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Il più nobile degli sport nautici di Pasquale Prinzivalli
Per chi “fare equipaggio” non è solo un modo di dire
Nella capacità di relazionarsi e trovare soluzioni comuni si trova la rotta che porta a quell’integrazione che permette di superare gli ostacoli insieme
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di Antonello D’Avenia Oggi, dalle piccole aziende alle multinazionali, viene chiamato team building. Per coloro che vanno per mare, da sempre, è fare equipaggio. In mare, dal piccolo natante alla grande portaerei, bisogna saperci andare insieme, non solo nella piena collaborazione, ma soprattutto nella totale fiducia reciproca. Nell’alto mare, intorno si vede soltanto l’orizzonte: è così che al proprio fianco si scopre il compagno di ventura, il proprio braccio destro, la spalla su cui poggiarsi, colui che condurrà l’imbarcazione quando si andrà a dormire perché stanchi o perché è semplicemente finito il proprio turno e la nave deve comunque andare avanti, di giorno e di notte, con mare calmo o molto mosso. In mare, come diceva un vecchio saggio, “non ci sono autogrill dove fermarsi per un ristoro”. È la propria squadra che fornisce il ricambio che permette il riposo e la nuova concentrazione, è il rapporto speciale di
fiducia con i propri colleghi che rende la parola collega, molto riduttiva. Il significato di fare equipaggio è come direbbero i francesi ça va sans dire (non c’è bisogno di dirlo N.d.R.). Chi ama lo sport della vela, sa di cosa parliamo. Essere squadra permette di capirsi al volo, intendersi con uno sguardo, lavorare meglio, permette al meccanismo di essere oleato e alla barca di alzare le vele nella direzione giusta e sfruttare tutti i venti, perché non ce ne sono mai di contrari: se letti bene e sfruttati a dovere sono tutti validi per andare nella direzione voluta. Non è un caso che in tutti gli istituti di formazione della Marina Militare si pratica molto lo sport della vela e l’insegnamento di quell’arte marinaresca che consente non solo di saper leggere i venti, le correnti e le onde, ma anche di imparare l’importanza di essere equipaggio e di ragionare come equipaggio. Non solo. Negli istituti di formazione, come l’Accademia Navale, le Scuole Sottufficiali o la Scuola Navale Militare Morosini, molto tempo viene dedicato a tutti gli sport di squadra, dal rugby al basket, dalla pallavolo al calcio. La prossimità con l’altro, l’essere spalla a spalla, insegna che nessuno è un’isola e che solo nella capacità di relazionarsi e trovare soluzioni comuni si può trovare la giusta rotta che porta alla sana integrazione. Solo da questo punto in poi, nasce quello spirito di squadra che permette di superare gli ostacoli insieme, che a noi marinai piace chiamare spirito di equipaggio.