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Il ferro va battuto quando è caldo e quello del lavoro è rovente

Lavoro

Il ferro va battuto quando è caldo e quello del lavoro è rovente

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Raffaele FLAMINIO

La storia degli ultimi cinquant’anni ha dimostrato che l’ipotizzata smaterializzazione del lavoro, pensata e applicata sin dai tardi anni ’70 dalla scuola economica di Chicago, con la teorizzazione e l’applicazione di ricette neoliberiste e liberticide, ha fallito. Il mercato così come inteso e pensato da quegli economisti è distruttivo. La prima ragione consiste nello sfruttamento spietato delle risorse del pianeta che resta l’unico tesoro da preservare. La seconda nella schiavizzazione

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progressiva del mondo del lavoro, strutturata sull’alienazione dei diritti, per un lavoro, qualunque esso sia, che vada a genio a chi lo “dona” purché a basso prezzo e che peschi in una umanità disorientata e bisognosa di sopravvivere. Le categorie del vecchio lavoro, ci hanno detto, sono finite. Gli operai, i tecnici, gli amministrativi, i laureati sono solo entità del passato, il darwinismo del mercato avrebbe generato il nuovo. Crediamo che ciò sia avvenuto generando un Mostro. Tutto è concorrenza, tutto è al ribasso, persino il cibo e la dignità ai quali si attribuisce un prezzo che è pagato dalle comunità che, se più forti e strutturate, subiscono punizioni inflessibili e feroci, fino a ridurle alla ragione secondo l’adagio ricorrente “ringrazia e stai zitto”. Le delocalizzazioni, per esempio, sono la punta della montagna sotto cui frana il sistema del lavoro e la redistribuzione reddituale e salariale. La liquefazione del lavoro e con esso i diritti naturali e civili che esso contempla, hanno terremotato la sinistra politica e sindacale italiana, consentendo la messa in discussione di tutto ciò che è stato il lungo e sanguinoso cammino intrapreso da chi del lavoro ne faceva una bandiera ed una parola d’ordine. Pur comprendendo le difficoltà in cui versa il maggiore partito della sinistra e rispettandone il travaglio, a cui tutti noi assistiamo sbigottiti, ci saremmo aspettati dal neo segretario di quel partito, un discorso programmatico chiaro, preciso ed identitario tale da aprire una fase prepotente di riflessione sulla scia delle culture di riferimento a cui esso dovrebbe ispirarsi, quella socialista e quella cristiano sociale che tanto hanno fruttato in termini di lavoro e diritti connessi all’identità Costituzionale del nostro Paese. Il richiamo allo Ius Soli e il diritto di voto ai sedicenni sono argomenti che interessano il nostro mondo ma credo in subordine, e particolarmente in questo preciso frangente. Che cosa ne sarà di tanti giovani italiani di “cromia” diversa se le condizioni di chi dovrebbe lavorare restano immutate? È come se si volesse costruire la casa comune dal tetto. Certo il

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fattore demografico non è irrilevante ma la sopravvivenza delle donne e degli uomini su questa terra non dipende dall’ Eden immaginato, fino a prova contraria l’umanità fu maledetta dal Creatore per aver trovato la strada più breve e comoda e se la memoria non mi tradisce disse pressappoco così “trarrai dal sudore e dalla fatica i frutti della terra” e dunque sarà il lavoro per tutta l’esistenza in vita ad assicurare prosperità e idee a beneficio di tutti. Anche il Figliuol Prodigo pronuncio queste parole: Date a Cesare quel che è di Cesare. A lume di naso sembra che questi concetti espressi, semplicemente, racchiudano le tesi fondative del nostro pellegrino in cerca d’identità. La storia è implacabile, si ripete, dalla falce e martello siamo giunti all’algoritmo e alla memoria artificiale ma i temi restano sempre gli stessi, ciò dimostra che la complessità è tanta, e sarebbe ora di farla finita con la semplificazione e le furberie dei posizionamenti tattici di convenienza. Chi ha dato prova di inaffidabilità invocando, presunti levantini rinascimenti e invidie per il costo del lavoro di certe latitudini, venga messo da parte e non faccia più ritorno nel mondo che non gli appartiene, lo spazio a cui aspira è in altre direzioni più consone al suo sentire. È il momento questo di riprendere il bandolo della matassa, legarlo a quel filo spezzato che si chiama Lavoro. Bisogna abbandonare la vista panoramica e asettica che i comodi pulpiti hanno consentito finora, e immergersi a piene mani nel letamaio putrido in cui versa il lavoro e i giovani. Farla finita con chi dal lavoro altrui trae profitti e accumula primati di evasione fiscale, contributiva e permette gli omicidi preterintenzionale sul lavoro. Le statistiche di Inail e Inps grondano morti impunite e bianche, di lavoro si muore quando c’è e si muore se non c’è perché si è ridotti alla fame e alla disperazione. La politica della nostra parte deve interpretare questi odiosi numeri, traducendoli in progetti di legge parlamentari, ascoltando chi si trova ogni giorno a masticare amaro, avere la forza di affermare i principi

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inalienabili del diritto al lavoro sicuro e remunerato giustamente. La battaglia vinta dai ciclisti delle consegne ai quali era negata anche l’esistenza è un paradigma dei nuovi mestieri in cui l’algoritmo gestisce l’esistenza senza concedere nulla all’umanità e al diritto. La cosa spaventosa è che l’accesso alle istituzioni è stato consentito solo alla lobby dei padroni delle ferriere, le rivendicazioni di esistenza in vita di quei lavoratori erano state ignorate. Solo la forza nella testa, oltre che nelle gambe, di quei lavoratori raccolti da pochi volenterosi sindacalisti, è stata incanalata fuori dal voluto cono d’ombra nel quale il lavoro è stato cacciato. Il diritto è stato esercitato dai tribunali e dalle denuncie, la politica, pure la nostra, stava sul comodo pulpito a pontificare di cose che finge di non conoscere, interessata alla comodità o al design della poltrona da occupare tramite legge elettorale. Come anche la magnificenza dei colossi del commercio on line è stata smascherata dalle coraggiose denunce di pochi temerari lavoratori. Il compito della nostra, politica è di sporcarsi le mani, scendere nell’agone infernale del lavoro, vivere e partecipare con chi di lavoro vive aspirando legittimamente alla dignità del proprio stato. Solo cambiare il lessico può essere un viatico; via i circoli e spazio alle sezioni, polmoni e sentinelle territoriali capaci di interloquire con le istituzioni locali e con i sindacati, assistere e indirizzare, sintetizzare, gli interessi della maggioranza del Paese che vive di lavoro. La Cgil nel marzo del 2016 attraverso la consultazione degli iscritti e la raccolta di oltre due milioni di firme attivando i banchetti per strada, presentava la proposta di legge di iniziativa popolare detta “Carta dei Diritti Universali del Lavoro”. Quella proposta di legge è stata ignorata dal Parlamento della Repubblica. Il 22 marzo a distanza di cinque anni, con l’urgenza del Covid 19, i lavoratori di Amazon sulla scia di giuste rivendicazioni salariali, e contratti stabili, sono scesi in sciopero in tutto il mondo; sono 840.000 i dipendenti del colosso del commercio on line tutti insieme hanno

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alzato la testa e la voce, anche se solo per un giorno, perché la paura di perdere il lavoro è tanta. 40.000 persone di quell’azienda in Italia hanno detto basta insieme ai loro rappresentanti sindacali. La Cgil ha avanzato una proposta e tentato di aprire una riflessione sull’argomento; vorrei essere smentito, ma quanti parlamentari, della nostra parte, hanno letto quel documento? Hanno tentato di discutere con il sindacato un argomento così importante per milioni di persone? Landini dichiara il 22 marzo giorno sullo sciopero: “Questo sciopero deve trasformarsi in atti concreti da parte del Governo e del Parlamento per riaffermare il principio che fare impresa nel nostro Paese vuol dire riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva nazionale e aziendale, e a un corretto sistema di relazioni industriali. Condizioni necessarie per ridare dignità alle persone, sconfiggere la precarietà e garantire lavoro di qualità”. Concetti che disegnano una idea nuova di lavoro, perfettamente consona per governare le spinte deleterie del capitalismo impalpabile. Ciò significa dare un corpo e un’anima a questi giganti invisibili che incombono sull’umanità, depredando anche le aspirazioni, le voglie, e le scelte che ogni individuo ha facoltà di esercitare liberamente. In ambito sindacale si sta discutendo di applicare anche in Italia il modello di contrattazione tedesco, ovvero della partecipazione dei lavoratori attraverso i loro rappresentanti nei consigli di amministrazione delle aziende; un sistema senza dubbio affascinante e sfidante. Ma senza una legge sulla rappresentanza, seria e vincolante per tutti, un tale salto di relazioni industriali il nostro sistema è in grado di reggerlo? Oggi in Italia ci sono circa 400 contratti di categoria collettivi, tantissimi detti pirata, chiedo quale operazione andrebbe fatta preventivamente? I sindacati hanno espresso un cauto ottimismo sul nuovo decreto sostegni che affronta la fase emergenziale, prorogando il blocco dei licenziamenti, resta essenziale riformare l’istituto della cassa integrazione e tutti quei provvedimenti che impediscano di depredare risorse

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pubbliche per dirottarle all’estero. Costituire una legislazione unica europea sul lavoro è una condizione primaria. La brutta faccenda dei vaccini e lo strapotere delle case farmaceutiche sono esemplari.

Il presidente del consiglio Mario Draghi non ha usato mezzi termini, ha definito la rottamazione leghista un condono, forse necessario, ma sempre un condono. L’evasione insieme alle mafie sono la peste del nostro Paese.

Sul fronte fiscale l’Europa resta una armata Brancaleone, le multinazionali che costringono i cittadini del continente allo sciopero, vengono protette dalla fiscalità pulviscolare degli stati membri che proteggono le stesse, dalla fiscalità giusta e solidale. Non è concepibile, se non se ne ha la forza, di sperare in un abbuono del dedito concesso ora. La “miminum Tax” una sorta di patrimoniale imposta ai colossi multinazionali, ventilata dalla nuova amministrazione U.S.A. e spiegata dal Fondo Monetario Internazionale, convertito temporaneamente alla solidarietà globale, potrebbe essere un viatico convincente tale da assicurare gli investimenti idonei per un’economia più calibrata sul sociale.

Ci piacerebbe che le forze progressiste mondiali e tra queste il PD, tracciassero un processo politico coraggioso e “rivoluzionario” concepito sui numeri della sofferenza. Gli indici sull’occupazione europea e quella dei sussidi di disoccupazione statunitensi sono implacabili, come tali sono i numeri del costante arricchimento di pochi.

Questo è ciò che vorremmo che facessero, come donne e uomini di sinistra, i partiti che da tempo richiamiamo a declinare “cose di sinistra”. Trovare le risorse per dare forma concreta alle nostre idee è la necessaria condizione per continuare ad esistere.

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