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ATTUALITÀ

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Da sinistra, tre foto di Mario Bellini: la baia di San Francisco; la statua di Sir Walter Scott a Central Park, New York; il ponte Golden Gate a San Francisco.

Èuno dei più grandi architetti italiani nel mondo. Ha ricevuto otto volte il Compasso d’oro, premio dell’Associazione per il disegno industriale, 25 tra le sue opere di design sono presenti nella collezione permanente del MoMA, a New York, che gli ha dedicato una retrospettiva nel 1987, ed è stato direttore della rivista d’architettura Domus. Mario Bellini ha progettato famosissimi edifici tra cui La Fiera del Portello a Milano, il Centro congressi di Villa Erba a Cernobbio (Como), il Tokyo Design Centre in Giappone, la National Gallery of Victoria a Melbourne, in Australia, solo per citarne alcuni. Instancabile pensatore e creatore, ha disegnato macchine da scrivere, calcolatrici e tastiere per Olivetti, trovando ispirazione per le forme nella pittura rinascimentale. Ha girato il mondo in lungo e

in largo, ma Milano non la cambierebbe con nessun altro luogo perché «è una città che quasi indosso, ogni volta che l’attraverso», mi dice al telefono.

«Non voglio più fare interviste però», mi ripete più volte. «Ne ho rilasciate centinaia e credo di avere detto tutto quello che ho da dire su di me, la città, l’architettura e il futuro. È arrivato il momento del silenzio e di sapere che, a un certo punto, tacere nella vita è fondamentale. Anche perché a 86 anni ho risposto a tutte le domande possibili». Bellini al telefono è un po’ perentorio, ma subito dopo sento che sorride, e capisco che non ha intenzione di riattaccare. Gli rispondo che voglio solo fare una chiacchierata e subito gli chiedo dei suoi viaggi più amati negli Stati Uniti, anche se so che il Giappone è la sua passione perché c’è stato 130 volte. Architetto e viaggiatore, o forse prima viaggiatore e poi architetto, il mondo lo ha conosciuto veramente tutto, studiato sui libri a lungo prima di ogni partenza. «Ciò che intendo per viaggio

è partire senza nessuna certezza, spostarsi evitando percorsi ingessati, essere aperti a tutte le possibilità, modificare anche all’ultimo la rotta. Lo stesso mi capita quando progetto una sedia o un edificio, e sono ancora fermamente convinto che sia più difficile fare una bella sedia che un grattacielo».

Famosa la sua sedia Cab (prodotta da Cassina nel 1977), ispirata al modo in cui la pelle del corpo umano aderisce allo scheletro.

Il viaggio che non dimenticherà, come un’esperienza di formazione, risale al giugno del 1972. Bellini era arrivato a New York per partecipare a Italy, the New Domestic Landscape, la mostra del MoMA, nella quale aveva presentato Kar-a-sutra, la prima monovolume, un progetto rivoluzionario di spazio mobile. «Kar-a-sutra era ispirata al Kama Sutra, che non è soltanto un libro sulle posizione del sesso, è un libro sulla vita, così come Kar-a-sutra non è semplicemente un’auto ma uno spazio mobile, da vivere», spiega Bellini. Quel viaggio negli Stati Uniti lo ha raccontato in un libro dal titolo Usa 1972, edito da Humboldt Books, che raccoglie le foto realizzate esplorando con altri due amici il modo di abitare degli americani. «I viaggi sono l’approfondimento di

se stessi. E che bella la pellicola che riporta in vita ciò che è impossibile dimenticare. Era un viaggio inchiesta in presa diretta che raccontava la magnifica “ossessione dell’abitare”. Ci muovevamo come in un’improvvisazione jazz, l’unica regola che ci eravamo dati. L’America è il rovescio dell’Europa,

un condensato di esperienze in contraddizione l’una

con l’altra. Arte, tecnologia, scienze, sperimentazioni sociali: erano tutte forme di un grande laboratorio del nuovo che credevo di poter trovare entrando nelle case della gente». Un’ossessione dell’abitare che sentiamo in tutta la sua drammaticità in questi lunghi mesi di pandemia. «Non me lo chieda, però, come sarà la vita adesso, come sarà vivere e abitare nel futuro prossimo. Sono convinto che ai tempi di Pompei vivevano esattamente come noi: avevano sedie, tavoli, finestre, attrezzi da cucina, cani da compagnia. Il modo di vivere non evolve come le scoperte scientifiche, resta identico per secoli. So però che gli edifici riguardano le persone ed è questa considerazione che deve plasmare l’architettura e il design negli anni a venire».

La musica, il teatro e la pittura sono le sue altre grandi passioni. Bellini è uno dei più grandi

collezionisti di Realismo Magico, con dipinti di Mario Broglio, di Cagnaccio di San Pietro, di

Antonio Donghi, di Mario Sironi. Sono opere che portano a stare dentro la realtà per poterne uscire e che forse servono a nutrire il nostro quotidiano in un mondo che diventa troppo virtuale. «Amo l’arte e mi piace moltissimo allestire mostre». Come Giotto, l’Italia, allestita a Palazzo Reale a Milano nel 2016. Forse per questo il suo progetto preferito è il Dipartimento delle Arti dell’Islam al Museo del Louvre, a Parigi, inaugurato nel 2012.

L’età, la logica, la saggezza, le passioni: sta tutto insieme nel Bellini di oggi. Come velocità e lentezza. «Sono un compulsivo della fotografia, ho raccontato il viaggio da Tokyo a Osaka sul super treno a 250 chilometri orari fotografando a quella velocità, mentre adesso scatto con uno smartphone nuovissimo e in modo maniacale raddrizzo tutte le linee storte che mi fanno letteralmente impazzire».

Mi racconta che trascorre molto tempo riordinando i suoi scritti e che vorrebbe realizzare un libro “totale”. «Sempre, se avrò energie, ecco perché non voglio dissiparle. Vorrei concentrarmi sui lavori

del mio studio, che è come un luogo dilatato nella mia mente, fatto di migliaia di persone venute a Milano da molti Paesi, che si sono alternate

intorno a me. Lavoriamo in “modalità aperta” e piramidale allo stesso tempo. Tutti possono esprimere e sostenere la propria posizione, ma alla fine decido io. Funziona decidere in prima persona, ma guai se non c’è l’apporto di tutti». Mi saluta dicendo che mi ha già raccontato troppo e che molte cose non potrò scriverle. Glielo prometto. «Un segreto posso confidarglielo, però», mi dice prima di lasciarmi. «Le donne sono molto più in gamba degli uomini».

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«UN GRATTACIELO È PIÙ FACILE DA PROGETTARE DI UNA SEDIA»

Da sinistra: musicisti per strada a San Francisco; lo studio di Andy Warhol a New York; l’artista Davide Mosconi, compagno di viaggio di Mario Bellini.

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