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Roberto Caponi

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Gabriella Bechi

Gabriella Bechi

Il settore primario può vincere la sfida della sostenibilità se avrà a disposizione

nuove professionalità

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e competenze. Ecco perché un mercato del lavoro più efficiente è la vera priorità di oggi

Capitale umano

di Roberto Caponi

Il sistema agroalimentare italiano è uno dei cardini dell’economia nazionale e negli ultimi anni ha confermato la leadership europea e la propria eccellenza. Grazie all’affermazione di una rete di imprese moderne ed efficienti, l’agricoltura oggi, insieme alla filiera agroalimentare, rappresenta la prima voce del Pil italiano. La capacità produttiva del settore primario ha risposto con grande dinamismo all’emergenza Covid, dimostrando di essere resiliente e capace di continuare a garantire - in particolare durante i lockdown - l’approvvigionamento del Paese, senza sosta, nonostante le perdite economiche e le grandi difficoltà. Anche sul fronte occupazionale, come dimostrano tutti gli indicatori, il settore ha sostanzialmente mantenuto i livelli di forza lavoro ordinari. Assistiamo però da tempo ad una trasformazione del lavoro in agricoltura in termini qualitativi, dovuta all’evoluzione delle figure professionali richieste. Le aziende sono sempre più orientate alla diversificazione delle loro attività e sempre più spesso a quelle tradizionali di coltivazione ed allevamento, affiancano servizi digitali, ambientali, ricettivi e di ospitalità turistica; attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti; servizi in conto terzi; fino alla produzione di biocarburanti e di energia elettrica. Si tratta di cambiamenti che riflettono le trasformazioni del tessuto produttivo, che vanno di pari passo con la riduzione del numero complessivo delle aziende e con la conseguente crescita della loro dimensione media, come raccontato dall’ultimo Censimento Istat. Crescono, così, gli imprenditori agricoli professionali, aumentano le società agricole di persone e di capitali e l’occupazione tende a concentrarsi sempre più. Basti pensare che le 1.000 aziende più grandi occupano un terzo della manodopera totale. Altro elemento di novità è costituito dalla crescita delle esternalizzazioni. Accanto al tradizionale contoterzismo, si assiste allo sviluppo di forme di delega all’esterno che riguardano fasi meno meccanizzate, dove gli elementi umano e manuale prevalgono. Un’agricoltura più strutturata, moderna e imprenditoriale richiede professionalità e tecnologie specialistiche che non sempre sono presenti all’interno delle aziende. Da qui, l’esigenza di rivolgersi a soggetti terzi che offrano questo know-how. L’occupazione agricola è costituita, per almeno un terzo, da lavoratori stranieri, la maggior parte dei quali extracomunitari, e si tratta di un quota in continua crescita. I cittadini italiani, purtroppo, sono sempre meno disponibili a lavorare nei campi come dipendenti (ed il reddito di cittadinanza ha dato il proprio contributo), ma anche i neo comunitari (come polacchi, rumeni o bulgari) sono sempre più rari, giacchè preferiscono tornare nei loro Paesi di origine (in pieno sviluppo) o andare in altri Paesi comunitari, come Francia e Germania, che offrono condizioni migliori. Se si vuole garantire forza lavoro alle imprese agricole è dunque necessario affrontare il tema dei lavoratori extracomunitari in modo scevro da condizionamenti ideologici. Occorre emanare il decreto flussi annuale in modo tempestivo e con numeri congrui rispetto alle esigenze delle imprese. Per il 2023, ad esempio, ne servono non meno di 80-100 mila. È necessario però anche velocizzare e semplificare le procedure burocratiche, in modo che i nulla osta arrivino per tempo e non, come spesso accade, quando la campagna di raccolta è terminata. Ma non basta. È indispensabile che i servizi per l’impiego comincino finalmente a funzionare favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in agricoltura. Se ne parla da troppo tempo, ma con risultati scarsi o nulli. Non bastano le parole o i “maghi” venuti da lontano. Serve progettualità, competenza e concretezza, a partire da una adeguata dotazione di risorse umane e finanziarie. nnn

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