(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
Cancel Culture
CANCEL CULTURE ANNO IX MAGGIO 2021 RIVISTA MENSILE N. 96
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Massimo Gandolfini
Tommaso Scandroglio
Roberto Marchesini
Una legge regionale per il bene comune
Il bambino fantasma
La legge 194 e il padre
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Notizie Pro Vita & Famiglia
L’ostrakon (da cui “ostracismo”) è un coccio di terracotta con scritto il nome di un personaggio da inviare in esilio (qui c’è il nome di Temistocle, valoroso generale ateniese e fine politico, ostracizzato nel 471 o 470 a.C.)
C’è una vittima ante litteram della cancel culture, cancellata da anni, tanto bene che non solo non se ne parla più, ma non se ne può proprio più parlare: il bambino nel grembo materno.
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Editoriale
La cancel culture è quel movimento rivoluzionario che, con i Black Lives Matter, ha cominciato a distruggere statue, immagini e memoria di personaggi sgraditi al politicamente corretto. «Niente di nuovo sotto il sole», dice il saggio. L’ostracismo, le liste di proscrizione, e la damnatio memoriae sono vecchie quanto l’umanità (oggigiorno, però, si cancella, si abbatte e si brucia in nome della democrazia, dell’inclusione e della tolleranza. E Blm è addirittura candidato al Nobel). Ma c’è una vittima ante litteram della cancel culture, cancellata da anni, tanto bene che non solo non se ne parla più, ma non se ne può proprio più parlare (e chi osa farlo viene cancellato a sua volta).
Si tratta del bambino nel grembo materno. Del “figlio”, privato ormai della dignità umana, ridotto a oggetto di diritto, a cosa da costruire, modificare, comprare o distruggere a piacimento. Avete presente la sorte subita dai nostri manifesti, fin dai tempi del primo grande “Michelino” di Roma, nel 2018, cancellato da Virginia Raggi nel giro di due giorni? E purtroppo non è finita qui. È già iniziata la cancellazione della madre, del padre, della famiglia, del maschio e della femmina… la cancellazione totale dell’umanità. Contro questa cultura nichilista e malvagia, abbiamo il dovere di continuare a promuovere la cultura della vita, della famiglia, del bene e del vero, e di tutto ciò che è autenticamente umano: sappiamo bene che non praevalebunt!
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
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Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita
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La cultura della vita e della famiglia in azione
Silvio Ghielmi
Mirko Ciminiello
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Una legge regionale sulla scuola per il bene comune
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Il bambino fantasma
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Massimo Gandolfini
Tommaso Scandroglio
La legge 194 e il padre Roberto Marchesini
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RIVISTA MENSILE N. 96 — Anno IX MAGGIO 2021 Editore
Donne violate, rinascono madri Traduzioni a cura di Sara Affuso
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Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182
Storia di un bambino scartato Manuela Antonacci
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Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi,
Statuto dell’embrione e tutela della maternità Clemente Sparaco
Giulia Tanel
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Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227
A lezione di genetica: il genoma umano Giandomenico Palka
Direttore responsabile Toni Brandi
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Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l.
Mengele è vivo e politicamente corretto Francesca Romana Poleggi
Tipografia
41 Distribuzione Caliari Legatoria
Meccanismi ed effetti della rivoluzione Luciano Leone
Hanno collaborato alla realizzazione di
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questo numero: Sara Affuso, Manuela Antonacci, Mirko Ciminiello, Massimo Gandolfini, Silvio Ghielmi, Luciano Leone, Roberto Marchesini, Gian-
In cineteca
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In biblioteca
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domenico Palka, Francesca Romana Poleggi, Tommaso Scandroglio, Clemente Sparaco.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Abortisti satanisti Il Satanic Temple si sta adoperando da tempo per affermare che l’aborto è un diritto che rientra nell’esercizio della libertà religiosa. Allestiscono persino lotterie per raccolta fondi mettendo in palio un bonus per un aborto; impugnano le leggi sul consenso informato per violazione della loro libertà religiosa, come quella del Texas, per esempio, che richiede alle cliniche di fornire
almeno 24 ore prima dell’aborto un pacchetto informativo che comprende un’ecografia, una spiegazione dello sviluppo fetale, i rischi per la madre, le possibilità di adozione. Il “rituale” dell’aborto secondo i satanisti serve ad affermare la libera scelta, rimuove la vergogna e il senso di colpa ed è assimilato a un sacramento di iniziazione.
Mercato di gameti su internet In questi tempi di isolamento, internet e i social media soddisfano molte esigenze. C’è persino un prospero mercato di sperma umano, molto più economico di quello reperibile nelle banche del seme: per esempio, Sperm Donation USA è un gruppo Facebook privato con oltre 14.000 membri. Just A Baby, invece, è un’app per chi vuole comprare sperma, o ovociti, o addirittura un embrione bell’e fatto, o vuole affittare un utero. Assomiglia molto a un’app di appuntamenti, in cui le parti interessate possono scorrere i vari profili dei venditori.
I più non manifestano alcuna preoccupazione per l’eventuale bambino risultante e per i suoi sentimenti, per il suo diritto di sapere quali sono le sue origini. Né richiedono particolari garanzie relative allo stato di salute del venditore. La maggior parte dei venditori di sperma mette in chiaro che non vuole alcun diritto né si assume alcun dovere nei confronti del figlio. Però ci sono anche quelli che, invece, all’estremo opposto, pretendono avere certificato perfino il quoziente di intelligenza dei venditori.
Un altro grande portale porno sotto accusa Dopo PornHub, un altro gigante del porno è stato citato in giudizio per avere ospitato e diffuso dei video ritraenti veri abusi sessuali su minori. L’imputato è XVideos con la sua società madre, WebGroup, basata nella Repubblica Ceca. La causa è stata intentata dal National Center for Sexual Exploitation, a nome di una ragazzina di 14 anni rapita e venduta a dei produttori
di film porno, cui si sono aggiunte poi altre vittime dei pedopornografi. I video, scaricabili, sono stati ampiamente distribuiti in tutto il mondo in cambio di un corrispettivo in denaro, in violazione della legge. Il portale vanta 200 milioni di visitatori giornalieri e 6 milioni di “like” al giorno.
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Censura del porno sui telefonini Il governatore repubblicano dello Utah, Spencer Cox, ha promulgato una legge che richiede che tutti gli smartphone e i tablet venduti nello Stato abbiano filtri in grado di bloccare la pornografia. Egli ha dichiarato che lo scopo principale è la tutela dei minori. Il filtro sul dispositivo impedirà all’utente di accedere a siti porno, ma potrà essere disattivato dagli adulti. La norma diverrà effettiva quando altri cinque Stati avranno emanato leggi simili. La pornostar Cherie DeVille ha affermato che questa è una violazione dei diritti fondamentali di libertà e che per proteggere i minori bisognerebbe impedir loro anche la visione di spettacoli violenti (il che se fosse
possibile sarebbe sacrosanto). Antonio Morra, autore di Pornolescenza e Pornotossina, esperto in comunicazione, che aiuta da anni le persone desiderose di liberarsi dalla terribile dipendenza dal porno, è contrario alla censura tout court della pornografia on line: sostiene che gli adulti possono essere educati, con un’adeguata azione culturale. Per i minori, invece, la censura deve essere massima, e con ogni mezzo possibile perché l’esposizione al porno e la sessualizzazione precoce di persone sessualmente, fisicamente e psicologicamente non mature può avere conseguenze devastanti.
La giustizia alla Cedu continua ad essere una farsa Più di un anno fa, un corposo rapporto dell’Eclj (European Center Law and Justice) aveva denunciato il vergognoso e palese conflitto d’interesse dei giudici della Cedu (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che sono membri delle stesse Ong (molte delle quali legate alla Open Society di Soros) le cui questioni di trovano a decidere. La situazione non è cambiata.
In 13 dei 41 casi giudicati nel 2020, almeno un giudice si trovava in conflitto di interessi diretto: un 35% ancora inaccettabile, anche se l’anno precedente erano di più, il 48%. Per esempio, il giudice ucraino, Ganna Yudkivska, il cui mandato avrebbe dovuto terminare nel 2019, è stata sette volte in una situazione di conflitto di interessi diretto nel 2020.
Mark Wahlberg è «impegnato a servire il Signore» L’attore e produttore Mark Wahlberg inizierà la produzione di un film basato sulla fede. È raro che qualcosa del genere venga promossa a Hollywood e nel mondo secolare di oggi, per questo merita una menzione. Il lavoro è affidato alla regista esordiente Rosalind Ross. Jordan Foss, David Russell, Miky Lee e Colleen Camp, che saranno coinvolti nella produzione,
hanno avuto in passato un innegabile successo e si spera quindi altrettanto per questo nuovo film. Narrerà la storia di Stuart Long, un atleta diventato sacerdote. Wahlberg non sembra troppo preoccupato del discredito che gli viene dal “mondo” nel pubblicizzare la sua fede. Su Twitter ha scritto di voler “impegnarsi a servire il Signore”.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Carissimi, vorrei esprimere tutto il mio sostegno per le iniziative da voi promosse. Mi preme, poi, fare qualche considerazione circa il tema dell’aborto. Ogni uomo porta con sé una meraviglia stupenda, la Vita! È verità ineludibile che nessuno è capace di darsi la vita da se stesso, perché è dono di un Creatore. Per questo non si può non dire che un embrione è già un miracolo, e all’uomo viene concessa (per grazia di Dio) la facoltà di generarlo e la responsabilità di proteggerlo e prendersene cura. L’uomo senza Dio, l’uomo che fa dell’io il proprio Dio, finisce per rovinare se stesso e distruggere la vita altrui e quindi la società stessa, mietendo vittime innocenti, a partire dalle creature più indifese, cioè di quelle che stanno nel grembo di una madre. Vite stroncate, nell’indifferenza e nella cecità di chi ha fatto della vita un’opinione personale e non più un valore. E assistiamo a manifestazioni pubbliche da parte di donne che dichiarano orgogliosamente di avere il diritto di abortire. Di fronte a chi agisce o si fa promotore a qualsiasi livello di siffatto abominio, non posso e non voglio più tacere. Sergio
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Versi per la vita MARCIA INDIETRO Massimo errore, perfido consiglio. Permettere a una mamma di uccidere suo figlio, ancora nel suo seno, con ferro o con veleno, mentre è un supremo dramma. Faceva tanto orrore, un tempo, questo gesto. Adesso è manifesto il prevaler funesto di general consenso, malefico e banale, se fatto in ospedale. Con modico dissenso per quello clandestino, fingendo di ignorare la sorte del bambino, di avere per destino di fare l’angioletto. Che torbido processo. Che panorama tetro! Si dice ch’è progresso, marciando a marcia indietro. Buon Dio che sarà questo sbandare pazzo? Un groviglioso andazzo senza la Verità.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano,
Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello
Come di consueto presentiamo ai nostri Lettori un resoconto delle principali attività svolte dai nostri circoli territoriali. Come sempre, il nostro grazie giunga a tutti i volontari che in tutta Italia hanno reso possibile trasformare la cultura della vita e della famiglia in azione. Il 24 febbraio, a Roma, Pro Vita & Famiglia, tramite il suo braccio operativo nella scuola, Generazione Famiglia, ha firmato assieme ad altre associazioni una lettera di solidarietà alla dirigente scolastica del Liceo Giulio Cesare, la professoressa Paola Senesi e al dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, il dottor Rocco Pinneri, per il caso riguardante alcuni incontri sull’aborto e l’identità di genere non approvati durante la “Settimana dello studente”. Il 2 marzo, a Milano, il nostro volontario Angelo ha organizzato via Zoom un incontro pubblico, promosso dall’Associazione Culturale Katyn, “No censura a Milano! Riflessioni dopo la censura ai manifesti di Pro Vita & Famiglia imposta dalla giunta di Milano e gli attacchi della sinistra alla libertà di pensiero e di parola”, con la partecipazione di Francesca Romana Poleggi, il patrocinio di Pro Vita & Famiglia e di Ora et Labora in Difesa della Vita. Altri relatori: Francesco Borgonovo, vicedirettore de La Verità; Fabrizio De Pasquale (Forza Italia); Max Bastoni e Silvia Scurati (Lega); Giacomo Zamperini (Fratelli d’Italia); Matteo Forte e Nicola Natale (Milano Popolare); Andrea Brenna (Il Popolo della Famiglia). Il 4 marzo, a Santa Marinella (RM), Jacopo Coghe ha partecipato a un incontro di formazione su
aborto, gender ed eutanasia, organizzato dal nostro volontario Massimiliano. Il 5 marzo, Francesca Romana Poleggi ha partecipato via Zoom a un incontro sull’aborto e sui manifesti rimossi con l’associazione “Civitas” che ha sede in Lettonia. Il 6 marzo, a Genova, il nostro volontario Carlo ha partecipato a una veglia di preghiera per la vita davanti all’ospedale di Sampierdarena. Il 7 marzo, a Ravenna e Lugo, i nostri volontari Simone e Giovanni hanno esposto manifesti e distribuito volantini di Pro Vita & Famiglia per l’8 marzo e per la Vita; mentre a Pontedera (PI), in occasione della Festa della donna, la nostra volontaria Donatella ha organizzato un banchetto con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. L’11 marzo, sempre a Ravenna, la nostra volontaria Silvia ha affisso manifesti e dato volantini nella chiesa Cattedrale, mentre a Genova i rappresentanti del nostro circolo territoriale hanno partecipato a un incontro con l’avvocato Federico Bertorello, presidente del Consiglio comunale, organizzato da Domus
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Cultura, e hanno distribuito materiale e raccolto firme per varie petizioni. Sempre l’11 marzo, Maria Rachele Ruiu ha partecipato alla presentazione online del libro “La libertà di educazione è della famiglia” in diretta Facebook sulla pagina del Family Day con crossposting sulla pagina di Pro Vita & Famiglia. Altri relatori: Massimo Gandolfini, Peppino Zola e suor Anna Monia Alfieri. Il 12 marzo, il nostro volontario Simone ha ottenuto dall’emittente Teleromagna la messa in onda di 30 repliche del video realizzato da Maria Rachele Ruiu per l’8 marzo (fino al 10 aprile). Lo stesso giorno, a Milano, un comunicato stampa del nostro volontario Luca ha denunciato che, al Politecnico di Milano, un’associazione studentesca intende utilizzare cartoni animati per propagandare l’ideologia gender, con il contributo della stessa università. Il 15 marzo, a Roma, è stata realizzata la campagna di affissioni e camion vela #noninmionome, per chiedere la fine della blasfemia e della propaganda gender in Rai. Sempre il 15 marzo a Bisceglie (BT), il nostro volontario Sergio ha emanato un comunicato stampa per stigmatizzare la campagna in favore della RU486 lanciata dall’Uaar. Il 18 marzo, a Roma, Pro Vita & Famiglia ha partecipato a una manifestazione di protesta contro lo spostamento della statua della Madonna che si trova al centro di piazza Sempione. Il 19 marzo, a Pescara, in occasione della Festa del papà, la nostra volontaria Carola ha organizzato, in collaborazione con l’associazione Fa.Vi.Va., un flash mob “In nome del padre” davanti alla Prefettura. Il 20 marzo, a Bolzano, in occasione della Giornata Mondiale per la Sindrome di Down (sdD), il nostro volontario Francesco ha organizzato, assieme ad altre associazioni pro life e pro family, una conferenza stampa per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi delle persone con sdD e per presentare le iniziative volte a sostenere la ricerca sulla trisomia 21.
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Il 21 marzo, a Pisa e provincia, la nostra volontaria Donatella ha organizzato un volantinaggio di sensibilizzazione sulla sdD. A Roma, intanto, veniva realizzata la campagna di affissioni e camion vela #SindromediDown per ricordare che ogni vita è un dono. Lo stesso giorno abbiamo organizzato una diretta Facebook con la mamma di Pier, il babytestimonial della campagna #ognivitaèundono. Sempre il 21 marzo a Perugia, assieme ad altre associazioni pro-life e pro-family, abbiamo organizzato una protesta per il convegno “Studi di genere e nuove sfide del XXI secolo”, tenutosi il 19 e 20 marzo, che ha dato spazio a movimenti femministi e Lgbt senza contraddittorio, organizzato dall’Università degli Studi di Perugia. Il 25 marzo, a Rimini, in occasione della Solennità dell’Annunciazione, Pro Vita & Famiglia ha dato il patrocinio alla festa della parrocchia di Santa Maria Annunziata alla Colonnella, organizzata dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII assieme ad altre associazioni pro-life e pro-family; a Genova, i rappresentanti del nostro circolo hanno partecipato a una iniziativa analoga. Il 26 marzo, il nostro volontario Francesco, di Bologna, ha espresso solidarietà al senatore Ostellari, attaccato da varie realtà Lgbt per la sua opposizione alla pdl Zan. Lo stesso giorno, a Milano e a Roma, in contemporanea, abbiamo organizzato due flash mob davanti alla sede Rai, rispettivamente di corso Sempione e di Viale Mazzini, per protestare contro la blasfemia e la propaganda gender nel servizio pubblico e chiedere l’impegno della TV di Stato a non trasmettere più programmi di questo tenore. Il 27 marzo Jacopo Coghe ha partecipato all’evento in diretta Facebook “La famiglia al primo posto: una visione etica e politica”, organizzato da Nazione Futura - Marche. Altri relatori: Marco Ausili, Consigliere Regionale di FdI; Federico Catani, dell’associazione Tradizione Famiglia Proprietà. Saluti iniziali di Giovanni Flamma, coordinatore regionale di Nazione Futura - Marche, moderatore Ettore Pelati, di Gioventù Nazionale.
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La cultura della vita x1000 e della famiglia in azione a Pro Vita e Famiglia Dona il tuo
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Una legge regionale sulla scuola per il bene comune Massimo Gandolfini
l presidente nazionale dell’Associazione Family Day ci illustra lo scopo del libretto che è arrivato o arriverà presto nelle case degli abbonati a Notizie Pro Vita & Famiglia Considerato il tempo di grande travaglio e sofferenza che la nostra società in generale e il mondo della scuola e della famiglia in particolare stanno soffrendo, è sembrato utile e opportuno scrivere un libretto agile e di facile consultazione con lo scopo di fornire ai genitori - che hanno la responsabilità educativa dei loro figli - un corretto inquadramento dei problemi inerenti il compimento di questo loro non facile compito. Già dal titolo abbiamo voluto mettere al centro la famiglia, motore primo del percorso educativo-formativo dei figli, evidenziando in modo speciale che la libertà educativa sancita in modo autorevole dall’articolo 30 della Costituzione - è prerogativa, diritto e dovere dei genitori. Abbiamo cercato di affrontare in modo semplice, fruibile da parte di chiunque e non riservato quindi agli addetti ai lavori, alcuni nodi ancora irrisolti in ordine alla possibilità di rendere concreta, nello svolgersi del quotidiano, questa declamata “libertà educativa”, di cui si parla da decenni ma
che appare purtroppo ancora lontana dal traguardo. È, ovviamente, in gioco il delicato equilibrio fra due libertà, entrambe di grande valore sociale: la libertà educativa della famiglia e la libertà di insegnamento della scuola, nello sforzo di elaborare un piano condiviso di massimo rispetto di entrambe le istanze, che metta da parte le contrapposizioni ideologiche e i pregiudizi sociopolitici che, purtroppo, hanno caratterizzato gli ultimi decenni, segnando una dannosa impasse. Ci siamo proposti lo scopo di indicare una soluzione, non semplice ma assolutamente fattibile, per sostenere i due cardini del sistema educativo integrato della nostra scuola: la scuola pubblica statale e la scuola pubblica paritaria, rendendo effettivamente possibile l’accesso all’istruzione per tutti, nel rispetto di sensibilità educative che possono essere legittimamente differenti. La prima causa di disparità da rimuovere è senz’altro il fattore economico: una famiglia non può essere libera di scegliere la scuola che ritiene più adatta per il proprio figlio fino
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È necessario trovare equilibrio fra la libertà educativa della famiglia e la libertà di insegnamento della scuola. Bisogna elaborare un piano condiviso di massimo rispetto di entrambe le istanze, che metta da parte le contrapposizioni ideologiche e i pregiudizi sociopolitici che, purtroppo, hanno caratterizzato gli ultimi decenni, segnando una dannosa impasse.
a chi non ha le risorse per accedere all’una o all’altra scuola pubblica. Di fronte a condizioni economiche che non consentono di scegliere, di fatto, la famiglia è costretta a operare una preferenza condizionata, quindi non libera. Ci è sembrato, dunque, che il tema della libertà educativa vada inscritto in un ambito ben più vasto e socialmente sensibile, quale quello della non discriminazione per motivi economici o di censo. Se la libertà di scelta è resa fruibile da parte di tutti, solo allora si può parlare di reali pari opportunità. Lo stesso articolo 3 della Costituzione ci impone di
rimuovere tutti gli ostacoli che limitano, di fatto e di diritto, la libertà di ogni cittadino. Il libretto è anche un appello alle famiglie perché si facciano protagoniste attive nel mondo dell’educazione scolastica che non può e non deve essere assunta in toto dallo Stato. Riservando dettagli operativi importanti all’attenta consultazione del libretto - che, ripetiamo, è di facile lettura - ci preme sottolineare che possiamo delineare un nuovo percorso di vera collaborazione scuolafamiglia, di cui si avvantaggeranno i nostri figli e nipoti, ma anche lo Stato, con il buon
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Il tema della libertà educativa va inscritto in un ambito ben più vasto e socialmente sensibile, quale quello della non discriminazione per motivi economici o di censo. Se la libertà di scelta è resa fruibile da parte di tutti, solo allora si può parlare di reali pari opportunità.
funzionamento di un sistema educativo il cui valore è strategico per ogni democrazia. In conclusione, abbiamo scelto di dare anche uno sbocco operativo al lavoro di carattere culturale che il libretto si è proposto, proponendo il testo di una possibile legge regionale ad hoc, nel rispetto delle competenze che il Titolo V della Costituzione assegna alle regioni. Nel proporla, ci si consenta di esprimere l’auspicio che molte regioni si assumano la responsabilità di passare dalla teoria ai fatti, fermo restando che sono possibili modifiche legate alla
condizione sociale di ogni singolo territorio. Vorrei concludere dichiarando la totale disponibilità dell’Associazione Family Day a collaborare con chiunque (istituzioni, partiti, movimenti, associazioni) abbia davvero a cuore il bene dell’intero comparto educativo, che coinvolge una grande platea, che va dai docenti ai discenti, dalle famiglie, agli organi istituzionali, nella prospettiva di raggiungere il maggior bene possibile. Non si tratta di volere “la luna nel pozzo”, ma di operare con serietà, determinazione, coraggio, liberandosi da pregiudizi inutili e dannosi.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Il bambino fantasma Tommaso Scandroglio
La cancel culture, per noi, è in voga almeno da 40 anni, ben prima della recente coniazione del termine: infatti, nel dibattito pubblico, etico e giuridico, da decenni si sta praticando la cancellazione lessicale, sociale e morale del bambino che è presente e vive nel grembo materno fin dall’istante del concepimento
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«C’era una volta un… che abitava in un grande castello. Un giorno il… s’innamorò di una bellissima fanciulla, ma questa venne rapita da un drago molto cattivo e nascosta in un’alta torre. Allora il … decise di andarla a liberare». Riuscireste mai a raccontare una fiaba così a vostro figlio per farlo addormentare? No, di certo. E per quale motivo? Il personaggio principale non viene mai citato. I lettori, sia grandi che piccoli, prenderebbero per pazzo o, perlomeno, per bizzarro l’autore di un simile racconto. Eppure è quel che capita con l’aborto, che non è una fiaba ma un racconto dell’orrore. Il personaggio principale, il bambino nel ventre della madre, non viene mai nominato. È il bambino fantasma. Quando si parla di aborto, si fa sempre riferimento ai “diritti” delle donne (ma nessuno ha diritto di uccidere un innocente), alla volontà di far abortire in sicurezza (guai a rendere sicuro un delitto), al contesto sociale che è sfavorevole alla maternità (nessuna condizione avversa giustifica un assassinio), alle conquiste sociali (l’aborto è un passo indietro e non avanti per qualsiasi civiltà). Però nessuno fa mai cenno a lui: al figlio ucciso, il vero protagonista di questo dramma che si ripete decine di milioni di volte all’anno nel mondo. Ucciso prima nelle menti di molti, perché cancellato dall’immaginario collettivo, e poi ucciso realmente nel ventre della madre. È un po’ come se nel Vangelo non si parlasse mai di Gesù o, trattando del nazismo, si tacesse dei milioni di ebrei uccisi, oppure si dimenticasse di dire che nel gioco del calcio serve un pallone.
Abbiamo imparato a conoscere la cancel culture durante le sommosse organizzate dal movimento Black Live Matters, allorché i facinorosi hanno cominciato a distruggere statue e monumenti di coloro che essi ritenevano “suprematisti bianchi”. La cosa ha preso piede “legalmente” allorché molti enti e istituzioni, per adeguarsi, hanno operato la “cancellazione” (la damnatio memoriae) di personaggi (storici) giudicati politicamente scorretti (ci sono andati di mezzo persino Dumbo e Peter Pan!). Ma l’ostracismo, l’iconoclastia e la censura sono pratiche vecchie quanto l’uomo, e tipiche delle ideologie illiberali e degli Stati totalitari. L’ideologia abortista ha già cancellato il bambino nel grembo. Oggi, alleata con l’ideologia gender, punta alla cancellazione anche della madre, del padre, della famiglia, del maschio e della femmina...
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Il nostro “Michelino” di 11 settimane, vittima della cancel culture di Monica Cirinnà & compagnia urlante, era stato regolarmente affisso il 3 aprile 2018 ed è stato rimosso da Virginia Raggi nel giro di due giorni. Nonostante tutto, ProVita & Famiglia, col sostegno di decine di altre associazioni e di centinaia di persone di buona volontà, ha continuato le sue campagne di manifesti a tutela della vita.
L’aborto è un passo indietro e non avanti per qualsiasi civiltà. Del resto lo ius vitae ac necis del pater familias, cioè il diritto genitoriale di vita e di morte sui figli, è stato di fatto abolito nell’antica Roma già in epoca imperiale. Lo hanno reintrodotto le femministe negli anni Settanta...
Ovviamente non si tratta di una distrazione di politici, attivisti, uomini di cultura, giornalisti, blogger ed influencer. Si tratta invece di una strategia lucidamente voluta dai pro death, strategia che potremmo chiamare «effetto nebbia». L’ideologo è nemico della realtà, dei fatti. Quindi occorre occultarli, altrimenti tutti si accorgerebbero di come stanno realmente le cose: se nascondi agli occhi dei più il fatto che nell’utero di una donna c’è un bambino, nascondi anche il fatto che l’aborto è la soppressione di un innocente. Via dunque ogni riferimento al bambino nella 194. E quando proprio occorre parlarne è bene nascondere la sua vera natura di essere umano riferendosi a lui come concepito, zigote, morula, ovocita fecondato, prodotto del concepimento. Termini scientifici e non scientifici usati come una cortina fumogena per celare una realtà lapalissiana: nella pancia della mamma c’è un bambino. Guai quindi a mostrare alla mamma le ecografie del figlio che vuole abortire: sarebbe traumatizzante per lei (trauma benedetto), sarebbe criminalizzare la donna (è la sua coscienza che la mette in stato di accusa, non la società che è assolutamente liberale). Tutti pretesti per non far vedere una evidenza fatta di carne e ossa. Perché una volta che hai preso coscienza di questo fatto con i tuoi sensi, questi ti inchiodano alla verità di cosa sia l’aborto. «Contra factum non valet argumentum», dicevano i latini: contro i fatti non c’è argomentazione che tenga. Eppure si continua a dichiarare che l’aborto è un diritto. E allora se è un diritto, quindi un bene giuridico, perché non mostrare il bambino abortito e come avviene un aborto? Non sarebbe necessario farlo anche
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Gli episodi di censura illiberale e intollerante da parte di coloro che si autoproclamano “democratici” e “inclusivi” continuano spudoratamente. Ma, dal canto nostro, non ci arrendiamo: continueremo a proclamare la verità “dai tetti” finché avremo fiato in gola, per dar voce a chi non ha voce, per rimettere al centro del dibattito l’aborto e il “bambino fantasma”.
al fine di avere dalla donna un consenso realmente informato? Mandiamo giustamente scolaresche intere ad Auschwitz per mostrare loro a quali vertici di crudeltà sia arrivato l’uomo e non facciamo mostrare, non diciamo ai ragazzi, ma al popolo adulto, un aborto, considerato non da pochi un vertice dei diritti civili? Si risponderà che così si fa terrorismo psicologico. Ma non è lo stesso per le gite nei campi concentramento? E poi non è chi mostra un aborto a terrorizzare, bensì è la realtà mostrata a essere terrificante. Ma se è terrificante vuole dire che quella massa organica maciullata dall’aborto è una persona, non un grumo di cellule. Qualcuno affermò che abbiamo perso il
referendum sull’aborto nel 1981 perché, allora, non avevamo tappezzato l’Italia intera con manifesti che facevano vedere cosa fosse un bambino nel ventre della madre e soprattutto cosa fosse un aborto. Oggi sappiamo bene come gli innocui manifesti di Pro Vita & Famiglia, che facevano vedere un feto, sono apparsi a molti come un oltraggio. Hanno ragione: sono un oltraggio al perbenismo, al quieto vivere, alla ottusa ideologia, alla vacuità degli slogan femministi, alla sonnolente coscienza collettiva, alle menti di molti anestetizzate dal mainstream dominante. Sono un insulto rivolto a quel cieco che è il peggior cieco esistente, perché non vuol vedere.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La legge 194 e il padre Roberto Marchesini
La legge 194, considerata dai più una legge “femminista”, disincentiva gli uomini dall’assumere un atteggiamento responsabile nei confronti della donna con cui hanno concepito un figlio: eterogenesi dei fini? Uno dei temi ricorrenti a proposito della legge 194/78 è il ruolo del padre. Come è stato più volte osservato, la legge ha due soggetti (la madre e il medico) e un oggetto, il bambino. Il padre non è neppure nominato, se non all’articolo 5, nel quale ricorre per due volte: il medico esamina e valuta «con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito [...]». In altri termini, il padre (o meglio: «La persona indicata come padre del concepito») è interpellato solamente «ove la donna lo consenta». Tutto qui. Tanto per intenderci, la parola «donna» ricorre, nel testo della legge, per 48 volte (la parola «madre», una sola); la parola «medico», 24. Ecco, dunque, sorgere il tema del ruolo del padre nelle questioni inerenti l’aborto. Da una parte c’è la posizione femminista, per esporre
la quale potremmo citare molte fonti. Tra le tante, leggiamo cosa scrive il filosofo Chiara Lalli su Wired (10 dicembre 2018): «È la donna a decidere, magari perché non vuole diventare madre o perché non vuole un altro figlio. Sono affari suoi e di nessun altro. Ogni donna per se stessa. Non si acquisisce uno speciale potere di genere sulle gravidanze altrui […] perché di mezzo c’è il mio corpo e quello che solo io posso farne; perché qualunque sia lo statuto morale dell’embrione, questa libertà non potrebbe essere limitata o cancellata». Dall’altra c’è il pensiero familista, cattolico e quella fetta del mondo intellettuale italiano che analizza il maschile e la sua influenza nella società attuale, che possiamo far risalire alla rivista Il Covile e al gruppo di lavoro psicoanalitico costituitosi intorno a Claudio Risè, Antonello Vanni, Paolo Ferliga. Di questo gruppo citiamo, come esempio, un brano tratto da Il documento per il padre:
Per la 194, il padre (o meglio: «la persona indicata come padre del concepito») è interpellato solamente «ove la donna lo consenta»
maggio 2021
«La prassi oggi vigente priva il padre di ogni responsabilità nel processo riproduttivo. Una situazione paradossale, ingiusta dal punto di vista affettivo, infondata dal punto di vista biologico e antropologico, devastante sul piano simbolico»
«La prassi oggi vigente, priva il padre di ogni responsabilità nel processo riproduttivo. Una situazione paradossale, ingiusta dal punto di vista affettivo, infondata dal punto di vista biologico e antropologico, devastante sul piano simbolico. Per il bene dei figli, e della società, è necessario che al padre sia consentito di assumere le responsabilità che gli toccano in quanto coautore del processo riproduttivo. I casi di cronaca che presentano la disperazione dei padri, che vogliono, prendendosene ogni responsabilità, il figlio che la madre ha deciso di abortire, sono solo la punta dell’iceberg del lutto dell’uomopadre, espulso dal processo di riproduzione naturale di cui è promotore. È necessario avviare una riflessione collettiva che equipari realmente la dignità della donna e dell’uomo nella procreazione, a garanzia della vita, della famiglia e della società. L’interesse e la volontà della donna devono essere opportunamente tutelati, nel quadro della cura sociale di difesa della vita, e di promozione della famiglia,
nucleo vitale della comunità». Le posizioni sono chiare; il lettore deciderà quale delle due è la più ragionevole ed eticamente accettabile. Ora, però, vorrei tentare di allargare il discorso. Quali sono gli effetti di questo aspetto particolare della legge 194/78? Dipende. Se un uomo ha l’intenzione di avere dei figli e allevarli in un nucleo familiare stabile, si tratta chiaramente di una ingiustizia nei suoi confronti. La legge, dunque, disincentiva questo atteggiamento che potremmo definire «responsabile», lo punisce. Se invece un uomo ha semplicemente voluto divertirsi usando il corpo della donna, lavandosi le mani delle eventuali conseguenze e comportandosi, come si diceva un tempo, “da mascalzone”, viene premiato. Prima della legge capitava anche che fosse la rete sociale della donna a costringere il “mascalzone” a prendersi le sue responsabilità; atteggiamento, questo, che è stato ridotto a macchietta in decine di film degli anni Sessanta e Settanta.
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Ora, invece, può lavarsene le mani: sono affari della donna e del medico. La legge incentiva questo atteggiamento irresponsabile e immaturo. Riassumendo, la legge incentiva negli uomini un atteggiamento superficiale nei confronti del sesso e strumentale nei confronti della donna. Mettiamoci ora nei panni di quest’ultima. La legge, nei fatti, stabilisce che le eventuali conseguenze indesiderate di un atto sessuale ricadono esclusivamente sulla donna: “i cocci” sono solo suoi. Non solo è stata trattata come un oggetto sessuale; rimane da sola a rimettere tutto a posto dopo la festa. Non basta: accanto a lei c’è il medico. Costui è un aiuto, un sostegno? Non proprio. Il rapporto tra la donna e il medico non è paritario: è lei che ha bisogno di lui. Potrebbe essere una lettura a posteriori, elaborata in tempi nei quali le agenzie sanitarie hanno il potere di decidere il grado di libertà della vita dei cittadini; eppure il concetto foucaultiano di «biopotere» e di «biopolitica» era già noto in quegli anni. In sostanza, rileviamo due effetti dovuti all’esclusione del padre nel processo che porta all’aborto: un incentivo a comportamenti sessualmente irresponsabili e una (doppia) reificazione della donna, ridotta a oggetto sessuale. Eppure, nella lettura corrente, la 194/78 sarebbe una legge «femminista», che sottrae la donna e il suo corpo al potere maschile. Si tratta dunque di una tragica «eterogenesi dei fini» di delnociana memoria? Ossia: il risultato finale è opposto a quello desiderato? Forse no. Ricordiamo che la legge fu presentata da un insieme di forze politiche, ma vide in prima fila il Psi; lo stesso partito che, in quegli anni, era attivamente impegnato nella diffusione in Italia della pornografia. Anche la pornografia incentiva un utilizzo ludico della sessualità e una reificazione del corpo della donna. La «sessualità libera» e la «liberazione della sessualità femminile» sono solo vuoti slogan: ciò che in realtà significano è l’esatto opposto. La mentalità materialista, abortista ed eugenetica ci ha abituato a questi orrendi scherzi: l’aborto non è forse definito, in certi ambienti, “salute riproduttiva”?
maggio 2021
IL DOLORE PER LA PATERNITÀ MANCATA La sindrome post abortiva non colpisce solo le donne: è una dura realtà che deve affrontare innanzitutto il padre mancato; ma poi anche i fratelli del bambino abortito, i nonni e persino il personale sanitario. Gli uomini possono essere colpiti dalla sindrome post-abortiva anche quando si sono disinteressati dell’aborto e persino quando hanno spinto essi stessi la donna a farlo. Ma ovviamente sono particolarmente colpiti quando quel figlio l’avrebbero voluto. Nella natura dell’uomo esiste l’istinto paterno, che è l’istinto di proteggere la prole, l’istinto iscritto nel Dna degli animali maschi di proteggere i cuccioli, quindi, in conseguenza ad un aborto che non è riuscito ad impedire, il padre avrà un sentimento di perdita del controllo e di umiliazione, di perdita del senso di eredità e di continuità. La letteratura sulla sindrome post abortiva maschile è vastissima e non è questa la sede per approfondire la questione. Basti ad esempio citare i risultati di un’intervista fatta a 1000 padri mancati (David C. Reardon, Forgotten fathers & their unforgettable children): più di 1 uomo su 4 ha paragonato l’aborto all’omicidio; più dell’80% aveva già iniziato a pensare al bambino che poteva nascere (un 29% ha dichiarato di aver fantasticato sul bambino “frequentemente”), il 68% ha reputato di «aver attraversato momenti difficili a causa dell’aborto», il 47% era preoccupato di poter avere in seguito pensieri inquietanti. Durante l’intervista molti di loro sono scoppiati a piangere. Molti uomini hanno espresso frustrazione e rabbia per l’incapacità delle donne di prendere in considerazione i loro desideri e sentimenti, sentendosi esclusi dalla decisione e - soprattutto tra coloro che si erano opposti all’aborto - evirati e impotenti. Quattro uomini su dieci soffrono del disturbo post-traumatico da stress di tipo cronico che si manifesta in media entro i primi 15 anni dopo l’evento; su 100 di questi, l’88% soffre di depressione, l’82% di forte senso di colpa, il 77% di turbe dell’aggressività, il 64% di stati ansiosi, il 68% di autoisolamento e emarginazione, il 38% di mancanza di interesse e motivazione per la vita, il 40% di disturbi sessuali tra cui l’impotenza. Come svolgeranno il loro ruolo sociale (per esempio nel lavoro) tutte queste persone che soffrono di un tale disagio esistenziale? (Tratto, con adattamenti, dal rapporto: I costi di applicazione della legge 194, edito da Pro Vita & Famiglia, curato da Benedetto Rocchi, Stefano Martinolli et al.)
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Donne violate, rinascono madri Traduzioni a cura di Sara Affuso
Uno degli argomenti che gli abortisti considerano invincibili è il mettere l’interlocutore davanti alla tragedia dello stupro da cui sia poi derivata una gravidanza: come si fa a non permettere alla donna violentata di abortire, in una circostanza del genere? E in effetti la fattispecie è davvero inquietante. Nessuno, davvero, ha il diritto di giudicare. Nessuno ha titolo per dire a una donna che abbia vissuto una così atroce esperienza cosa deve o cosa non deve fare. Nessuno, tranne le stesse donne che - dopo una violenza - si sono ritrovate incinte. Lasciamo loro la parola: sia a chi dopo lo stupro ha abortito (e se ne è pentita amaramente), sia a chi ha avuto il coraggio di portare a termine la gravidanza e ha dato il bambino in adozione o - addirittura - lo ha tenuto con sé. Queste testimonianze sono state tratte dai siti web delle associazioni Choices4Life e Save the 1, che sono nate proprio per sostenere le vittime di stupro e i loro figli.
Chi fa violenza sulle donne merita il carcere duro. Gli stupratori meritano forse di peggio. Le donne violentate meritano aiuto, sostegno, cura e comprensione, non meritano altra violenza… Nei rarissimi casi in cui a seguito della violenza viene concepito un bambino, quel bambino merita la morte? Che colpa ha?
maggio 2021
Meritano d’esser sentite le persone come Rebecca Kiessling, che sono state concepite durante una violenza carnale e che sono, sì, profondamente grate alle madri che hanno dato loro la possibilità di vivere, ma si sentono fortemente discriminate e stigmatizzate perché - secondo l’opinione comune - avrebbero dovuto essere abortite: questo costa loro non pochi problemi psico-sociali e di autostima. Le testimonianze di persone come Rebecca le offriremo ai nostri Lettori in un’altra occasione.
La fondatrice di Choices4life, Juda Myers, a destra, con Christina Bray. La Myers è stata concepita durante uno stupro. Data in adozione, da grande è stata in grado di rintracciare la madre naturale per ringraziarla di non averla abortita. Ha deciso, quindi, di sfatare gli stereotipi che si dicono a proposito dei bambini concepiti in caso di stupro: «Nessuna donna potrebbe guardare in faccia quel figlio, le ricorderebbe lo stupro»; «Quel bambino viene da un seme malvagio, sarà come lo stupratore»; «È meglio che la donna se ne sbarazzi e non ci pensi più». A costoro la Myers risponde che nessuno si deve permettere di parlare al posto delle vittime di stupro e dei loro figli. E questi figli hanno diritto alla libertà, a essere vivi e alla ricerca della felicità: «Nella nostra società “tollerante” il bambino concepito da uno stupro viene trattato come un criminale, dovrebbe non esistere». CHRISTINA BRAY Dopo una vita davvero travagliata, tra violenze e servizi sociali, Christina si trova a fare da babysitter ai gemelli di una sua amica. Rientra in casa il marito e le fa delle avances pesanti: «Non avrebbe accettato un “No” come risposta, così mi ha tenuto giù sul divano. Ho provato a togliermelo di dosso, ma mi ha bloccato le braccia in basso. Quando ha finito mi sono alzata e sono corsa alla doccia per cercare di togliere via quella brutta sensazione di essere stata violentata. Mi sono seduta nella vasca da bagno con la doccia aperta, le ginocchia al petto e ho pianto. Ho pianto per aver permesso a me stessa di essere stuprata, ho pianto per il fatto che non
potevo dirlo alla mia famiglia. Quando andavo a letto la sera, piangevo fino ad addormentarmi e continuavo a ripetermi quanto stavo male. Poi ho iniziato a sentirmi male ogni giorno. Gli odori mi facevano star male e i cibi che amavo mi davano la nausea. Così, ho scoperto di essere incinta. Ero così spaventata. Ho deciso di dirlo ai miei genitori. Qualcuno mi diceva di abortire e alcuni mi dicevano che non avrei dovuto tenerlo, che avrei dovuto darlo in adozione. Ma solo due settimane prima di essere violentata mi avevano detto che non sarei stata in grado di concepire a causa di un’anomalia del mio utero. Così con quella gravidanza ho visto la vita sotto una luce completamente nuova. Avevo una vita dentro di me, una vita viva che respirava dentro di
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me. La mia bambina era bellissima. Mi sono innamorata come non avrei mai pensato di poter fare! L’ho chiamata Phoenix Rose (sono stata ispirata dalla leggenda dell’uccello. Si dice che fosse in grado di sopravvivere a qualsiasi
cosa. La leggenda dice che anche quando viene bruciato rinasce dalle sue ceneri, e la rosa è il fiore più forte e più difficile da uccidere). Dio mi ha benedetto come non avrei mai potuto immaginare!»
JESSICA «Sono stata violentata nel febbraio 2006: ero rimasta fino a tardi a scuola per una lezione di recupero. Ho provato l'aborto. “Provato”, nel senso che ci ho provato, ad abortire. Ero già sdraiata sul lettino della clinica e mi sono detta “No”, non potevo farlo. Era sbagliato. L’abortista mi ha detto che stavo sragionando, ma ho ripetuto ancora “No”, mi sono alzata e sono tornata a casa. Però ho capito che non potevo fare la madre. Se l’amore fosse sufficiente sarebbe una bella cosa. Dovevo ancora finire di studiare. Avevo solo 20 anni quando è successo. Avrei dovuto fare tre lavori per mantenere un figlio… Ora ho una bellissima bambina che non è solo la luce della mia vita, ma anche la luce del mondo dei suoi genitori adottivi. Poi Dio mi ha toccato il cuore e mi ha guarita: ho perdonato quell’uomo e prego che qualcuno sulla sua strada gli dia il Vangelo della Buona Novella!»
«L’aborto costringe una madre a rivoltarsi contro la sua stessa carne e il suo stesso sangue. È autodistruttivo come nessun altro trauma - le cicatrici scendono veloci in profondità. Anche lo stupro è traumatico, senza dubbio. Ma l’aborto ferisce di più le vittime di stupro; non le aiuta affatto»
BECCA CRUZE «Sono cresciuta in una casa molto violenta. Non mi piacevano i ragazzi e non facevo sesso. A 14 anni, andai dal dottore. E con mia sorpresa mi disse che ero incinta. Che cosa!? Come poteva essere?! Non avevo idea che mio padre facesse sesso con me. Sapevo solo che era una cosa orribile e non mi piaceva. Cosa avrei fatto, ora, con un bambino? Mi sentivo così sola e imbarazzata. I miei genitori mi hanno nascosta da tutti i miei familiari. Ero come l’uomo invisibile. Nel marzo dell’anno seguente ho dato alla luce una bambina. Non sapevo come amarla. Come fa una quindicenne maltrattata ad amare? Non sapevo amare, ero piena di odio. Il tempo è passato e la vita mia e di mia figlia è stata molto tribolata, ma ora le cose si sono sistemate. Sappiamo che quello che mi è successo è stato fatto con intenti malvagi, ma Dio ha cambiato il male in bene. Io amo Rowena e lei ama me. Ci piace vivere la nostra vita insieme. Rowena è stato un dono di Dio, in mezzo alla violenza e all’incesto. Lo so che molti non capiranno come posso dire queste cose. Ma non era colpa di Rowena se mio padre mi abusava. Meritava la vita e ringrazio Dio per avermi dato la forza di farla nascere e di tenerla con me. Lei è il segno dell’amore di Dio per me, nonostante tutte le tribolazioni che ho passato».
maggio 2021
NICOLE COOLEY E MORGAN Drogata e violentata. Anche Nicole è stata abusata dal ragazzo con cui usciva. Anche lei ha seguito il consiglio di chi le diceva di abortire. «La prima volta che ho condiviso pubblicamente la mia testimonianza, una donna è venuta da me in seguito e mi ha detto: "Grazie per la condivisione. Mia madre mi ha costretto ad abortire quando avevo 16 anni. Ho sempre pensato che fosse sbagliato. Tu sei la prima persona a convalidare ciò che ho sempre saputo”». «Penso che fosse dipendente dalla pornografia. Non posso spiegare razionalmente il suo comportamento in altro modo: mi ha drogata e mi ha stuprata. Ho dei ricordi vaghi, come in un incubo. Per diversi giorni ho creduto di aver sognato. Lui mi rassicurava che non era successo niente». «Due test di gravidanza positivi mi hanno costretto a una realtà che non ero preparata ad affrontare». «Sappiate che dire a qualcuno in crisi: "Qualunque cosa tu voglia fare, ti sosterrò" non è di alcun aiuto. Chi chiede un consiglio ha bisogno di sentirsi dire: "So che è orribile e non sai come superare questa cosa, ma so che ce la farai. Camminerò con te a ogni passo. Ce la farai. Tu sei forte. Puoi farlo. So che nove mesi sembrano un’eternità, ma in realtà non lo sono. Non prendere una decisione oggi di cui ti pentirai per il resto della tua vita. Scegli la vita. È la scelta migliore per entrambi”. «Tutti, compreso il pastore della mia chiesa, mi hanno consigliato di abortire. Sentivo di non avere scelta. Ero convinta che nessuno avrebbe adottato il mio bambino con il 50% di possibilità di portare il gene della neurofibromatosi (una malattia che aveva mio
padre). Ho iniziato a prepararmi per l'aborto. Mi sentivo come un agnello portato al macello. Non credevo di avere scelta». «Dopo l'aborto, ho imparato che c'è qualcosa di peggio dell’essere violentata. Con l’aborto mi è sembrato di essere stata violentata di nuovo, ma peggio, perché questa volta avevo acconsentito. In entrambi i casi, degli uomini mi hanno aggredito fisicamente. Il secondo trauma, l’aborto, mi ha bloccata emotivamente, mi ha messo fuori gioco. Ho negato per anni il lutto». «Ci sono voluti quattro anni per iniziare il lento sentiero che conduce alla guarigione in Cristo. Se non fosse stato per il meraviglioso marito che Dio mi ha mandato, non so se sarei qui oggi». «Ora lavoro con il Center for Bio-Ethical Reform, faccio conferenze prolife nei campus universitari in Virginia e nel sud-est. Un giorno, ho cominciato il mio discorso dicendo che le mie parole non avevano lo scopo di condannare nessuno. Avendo abortito io stessa, comprendo troppo bene quel senso di colpa mal riposto. Ho spiegato le ragioni pro life, ho mostrato immagini di aborti del primo trimestre... non avevo idea che quel giorno tra il pubblico ci fosse una vittima di stupro incinta: Morgan. Morgan mi ha detto due mesi dopo che lei era lì, seduta tra il pubblico. La notte in cui era stata violentata, era sgattaiolata fuori di casa per uscire con gli amici. Stuprata da un gruppo di balordi mentre tornava a casa, non disse niente a nessuno. Quando ha scoperto di essere incinta, i suoi amici del liceo le hanno preso appuntamento per un aborto il sabato successivo. Ma poi, ha ascoltato la mia testimonianza e ha visto le immagini e ha capito di non poterlo fare. Morgan ha così avuto il coraggio di raccontare ai suoi genitori quello che era successo - nonostante si vergognasse di essere sgattaiolata fuori di casa e di aver pianificato un aborto a loro insaputa. I suoi l’hanno sostenuta. Ha scelto l’adozione per il suo bambino. Durante la gravidanza, ha conosciuto Save The 1 e si è unita al loro gruppo Facebook privato frequentato da donne che avevano subito la sua stessa esperienza. Tramite la chiesa ha trovato la famiglia perfetta per la sua bambina: l’ha chiamata Justice, Giustizia».
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«Il dolore per la perdita di mio figlio è il più grande rimpianto della mia vita. Mi ha schiacciato. L’aborto costringe una madre a rivoltarsi contro la propria carne e il proprio sangue. È autodistruttivo come nessun altro trauma: le cicatrici sono profonde. Anche lo stupro è traumatico, senza dubbio. Ma è sbagliato sommare il trauma dello stupro con un secondo trauma, quello dell'aborto. L’aborto è un’ulteriore ferita per le vittime di stupro; non aiuta, mai. La scelta migliore per una donna che ha concepito durante uno stupro è continuare la gravidanza, circondata e sostenuta da familiari e amici, e magari da un Centro di aiuto alla vita. Per me, la storia di Morgan è stata una grazia di Dio. Il mio bambino è morto e il mio cuore si è spezzato, ma il mio dolore e la mia sofferenza e la mia dolorosa testimonianza hanno salvato la vita alla piccola Justice, e sua madre vive senza il rimpianto dell’aborto. In effetti, quando salvi il bambino, salvi effettivamente due persone: madre e figlio. Il nostro gruppo si chiama “Save The 1”, ma quando “salvi 1”, salvi anche la madre: salvi entrambi». LAURAN BUNTING CON ISABELLA Lauran è stata violentata da un ragazzo che conosceva. Suo padre avrebbe voluto farla abortire. Lei si è rifiutata e - alla fine - ha rifiutato anche di dare in adozione Isabella. «Le donne che subiscono violenza hanno bisogno di speranza. Hanno bisogno di sentire che per le vittime di stupro c’è una possibilità di non abortire e di amare i loro bambini. L’aborto in caso di stupro aggiunge violenza alla violenza: e la vittima - oltre al bambino - è sempre la donna».
LESLEY MCASKIE Lesley è stata violentata a 13 anni dal ragazzo con cui usciva. Tutti le hanno consigliato di abortire e lei l’ha fatto. «L’aborto ha rovinato la mia vita per 37 anni. Ho superato la violenza, ma non ho mai superato l’esperienza dell’aborto». «Se una donna si trova incinta in seguito a uno stupro, ha davvero bisogno di ricevere cure. Ha bisogno di compassione, ha bisogno di consulenze, ha bisogno di un grande sostegno. Non ha bisogno di un altro atto di violenza come l’aborto». «Donna, non andare ad abortire perché è una soluzione rapida, non lo è! L’orrore di quell’aborto rimarrà con te per il resto della tua vita». BETTY MICHAEL ESENE CON DESTINY «Non volevo quel figlio. Non sono riuscita ad abortire per mancanza di soldi, ma avrei voluto ucciderlo con tutta me stessa. Poi alla fine di una gravidanza molto travagliata, ho partorito». «Nel momento in cui l’ho tenuto tra le braccia, ho sentito una grande pace interiore. Ora lo guardo e mi chiedo come avrei mai potuto rifiutare una benedizione così gloriosa: è il regalo più meraviglioso e più dolce che la vita mi abbia fatto! Il suo sorriso mi dà una ragione per essere forte e andare avanti con la mia vita. Capisce ogni mio stato d’animo e il nostro legame è così forte! Adesso ha cinque mesi e non me ne separerei mai. Non è il prodotto dello stupro; piuttosto, lo vedo come un figlio del destino e questo è il motivo per cui l’ho chiamato Destiny». «Il mio bambino non ha alcuna colpa. Ha il diritto di vivere - ogni bambino ha una vita da vivere, anche i bambini nati da uno stupro. Hanno un grande futuro e un creatore - Dio che non è stato stupido ad averli mandati sulla terra. Non sono il prodotto dello stupratore, ma l’opera creativa di Dio. Sono nati per uno scopo e per compiere un destino, proprio come mio figlio!».
maggio 2021
Storia di un bambino scartato Manuela Antonacci
Il piccolo Luigi lo scorso 19 luglio venne lasciato nella “culla per la vita”, la culla termica, installata presso la parrocchia San Giovanni Battista, a Bari. Abbiamo intervistato il parroco, don Antonio Ruccia. È uscito in libreria, in occasione della scorsa Giornata per la vita, È vita! Storia di un bambino scartato, abbandonato… affidato, pubblicato da Il pozzo di Giacobbe: un volume che intende ripercorrere e approfondire la vicenda del piccolo Luigi, che lo scorso 19 luglio venne lasciato nella culla termica installata presso la parrocchia San Giovanni Battista, a Bari: la prima in Puglia. Una vicenda straordinaria, che meritava davvero di essere custodita, testimoniata e divulgata. Questo il senso del libro, curato da don Antonio Ruccia, il parroco che, per primo, ha accolto tra le sue braccia il piccolo Luigi, e che è anche docente di teologia pastorale presso la Facoltà teologica pugliese. Con lui abbiamo voluto ripercorrere le tappe essenziali dell’intera vicenda, per comprendere meglio il contenuto del libro. Don Antonio, vogliamo riepilogare la vicenda riportata nel libro per i nostri lettori che ancora
La “ruota degli esposti” dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, a Roma, forse il primo ospedale d’Europa, voluto da papa Innocenzo III, nel XII secolo.
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non la conoscono. Innanzitutto, com’è nata l’idea della culla termica? «Cominciamo con il dire che noi siamo nel quartiere Poggiofranco di Bari che non è molto distante dal Policlinico e questo è un primo dato di fatto. Nel quartiere, poi, vivono tantissimi medici e professionisti che nella maggior parte dei casi hanno comprato i loro appartamenti tra gli anni tra Settanta e Ottanta, adesso la popolazione è invecchiata. Per questa ragione, l’idea che è scattata, subito dopo il mio arrivo, nell’ottobre 2013, era quello di dare un segno di vita al quartiere. Per questo motivo, partendo dall’idea della figura di san Giovanni Battista, che è colui che indica a tutti il segno della vita che è Cristo, abbiamo
pensato a questa culla termica, perché in Puglia, fino al 2014, non esisteva alcuna culla termica; nel giugno 2015 abbiamo realizzato, in sintonia col reparto di Neonatologia del Policlinico di Bari, questa piccola struttura che potesse accogliere un bimbo. Questa è l’idea che ci ha accompagnato in tutti questi anni». Che è successo quella mattina del 19 luglio? Sembrava una domenica come le altre e Lei si apprestava a celebrare Messa, ma poi che è accaduto? «In effetti lo era davvero una domenica come tutte le altre! Eravamo tutti pronti per la celebrazione della Messa, alle 8.15, quando, ad un tratto, è squillato il mio cellulare ed è
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apparsa sul display la scritta “Culla”, come se fosse un nome qualunque in rubrica. Io, inizialmente, stentavo a credere che davvero qualcuno avesse lasciato il bambino, perché mi aspettavo che ciò potesse accadere di notte o alle prime luci dell’alba e non certo in pieno giorno. Sono andato a verificare, con un passo un po’ più veloce del normale, ma nulla di più. Tuttavia, quando ho aperto la culla, ho trovato il bambino. A quel punto ho fatto mente locale e ho chiamato prima il 118, spiegando la situazione e chiedendo l’assistenza di un medico perché potesse visitare il bambino e poi ho fatto il numero del professor Laforgia, che è primario di Neonatologia, al Policlinico di Bari, per dirgli che avevano portato il bambino. Lui, pur essendo fuori Bari, ha allertato il reparto, esortando tutti
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ad accogliere il bambino, immediatamente». Per la legge italiana, si può scegliere di partorire in anonimato. La legge consente a una madre che partorisce in ospedale di non riconoscere il bambino e di lasciarlo in ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto. In questo caso la mamma di Luigi ha deciso di affidarlo alla culla termica della vostra parrocchia. Iniziative come la vostra, quanto contribuiscono a rendere le donne davvero libere di scegliere tra l’aborto e la possibilità di far nascere il loro bambino? Quanto la donna si sente spesso sola e spaesata tra queste due possibilità? Possiamo definirlo il senso della vostra iniziativa,
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quello di dare una reale possibilità di scelta, alle donne? «È proprio questo il senso della nostra iniziativa: la culla termica è l’ultima ratio per evitare l’aborto e per garantire una sorta di anonimato. Per questo io mi sono impegnato per spiegare a tantissimi che sperano che la mamma si faccia viva, che si tratta di una sua scelta che non va giudicata. La buona notizia, anzi, è che ha deciso di affidare, con responsabilità, il bambino alla parrocchia, perché se fosse stata una donna irresponsabile, avrebbe lasciato il bambino in parrocchia durante la notte. Invece lo ha affidato di giorno. Aveva dunque piena consapevolezza nel fare questo gesto e ha voluto consegnarlo, di proposito, alla parrocchia di cui certamente aveva già sentito parlare. Il bambino non è stato
abbandonato, non è stato lasciato per strada, è stato affidato. Lo sottolineo: questo è un affido perché, concretamente, chi è entrato nella culla termica ha varcato la soglia della parrocchia, è entrato nel suo territorio». Veniamo al libro È vita! Storia di un bambino scartato, abbandonato… affidato, pubblicato da Il pozzo di Giacobbe. È uscito in libreria proprio in occasione della Giornata per la vita, ripercorre la storia del ritrovamento del piccolo Luigi ma non in forma squisitamente narrativa… come? «Il libro raccoglie tutto il materiale che è stato pubblicato, sia in forma cartacea che sul web o in trasmissioni televisive, proprio riguardo l’episodio appena citato, tutto questo inframmezzato da commenti di persone che
A distanza di qualche mese quel bambino continua a coinvolgerci. Sempre e in tanti continuano a parlare di lui.
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hanno dato un senso anche alla vicenda e che hanno voluto non narrare esclusivamente la storia, ma far riflettere sul significato reale e concreto dell’avvenimento. Quindi se qualcuno si aspetta una storia un po’ fiabesca riguardo tutto questo, sbaglia, ma deve rileggere tutto e porsi tanti perché, per trovare delle risposte che aiutano a scoprire ancora di più il gesto che è stato fatto, che non è, a mio parere, negativo, ma d’amore, con altri criteri che non sono i nostri, ma sono comunque criteri d’amore».
Don Antonio non poteva credere che qualcuno lasciasse un bambino in pieno giorno: e invece è stato un gesto d’amore della madre!
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La culla per la vita della parrocchia di San Giovanni Battista di Bari è stata realizzata nel giugno 2015, in sintonia col reparto di Neonatologia del Policlinico di Bari.
«Gesù ancora oggi prende per mano i piccoli, i bimbi e li rende giudici della nostra fragile civiltà. I bambini sbloccano il lockdown dei nostri fallimenti perché portano in sé il “vangelo del bambino”», scrive nel suo contributo al volume il vescovo di Trapani Pietro Maria Fragnelli, presidente della Commissione episcopale Famiglie, giovani e vita. È l’invito a ritornare a quella dimensione interiore dell’infanzia che vuol dire innocenza, purezza e fede infinita in Dio? L’accoglimento della vita nascente può contribuire a rendere concreta e visibile questa esperienza? «Tutto può contribuire a rendere concreta l’esperienza dell’amore, perché ciò che dobbiamo cogliere è che questo gesto ha offerto a ciascuno l’opportunità di capire, ancor di più, come la nostra storia è fatta di persone che nascono per dare un senso anche alla vita degli altri, che non finisce nemmeno quando si esala l’ultimo respiro, perché anche lì c’è una vita che nasce. La storia del seme che, una volta marcito, produce tanto frutto, lo troviamo negli episodi stupendi di coloro che hanno “schiodato” Gesù. Da lì è iniziata una storia di nascita che ci fa comprendere, ancora di più, che nessuno è un errore ma che tutti siamo persone che danno un senso alla vita del mondo. Ha spiegato molto bene Monsignor Fragnelli quanto questo amore diventa coinvolgente per una comunità che si deve occupare soprattutto di bambini. Il bambino è il segno concreto di ciò che è nato in questo periodo di morte. Credo che la città di Bari debba molto a questo gesto e spero che non dimentichi che, durante la pandemia e i funerali che continuano a essere celebrati, questo bimbo, invece, ci dice che è possibile rinascere e realizzare un futuro». Nella prefazione del libro, curata dalla comunità parrocchiale si legge: «Quel telefono della
parrocchia che ha squillato ininterrottamente per una settimana, o il telefono personale di don Antonio, più rovente della temperatura esterna di luglio, indicano che quel bambino è riuscito a dirci che è possibile credere che la vita è sempre un dono... Ma il vero miracolo è anche un altro. A distanza di qualche mese quel bambino continua a coinvolgerci. Sempre e in tanti... continuano a parlare di lui». Vorrei che si soffermasse su quest’ultima frase, partendo da una considerazione: l’agenda dei media spesso mette in evidenza quasi unicamente notizie negative, che trasmettono poca speranza. La constatazione che, invece, della vicenda del piccolo Luigi si continui a parlare a distanza di mesi significa forse che il cuore della gente ha bisogno di questi segni di speranza, che c’è ancora una grande apertura verso il bene e che forse bisognerebbe alimentare questo desiderio, anche a livello mediatico? «Certo, sono perfettamente d’accordo! Ancora oggi, il fatto che ne stiamo parlando dopo mesi è un’espressione concreta, reale, di quanto sia importante, ancora una volta, impegnarsi a favore della vita. Questo non è un tempo in cui siamo chiamati semplicemente a sopravvivere ma a mettere in vita. Questo vale per i ragazzi, per i giovani, coloro che sono alla ricerca di un futuro, vale per le nuove famiglie, bisogna rimettere in vita tutto. Il fatto che si stia parlando ancora del bambino è perché noi tutti crediamo che la vita non debba essere sprecata o annullata ma dobbiamo pensare che dietro ogni germe c’è un’esperienza concreta d’amore. Mi piace dirla con una frase di don Mazzolari: “Nel pieno dell’inverno bisogna saper vedere i germi della primavera”. Questo è il significato profondo: Luigi è un germe di vita che, ancora una volta, ci sta facendo interrogare. Noi auspichiamo che i media comincino a farci parlare perché io ritengo che, anche di fronte al grande dibattito sull’aborto,
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come Chiesa dobbiamo lanciare messaggi d’amore e di vita. È questo che fa deviare dall’idea della soppressione di un bimbo, perché anche di fronte a una violenza la vita ha un senso più grande di quello che possiamo pensare». Questa esperienza ha inciso in qualche modo sul senso della tua paternità sacerdotale? «Questa è un’ennesima prova della mia paternità sacerdotale: io sono sacerdote da 34 anni. Sono diventato sacerdote giovanissimo, a 24 anni e ho acquisito un senso di paternità verso i ragazzi che per primi hanno colto questa mia esigenza di coinvolgerli nella vita di chiesa. Ci sono giovani che hanno fatto con me il primo tratto di strada e ancora frequentano la vita parrocchiale. Mi sono sentito padre quando sono stato parroco in periferia, dove ho dovuto lottare per la non costruzione di un inceneritore tra le case, in questa nostra città. Anche qui ho espresso un’attenzione alla vita che diventa salute. E poi l’esperienza forte e globale vissuta in un paese, come anche la dolcezza dell’esperienza quinquennale con i senza fissa dimora. Adesso, questo segno di vita
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in un quartiere di anziani rende concretamente anche la mia paternità ancora più lunga. Io ho un solo desiderio in questo momento: quello di poter solamente riabbracciare il bambino che non so dove sia, né chiederò dov’è, toccherà a lui passare da noi perché questo libro è stato scritto anche per il suo futuro. Quando non ci saremo più, quel bambino deve conoscere l’amore che è stato riversato su di lui e che gli ha dato tutto il mondo. Dico “tutto il mondo” perché anche una televisione svedese ha fatto un servizio, non sul libro, ma sull’avvenimento, e questo, di per sé, è un fatto eccezionale. Ora mi auguro che la città di Bari risponda con gesti concreti: che si possa creare un’osmosi tra i quartieri, per promuovere un’attenzione, per esempio, verso quei ragazzi che hanno bisogno di essere seguiti nello studio e che potrebbero essere aiutati anche da altre famiglie. Perché tutto questo? Perché paternità significa che non si finisce mai di instaurare un rapporto con l’altro, ma che questo si rinnova e si sviluppa sempre, nel tempo, trasformandosi in un’apertura e traducendosi in gesti di disponibilità verso tutte le cose che, un domani, saremo chiamati a realizzare».
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Statuto dell’embrione e tutela della maternità Clemente Sparaco
Restituire il rispetto all’embrione e l’attenzione alla madre è il compito che ci attende per il futuro. Fin dai primordi la fecondità è avvolta da un alone di sacralità e timore reverenziale. Il primitivo, infatti, sa che la vita è oltre le sue possibilità, giacché egli può toglierla, ma non restituirla, e intuisce, nella sua biologia arcaica, che è il ventre materno il luogo di questo prodigio. Pertanto, il primo passo verso il nascituro non è tanto un moto di appropriazione e di gestione, anche se da sempre è esistito l’aborto e il potere del pater familias di rifiutare il figlio esponendolo alla morte, quanto un movimento che ritira le mani, prevalendo il silenzio sulla parola e l’attesa sulla fruizione. Stupefacentemente quel grumo di umanità è già centro autonomo, un mondo altro, irriducibile,
non funzionalizzabile né contraibile. Fin dal momento della fecondazione, infatti, il suo sviluppo è continuo, autonomo, finalisticamente orientato con una regolazione intrinseca, e le sue attività cellulari e molecolari sono sotto il controllo di un genoma del tutto nuovo. Il suo ciclo vitale procede, quindi, senza interruzioni, anche se con gradualità, evidenziandone l’individualità, l’identità, l’unicità, talché egli rimane sempre lo stesso individuo dal momento della fusione dei gameti. Eppure, non c’è nulla di più precario della vita allo stato embrionale, sempre in limine per la possibilità che si spenga improvvidamente, come improvvisamente è comparsa. Cosicché essa può
La nostra società opulenta, che proclama l’autodeterminazione ma dimentica la responsabilità e la relazione, più di altre segrega, ghettizza, emargina la maternità
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sopravvivere solo se custodita, curata, protetta, difesa. Lei lo avverte prima di tutti, sentendo il bambino dentro di sé, mentre diventa madre poco per volta. Allora la sua determinazione si fa eccentrica e accetta i limiti della propria libertà o, piuttosto, la vive non in prospettiva di concorrenza, ma di reciproco sostegno con la vita dell’altro che si sta formando nelle proprie viscere. Pertanto, il punto dirimente dello statuto dell’embrione sta nella sua totale dipendenza dalla madre. Egli è in modo radicale mediante la madre: si annida in lei, si aggrappa al suo utero, si ciba da lei e cresce in lei. Il suo essere le è così strettamente intessuto che solo nell’unità corporea con lei può vivere e svilupparsi. E quella relazione è totale e viscerale anche se asimmetrica: da una parte c’è il concepito, totalmente inerme e radicalmente dipendente, e dall’altra la madre, il cui ventre accoglie la vita come un fragile cesto che galleggia a pelo sulle acque annientanti (come nel racconto biblico di Mosè). Ma in quel crocevia imprescindibile di umanità che è il legame madre-figlio è rintracciabile la figura antropologica fondamentale, che è matrice di civiltà, là dove insieme si tengono la comprensione
dell’uomo e della vita. Pertanto, né si salva l’embrione senza la madre né la madre senza l’embrione. L’uno è per l’altra, ma anche l’altra è tale perché è totalmente rivolta e protesa verso il frutto delle sue viscere. Perciò, tutelare l’embrione significa a maggior ragione, perché non se ne può prescindere, tutelare la maternità: tutelarla dall’indifferenza, dalla solitudine, dall’emarginazione in cui è indotta quando è privata di quel sostegno affettivo, morale e materiale, di cui ella avrebbe piuttosto bisogno. Perché i nemici della maternità sono i nemici dell’incontro, ovverossia, come scrisse Romano Guardini: «L’abitudine, l’indifferenza, la presunzione boriosa e piena di sé». E la nostra società opulenta, che proclama l’autodeterminazione ma dimentica la responsabilità e la relazione, più di altre segrega, ghettizza, emargina la maternità in ragione delle esigenze e dei ritmi lavorativi, nonché dei suoi automatismi di sviluppo. Cosicché molte donne arrivano a pensare di liberarsi della maternità, come se fosse qualcosa di negativo o di costrittivo, un vincolo e una limitazione delle proprie potenzialità. Restituire il rispetto all’embrione e l’attenzione alla madre è, quindi, il compito che ci attende per il futuro.
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A lezione di genetica: il genoma umano Giandomenico Palka
Il professor Palka, già Ordinario di Genetica medica all’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e presidente della sezione Amci del capoluogo abruzzese, offre ai nostri Lettori una serie di articoli in cui spiega in termini chiari e abbordabili anche per i profani nozioni fondamentali necessarie a chi si interessa di bioetica e di diritti umani. Diritti umani che spettano, senza eccezioni, a tutti gli individui della specie homo sapiens, anche a quelli piccolissimi... Il Dna ha fatto la sua comparsa nel nostro pianeta Terra circa quattro miliardi di anni fa. Il Dna consiste in un doppio filamento e ha come sinonimi termini come genoma, cromatina. Il Dna è contenuto all’interno del nucleo della cellula e rappresenta il nostro patrimonio genetico. L’uomo, come dice Sofocle nell’Antigone è «[…] scopritore mirabile di ingegnose risorse» e perciò da sempre ha avuto il desiderio di conoscere il genoma perché è tormentato e angosciato dal mistero della vita e della morte. Il genoma contiene due tipi di informazione, genetica ed epigenetica. La prima è stabile e non è modificabile. L’alfabeto è molto semplice poiché è rappresentato dalla successione di sole 4 lettere: A, T, C, G (adenina, timina, citosina e guanina), che sono 4 sostanze chimiche, chiamate nucleotidi, che si ripetono per 3 miliardi di volte e hanno un accoppiamento canonico perché la A si interfaccia sempre con la T e la C con la G. Gruppi di queste lettere formano unità che noi chiamiamo “geni”, che producono messaggeri che la cellula converte in proteine. L’uomo conosce la successione delle lettere nel Dna dal 2001, quando la ditta americana
Celera diede al mondo la straordinaria notizia di aver decifrato, cioè letto, il libro della vita e di conoscerne la successione delle lettere. Questa conoscenza ha aperto all’uomo orizzonti impensabili ma anche scenari inquietanti. Certo l’uomo conosce adesso le basi genetiche delle malattie e può così progettare terapie geniche mirate. Tuttavia è tentato di ideare e sperimentare combinazioni genetiche nuove e inedite in natura. L’uomo può pensare di progettare la vita come dice lui e non come gli è stata data. L’Unesco in proposito ha puntualizzato tre principi che sono a tutela dell’umanità: rispetto della dignità della persona umana, libertà della ricerca, solidarietà tra gli uomini. Comunque, dopo i primi entusiasmi si cominciò a capire che il libro non era di facile interpretazione e manipolazione perché progettato da un Architetto che con si cura della logica umana, che non si cura della nostra architettura, delle nostre leggi e per di più sembra mescolare il “rilevante con l’irrilevante” secondo il nostro modello di pensiero. Va aggiunto inoltre che il Dna è un filo lungo due metri contenuto dentro un nucleo della cellula che non è visibile all’occhio
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Il Dna (o genoma, o cromatina) è un filo lungo due metri contenuto dentro il nucleo della cellula, non visibile all’occhio umano.
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Ma cosa si intende per persona? Se alcuni esseri umani sono considerati persone ed altri no, ogni tutela è compromessa. E chi decide quali soggetti sono persone e quali no? In base a quali criteri? umano. Questo perché l’Ingegnere ha ideato tecniche molto sofisticate che solo adesso noi cominciamo a comprendere, ma che non siamo capaci di usare. La sequenza delle lettere è monotona, non ci sono segni di interpunzione e tutto sembra uno stereotipo. Adesso cominciamo a imparare che il linguaggio genetico ha regole diverse dalle nostre. L’Ingegnere svolge i temi e, prima di tradurli in proteine, li rilegge e li corregge. Usa molte parole che noi potremmo definire “pleonastiche” perché nel rileggere il tema le elimina secondo la sua logica. Tutti gli esseri
umani hanno lo stesso genoma, ma ciascuno di noi ha uno 0.1% di differenze nel proprio Dna che lo rendono diverso dagli altri, lo rendono più o meno suscettibile alle malattie, più o meno responsivo ai farmaci. Questo è quello che rende il nostro pianeta bello, straordinario e meraviglioso. La parte variabile del genoma è rappresentata dai cosiddetti meccanismi epigenetici che controllano come, quando e con quale intensità i geni devono lavorare, quanta proteina deve essere prodotta, quando devono essere spenti e come devono interagire con gli altri geni. Si tratta di meccanismi regolativi molto complessi, intricati più di un labirinto e nello stesso tempo estremamente numerosi. Sono un vero e proprio rompicapo. Non ci aspettavamo questa complessità, anche perché il Dna codificante è solo l’1.5%, tutto il resto lo ritenevamo “spazzatura”. Invece, niente c’è di irrilevante nel genoma, siamo noi che lo conosciamo poco. Dobbiamo avere molta umiltà, pazienza e soprattutto cautela perché il Dna ci precede di quattro miliardi di anni e quindi «qui addit scientiam, addit et laborem» (cfr. l’ultimo versetto del capitolo 1 del libro del Qoelet, che recita: «Molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere, aumenta il dolore»).
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Mengele è vivo e politicamente corretto Francesca Romana Poleggi
Il delirio di onnipotenza dell’uomo non incontra limiti, e quindi ecco che si intende spostare in là il termine di coltivazione degli embrioni umani in vitro. Sul Journal of Medical Ethics è apparso un articolo di Sophia Mc Cully, del King’s College di Londra, intitolato The time has come to extend the 14-day limit, nel quale si spiega perché è giunto il momento di estendere a 28 giorni il limite di coltura degli embrioni umani in vitro, e ampliare quindi la possibilità di farli oggetto di esperimenti. Fa notare l’avvocato e bioeticista Wesley Smith, sul suo blog Human Exceptionalism, che quando hanno cominciato a fare esperimenti sugli embrioni e sulle cellule staminali embrionali dicevano che avrebbero limitato le ricerche al massimo per 14 giorni dopo la fecondazione dell’ovulo in vitro. Dicevano - mentendo e sapendo di mentire - che l’embrione così giovane era solo un ammasso di cellule indifferenziate: dopo il 14° giorno, invece, le cellule cominciano a differenziarsi e quindi la sperimentazione si sarebbe fermata. Smith osserva che in realtà accettarono di vietare solo ciò che non potevano ancora - fare. Ora le tecniche di coltura hanno fatto progressi ed è quindi giunto il momento di spostare il limite fino a 28 giorni, rimangiandosi tutte le assicurazioni date in passato. Il che non è difficile per i maestri del relativismo.
Josef Mengele (1911-1979), noto anche come “l’Angelo della Morte”, era un ufficiale e medico delle SS che faceva esperimenti scientifici sui prigionieri.
IL RAPPORTO WARNOCK Nel 1984 la commissione inglese Human Fertilisation and Embryology pubblicò il rapporto Warnock, dal nome della sua presidente Mary Warnock (1924 -2019), una pedagogista e filosofa. Esso sosteneva che prima del 14° giorno dalla fecondazione l’embrione non può essere considerato un individuo biologico, perché solo al 14° giorno si evidenzia la comparsa della “linea primitiva” (che indica
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l’avvenuta differenziazione tra le cellule dell’embrione vero e proprio e le cellule che invece formeranno i tessuti placentari). Poi, però, uno studio realizzato alla Rockefeller University di New York e all’Università di Cambridge, pubblicato contemporaneamente su Nature e Nature Cell Biology, affermò che l’embrione umano è in grado di autoorganizzarsi autonomamente secondo un piano di sviluppo ordinato anche in assenza di segnali esterni. E molti studi suggeriscono che cambiamenti importanti nell’embrione si verificano ben prima di 14 giorni e possono influenzarne lo sviluppo successivo. Questo dovrebbe significare divieto assoluto di manipolazione di embrioni. Invece è usato come argomento per estendere la coltivazione in vitro di bambini destinati alla ricerca fino a 28 giorni.
La realtà è che un embrione, fin da quando è uno zigote, nel momento dell’incontro tra lo spermatozoo e l’ovulo, è un nuovo essere umano dotato di proprio Dna in grado di determinarsi, organizzarsi e svilupparsi in modo autonomo (il prestigioso British Medical Journal nell’editoriale del novembre 2000, affermava: «L’embrione non è passivo: è un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro»). Gli mancano solo tempo e nutrimento per diventare un bambino e poi un ragazzo, un adulto, un anziano… come un bocciolo verde, con il tempo, l’acqua e il sole diventa una rosa. Invece, secondo alcuni, ciò che conta veramente riguardo al valore morale e alla dignità del piccoletto è la... geografia. Elsejin Kingma sostiene che dalla posizione di un embrione, che si trovi nel grembo d’una donna o in una capsula di Petri, dipende il suo status morale e la sua dignità. Conclude quindi che
Un bocciolo di rosa ha solo bisogno di luce e acqua per diventare la rosa che già ha in sé.
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c’è una buona ragione per una distinzione morale tra embrioni “di ricerca” ed “embrioni riproduttivi impiantati”. Una grossa contraddizione di questi bioeticisti è che sono tutti favorevoli all’aborto libero e senza condizioni: e, allora, la dignità degli “embrioni riproduttivi impiantati” che fine fa? Convenzionalmente, un embrione umano viene definito feto a partire dalla nona settimana dopo la fecondazione. È legale abortire un bambino (“impiantato”) ben oltre i 14 giorni dopo che le cellule si sono differenziate. Perché, allora, non è lecito sperimentare su una creatura di oltre 14 giorni? E perché fermarsi a 28 giorni? Qual è il limite oltre il quale alla scienza non sarà mai permesso di andare? In certi luoghi - negli Stati Uniti e in Canada, per esempio - l’aborto è consentito fino alla nascita: perché non consentire gli esperimenti sui bambini fino a quel momento? Peter Singer, dell’università di Princeton, il filosofo preferito del New York Times, è uno di quelli che ritiene la vita umana, di per sé, moralmente irrilevante. Ciò che conta sono le capacità - come la consapevolezza di sé - che fanno guadagnare a un essere umano l’etichetta di “persona”. Gli embrioni non sono coscienti, quindi non sono persone. Ma nemmeno i feti. E nemmeno i neonati. Sono, quindi, non-persone. Allora perché non consentire la sperimentazione su di loro? Anzi, perché non pagare le donne che vogliono abortire affinché portino la gravidanza il più possibile avanti in modo da poter ottenere - tra l’altro - organi freschi? (l’idea è odiosa, ma c’è già stato qualcuno che l’ha proposta, nella letteratura bioetica). E se avremo la capacità di far crescere i bambini in uteri artificiali? Avremo la possibilità di coltivare le persone come fossero zucchine da raccogliere e consumare nel momento in cui ci sembra più utile? Gli esperimenti sui feti vivi erano leciti, in Usa, fino alla fine degli anni Sessanta, dice Smith. Sono stati interrotti solo perché ancora si credeva nella sacralità della vita umana. Ma se la vita umana non è sacra, se una persona non è tale per ciò che “è” ma solo per
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C’è chi sostiene che dalla posizione di un embrione, che si trovi nel grembo d’una donna o in una capsula di Petri, dipenda il suo status morale e la sua dignità
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È legale abortire un embrione o un feto molto «più vecchio» di 14 giorni e, con il consenso della madre, fare ricerche sui suoi tessuti, ma è illegale sperimentare su un embrione oltre i 14 giorni che non è mai stato destinato all'impianto. Perché?
ciò che “fa”, perché non ricominciare a farne? E perché tanto sdegno sussiegoso quando si parla del dottor Mengele? In fin dei conti, faceva esperimenti su “non-persone”. Probabilmente vogliamo un mondo in cui qualcuno abbia il potere di decidere quali esseri umani abbiano dignità di persona e quali no, chi merita rispetto e chi no. Quali vite sono “degne di essere vissute” e quali no. O, forse, la questione al momento ci interessa poco perché gli zigoti, gli embrioni e i feti, quando li smembri, non strillano. Non li sente nessuno, non disturbano.
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Meccanismi ed effetti della rivoluzione Luciano Leone
La psicanalisi, l’architettura, le arti figurative, la musica, infiltrate da ideologie mortifere, servono a destrutturare la società, a distruggere l’uomo La guerra, che si conduce sulla scena di questo mondo tra l’opera salvifica del Vero Dio e la rivoluzione di Satana e dei suoi satelliti, è una guerra senza quartiere e si avvale di ogni mezzo disponibile così nell’interiorità di ogni uomo come nella realtà esterna. La rivoluzione cerca di sconvolgere ogni logica, anche la più semplice ed evidente, per irretire l’uomo convincendolo a negare l’esistenza di Dio, la sua opera creatrice, la legge morale, il diritto naturale, la famiglia, i rapporti sociali, l’arte, l’urbanistica, le scienze, la medicina, per sconvolgere la realtà psichica della persona ed oggi, con il gender, persino la sua costituzione fisica.
La psicanalisi La psicanalisi ha fatto la sua parte. Nel 1951 Palmiro Togliatti poteva scrivere: «Partendo da Freud si può andare a finire in una casa Merlin (lupanare) o in un manicomio» (1, p.120), ma successivamente le forze rivoluzionarie, operando anche attraverso strutture accademiche come la Scuola di Francoforte, scoprirono l’utilità della psicanalisi per infiltrare la società, la giurisprudenza, persino la teologia e i seminari cattolici. Si rimane attoniti quando nel libro-
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e l’ipnosi indotta dalle droghe sono strumenti di dominio ben più efficaci di armi e prigioni. E che la sete di potere può essere soddisfatta nella sua pienezza inducendo le persone ad amare il loro stato di schiavitù, piuttosto che ridurle all’obbedienza a suon di frustate e calci. Insomma, penso che l’incubo descritto in 1984 sia destinato a evolversi in quello descritto in Il mondo nuovo, se non altro come esito di una necessità di maggiore efficienza». Suo fratello sir Julian Huxley (Londra, 18871975), biologo e genetista, direttore dell’Unesco, dichiarava: «Non abbiamo più bisogno di ricorrere ad una rivelazione teologica o ad un assoluto metafisico. Freud e Darwin sono sufficienti a fornirci la nostra visione del mondo» (2). La chiesa di San Paolo Apostolo a Foligno è una chiesa parrocchiale progettata da Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli Fuksas nel 2009
intervista Politique et société (recensioni del 01.09.2017) un prelato, che ha fatto poi vertiginosa carriera, dichiara spontaneamente (non sotto tortura) di aver fatto ricorso per sei mesi in Argentina ad una psicanalista, legata ad un’altra religione. Molto più sottile di Togliatti, lo scrittore inglese Aldous Huxley (Godalming, 1894-Los Angeles, 1963), fu affascinato da ipnosi e psicanalisi, entrò in contatto con il tenebroso occultista Aleister Crowley, fece uso dell’allucinogeno Lsd e della mescalina riferendo tali esperienze in Le porte della percezione (2). Nel 1932 pubblicava il romanzo Il mondo nuovo: in questo mondo del futuro tutta l’umanità è rigidamente sotto il potere di dieci “controllori” che organizzano l’indottrinamento psicologico, il controllo delle nascite (tutte rigorosamente artificiali) con selezione eugenetica, l’offerta consumistica di divertimenti. Anche la sessualità, regolata dai contraccettivi, è fortemente incoraggiata, per sviare qualunque impulso di ribellione e tensione, cosicché le persone sono dedite a legami assolutamente instabili e superficiali. Huxley così commentava il romanzo 1984 di George Orwell (Motihari in India, 1903-Londra, 1950), pubblicato nel 1948 ed incentrato sui totalitarismi: «Entro la prossima generazione chi tiene le redini del mondo scoprirà che il condizionamento infantile
L’architettura, l’urbanistica e le arti Anche colui che cerca di sfuggire alla manipolazione mentale dei media, non può sottrarsi all’influenza che architettura ed urbanistica esercitano. Heinrich Tessenow (Rostock, 1876-Berlino, 1950) architetto ed urbanista tedesco (nel 1934 venne estromesso
La Chiesa di San Donato ad Arezzo
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dalla sua cattedra universitaria ad opera dei nazionalsocialisti), notava: «L’architettura riguarda l’uomo nel suo complesso» (3). Andando al lavoro, a scuola, all’ufficio postale, al supermercato, in chiesa si è comunque influenzati da architettura ed urbanistica. Ecco una sentenza (capitale e mortifera) dell’architetto ed urbanista “moderno” svizzero-francese Le Corbusier (pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris) (La Chaux-deFonds 1887 – Roquebrune-Cap-Martin 1965): «Il cuore delle nostre antiche città, con le loro cattedrali e monasteri, dev’essere abbattuto e sostituito da grattacieli». Le arti figurative rispecchiano il medesimo processo di aggressione contro la vita. Ernest Hello (Lorient, 1828-1885), scrittore e critico letterario francese, scriveva: «Il volto umano è la più alta espressione dell’ordine visibile» (3). È sotto gli occhi di tutti vederlo sfigurato nei quadri di pittori del XX secolo. Si giunge infine alla pittura astratta, in cui non soltanto l’uomo, ma persino gli oggetti vengono disgregati e distrutti. Oggi nelle mani dei bambini vengono posti mostri transformers, disegni animati propongono tesi Lgbt (4). Molti videogiochi propongono immagini terrificanti, quale prima iniziazione al demoniaco. La produzione cinematografica bombarda lo spettatore di pornografia, di effetti speciali, di horror. La musica, che con la sua meravigliosa armonia ha influssi benefici sulla psiche, viene sostituita dai ritmi degradati pop, rock, rap. Il linguaggio stesso, concepito dall’uomo per comunicare, risulta compromesso nella glossolalia di Arthur Rimbaud (Charleville, 1854-Marsiglia, 1891) (5), nell’Ulisse di James Joyce (Dublino, 1882-Zurigo, 1941), nella poesia ermetica e futurista. Mentre immette nell’ambiente queste forze disgregatrici, la rivoluzione attacca direttamente le immagini positive, che richiamano storia e
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BIBLIOGRAFIA 1) Ennio Innocenti et al, Critica alla psicanalisi, Sacra Fraternitas Aurigarum, Roma 2011 2) Epiphanius, Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia. Controcorrente ed., Napoli 2008 3) Hans Sedlmayr, Perdita del centro. Le arti figurative dei secoli diciannovesimo e ventesimo come sintomo e simbolo di un’epoca. Rusconi ed., Milano 1974, pp.200, 204, 214 4) Mauro Faverzani, Sono i cartoni la nuova frontiera della propaganda LGBT, Corrispondenza Romana, 24.06.2020 5) Hans Sedlmayr, La rivoluzione dell’arte moderna Memorandum sull’arte ecclesiastica cattolica, Cantagalli, Siena 2006, p.73 6) Francesco De Remigis, Abusi sui bambini, allarme per gli imam pedofili, Il Giornale, 30.01.2011 7) Leone Grotti, Abusi: assolto il Cardinale George Pell. La caccia alle streghe è finita, Tempi, 07.04.2020 8) Stefano Brogioni, Orrore in chat, La Nazione, 12.07.2020
Il cardinale australiano George Pell (1941) è stato completamente scagionato dalle accuse infamanti che gli sono costate più di un anno di prigione. Quando è stato liberato, ha dato un nobile esempio di verità e di umiltà e ha espresso il desiderio di poter subito celebrare la Santa Messa.
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tradizione, cosicché vengono date alle fiamme Notre Dame a Parigi e la Cattedrale di Nantes (sono purtroppo soltanto i roghi più celebri), vengono profanate chiese in Francia, in Italia, in Cile, negli Stati Uniti, vengono devastate statue e lapidi, ad esempio “in onore” del Black Lives Matter (movimento Le vite dei neri contano: le vite degli altri? In Ohio il 20.07.2020 un bambino bianco di due anni è stato soccorso, mentre un attivista del Black Lives Matter gli teneva un ginocchio sul collo, ma non sembra che la notizia abbia avuto risonanza alcuna). La distruzione della storia e tradizione, infatti, e quindi della memoria rende il singolo e la collettività manipolabili dal Grande Fratello come nel romanzo 1984 di Orwell, dove il Ministero dell’Amore mantiene sotto crudele controllo i sudditi per mezzo della psicopolizia, e il Ministero della Verità “aggiorna” cioè manipola il passato e modifica la storia in base alla volontà del Potere in quel momento.
Alle origini della rivoluzione sessuale Wilhelm Fliess (Arnswalde, 1858-Berlino, 1928), otorinolaringoiatra, convinto sostenitore della bisessualità innata, postulava uno stretto rapporto tra attività genitale e mucosa nasale (evidente deformazione professionale otorinolaringoiatrica) e nel 1897 pubblicava un articolo sulla nevrosi nasale riflessa, che comprendeva cefalea, nevralgie, disturbi di vari organi ed apparati, curabile peraltro con la cocaina. Nel 1887 Fliess conobbe Freud e sino al 1904 fu in contatto con lui. Il rapporto terminò con accuse di plagio. (Oggi Fliess otterrebbe il premio internazionale teoria gender). Freud, se anche si voglia prescindere
Le forze rivoluzionarie scoprirono l’utilità della psicanalisi per infiltrare la società, la giurisprudenza, persino la teologia e i seminari cattolici
dai suoi rapporti interpersonali, concentra la sua attenzione e le sue teorie sulla sessualità. Wilhelm Stekel (Boiany in Bucovina, 1868-Londra, 1940), psicologo e psicoanalista austriaco, musicista e scrittore, assegnò grande importanza al simbolismo onirico, al tema della morte usando il termine greco thanatos, ed alla sessualità, tanto da essere accusato di pornografia. Coniò il termine “parafilia” in sostituzione della parola “perversione” (esempio di neolingua politicamente corretta). Entrato in contrasto con Freud nel 1912 fu espulso dalla Società Psicoanalitica di Vienna. Riparato a Londra per sfuggire alle persecuzioni razziali del nazionasocialismo, ammalato, morì suicida nel 1940. Queste teorie sono state artatamente diffuse e si sono affermate nella mentalità comune ed hanno causato la cosiddetta liberazione sessuale con queste conseguenze: sfacelo della famiglia, confusione e perdita di ruoli, dispersione ed insoddisfazione di genitori e figli, depressione, solitudine, omicidi tra coniugi, stragi sul tipo di Medea, suicidi. Quando poi si risveglia un desiderio narcisista di “possedere prole” (scrivo scientemente “possedere”), coppie omosessuali maschili ricorrono ad uteri in affitto, quelle femminili ad inseminazioni artificiali. Solerti legislatori dispongono che ciascuno «libito fe’ licito in sua legge» (Dante, Inferno, V, 56); in assenza di leggi già codificate sono sindaci e giudici, che si arrogano l’iniziativa di iscrivere questi bambini a tali coppie. E di recente la Corte costituzionale ha spalancato un portone alla possibile approvazione di una legge che consenta a un bambino di avere due mamme (e nessun papà). Una strana logica induce i medesimi cosiddetti intellettuali a scagliarsi con veemenza contro sacerdoti cattolici responsabili di veri o di presunti abusi sessuali su minori, ma non contro i responsabili di crimini analoghi in altre categorie (6). Il Cardinale George Pell, 80 anni, che in Vaticano indagava sulla corruzione infiltrata nell’amministrazione finanziaria, in Australia prima è stato sottoposto a gogna mediatica, poi imprigionato per un anno e due mesi, ma infine è stato prosciolto; durante la detenzione non solo è stato tenuto in isolamento, bensì, “in ossequio” ai diritti della libertà religiosa così cari alle democrazie
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«Il processo di disumanizzazione si rivolge non solo contro l’immagine dell’uomo in senso strettamente umano, ma contro l’uomo in generale. La presente situazione dell’uomo diventa nei simboli dell’arte di trasparente chiarezza» [Hans Sedlmayr (1896-1984, storico dell’arte)]
Pablo Picasso, Femme au béret et à la robe quadrillée (Marie-Thérèse Walter), 1937
anglosassoni, gli sono stati impediti Messa e breviario (7)! Svoltato l’angolo, i medesimi intellettuali inneggiano alla pedofilia: già nel 1977 il quotidiano della sinistra francese Libèration pubblicava il Manifesto in difesa della pedofilia, firmato dal “meglio” dell’intellighenzia sinistra dell’epoca: Louis Aragon, Roland Barthes, Simone de Beauvoir, Michel Foucault, André Glucksman, Felix Guattari, Jack Lang, Bernard Kouchner, Jean-Paul Sartre, Philippe Sollers. Essi hanno ottenuto buoni proseliti, poiché nel luglio 2020 una inchiesta della Polizia Postale Italiana ha identificato adolescenti dediti alla pedopornografia (8). Come ogni rivoluzione, la psicanalisi, e la connessa liberazione sessuale, ha recato copiosi frutti di dolore e di involuzione.
Celebre scultura di Piero Manzoni (1933-1963). Una scatola come questa (ne ha prodotte 90) è stata venduta da Christie’s nel 2012 per 120.000 euro.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
In cineteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
La battaglia di Varsavia 1920 Titolo originale: 1920 Battle of Warsaw Produzione: Polonia, 2011 Durata: 115 min. Genere: storico Regia: Jerzy Hoffmann Lenin nel 1920 è pronto a esportare il comunismo in tutta Europa e la gigantesca Armata Rossa invade la Polonia e arriva alle porte di Varsavia. I Polacchi pregano la loro Madonna Nera come pazzi, i vescovi consacrarono la nazione al Sacro Cuore di Gesù e scrivono una lettera accorata alle Chiese nel mondo e avvertono: «Il bolscevismo ha avvolto con una rete sovversiva, come un ragno, nazioni lontanissime dalla Russia [...] e oggi tutto è pronto per questa conquista del mondo. In tutti i Paesi vi sono schiere già organizzate, che aspettano soltanto il segnale di battaglia; fervono i preparativi di continui scioperi, che dovranno paralizzare la vita normale delle nazioni. La discordia fra le diverse classi sociali si sta trasformando in un odio esasperato e influenze internazionali bloccano astutamente ogni giudizio e autodifesa delle nazioni»: dopo Varsavia, infatti, l’Armata Rossa doveva avanzare fino a Poznan e poi fino a Berlino e a Parigi. I governi europei non fecero nulla, salvo l’Ungheria che fornì armi e munizioni. Ma papa Benedetto XV promosse preghiere per la Polonia. Il giornale socialista Avanti! lo derideva: «Il Papa fa assegnamento
sull’intercessione della Madonna. [...] Sta fresco il Romano Pontefice se crede nell’efficacia della Vergine! Tre milioni di soldati indossano la divisa russa. [...] Questi soldati e i loro cannoni varranno assai più che non tutti i Rosari del mondo». Ma il generale Jozef Pilsudski, con un piccolo esercito, fermò sul fiume Vistola il gigantesco nemico e lo costrinse a tornarsene in Russia. Si combatté tra il 13 e il 25 agosto, nei giorni in cui si festeggia l’Assunzione. Persino alcuni soldati bolscevichi videro la Vergine che guidava l’esercito polacco. Per acquistare il dvd sottotitolato in italiano, compilate il form su www.filmgarantiti.it.
maggio 2021
In biblioteca Liberalismo e cattolicesimo I mercanti nel tempio Roberto Marchesini Sugarco
Durante la Guerra Fredda l’ideologia liberale e il cattolicesimo hanno avviato un processo di avvicinamento in funzione anti-sovietica. L’ideologia che ha vinto il confronto con il comunismo e che, dopo la caduta della «cortina di ferro» sembrava destinata a governare il mondo, pare aver perso gran parte del suo fascino. Liberato da quello che sembrava essere il suo antagonista, il comunismo marxista, il liberalismo ha mostrato ai popoli un volto meno amichevole e invitante, sempre più simile a quello dell’antico avversario.
Il dominatore del mondo Robert Hugh Benson Gratis su www.totustuus.it
Considerato il capolavoro di Benson, risale al 1907 ed è ambientato in un immaginario futuro in cui un filantropo di nome Julian Felsenburgh, democratico, carismatico, fautore della pace mondiale, vuole realizzare un mondo ideale con l’avvento di un nuovo umanitarismo che predica la tolleranza universale, annullando le differenze fra le religioni e quindi di fatto azzerandole. La Chiesa Cattolica, in nome della tolleranza, viene perseguitata fin quasi alla sua completa eliminazione…
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Dal 1962 approfondimenti, inchieste, notizie e molto altro. Scoprilo in edicola tutti i mercoledì Diretto da Maurizio Belpietro