3 minute read

Diritto alla felicità

Racconto

Diritto alla felicità

Advertisement

Lucia COLARIETI

Le case di Licola mare s’infilano tra i canneti del litorale in mezzo a strade polverose di sabbia, sono costruzioni basse corrose dalla salsedine, l’aria salmastra pervade i cortili tristi e il lungomare è costeggiato da una sequela di stabilimenti balneari che chiudono la vista all’orizzonte. Il piccolo borgo a mezz’ora di auto dalla grande città potrebbe essere una ridente cittadina, dal clima temperato e luogo di riposo e contatto con la natura, ma non lo è. Le strutture ricettive, che d’estate raccolgono i cittadini in cerca di refrigerio, si erigono come castelli protetti da mura e reti, all’esterno rimane lo squallore di una società civile che non c’è.

68

Santino ha nove anni e il cappuccio della felpa calato sulla testa, nel vento gelido di novembre cammina accostato alle cancellate che costeggiano la strada, la penna a sfera tintinna, il bambino la trascina sul ferro, in una cantilena ritmica che lo accompagna nel silenzio di un pomeriggio invernale.

La penna sarebbe servita per i compiti, gli era rimasta in mano mentre scappava dalla stanza al pianterreno dove vive, nell’altra mano stringe ancora la fotocopia della scheda che gli ha dato la maestra: “Giornata mondiale dei diritti dei bambini”, c’è scritto a caratteri grandi. Stava tentando di comprendere quelle parole difficili quando la mamma, che anche quel pomeriggio era ubriaca, aveva cominciato a inveire contro il suo compagno, tra gli strilli di pianto dei fratelli più piccoli.

Santino è abituato alle scenate dell’uomo, solo l’ultimo di una lunga serie di cui ha rinunciato anche a ricordare i nomi, che urla parole oscene e finisce per scaraventare oggetti in giro per la stanza, perciò ha imparato a fuggire il più presto possibile. Scappa furioso e si sente in colpa, suo padre ha un’altra famiglia e lui è grande, dovrebbe difendere la mamma e gli altri bambini più piccoli. Il ritmo ossessivo della penna incalza, cresce con la forza dei pensieri oscuri e si spezza improvviso alla fine della ringhiera.

Santino è giunto dinanzi ad un cortile aperto, una canzoncina arriva dall’edificio rosa in fondo, la melodia entra nei suoi pensieri e con limpidezza gli mostra ciò che lui non vorrebbe vedere: non ha nessuna voglia di difendere quella donna. Si sente ancora più in colpa. Lo sguardo gli cade sul foglio che ha in mano, in quel pomeriggio sarebbe solo felice di poter compilare bene la scheda per la maestra, ma non immagina nessuno che possa aiutarlo, pensa con le lacrime che bruciano trattenute con rabbia.

69

Dal portoncino della palazzina spunta una testa coperta da un velo grigio. Santino ha visto tante volte quelle suorine, insieme ad alcuni ragazzi, prelevare e accompagnare i bambini. Arrivano sempre dopo pranzo e li portano in quella casa che appare magica, i piccoli ne escono allegri e poi eseguono sempre tutto l’assegno senza essere costretti ad aprire libri e quaderni a casa. Gli sembrano felici, mentre per lui è sempre complicato fare i compiti; l’unico tavolo della stanza è spesso invaso da piatti sporchi e rifiuti, e poi c’è qualche fratellino che piange, a volte si deve alzare per aiutare la mamma ad andare a letto, la luce è poca e d’inverno si trema dal freddo.

La suora lo guarda con un sorriso dolce. «Vieni Santino» gli dice avvicinandosi «c’è troppo vento qua fuori, vieni dentro a prendere una cioccolata».

Santino sporge la mano con la scheda, non sa quali parole potrebbe usare, non le ha mai dette.

«Vuoi che ti aiuti? Dentro ci sono le ragazze, ci sono anche i colori per la scheda, vieni, entra».

La donna lo conduce verso la stanza dalla quale proviene un dolce tepore e le voci di altri bambini.

«Dopo chiamo la direttrice» dice la suora ad una giovane china su un tavolino. «Va bene» risponde l’altra «Speriamo che ci sia posto per lui».

«Glielo chiedo, mi sembra che Santino abbia tanta voglia di stare con noi tutti i pomeriggi».

«Sì» conclude la giovane sorridendo «Credo che ne abbia proprio il diritto».

70

This article is from: