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Miracoli di San Leonardo; Cristo Giudice; quattro Evangelisti, Sant’Agostino, San Francesco
from Niccolò di Segna e suo fratello Francesco: pittori nella Siena di Duccio, di Simone e dei Lorenzetti
13. Simone Martini, Maestà (dettaglio), Siena, Palazzo Pubblico 14. Niccolò di Segna, San Michele Arcangelo (dettaglio cat. 11b), Siena, Pinacoteca Nazionale
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quella perduta del polittico di San Maurizio, nota grazie a succinte descrizioni, entrambe riferibili alla fase matura del pittore. Le opere di Niccolò mostrano un’interessante serie di rimandi intrecciati ai principali artisti contemporanei e delle generazioni precedenti, che possono essere letti non solo come aggiornamenti, ma anche come la dichiarazione di un’immediata fonte di ispirazione e quasi una sorta di omaggio. È già stata più volte denunciata la vicinanza del polittico n. 38 ai modi di Simone Martini, di cui effettivamente si coglie un riflesso in particolare nella figura dell’arcangelo Michele (fig. 14), che ripropone le fisionomie aristocratiche ma paffute degli angeli della Maestà affrescata nel 1315 in Palazzo Pubblico a Siena (fig. 13). A Simone si guarda anche per la redazione generale del complesso vallombrosano, che è possibile somigliasse a quello di Santa Caterina a Pisa (1319-1320) per la terminazione con cuspidi triangolari e per la presenza di santi a mezzo busto nella predella (fig. 15), in cui comunque Niccolò dimostra di ispirarsi più direttamente allo zoccolo frammentario di Ugolino di Nerio con-
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15. Simone Martini, polittico, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo
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16. Ugolino di Nerio, predella, Lucca, Museo Nazionale di Villa Guinigi
servato nel Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca, proveniente plausibilmente da un complesso cittadino e riferibile al secondo decennio del Trecento (fig. 16). Il polittico n. 38, ricco di altre suggestioni, richiama del resto in alcune figure di santi il complesso di Santa Croce di Ugolino: su tutti il San Giovanni Battista dell’ordine superiore risulta modellato su quello dell’ordine maggiore del polittico fiorentino (fig. 17), così come probabilmente il San Bartolomeo senese si ispira per fisionomia e panneggio all’omologo dell’ordine superiore di Ugolino, allo stesso modo del Sant’Andrea. Niccolò tuttavia continua a guardare anche alla produzione duccesca e le due figure femminili che chiudono all’esterno la serie di santi dell’ordine superiore – così come avviene nel polittico di Santa Croce – rappresentano certamente un voluto rimando al polittico n. 47 di Duccio dallo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena, ora nella Pinacoteca Nazionale, nel cui ordine principale si trovano le Sante Maria Maddalena e Agnese, fedelmente riproposte per fisionomie e abiti nell’omologa santa di destra e nel-
la Santa Lucia di sinistra, che regge naturalmente un diverso attributo (fig. 18). Da Duccio sono riprese anche altre fisionomie, in particolare quelle anziane dei santi vescovi, in cui il chiaroscuro fumoso sottolinea la severità dei tratti. A distanza di quasi due decenni invece le fonti di ispirazione (o vere e proprie citazioni) che si rintracciano nel polittico della Resurrezione di Sansepolcro denunciano la maggiore attrazione di Niccolò verso l’esempio di Pietro Lorenzetti, a partire dalla stessa forma della tavola centrale, che ricalca quella della Pala Carmelitana del 1329, alla quale dimostrano di ispirarsi anche gli angeli posti negli spazi di risulta delle tavole principali, con le loro ali regolarizzate in corrispondenza della terminazione cuspidata, e alcune figure dell’ordine maggiore, sebbene siano realizzate con un più tradizionale taglio a tre quarti rispetto alla versione a figura intera. Dal ciclo assisiate della Passione nella Basilica Inferiore Niccolò sembra trarre spunto per l’immagine del Risorto e dei soldati addormentati in varie posizioni presso il sarcofago e certamente guarda a questi affreschi per la redazione della predella (figg. 21-22), per i cui riquadri non si avvale degli schemi elaborati da Ugolino per il polittico di Santa Croce ma ripropone le scene realizzate da Pietro in San Francesco (figg. 19-20). Anche la figura di Sant’Agnese del polittico biturgense è una citazione lorenzettiana della Sant’Agata di una delle cuspidi del polittico della pieve di Arezzo (1320-1322). Niccolò dimostra così di conoscere le opere dei suoi contemporanei dei quali, al di là di una ripresa di forme esteriori, che sembra essere in alcuni casi preponderante, sa assimilare e declinare i modi non soltanto in maniera superficiale: dallo slancio delle figure taglienti di Simone alla monumentalità di quelle di Pietro, passando da una pittura più preziosa e smaltata sull’esempio del primo a quella più fusa del secondo, affrancandosi sempre più dalle influenze duccesche che caratterizzano le sue prime fasi, a contatto o almeno con la mediazione di Segna e Ugolino, pur conservando a lungo nelle fisionomie e nella disposizione delle figure il ricordo del caposcuola. Il nostro pittore appare quasi una sorta di mediatore consapevole delle istanze dei principali maestri del suo tempo, spinto da una personale volontà di adeguamento e sperimentazione ma anche, plausibilmente, in favore di una committenza mediamente aggiornata ma altrettanto legata ai valori più tradizionali.
17. Ugolino di Nerio, San Giovanni Battista, Berlino, Gemäldegalerie
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18. Duccio di Buoninsegna, polittico n. 47, Siena, Pinacoteca Nazionale
Certamente Niccolò fu attivo già nel terzo decennio: ne sono testimonianza un importante numero di opere già variamente assegnategli, ma che tuttavia non sono state ancora oggetto di una lettura organica che ne definisca efficacemente i rapporti reciproci e così ne precisi la cronologia relativa, permettendo inoltre di individuare in questa fase giovanile le tracce dell’influenza dei maestri più anziani. In questo senso il pur breve cenno di Franci alla fase iniziale di Niccolò – influenzata dal retaggio duccesco mediato da Segna, ma anche dallo stile raffinato di Ugolino di Nerio e dal gusto decorativo di Simone Martini – costituisce un punto di partenza da integrare con le riflessioni di altri autori. La studiosa d’altronde non inserisce nel catalogo due opere fondamentali per la comprensione del percorso di Niccolò, ovvero la Madonna già a Figline Valdarno e quella di Cortona, la quale viene assegnata, sulla scorta di Alessandro Bagnoli, a Francesco di Segna. In entrambe si riconosce chiaramente il richiamo all’attività tarda di Segna di Bonaventura, con particolare riferimento rispettivamente alla Madonna col Bambino della basilica dei Servi di Siena e a quella ex Kress, ora conservata a Raleigh (probabilmente in origine al centro di altrettanti polittici; figg. 23-24)41. La ripresa deve essere avvenuta però a distanza di qualche tempo perché le opere citate sono collocate dalla critica
41 Per il corpus di Segna di Bonaventura cfr. Cateni, in Duccio 2003, pp. 314-315; inoltre, per la Madonna dei Servi, di cui sottolinea la componente martiniana frammista a quella duccesca: Idem, ivi, p. 324; altre Madonne di Segna da prendere a riferimento per questa fase stilistica sono quella del Museo Diocesano di Siena (dal Seminario di Montarioso) e il centrale del polittico del Metropolitan Museum of Art di New York. Luciano Cateni ha analizzato la produzione di Segna nella sua tesi di laurea: Segna di Bonaventura e il suo seguito, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1982-1983.
subito dopo la Croce della badia delle Sante Flora e Lucilla di Arezzo (1319-1320), mentre nella tavola figlinese e in quella cortonese si colgono già in via di definizione diversi dettagli stilistici caratteristici delle opere di Niccolò degli anni Trenta, periodo a cui devono essere avvicinate, pur rimanendo entro il terzo decennio. Attraverso questi elementi i modi del padre risultano infatti già stemperati, sia nella costruzione delle figure, sia nella definizione dei tratti dei volti e della conseguente individuazione “psicologica”, più pacata rispetto a Segna. Niccolò sembra dunque colto nel tentativo di elaborare una figurazione personale sulla base del retaggio paterno, ancora forte, ma che non necessariamente impone un perdurare dell’attività di bottega né un protratto apprendistato di Niccolò, che doveva già aver maturato un suo primo personale percorso artistico. Del resto, come detto, l’ultimo documento relativo a Segna risale al 1326 ed egli risulta certamente morto nel 1331. Rimanda alle sperimentazioni del padre sulla lezione martiniana, leggibili nelle opere citate, la verticalità ieratica della Madonna di Cortona, che si è portati a considerare più tarda di quella già a Figline, seguendo la tendenza del pittore a maturare i propri modi nel solco dell’esempio di Simone, che emerge – come si è visto – nel polittico n. 38, dove la cifra stilistica propria di Niccolò finalmente si precisa perdendo gran parte dei riferimenti a Segna. Tra le due Madonne e il complesso vallombrosano si inserisce agevolmente la Madonna ex Locko Park (cat. 10), sorella più acerba di quella ora in collezione Cini a Venezia, di cui richiama il profilo ormai definito in forma leggermente aquilina della Vergine e il suo arco sopraciliare molto marcato. La maggiore staticità delle figure ricorda però ancora quella delle due Madonne riferibili al terzo decennio e inoltre il Bambino dimostra una stretta somiglianza con quello della tavola da Figline, laddove l’opera veneziana sviluppa con una diversa sensibilità e consapevolezza volumetrica la versione cortonese. La Madonna ex Locko Park viene dunque ad assumere il ruolo di opera di passaggio verso la fase della prima maturità di Niccolò e deve essere perciò arretrata rispetto alla più consueta datazione in stretta prossimità della Madonna di Montesiepi (1336) e della Madonna n. 44 della Pinacoteca senese, che mostrano caratteri più evoluti. La Croce di Bibbiena (cat. 7) è probabilmente precedente alle Madonne di Figline e Cortona, tuttavia non è condivisibile la proposta di Franci di individuarvi l’opera più antica di Niccolò sulla base della vicinanza con quelle di Segna, dalle quali, al di là di indubbi parallelismi, si discosta per la scelta di costruire la figura del Crocifisso con esile essenzialità, scevra da certe enfatizzazioni del corpo muscoloso e dei segni della sofferenza del Cristo che improntano anche la Croce di Arezzo, la più recente tra quelle attribuite al padre. La delicatezza delle forme sembra d’altra parte presupporre un contatto con Ugolino di Nerio, avendo in mente la tavola con la Crocifissione del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid42, per le quali viene generalmente proposta una cronologia tarda e in cui si riconoscono analoghi modi di costruire il corpo del Cristo, naturalmente espressi con più matura padronanza. Nell’unica sua Croce a noi pervenuta, quella dei Servi (fig. 25), più o meno contemporanea o forse addirittura successiva a quella di Niccolò, Ugolino propone un Crocifisso ben più drammatico di quello del pittore più giovane e tuttavia similmente allungato e disposto secondo l’andamento verticale della croce, senza piegarsi sotto il peso della sofferenza, che traspare solo dal volto patetico, rispetto al quale tuttavia Niccolò preferisce conferire al proprio Cristo – secondo un suo tratto congeniale – una sorta di rassegnata serenità43. Le caratteristiche del Cristo di Bibbiena ricorrono in opere di minor formato, che a mio avviso stanno a testimoniare una fase immediatamente precedente alla Croce, che del resto è difficile immaginare, per la portata dell’impegno, tra le primissime commissioni del giovane Niccolò.
42 Stubblebine 1979, I, pp. 162-163; II, fig. 392. Maginnis 1983, pp. 16-21. Boskovits 1990, pp. 186-191. 43 La Croce dei Servi è assegnata da Galli (in Duccio 2003, pp. 258-260) alla fase tarda dell’attività di Ugolino ed era già stata attribuita allo stesso Niccolò: Weigelt 1911, pp. 191-192, 263; van Marle 1924, II, p. 157; De Benedictis 1979, p. 94; Torriti 1988, p. 347.
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19. Pietro Lorenzetti, Salita al Calvario, Assisi, basilica inferiore di San Francesco
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20. Pietro Lorenzetti, Deposizione dalla croce, Assisi, basilica inferiore di San Francesco
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21. Niccolò di Segna, Salita al Calvario (dettaglio cat. 22), Sansepolcro, cattedrale di San Giovanni Evangelista
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22. Niccolò di Segna, Deposizione dalla croce (dettaglio cat. 22), Sansepolcro, cattedrale di San Giovanni Evangelista
Mi riferisco al piccolo trittico del Keresztény Múzeum di Esztergom in Ungheria e al pinnacolo conservato a Philadelphia (cat. 2-3), entrambi raffiguranti la scena della Crocifissione, dove un Cristo esilissimo è circondato dai Dolenti in piedi e dalla Maddalena abbracciata alla croce, in due composizioni quasi sovrapponibili. Analoghe anche le fisionomie, con un rimando incrociato tra la Vergine ungherese e il san Giovanni americano, che peraltro compiono lo stesso gesto di dolore a mani intrecciate – frequente nelle opere senesi di primo Trecento – in chiasmo coi rispettivi compagni, che invece si rivolgono a mani giunte verso la croce. Entrambi gli Evangelisti mostrano un panneggio fluido (manto rosato su una veste blu), che contribuisce a confermare la comune paternità delle due piccole opere in un momento molto ravvicinato. Gli elementi che conducono a Niccolò sono leggibili, per quanto non ancora definiti, e se da una parte rimandano a imprese più tarde e di ben altra portata – come il polittico n. 38, nello scomparto centrale della cui predella viene riproposta la stessa tipologia del Cristo – dall’altra testimoniano un momento esecutivo precoce ma distinguibile di un artefice che agisce e compone meditando sugli esempi dei maestri più vicini. In questo senso colpisce la possibilità di individuare in entrambi i casi buoni modelli, ancora una volta, in opere di Ugolino di Nerio raffiguranti lo stesso soggetto: la Crocifissione con San Francesco n. 34 della Pinacoteca Nazionale di Siena (fig. 26), che propone per i tre santi ai piedi della croce le stesse pose dello scomparto centrale del trittico ungherese, la cui Maddalena rappresenta una minima variazione in senso più tradizionale rispetto al san Francesco; e la Crocifissione coi Santi Francesco e Chiara del Metropolitan Museum di New York (n. 41.190.31 a; fig. 27)44, da accostare più direttamente al pinnacolo di Philadelphia in cui i due Dolenti assumono di nuovo le medesime pose e la veste dell’Evangelista risulta perfettamente comparabile, anche più che nell’altro confronto e al di là di una consistenza più solida dei panneggi nella versione di Ugolino. Nella tavola americana il Cristo di Ugolino ha una struttura fisica più sottile ed effettivamente vicina alle opere di Niccolò, che sembrano peraltro riproporre la foggia del perizoma che si allunga sul ginocchio destro e scopre il sinistro, come anche nella Crocifissione senese. A differenza di quelle di Ugolino, le Crocifissioni del giovane Niccolò sono caratterizzate da una certa enfasi delle reazioni emotive e dall’accentuazione del patetismo espressivo, che il più anziano sa rendere con una più matura compostezza, che sarà – come si è visto – una cifra caratteristica e fortemente ricercata dello stesso Niccolò negli anni successivi e sembra già acquisita nella Croce di Bibbiena. Il mancato impiego dei punzoni nella decorazione dell’oro, tipica delle fasi tarde di Ugolino45, impone di considerare le due Crocifissioni precedenti al polittico di Santa Croce e alle tavole della chiesa della Misericordia di San Casciano, ma anche a opere come il polittico n. 39 della Pinacoteca di Siena, suggerendo di schierarsi con chi ne ha proposto una datazione piuttosto precoce, entro il terzo decennio del Trecento46. Le opere di Niccolò invece devono essere collocate in un momento un po’ successivo proprio per la presenza di punzoni, utilizzati già in modo abbastanza articolato; ma la prossimità a queste opere di minor portata di Ugolino pare presupporre la conoscenza diretta dei modelli, tale da poterne citare con puntualità alcuni dettagli compositivi – se non formali – anche a distanza di qualche tempo, e dà spazio all’ipotesi che il giovane Niccolò possa aver frequentato la bottega del più anziano, come del resto lasciano supporre la comunanza di alcuni punzoni e l’impiego di analoghe
44 Cm 56,6 x 40. Già in collezione Perkins ad Assisi, con le ante del Maestro di Monteoliveto (cfr. infra nel testo e nota 50). 45 Cfr. Polzer 2005, pp. 33-100. Cfr. infra §4. 46 Così anche Galli nel più recente contributo sulla dibattuta datazione della Crocifissione senese, a cui si rimanda per un dettaglio delle vicende critiche e la conferma del probabile accostamento con un pendant raffigurante una Madonna col Bambino proposto da Stubblebine (1979, I, p. 159): Galli, in Duccio 2003, pp. 350-352; tra gli altri invece Coor pensava a una collocazione nella tarda maturità del pittore (Coor Achenbach 1955, p. 162 nota 52). La versione newyorkese è stata considerata in particolare da Stubblebine, che l’ha assegnata al suo Maestro del Polittico n. 39, da identificare però con una fase dello stesso Ugolino: Stubblebine 1979, I, pp. 178-179; II, figg. 228, 442.
soluzioni decorative per le aureole e i fregi, completamente diverse rispetto alle opere di Segna47. Se la pertinenza ad un ambito francescano delle due Crocifissioni di Ugolino non sembra dover rimandare, per ragioni di anteriorità cronologica, alla casa fiorentina dell’Ordine, va rilevato invece un richiamo al capoluogo toscano proprio nel trittico di Esztergom di Niccolò, nelle cui antine sono raffigurati il santo patrono Giovanni Battista e una citazione fedele della scena giottesca delle Stigmate di San Franscesco affrescata sopra l’arco di accesso della cappella Bardi di Santa Croce, che la critica recente tende a porre verso la prima metà del terzo decennio del XIV secolo48. È dunque legittimo chiedersi se ciò non implichi una conoscenza diretta e tempestiva del lavoro di Giotto da parte di Niccolò e una sua presenza a Firenze proprio al seguito di Ugolino, all’interno della sua bottega, negli anni Venti e forse fin già dal momento dell’incarico di realizzare il perduto polittico per l’altare maggiore di Santa Maria Novella nella prima metà del decennio49. Del resto Niccolò dimostra una conoscenza puntuale delle pitture di Santa Croce anche nel tardo affresco della cappella ex Spinelli dei Servi di Siena, che traduce con qualche precisa referenza la stessa scena del Transito di San Giovanni Evangelista della cappella Peruzzi (peraltro ripresa da Ambrogio Lorenzetti per l’anconetta Städel di Francoforte). Alla Crocifissione di New York di Ugolino si accostano due ante di trittico, anch’esse conservate al Metropolitan (n. 41.190.31 b-c; figg. 28-29), riferite ad un momento felice ed iniziale della carriera del Maestro di Monteoliveto50. Domandarsi se questo anonimo solitamente mediocre fosse un suo collaboratore ha un peso anche nella comprensione delle prime evoluzioni di Niccolò, che dichiara punti di contatto coi suoi modi in alcune figure, come quella della Vergine della piccola tavola dell’Annunciazione in collezione Martello a Fiesole (cat. 6) e quella dell’anziano san Giovanni Evangelista nell’anconetta con la Madonna col Bambino, Angeli e Santi già in collezione Thyssen-Bornemisza51 (cat. 5); i tratti della prima in particolare sono ben confrontabili con la Vergine dell’Adorazione dei Magi dell’anta sinistra e soprattutto con l’omologa Annunziata della prima scena dell’anta sinistra che, nonostante sia in piedi, riprendendo come la maggior parte delle scene narrative l’iconografia dalla predella della Maestà di Duccio, compie con la mano destra lo stesso gesto pudico di trattenersi il velo al collo. I volti di Niccolò mostrano ora una definizione fisiognomica più vicina alle sue prove più adulte e perciò testimoniano a mio avviso una fase più inoltrata nel terzo decennio, in cui si percepisce anche l’influsso di Ugolino nell’aspetto già leggermente grifagno dell’arcangelo Gabriele, che d’altronde dichiara il suo legame con le tavolette precedenti di Niccolò nella resa affastellata e morbida del panneggio, simile a quello dei due Evangelisti dolenti. Alla piccola ancona già conservata in Svizzera fanno eco le fisionomie delle tre sante della tavoletta ora a Stoccarda (cat. 4), con santa Caterina che richiama la Vergine (ma anche la successiva omologa della predella del polittico n. 38), mentre Maddalena e Margherita si specchiano nell’angelo alla sua sinistra. Per questa piccola opera, proseguendo nella pratica della citazione, Niccolò trae molto probabilmente dalle stesse ante del Maestro
47 Si veda infra §4. 48 Cfr. Bonsanti 2002, p. 83. Cfr. cat. 2. Per la stessa cappella Bardi, a voler dare retta, con Galli, a Giorgio Vasari, Ugolino avrebbe peraltro dipinto una perduta Crocifissione con francescani oranti: Vasari 1568 (ed. Bettarini-Barocchi 1967), II, p. 140; Galli, in Duccio 2003, p. 348. 49 Cannon 1982, pp. 87-91. 50 Cm 59,5 x 19,1. E.R. Mendelsohn, The Maestro di Monte Oliveto, M. A. Thesis, New York University, Institute of Fine Art, 1950, pp. 31-32, 38-40 (anche Eadem 1954, p. 83). Stubblebine 1979, I, pp. 100-101; II, figg. 228-234. Zeri-Gardner 1980, pp. 46-47. Masignani, in Duccio 2003, p. 345. I tre pezzi, già in collezione Perkins a Lastra a Signa (Firenze), passarono poi in collezione Blumenthal, donata nel 1941 al museo newyorkese. 51 La piccola opera già conservata in Svizzera è stata già attribuita al Maestro di Monteoliveto da Stubblebine (cat. 6), così come altre opere di questo anonimo sono state accostate a Niccolò, in particolare la Crocifissione n. 68 della Pinacoteca Nazionale di Siena (cfr. supra).
di Monteoliveto lo spunto iconografico per la disposizione, le pose e in parte l’aspetto le tre figure; così non sorprende la somiglianza della scena dell’Incoronazione della Vergine con quella della tavoletta in collezione privata che si è proposto di inserire come esordio del catalogo di Niccolò (cat. 1). In queste opere riferibili alla metà del terzo decennio – in particolare nella tavoletta ex Thyssen-Bornemisza e in quella di Stoccarda – c’è una compresenza di panneggi morbidi simili a quelli delle prime opere e altri più smaltati, con pieghe più superficiali. È già riconoscibile in questa fase una pittura composta da filamenti di colori contrastanti a rendere il chiaroscuro, una costante nelle opere di Niccolò, che lo distingue da Segna e invece lo avvicina di nuovo a Ugolino, che adotta la stessa modalità pittorica per esempio nella tarda Croce dei Servi. Sebbene alcuni elementi permettano di orientarsi nello sviluppo formale di Niccolò all’interno del terzo decennio, la difficoltà di scalare con precisione le opere di piccolo formato ha suggeri- 23. Segna di Bonaventura, Madonna col Bambino, to di trattarle nel catalogo prima della Siena, basilica di Santa Maria dei Servi Croce di Bibbiena, che, rappresentando la prima opera di grandi dimensioni, viene a costituire idealmente un primo snodo dell’attività di Niccolò. Tuttavia non è da escludere che questa tavola debba essere posta più verso la metà che la fine degli anni Venti. Ad un’osservazione attenta questa Croce giovanile, precocemente accostata a Niccolò da Margherita Moriondo52, sembra inoltre offrire dettagli che permettono forse di far luce sulla fase embrionale del pittore, ancora inesplorata, questa davvero in stretto contatto con Segna. I Dolenti nei tabelloni rivelano chiaramente l’autografia di Niccolò nel dettaglio delle mani grosse e nella decorazione granita dell’oro e inoltre le fisionomie già si definiscono nel solco del suo stile, con particolare riferimento a quella del san Giovanni53. La Vergine offre però lo spunto più interessante, richiamando l’analoga figura della Croce del Museo della Collegiata di San Giovanni Battista di Chianciano (fig. 30), ricondotta a Segna di Bonaventura da Serena Padovani insieme alle altre opere già riferite al catalogo del cosiddetto Maestro di San Polo in Rosso54, individuato in prima battuta da Enzo Carli, il quale si era già
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52 M. Moriondo, in Mostra 1950, p. 41. 53 Il san Giovanni dolente di Bibbiena mostra una buona vicinanza all’omologo, forse frammento di una Imago Pietatis, che Stubblebine cita in collezione Frost a New York, attribuendolo a Ugolino (Stubblebine 1979, I, p. 163; II, fig. 393). 54 S. Padovani, in Mostra 1979, p. 34; A.M. Guiducci, in Mostra 1983, p. 36. Cfr. inoltre Torriti 1977, p. 72.
accorto del diverso spirito dei Dolenti, più patetici e intensi nei tratti e negli sguardi, in cui individuava richiami a Ugolino di Nerio55. Del resto, Anna Maria Maetzke aveva accostato la Croce di Bibbiena a quella di Chianciano, assegnandole entrambe al Maestro di San Polo in Rosso56. A mio avviso è possibile considerare separatamente il Crocifisso e le figure dei tabelloni, osservando in particolare il volto della Madonna, che attraverso l’usura della superficie rivela una dolcezza e una delicatezza di contorni sconosciute a Segna ma invece ricorrenti nella Vergine della Croce di Bibbiena, con cui sono facilmente confrontabili l’ovale del volto, i tratti del naso e la forma degli occhi (figg. 31-32). Tutti gli elementi di questo tabellone, dalla crisografia della veste a ciò che resta delle mani, atteggiate come nella Croce di San Polo in Rosso, fino all’assenza di punzonatura, parlano di un momento precedente rispetto alla Croce casentinese, probabilmente nei primi anni Venti. Il san Giovanni Evangelista ha un profilo aguzzo più marcatamente segnesco, ma sembra ugualmente riferibile all’autore del pendant (figg. 3334), tanto da far supporre che la Croce, 24. Segna di Bonaventura, Madonna col Bambino, Ra- realizzata in un contesto di bottega, leigh, North Carolina Museum of Art possa aver costituito un momento formativo per Niccolò, a cui il padre potrebbe aver demandato l’esecuzione delle parti marginali dell’opera57. Questa ipotetica gestione dei ruoli all’interno dell’atelier sembra peraltro richiamata dalla Croce n. 46 della Pinacoteca, in cui i modi riconoscibili di Niccolò cedono il passo nei Dolenti a uno stile per molti versi inconciliabile col suo e forse dunque riferibile a un collaboratore, che certamente aveva a disposizione modelli del capobottega, derivati direttamente dalla stessa Croce di Bibbiena.
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55 Carli 1955a, pp. 52-58. 56 A.M. Maetzke, in Arte nell’Aretino 1974, pp. 38-39. 57 Anche considerando l’ipotesi di Padovani, la quale, seguita da Guiducci (cfr. nota 54), ha avanzato la proposta di collocare all’interno del percorso di Segna la Croce di Chianciano prima di quella di Arezzo, legata al documento di commissione del 1319, non si deve escludere che i tabelloni dei Dolenti siano stati realizzati in un momento di poco successivo, in coerenza col percorso di Niccolò. Per la Croce di Arezzo cfr. Galoppi-Ugolini 2008, pp. 99-118.
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25. Ugolino di Nerio, Croce, Siena, basilica di Santa Maria dei Servi
La Vergine di Chianciano suggerisce d’altra parte un collegamento con la Madonna col Bambino del polittico del Museo Civico e Diocesano di Montalcino (fig. 35), proveniente dall’oratorio di Sant’Antonio Abate, al centro di una querelle attributiva che non ha ancora trovato soluzione. Assegnato a Segna di Bonaventura o al suo ambito dalla critica di inizio Novecento e poi da Torriti, Padovani e Boskovits58, è stato assunto da Stubblebine quale opera eponima di un maestro attivo verso il quinto decennio del Trecento59, il cui corpus è stato in parte riferito da Bagnoli a Francesco di Segna, a cui lo studioso, seguito da Franci, ha riconfermato il polittico in anni recenti come possibile opera d’esordio60. Se le caratteristiche della carpenteria sono piuttosto antiquate e riferibili all’epoca della seconda generazione duccesca, i santi laterali, slanciati e un po’ appiattiti, in effetti rivelano un carattere fortemente segnesco e sono confrontabili con opere della sua tarda attività, come i laterali del polittico del Metropolitan Museum di New York e i Santi n. 40 della Pinacoteca Nazionale di Siena (firmati)61 , col cui San Romualdo è ben confrontabile il Sant’Egidio di Montalcino. La Madonna invece non ne ricorda, almeno nel volto, nessuna riferita a Segna, ma piuttosto rivela nei tratti e nello spirito dolce, contrapposto allo sdegnoso bambino – che richiama nella posa la Madonna col Bambino n. 593 della Pinacoteca senese del duccesco Maestro di Badia a Isola62 –, un’affinità con la Vergine della Croce di Chianciano, soprattutto nella forma e nell’inclinazione del volto e nel taglio della bocca e degli occhi63 . Vale la pena chiedersi allora se almeno in alcuni passaggi di questa figura, se non nei santi laterali, non sia da individuare l’intervento di Niccolò messo alla prova nella bottega paterna, in un momento di poco successivo alla Croce di Chianciano64. Una simile proposta d’altronde non è inedita ed è stata suggerita con acume da Gertrude Coor65. Che Niccolò sia in qualche modo legato a questo polittico lo suggerisce inoltre la chiara ripresa a distanza di molti anni della figura della Santa Caterina d’Alessandria nella Santa Lucia di Baltimora del polittico di San Maurizio, che costituisce un altro tassello del gioco di citazioni messo in atto da Niccolò lungo tutta la sua carriera. Se nei Dolenti di Chianciano non si usano punzoni e nel polittico di Montalcino sono presenti solo composizioni di semplici stampi circolari, proprio questo elemento decorativo colpisce l’attenzione di chi osservi l’oscura Croce già conservata presso l’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena (figg. 3637), accostata da Stubblebine al Maestro della Croce di Chianciano e da riferire forse allo stesso Segna66 .
58 Perkins 1904, p. 145; Idem 1925, pp. 54-55 (ambito duccesco). Van Marle 1924, II, p. 139; Idem 1934, II, p. 77 (Segna, poi scuola di Duccio). Brandi 1933, p. 281; Idem 1951, p. 152 (Maestro del Polittico di Sant’Antonio a Montalcino). Berenson 1932, p. 523; Idem 1936, p. 450; Idem 1968, I, p. 393 (Segna). Toesca 1951, p. 517 (Segna). Boskovits 1969, pp. 4-19, fig. 3; Idem 1982, p. 497. Torriti 1977, p. 72; Idem 1990, pp. 36-37 (Maestro del Polittico di Sant’Antonio a Montalcino, successivamente identificato con Segna). Padovani, in Mostra 1979, pp. 34, 36. L’opera non era invece inserita nel catalogo del Maestro di San Polo in Rosso in Carli 1955a, p. 52. 59 Stubblebine 1979, I, pp. 153-154. 60 Bagnoli 1997, p. 18; l’autore segnala a sostegno della sua ipotesi le caratteristiche di dolcezza ugolinesca un po’ imbambolata, che sono forse più facilmente riferibili a Niccolò. Idem 2003, p. 277 nota 29. Idem 2009b. Franci 2013. 61 Zeri-Gardner 1980, pp. 88-89.Torriti 1990, pp. 35-36. 62 Cfr. P. La Porta, in Marco Romano 2010, p. 262. 63 Del resto i cinque scomparti erano stati esposti alla mostra senese del 1904 con attribuzioni diverse: la Madonna all’ambito duccesco e i laterali alla generica scuola senese, tranne la Santa Caterina, riferita ad ambito lorenzettiano (Mostra 1904, pp. 302, 312-313). Una certa difformità della Madonna rispetto ai laterali è stata poi notata da Perkins (1925, p. 55), che vede nel centrale gli elementi della maniera di Segna, pur non ritenendolo un suo autografo. 64 Ringrazio Andrea De Marchi per aver fornito lo spunto essenziale di questa riflessione. 65 Coor Achenbach 1954-1955, p. 81 nota 6. 66 Stubblebine 1979, I, pp. 148-149; II, figg. 359-361. Lo studioso americano collega alla personalità di sua invenzione, oltre alla Croce del Museo della Collegiata di San Giovanni Battista, anche la Croce n. 21 della Pinacoteca Nazionale di Siena dalla chiesa di San Giusto, da riferire a Segna, confermando indirettamente la parentela della Croce di Santa Maria della Scala con questo pittore.
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26. Ugolino di Nerio, Crocifissione con San Francesco, Siena, Pinacoteca Nazionale
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27. Ugolino di Nerio, Crocifissione coi Santi Francesco e Chiara, New York, Metropolitan Museum of Art
Quanto si vede dei Dolenti mostra una certa vicinanza tra questa Vergine e quella di Chianciano, anche se gli elementi riconducibili a Segna sono più evidenti e non consentono di assegnare le due figure alla stessa mano. In ogni caso nessuna opera di Segna prevede una simile complessa decorazione punzonata, certamente riferibile a un momento successivo e già inoltrato negli anni Venti. I punzoni usati e la loro modalità di distribuzione sui bordi e all’interno della circonferenza dei nimbi paiono invece ben riconducibili a Niccolò, che potrebbe essere intervenuto sull’opera paterna in un momento successivo alla sua redazione, aggiungendovi una sua nota caratteristica, forse ancora con intenti sperimentali, vista una certa inconsueta approssimazione della loro disposizione. Il nimbo del Crocifisso risulta ripassato e all’interno della più ampia circonferenza originaria è stata aggiunta una più piccola ma articolata composizione di punzoni, che comprendono quello a quadrilobo ogivale con tondi inscritti, frequente in Niccolò, tanto quanto la finitura esterna a ogive e il punzone a quadrilobo allungato dell’aureola della Madre dolente, la cui circonferenza maggiore è segnata da altrettanto tipici stampi a cuore67 . Nel quadro di questa proposta di ricostruzione dei primordi di Niccolò nella bottega paterna, che sembra legarsi con buona coerenza con l’Incoronazione della Vergine di collezione privata per la fisionomia gentile di Maria e i tratti un po’ spigolosi di Cristo in riferimento ai Dolenti di Chianciano, non trovano spazio la Santa Lucia del Museo Szépművészeti di Budapest (n. 14) e la probabile Santa Margherita di Portland (Art Museum, n. 61.41, ex Kress n. 1102), che a volte gli sono state accostate proprio in riferimento alla sua fase più alta68. Per altri aspetti risulta ugualmente problematica l’attribuzione del piccolo ma prezioso dittico con la Madonna della Misericordia e la Crocifissione del Keresztény Múzeum di Esztergom69 (fig. 38), difficilmente giudicabile a causa delle pessime condizioni della superficie dipinta, interessata da una consunzione che ha annerito le parti a tempera lasciando solo intravedere le forme originali delle figure. Che la formazione di Niccolò sia avvenuta all’interno della bottega di Segna è un facile e probabilmente veritiero assunto, di cui queste opere più antiche possono forse rappresentare una traccia. Nelle prime prove più certamente riferibili a Niccolò, tuttavia, i riflessi dell’arte di Segna sono più sfumati, mentre per contro appare più sostanziale l’influsso di Ugolino di Nerio70. Se i riflessi dell’arte di quest’ultimo su quella di Niccolò sono stati spesso messi in luce dalla critica, in riferimento all’addolcimento e al patetismo delle sue figure rispetto a quelle del padre, le opere più antiche di Niccolò sembrano in effetti presupporre con lui un legame più consistente (come conferma l’analisi delle decorazioni punzonate, per cui si rimanda al paragrafo successivo), che consente di ipotizzare una precoce frequentazione della sua bottega da parte del giovane pittore – probabilmente ancora vivo Segna – e forse, come si è accennato, la presenza nel suo seguito durante il soggiorno fiorentino. Queste osservazioni, insieme alle date alte della Croce di Bibbiena, ammettono la formulazione di un’ipotesi ardita, che non può contare su nessun fondamento
67 La pratica del ritocco di opere più antiche, sia dal punto di vista pittorico sia per un aggiornamento del gusto, non era inconsueta e nel caso del San Domenico riferito a Guido da Siena del museo di Cambridge (Giorgi, in Duccio 2003, p. 61) avviene attraverso l’aggiunta di una decorazione punzonata ad una tavola di fine XIII secolo da parte, con ogni probabilità, di Ugolino di Nerio. Cfr. Frinta 1971, pp. 306-309. 68 Coor Achenbach 1956, pp. 112-114 (Segna di Bonaventura); Stubblebine 1979, I, p. 154; II, figg. 473-474 (Niccolò di Segna). 69 Prokopp, in Christian Museum 1993, pp. 218-219, cat. 70. L’autrice propone l’accostamento anche in virtù del confronto con la Madonna della Misericordia di Vertine, ancora data a Niccolò. 70 Si può concordare con Bacci (1935, pp. 10, 12) che la formazione di Niccolò non sia da leggere del tutto nel solco di Segna: “se è plausibile ammettere che Niccolò iniziasse [la sua educazione artistica], da ragazzo, nella bottega di suo padre, non per questo, stilisticamente, può considerarsi un discepolo e stretto seguace di Segna”; Bacci parla piuttosto di un “tradizionale ricordo iconografico, che una continuazione formale”.