14 Nipoti di Maritain
Dal dominio dell’astinenza alla forza dell’impotenza di Mattia Lusetti
“il sacerdote non deve volatilizzare il proprio operare in un etereo spiritualismo, ma semplicemente riconoscere la potente via della debolezza nella propria prassi”
Il clima di libertà di espressione teologica e di opinione inaugurato da Papa Francesco ha riportato alcune discussioni al centro dell’attenzione mediatica e pure di quella di molti teologi, pastori e fedeli. Tra queste la discussione sulla revisione dell’obbligatorietà del celibato per il clero cattolico di rito latino. Che senso ha il celibato “obbligatorio”? Queste domande sono tornate in auge in occasione del Sinodo per l’Amazzonia, in seguito alle richieste di alcuni per ovviare alla scarsità di vocazioni presbiterali, e alla conseguente assenza per molte comunità della celebrazione eucaristica domenicale. Evitando le secche dell’uso dell’Amazzonia come grimaldello o come feticcio di terrore, riflettere
sulla crisi del celibato credo possa aiutare ad aprire vie nuove per comprendere la castità come chiamata universale per tutti i fedeli. Riguardo alla questione re-introdotta al Sinodo, l’apertura all’ordinazione di sacerdoti sposati (per le chiese di rito latino) è canonicamente possibile ed è quindi fuori luogo paventare sovversioni dell’ordine ecclesiale nell’esaminare questa possibilità, come neanche considerare questa via come la soluzione certa dei problemi rilevati. La sussistenza di una crisi generale del celibato e della castità è evidente. Qui vorrei evidenziare un apporto fondamentale, frutto di “Querida Amazzonia”, riguardo alla vita del presbitero: il