Arriverà l’aurora
E
ntrare nella hall non liberò solamente la mia testa da tutti i pensieri. In un’ora mi chiamarono quelli che sapevano, anche loro piuttosto sollevati. Grazie al tracciatore Gps che avevo appresso erano stati con me tutta la notte svegli dall’Italia e io me li ero sentiti vicini, con il loro affetto e la preoccupazione. Anche perché mentre stavo con la neve fin sopra i calzoni si era scaricata la batteria e mi avevano perso, come io avevo fatto col percorso. Trovai i loro messaggi e capii che condividemmo l’angoscia di quei momenti. «Stai andando troppo forte, fermati.» Ci aspettavamo tutti che finissi in quaranta ore almeno e così per cento chilometri mi era sembrato di sentire mia mamma gridare: «Vai piano, dove stai andando?» E copriti, naturalmente. Le telefonate più care arrivarono subito, una delle cose che mi porto nel cuore. Intanto però cominciavo a rivedermi la corsa in testa. In uno stato semi incosciente avevo chiare solamente due cose. Ritrovarmi campione senza averci mai pensato, felice non di aver vinto ma di essere lì integro, non solo e non tanto fisicamente quanto per aver messo insieme i pezzi della mia anima. Ricostruito tutto intero dopo gli anni della bici, le cadute, le chitarre, le montagne. Il ghiaccio della Lapponia mi aveva compattato e mai più sarei tornato indietro disunito. Perciò, ed era la seconda certezza, io Rovaniemi
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