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FOCUS: MARKETING DI RELAZIONE BRAND: UNA LEVA CHIAMATA SOSTENIBILITÀ

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Marketing di relazione

MAURO MURERO

GIORNALISTA. COLLABORA CON NUMEROSE TESTATE SPECIALIZZATE IN MARKETING E COMUNICAZIONE D’IMPRESA E CON PERIODICI FINANZIARI GENERALISTI.

BRAND: UNA LEVA CHIAMATA SOSTENIBILITÀ

NONOSTANTE IL TERRIBILE OSTACOLO RAPPRESENTATO DALL’EMERGENZA SANITARIA, ANCHE NEL 2020 L’INDUSTRIA DI MARCA HA CONTINUATO A INVESTIRE IN DIREZIONE DELLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE, SOCIALE ED ECONOMICA.

FRANCESCO MUTTI, PRESIDENTE DI CENTROMARCA. Nel corso dell’anno da poco iniziato l’industria di marca premerà il pedale dell’acceleratore puntando a un obiettivo ben preciso, ovvero la sostenibilità: anzi, rispetto al 2020 – come sottolinea Francesco Mutti, Presidente di Centromarca – “rafforzerà ulteriormente la consistenza degli investimenti, confermando il suo ruolo trainante nella filiera del largo consumo e nell’assetto economico del Paese”. Alla fine dello scorso anno, tirando le somme di 12 mesi che per ovvie ragioni sono stati peculiari e difficili, Centromarca ha ricordato agli organi istituzionali preposti quanto sia importante non sottostimare le risorse da destinare ai settori impegnati nel campo dello sviluppo sostenibile, con particolare riferimento a quelli del largo consumo, che orientano i loro interventi verso fattori come la riduzione delle emissioni, il riciclo dei materiali e l’uso consapevole delle risorse primarie. “La sostenibilità”, conferma Mutti, “rappresenta la sfida fondamentale del Recovery Plan e la corretta finalizzazione delle risorse farà la differenza: non dimentichiamo che in gioco ci sono il rilancio dell’economia e della domanda, almeno sul medio termine, e la competitività sui mercati internazionali”. A tal proposito, la stessa Centromarca ricorda alcuni eloquenti dati emersi da una recente indagine dell’Università Roma Tre: allo stato attuale il 75% delle aziende rende conto pubblicamente, attraverso la Rete, della sua attività nel campo della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Il 72% ha realizzato azioni per l’approvvigionamento responsabile delle materie prime, il 69% per il contenimento dei consumi energetici e il ricorso a fonti rinnovabili, il 56% per l’utilizzo responsabile della risorsa idrica, il 55% per il contenimento di sprechi e rifiuti e il 50% per la riduzione e il riciclo degli imballaggi. In un’ottica più strettamente economico-aziendale, il 61% delle imprese destina risorse economiche alle comunità e ai territori. Il 42% vara iniziative di formazione e aggiornamento destinate al personale e la medesima percentuale chiama in causa chi investe nell’ambito della prevenzione degli infortuni, mentre è leggermente più elevata (43%) la quota di aziende che studiano progetti specificamente dedicati alle cosiddette ‘quote rosa’. L’attività dei soggetti che rendicontano si focalizza su oltre la metà (10 su 17) dei Sustainable Development Goals individuati dall’ONU: energia pulita e conveniente (55% delle aziende impegnate: è l’unico dato che supera la soglia della maggioranza assoluta), consumo e produzione responsabile, salute e benessere, climate change, tutela della risorsa idrica, qualità del lavoro/crescita economica, lotta alla fame, parità dei sessi, vita sulla terra e partnership per il raggiungimento di obiettivi sostenibili. In alcuni casi il campione esprime valori superiori alla media nazionale Istat e i dati possono anche essere considerati sottostimati, visto che ancora oggi si riscontra la presenza di un numero non indifferente di soggetti che, per ragioni essenzialmente riconducibili alla policy aziendale, decidono di non comunicare le caratteristiche delle attività svolte e i risultati raggiunti.

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