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INTERNET OF THINGS IOT: SI VA VERSO L’INTERNET OF BEHAVIORS

IOT: SI VA VERSO L’INTERNET OF BEHAVIORS

L’IOT SARÀ SEMPRE PIÙ UNA TECNOLOGIA IN GRADO DI TRASFORMARE LE NOSTRE VITE: LE INFORMAZIONI RACCOLTE DAI VARI DISPOSITIVI E SENSORI POSSONO DARE INDICAZIONI CAPACI DI MODIFICARE I NOSTRI COMPORTAMENTI.

DI MAURIZIO ERMISINO

INTERNET OF THINGS, UNA PAROLA SEMPRE PIÙ SULLA BOCCA DI TUTTI. È UNA TECNOLOGIA IN CUI SONO RIPOSTE MOLTE SPERANZE PER LA DIGITALIZZAZIONE DELL’INDUSTRIA E DEL NOSTRO PAESE.

Quello che è ormai chiaro è che l’Internet Of Things non è una tecnologia a se stante, ma una risorsa in grado davvero di trasformare i nostri device e le nostre vite, soprattutto se integrata con soluzioni di Intelligenza Artificiale e Data Analytics. Il sito Internet4Things.it ha iniziato l’anno segnalandoci una nuova tendenza, in un articolo firmato dal Direttore Maria Teresa dalla Mura. Il trend è importante, perché ci fa capire come l’IoT potrà influire sulle nostre vite. Si parla infatti sempre più di una Internet of Behaviors (IoB), una tecnologia che utilizza i dati raccolti dai vari sensori ormai presenti su tutte le macchine per modificare i comportamenti delle persone. Ne abbiamo parlato con Mauro Lupi, Digital Business Consultant. “C’è un principio, un dato di fatto: che la grande maggioranza dei nostri comportamenti personali genera dati, genera informazioni”, commenta. “Non solo quando interagiamo con dei componenti digitali, ma anche con i nostri stessi comportamenti fisici. Passiamo davanti a un negozio e ci possono essere dei sensori che tracciano il nostro passaggio fisico. Quando interagiamo con delle tecnologie questo scambio è più preciso”. Tutto dipende, poi, da che cosa accade una volta che qualcuno ha questi dati in mano e da come li utilizza. “Vedendo la cosa con il cappello del marketer ci sono milioni di possibilità”, riflette Lupi. “Con il cappello personale, da cittadino, non ci sono da analizzare soltanto temi di privacy, ma bisogna capire in che mondo possiamo vivere: un mondo dove la tecnologia ci dice cosa fare o dove c’è il libero arbitrio. O usare dei mezzi o finire per esserlo. Pensiamo ai navigatori satellitari che ci guidano in macchina: ci fidiamo ciecamente di loro. Ma che ne sappiamo che non ci vogliano indicare una strada dove c’è un bar che in qualche modo è stato pubblicizzato?”.

“Oggi ogni comportamento umano genera dati, e questi possono innescare altri comportamenti: o di altre macchine, o anche delle persone”, ci spiega Mauro Lupi. Il concetto alla base dell’Internet of Behaviors sta tutto qui. Tutte le informazioni che vengono raccolte dai vari dispositivi grazie ai loro sensori, quelle provenienti dal nostro comportamento nel mondo digitale, ma anche da quello nel mondo fisico, possono essere utilizzate per venirci in aiuto, per darci delle indicazioni in modo che possiamo scegliere di modificare i nostri comportamenti. Pensiamo al settore del trasporto delle merci, quanto mai all’apice del successo in questi tempi. A bordo dei veicoli, o negli strumenti smart a disposizione dei corrieri, ci sono sensori che possono immagazzinare e comunicare una serie di informazioni sullo stile di guida del conducente. Questi dati, poi, potranno servire per migliorare sia le prestazioni del corriere, per capire ad esempio se deve effettuare le consegne in modo più veloce, con meno soste, sia la sicurezza, nel caso i dati rilevino velocità eccessive o manovre rischiose. La sicurezza è fondamentale anche nei luoghi di lavoro: in questo caso l’utilizzo dei sensori presenti in molte macchine e di una serie di strumenti di visione possono essere molto utili, segnalando una serie di indicazioni sul fatto che i dipendenti, ma anche i clienti in un negozio, indossino correttamente i dispositivi di protezione, come le mascherine, o si sanifichino le mani con regolarità. È un tema quanto mai attuale ai tempi del Covid-19. Ma pensiamo anche ai fondamentali elementi di protezione, come caschi, stivali e tute protettive, di chi fa dei lavori pericolosi. Sempre per restare su lavori di grande attualità, pensiamo ai medici: i dati che si possono ottenere dai tracker o da tutta una serie di dispositivi indossabili sempre più diffusi possono essere utili per ricavare una serie di informazioni che servono ai medici per inquadrare meglio lo stile di vita dei loro pazienti, e quindi dare delle basi per incoraggiarli ad adottare abitudini più salutari. Oggi diversi dati sono raccolti anche nei punti vendita, e possono rappresentare indicatori importanti per influenzare gli acquisti. Dal punto di vista del marketing, questo è uno degli aspetti più interessanti. Ci chiediamo se e quanto l’elemento umano possa influire in questo dialogo di dati tra sensori e macchine. Perché, a un certo punto, i dati andranno letti e sintetizzati da qualcuno per essere tradotti in indicazioni. “Dipende dalla tipologia dei dati”, ci suggerisce Mauro Lupi. “La logica dell’informatica è che tutto quello che una macchina può informatizzare al posto dell’uomo prima o poi sarà fatto. È un processo irreversibile. Partendo da una serie di informazioni raccolte nei modi più disparati, l’uomo ha una capacità di analisi delle informazioni. Ma gli servono delle macchine per gestirne così tante”. Il fattore umano c’è sempre, ma interviene solo in alcuni processi. Mauro Lupi ci fa un esempio di un processo di questo tipo. “Occupandomi di marketing, una delle cose che faccio sono i famosi focus group”, spiega. “Una società americana li sta realizzando con interviste de visu, tra umani: ma la decodifica dell’audio è fatta da un software, che non solo interpreta il testo e ti fa un riassunto di tutto quello che è stato detto, ma ti dà informazioni sulla veridicità delle informazioni, in base al tono di voce di chi risponde. È un lavoro con un livello di sofisticazione che potresti comunque raggiungere, ma è un lavoro lungo. Un computer lo analizza in 5 secondi”. I’Internet of Behaviors è un territorio ancora da esplorare completamente, e ovviamente tira in ballo tematiche di privacy e di etica che dovranno essere soppesate e affrontate. “Ci sono molte consuetudini, molte norme che devono essere riviste”, commenta Lupi. “Un’attenzione forte del legislatore ci deve essere. Rimane un tema cruciale: a livello individuale, saremo noi come cittadini a imparare a gestire questi dati, a chi li affidiamo, a chi li lasciamo interpretare. Serve una consapevolezza individuale. Inizieremo a scuola: ai ragazzi bisogna spiegare che le fake news non sono semplicemente la notizia scema che la gente prende per buona: pensiamo a strumenti che campionano la voce di chiunque, e rendono possibile leggere un testo con la voce di chi vogliamo. Non è cosa da grandi laboratori di ricerca, ma da app che costano pochi euro”. “Il tema di etica dei dati diventerà una componente della CSR delle aziende”, continua Lupi. “Quando parliamo di atteggiamenti virtuosi delle aziende pensiamo al risparmio energetico, al trattamento dei dipendenti. Diventerà rilevante per le aziende anche dichiarare in modo concreto come trattano i dati di tutti, clienti e dipendenti. Dovranno avere e dichiarare un’etica di trattamento dei dati al di là di quello che impone la legge e che deve essere la base: così si innescherà un circolo virtuoso, in cui ci saranno buoni esempi e servirà qualcuno che monitora i grandi detentori dei dati. Facebook ha un comitato esterno indipendente che fa da controllore, e che cura gli interessi delle persone”. MK

LA MAGGIORANZA DELLE NOSTRE INTERAZIONI GENERA DATI CHE POSSONO FORNIRE IMPORTANTI INFORMAZIONI PER IL MARKETER E AVERE UN FORTE IMPATTO SUL NOSTRO COMPORTAMENTO.

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