3 minute read

6. Annunciazione

6. Niccolò di Segna Annunciazione

Fiesole, collezione Martello Fine del terzo decennio del XIV secolo

Advertisement

Tempera su tavola Cm 43 x 47 Provenienza: Venezia, collezione privata; Venezia, Semenzato (24-25 febbraio 1979).

I protagonisti della vicenda evangelica sono disposti in uno spazio voltato; il primo piano è spartito da uno dei pilastri di imposta degli archi, sotto uno dei quali si trova l’arcangelo Gabriele e la piccola figura dell’Eterno, mentre l’altro inquadra la Vergine seduta e lo Spirito Santo che, sotto forma di colomba, si dirige verso di lei. I margini della tavoletta sono stati integrati con un intervento di restauro1, volto a regolarizzare il profilo superiore e a colmare le lacune lasciate dall’asportazione della cornice perimetrale. Le aureole, ritoccate, non conservano tracce di lavorazione. Si deve a Boskovits l’attribuzione a Niccolò di Segna della piccola tavola, in precedenza ascritta al padre2, dal cui stile si differenzia per la resa del chiaroscuro più contrastato e dei panneggi abbondanti di pieghe morbide. A supporto della proposta di una collocazione precoce nel percorso di Niccolò, comunque nell’orbita della bottega paterna, lo studioso ungherese portava pertinenti confronti con opere di piccolo formato, quali il trittichino di Esztergom, la Crocifissione di Philadelphia e l’anconetta in collezione Thyssen-Bornemisza3 . Ai primi due dipinti rimanda in particolare la resa del panneggio rosato di Gabriele, vicinissimo ai manti dei due san Giovanni dolenti, mentre la smaltata veste azzurra dell’arcangelo, increspata da fini pieghe sottolineate da lumeggiature bianche, richiama la tavoletta Thyssen, sui volti dei cui personaggi sono peraltro ben visibili i tratti sfilacciati delle pennellate degli incarnati che mescolano ombre e tocchi di luce come nelle figure dell’Annunciazione. Diversi elementi delle loro fisionomie sono rintracciabili in queste stesse opere: negli occhi allungati della Vergine, lievemente ombreggiati nell’angolo esterno della pupilla, si riconosce il dettaglio di quelli, ad esempio, del san Giovanni dolente di Esztergom, mentre i tratti e la costruzione generale richiamano quelli del probabile Evangelista ex Thyssen, a cui rimandano anche le linee vagamente grifagne del volto dell’angelo. Le loro caratteristiche sono affini ad alcuni tratti tipici del Maestro di Monteoliveto, in particolare i volti delle Vergini negli scomparti di uno dei suoi prodotti più raffinati: le già citate ante del Metropolitan Museum di New York (figg. 28-29). Anche il volto dell’arcangelo trova riscontri nell’omologo della scena dell’Annunciazione americana – altrimenti del tutto differente per impaginazione – ma in esso, al contrario della Vergine, sono più definiti i caratteri tipici delle opere mature di Niccolò. Ci si trova dunque ad assistere all’evoluzione stilistica del nostro pittore, che in questo momento – probabilmente a cavallo tra il terzo e il quarto decennio – sta definendo il proprio linguaggio sperimentando elementi di colleghi con cui si può supporre sia entrato in contatto negli anni della formazione e delle prima attività. Importante è ancora il riferimento a Duccio, dal quale derivano le volte dalle vele blu notte marcate da costoloni rossi e i cornicioni marcapiano empiricamente scorciati, rintracciabili anche nelle scene della Maestà del Duomo senese. Boskovits indicava la probabile provenienza dell’Annunciazione da un polittico, di cui avrebbe dovuto costituire lo scomparto centrale dell’ordine superiore, sul modello ad esempio della pala di Pietro Lorenzetti per la pieve di Arezzo (1320). Tuttavia non è possibile riferire la tavola fiesolana a un complesso noto, né avere la certezza che esso potesse spettare completamente a Niccolò. D’altronde, secondo il canone più diffuso, la proposta di Boskovits dovrebbe prevedere piuttosto un dittico centinato che una tavola unica, lasciando aperta la possibilità di un’alternativa ma difficilemente precisabile funzione originaria della tavoletta4 .

Bibliografia Asta 1979, lotto 379; Boskovits 1982, pp. 501-502; Boskovits 1985b, p. 126.

1 Non è possibile stabilire se l’intervento risalga al restauro di Andrea Rothe del 1980 (Boskovits 1985b, p. 126) o già a uno precedente non documentato. 2 Da Roberto Longhi in una perizia (cfr. Asta 1979, lotto 379). 3 Boskovits 1982, pp. 501-502; soprattutto Idem 1985b, ibidem. Cfr. in questo volume cat. 2-4. 4 Ringrazio Andrea De Marchi per la precisazione.

This article is from: