita italiana grazie all’uso che si dovrà fare dei fondi europei del Recovery Plan. Il Governo di Mario Draghi, quasi un governo di unità nazionale, è stato varato per adottare le misure necessarie a ben utilizzare i fondi europei, valendosi di protagonisti di alto profilo tecnico. La necessità della ricostruzione promana dal verificarsi di una catastrofe, ancora in corso, quale la pandemia da SARS Cov 2. Una ricostruzione ancora più difficile fu necessario affrontarla più di 70 anni fa a seguito delle devastazioni che subì l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale.
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Il Paese era uscito devastato e distrutto dal conflitto, era stato percorso e saccheggiato da decine di eserciti stranieri, devastato dai bombardamenti, ridotto a un disastro come forse non se ne erano visti di uguali dai tempi delle invasioni barbariche. Infrastrutture, linee ferroviarie, ponti, strade di comunicazione, porti, centri urbani, opifici, in larga parte distrutti o gravemente danneggiati. Paradossalmente, le fabbriche, quelle non molte che c’erano, erano state distrutte più nel Mezzogiorno, dove erano stati subiti sia i bombardamenti alleati che le demolizioni dei guastatori germanici. Al Nord gli impianti industriali, molto più numerosi che nel Sud, erano stati colpiti, in misura abbastanza marginale, soltanto dai bombardamenti, mentre gli occupanti tedeschi avevano cercato di preservarle in quanto utili allo sforzo bellico del Reich. Un primo aiuto alla ricostruzione dell’Italia venne dall’E.R.P., l’European Recovery Program, noto anche come Piano Marshall dal nome del politico statunitense George Marshall, il piano di aiuti all’Europa distrutta dalla guerra, ideato allo scopo di arginare la penetrazione ideologica e militare dell’U.R.S.S. in Occidente e per rinforzare economicamente Paesi che avrebbero potuto rappresentare prosperi mercati di destinazione dei prodotti statunitensi, in un’ottica di maggiore liberoscambismo. Oltre agli aiuti dell’E.R.P., utili più che altro a offrire un rimedio immediato e temporaneo alle condizioni di difficoltà dell’economia e di povertà della popolazione, l’Italia si avvalse nel dopoguerra di condizioni sociali, economiche e politiche mondiali talmente favorevoli che non si erano mai verificate in precedenza nella storia e, come si sarebbe potuto constatare, non si sarebbero mai più verificate in futuro. Infatti, dall’inizio degli anni ’50 intervenne nel capitalismo mondiale una congiuntura economica di sviluppo galoppante, definita “età dell’oro del capitalismo”, oppure, come in Francia, “i ruggenti venti (anni)”. Le nazioni capitaliste in quel periodo erano identificabili sostanzialmente solo con quelle dell’Europa
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occidentale non comunista e con quelle del Nordamerica, con l’aggiunta in Oriente del Giappone, da quando fu ritenuto utile favorirne lo sviluppo economico per fronteggiare la Cina, diventata comunista dal 1949. Tutto il resto del mondo, circa due terzi, era costituito dalle nazioni comuniste, a economia pianificata e che producevano solo per il mercato domestico, e dalle colonie, che producevano per lo più materie prime da inviare alla madrepatria. L’Italia ebbe la possibilità di trovarsi quasi subito nel campo delle nazioni a economia capitalista, integrate in un mercato sempre più liberoscambista instaurato dagli accordi tra le potenze occidentali vincitrici della guerra, soprattutto gli USA. Le condizioni favorevoli furono innanzitutto il crollo dei prezzi delle materie prime, tra cui il petrolio, dopo la fine della guerra mondiale. Un tale andamento favorì le nazioni manifatturiere che avevano potuto iniziare a ricostruire e ammodernare gli impianti industriali con i finanziamenti del Piano Marshall. Poi l’abbondanza di manodopera a buon mercato, costituita da masse che uscivano dalla guerra prostrate e avevano assoluto bisogno di riprendere a lavorare e a guadagnare, nonché dai contadini che abbandonavano le campagne e la vita dura e grama che vi si conduceva, per trasferirsi in prossimità dei grandi centri urbani con la speranza di lavorare nell’industria, per migliorare socialmente ed economicamente. Infine, la disponibilità di finanziamenti particolarmente a buon mercato, a causa del basso costo del denaro, dopo che gli accordi in campo finanziario sanciti a Bretton Woods nel 1944 avevano stabilito un regime di cambi fissi, con il dollaro americano a fare da divisa di riferimento convertibile in oro. Il bene-danaro era stato sganciato dalla competizione liberista e i tassi di costo dello stesso rimasero bassi per un periodo lungo, almeno fino alla crisi petrolifera e alla crisi del dollaro dei primi anni ’70. Anche alcune leggi ad hoc adottate nel New Deal rooseveltiano contribuirono a calmierare il costo del danaro e quindi dei finanziamenti, tra cui importante il Glass-Steagall Act varato dal Congresso U-
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SA a metà degli anni ’30, dopo la paurosa recessione economica conseguente al crollo del 1929, per limitare le più azzardate speculazioni finanziarie del sistema bancario. La legge fu abrogata sotto la Presidenza Clinton, negli anni ’90, nel clima di entusiasmo liberista dopo il crollo del comunismo, ma questa è un’altra storia. Valendosi delle predette favorevoli condizioni di base, l’Italia produsse la ricostruzione e poi il decollo economico, con alcuni provvedimenti e azioni positive, veri e propri pilastri per un ammodernamento e miglioramento della vita sociale, che ben presto prese la forma di una mutazione antropologica della società. Sostanzialmente ci fu la transizione da un’economia contadina, di semplice sussistenza in molte regioni, a un’economia su base industriale. I pilastri furono l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, la Riforma agraria, la Riforma tributaria varata da Ezio Vanoni, la politica dell’energia e delle materie prime a buon mercato voluta da Mattei per gli idrocarburi, ma anche da Oscar Sinigaglia per l’acciaio, e, infine, l’adozione del Piano INA-Casa di Fanfani. Tutto ciò fu un volano per l’aumento dell’occupazione, per il miglioramento delle infrastrutture, per il raggiungimento di migliori condizioni di vita dei cittadini. Un ruolo importante lo svolse anche l’IRI, costituito durante il Fascismo per la ricostruzione delle industrie fallite in seguito alla crisi economica, caratterizzato, come la Casmez, almeno fino agli anni ’60, da indipendenza dalla politica e da grande qualificazione tecnico-professionale dei suoi esponenti, uomini validissimi come Alberto Beneduce, Donato Menichella, Pasquale Saraceno, Sergio Paronetto, Gabriele Pescatore. Quella ricostruzione e quel primo sviluppo dell’Italia dopo la crisi della guerra mondiale presentarono anche aspetti oscuri e negativi. Un grande studioso come Paolo Sylos Labini disse che l’Italia nel dopoguerra aveva fatto un grande sviluppo economico ma pochissimo sviluppo civile. I punti critici furono la devastazione dell’ambiente, la repressione dei diritti e dei salari dei lavoratori,
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l’abbandono di alcune regioni alla criminalità organizzata, la crisi delle infrastrutture, ospedali, scuole, trasporti, alloggi nei grandi centri urbani del triangolo industriale affollati da milioni di nuovi immigrati. Ciò fu causato dall’incapacità di governare con una razionale programmazione lo sviluppo, lasciato invece a se stesso. Uno sviluppo tumultuoso e confusionario, caratterizzato dalla mancata attuazione di riforme fondamentali, come quella urbanistica, da una spesa pubblica ben fuori controllo per i troppi sperperi della politica e della società civile, con il risultato di un debito pubblico il cui peso ha sempre impedito il miglioramento delle condizioni del sistema-paese. Una causa importante di questi intoppi fu dovuta all’eccessiva volatilità dei governi, quasi 50 nel primo mezzo secolo dell’Italia repubblicana, nonché alla litigiosità del ceto politico e della classe dirigente, che hanno frenato l’adozione di misure programmate per durare nel tempo, C’è da sperare che questi difetti e questi scacchi non si ripetano nella fase di uscita dalla crisi pandemica mediante l’utilizzo delle grandi risorse del Recovery Plan. Certo, non ci saranno comunque, a livello mondiale, quelle condizioni favorevoli del dopoguerra, almeno fino a quando ogni potentato economico o politico mondiale continuerà a sfruttare in modo tumultuoso e ingiusto le risorse del pianeta e a ledere i diritti dei lavoratori. Bene ha detto il costituzionalista Luigi Ferraioli nel suo ultimo libro ”La costruzione della Costituzione” che dalle crisi e dal malessere non se ne esce se non si stabiliscono garanzie planetarie, come un Demanio mondiale di beni indisponibili perché comuni e soprattutto se non si costituirà, dopo lo Stato di diritto nato dalle lotte liberali e democratiche del recente passato, anche un “Mercato di diritto”, cioè norme cogenti che impediscano al Mercato di sfruttare a piacimento uomini e risorse naturali di questo pianeta.
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