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CONTAMINAZIONE Giuseppe

La Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano.

«LA CULTURA NON DOVRÀ PIÙ ESSERE FATTA SOLO NEI LUOGHI CANONICI»

Piero Lissoni: «Milano ha perso molti turisti, che dall’Expo 2015 in poi erano diventati una risorsa. In questi mesi la città è stata restituita a chi ci vive, ma i turisti a me sono mancati, perché camminare per strada e sentire parlare lingue diverse è bellissimo».

Giuseppe Sala: «È vero, ma bisogna accettare l’ineluttabile. Oggi è così. Alcuni studi sul traffico aereo dicono che si tornerà ai livelli del 2019 solo a fine 2023 e non riusciremo a recuperare i turisti in un paio d’anni. Milano oggi ha 1 milione e 400 mila abitanti, nel 2019 c’erano 1 milione e 600 mila persone in più tra pendolari e turisti. Questi ultimi sono scomparsi mentre i pendolari sono in gran parte diminuiti a causa dello smart working. A vaccinazioni completate, e quando potremo mettere fine alla pandemia, non ripartirà tutto immediatamente. È molto probabile che ci vorranno due anni».

Piero Lissoni: «Proviamo a immaginare Milano allora, a ripensarla alla luce di quanto è accaduto in questi mesi. Dovremo progettare adesso una nuova contemporaneità, pensare Milano come una città campus».

Giuseppe Sala: «Dovremo recuperare occupazione e per questo conto molto sul Recovery Plan, che possa finanziare le infrastrutture di cui la città ha bisogno. Milano ha sempre dimostrato di saper fare buon uso delle risorse, ma è necessario pensarla in modo diverso da come abbiamo fatto finora, sopra a ogni altra cosa dovremo mettere la questione ambientale. A Parigi e

a Barcellona si discute molto della città a 15 minuti, un modello al quale anche io guardo con interesse.

Ma bisogna passare da un’idea di città policentrica a una città fatta di quartieri, con scuole, ambulatori, consultori, parchi, centri sportivi raggiungibili in 15 minuti, a piedi o in bicicletta. L’essenziale lo devi avere a portata di mano».

Piero Lissoni: «È una grande sfida. Come lo è ridisegnare le nuove aree urbane, penso allo scalo Farini, all’area Garibaldi e alle periferie. Immagino un utilizzo differente delle superfici e degli spazi, penso al significato di "rammendare" in architettura, suggerito tempo fa da Renzo Piano, un verbo che riporta a una funzione edificante: riparare una cosa per farla tornare come nuova. Qui per me c’è il senso della sostenibilità».

Giuseppe Sala: «È una buona stagione per mettere in pratica l’idea di rammendo suggerita da Piano. Tuttavia vorrei cercare di andare oltre il concetto di periferia, laddove io vedo solo quartieri. Via Padova, per esempio, viene pensata come il “Far West”, ma in realtà è una delle aree che in anni recenti è migliorata di più. Altri cambiamenti sono avvenuti in modo inaspettato, penso alla nascita di NoLo (abbreviazione di “a Nord di piazzale Loreto” ) durante il Salone del mobile di qualche anno fa, un evento internazionale

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Una ragazza seduta sul sagrato del Duomo di Milano.

«MILANO È STATA INTELLIGENTE PERCHÉ PER CRESCERE HA IMPARATO DA TUTTI QUELLI CHE HA ACCOLTO»

che ha contribuito a innescare una trasformazione profonda di quel quartiere. Rifiuto l’idea che Milano sia fatta di un centro piccolo e di un’enorme periferia».

Piero Lissoni: «Ho fiducia in quei progetti e infrastrutture che contribuiranno ad accorciare le distanze tra i quartieri. E non solo tra di loro. I difficili mesi di restrizioni hanno reso ancora più importante il nostro bisogno di relazioni insieme con la necessità di consumare cultura».

Giuseppe Sala: «La cultura può avere un ruolo fondamentale e questa crisi ha dimostrato quanta ne serva per nutrire il senso di appartenenza delle comunità. A patto però che non venga fatta solo nei luoghi canonici, ma anche in nuovi punti di attracco. Resta il fatto che il senso di appartenenza

si costruisce sull’idea di città, che per me è quella aperta, multietnica e orientata al nuovo, per

questo più faticosa da gestire. Milano ha 26 secoli di storia alle spalle e una grande apertura al nuovo, questa unicità viene continuamente valorizzata solo se crediamo nel contributo di tanti e la città ha

dimostrato di essere furba perché per crescere ha

preso da tutti quelli che ha accolto».

Piero Lissoni: «Una città si rinnova continuamente solo se è aperta al mondo, dovrebbe essere normale. Mentre, come un paradosso, si fa strada il paradigma di una “nuova normalità”, dalla quale mi auguro scompaia l’effetto “wow” che ci sta abbagliando. Come il sovradimensionamento degli edifici, le altissime torri ufficio che davanti a un evento imprevisto come la pandemia si sono svuotate, poiché il 25 per cento della forza lavoro è riuscita a connettersi da casa. Adesso è una sfida pensare al loro riutilizzo».

Giuseppe Sala: «Quando saremo usciti dall’emergenza non saranno le torri a svuotarsi, ma altri spazi, poiché le grandi banche ai palazzi del centro storico preferiranno edifici più efficienti».

Piero Lissoni: «A chi sostiene che bisognerebbe piantare alberi ovunque in città, vegetazione sui tetti e sulle facciate di ogni casa, e non soltanto nei luoghi canonici come i parchi, i viali i giardini e le aiuole che cosa rispondi? Non credi che gli alberi siano creature che non sempre possono vivere nei viali delle nostre città? La trasformazione di strade e viali in boschi urbani con piste ciclabili in mezzo la trovo assurda».

Giuseppe Sala: «È necessario piantare più alberi ma nei posti giusti. Perché non cercare di rinverdire anche gli spazi privati chiedendo ai cittadini di fare la propria parte? Abbiamo ridotto la tassa sui rifiuti a bar e ristoranti che non buttano le eccedenze di cibo ma le consegnano a un hub che le ridistribuisce a chi ne ha bisogno, premiando questa collaborazione virtuosa che vorremmo continuare a praticare. Ognuno faccia la propria parte e dia un contributo, che è nel Dna di questa città. Solo così le cose cambieranno in meglio».

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