«LIBERTÀ E VITA»
(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
ANNO IX FEBBRAIO 2021 RIVISTA MENSILE N.93
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Don Clemente Eto Eto
Andrea Ingegneri
Francesca Romana Poleggi
Il Camerun reagisce alla propaganda abortista
Il diagramma della coercizione
La sindrome del criceto, intervista ad Alberto Contri
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Ogni persona apporta una ricchezza inestimabile al genere umano, fatta di pensieri, azioni e relazioni, affetti, gioie e dolori.
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Editoriale
«Qual è il senso della libertà? Qual è il suo significato sociale, politico e religioso? Si è liberi in partenza o lo si diventa con scelte che costruiscono legami liberi e responsabili tra persone? Con la libertà che Dio ci ha donato, quale società vogliamo costruire?» Queste domande, poste nel messaggio annuale dei vescovi in occasione della Giornata per la Vita del 7 febbraio, ci interrogano profondamente. Così, ispirati da esso, in questo numero si parla di libertà e di vita. A proposito della protezione della vita nascente, abbiamo la testimonianza di un sacerdote camerunense e la protesta di una nostra Lettrice su certi manifesti (di quelli che - essendo politicamente corretti - nessuno strappa o rimuove…). A proposito della fine della vita, abbiamo alcune riflessioni sulla disabilità e sull’eutanasia. Poi parliamo di libertà e di ingegneria sociale, di libertà educativa e della estrema libertà sessuale pretesa dai pedofili.
«Il binomio “libertà e vita” è inscindibile», dicono i vescovi. E ciò che le unisce è la responsabilità, la giustizia, la prudenza, la fortezza e la temperanza, senza le quali in nome di una libertà malata si pretende di calpestare il diritto alla vita altrui. «Dire “sì” alla vita è il compimento di una libertà che può cambiare la storia», perché ogni essere umano, “persona”, “fine ultimo”, anche la persona più comune e più anonima, dal concepimento alla morte naturale, apporta una ricchezza inestimabile al genere umano, fatta di pensieri, azioni e relazioni, affetti, gioie e dolori. Perciò da più di otto anni ormai Pro Vita & Famiglia è impegnata nella formazione e nella informazione tese «a conoscere e far conoscere la Verità che sola ci rende liberi veramente»: lo sanno i Cristiani («Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», Gv 8,31-32), ma lo sa comunque ogni essere umano razionale che senza la verità non ci può essere davvero libertà.
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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“La sindrome del criceto”: p. 32
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La cultura della vita e della famiglia in azione
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Il Camerun reagisce alla propaganda abortista
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Ringraziamo le femministe?
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Mirko Ciminiello
Don Clemente Eto Eto
Carla Montanari
Un appello dei medici svizzeri
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Se solo si cambiasse prospettiva
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Una festa a sorpresa
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Il diagramma della coercizione
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Tommaso Scandroglio
Anna Porelli
Stefano Martinolli
Andrea Ingegneri
“La sindrome del criceto”:
intervista ad Alberto Contri
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Sdoganare la pedofilia
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Francesca Romana Poleggi
Umberto Camillo Iacoviello
Il mondo antiorario
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Il principio di uguaglianza e la parità scolastica
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Claudio Vergamini
Gianfranco Vanzini
In cineteca
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In biblioteca
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RIVISTA MENSILE N. 93 — Anno IX Febbraio 2021 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Mirko Ciminiello, don Clemente Eto Eto, Silvio Ghielmi, Umberto Camillo Iacoviello, Andrea Ingegneri, Carla Montanari, Francesca Romana Poleggi, Anna Porelli, Tommaso Scandroglio, Gianfranco Vanzini, Caudio Vergamini
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Videogiochi pro choice Florencia Rumpel, un’attivista pro aborto argentina, ha creato una versione del controverso videogioco Doom (criticato, negli anni Novanta quando è stato prodotto, perché molto violento) intitolata Doom Fetito. Il giocatore, dopo aver ucciso donne pro life, sacerdoti e poliziotti, completa il gioco sparando a un bambino non ancora nato con un fucile. Ucciso il nascituro, il gioco mostra il messaggio: «Hai sconfitto il piccolo feto! Dai il misoprostolo [le prostaglandine che si
usano per l'aborto farmacologico] a chi ne ha bisogno, così che anche lei possa sconfiggerlo!». Esiste già un altro gioco, Rise of the Triad, in cui attraverso un viaggio nel sistema riproduttivo di una donna bisogna distruggere tutti gli embrioni, cloni del “cattivo” che deve distruggere il mondo. Nel frattempo i manifesti di Pro Vita & Famiglia vengono censurati perché “violenti”.
“Ideona” transgenderista Un popolare blogger transgender "Zinnia" Jones, che su Twitter si firma "Zinnia, demone adulta" e che si autodefinisce "Orlando attivista trans e scrittore scientifico", ha pensato bene di controbattere a chi ritiene che non si possano dare i bloccanti della pubertà ai minorenni non ancora in grado di esprimere il consenso in modo autonomo. Ha detto che l'incapacità di agire e di comprendere le conseguenze a lungo
termine delle proprie scelte è in realtà un motivo valido per dare a ogni singola persona, sia cisgender (cioè normale) sia transgender (cioè sessualmente confusa) i bloccanti della pubertà fino a quando non avrà acquisito la capacità di scegliere se confermare il proprio sesso biologico o passare all'altro (oppure ad “altro”, indefinito).
Pornhub sotto accusa 40 vittime sopravvissute ad abusi sessuali hanno fatto causa per 40 milioni di dollari a Pornhub, il più grande sito di pornografia on line, e a MindGeek (la società madre di Pornhub) per aver tratto profitto da video girati illegalmente, senza il consenso dei protagonisti. Da quando il New York Times ha pubblicato il servizio di Nicholas Kristof sull’enorme quantità di stupri e abusi sessuali presenti quotidianamente su Pornhub, il sito ha eliminato oltre 10 milioni di video, fino al 60% dei suoi contenuti, per evitare responsabilità. Ciò non è bastato per evitare la denuncia delle vittime alla casa di produzione Girls Do Porn che ha caricato i video su Pornhub, che ha prontamente monetizzato i video e ha raccolto i profitti e si è rifiutata di rimuoverli anche dopo che alle vittime è stato assegnato un cospicuo risarcimento a seguito della causa civile vinta. Girls
Do Porn pare imprigionasse le persone nelle stanze d’albergo per girare scene di abuso e di violenza molto “realistiche”. La posta in gioco è incredibilmente alta per Pornhub. Se le cause legali avranno successo, ci saranno forti limitazioni al caricamento di video e una marea di regole da rispettare. Il Congresso degli Stati Uniti dovrebbe anche approvare l’Earn it Act, che consentirebbe finalmente a piattaforme digitali come Pornhub, Twitter e Facebook di essere ritenute responsabili se aiutano e favoriscono la distribuzione o il consumo di materiale pedopornografico. Bisognerebbe anche incoraggiare le società di carte di credito a rescindere i contratti con l’agenzia che fa pubblicità su Pornhub.
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Guerra alla razionalità e alla natura L’avvocatessa Bernardini De Pace, su La Stampa, ha sputato fuoco e fiamme sulla facoltà di Psicologia dell'Università Europea di Roma e sull’integerrima professoressa Claudia Navarini per aver consigliato come libro di testo il manuale di Bioetica del cardinale Sgreccia, che sui temi dell'aborto e dell'omosessualità rispecchia fedelmente la dottrina della Chiesa e la
ragione naturale. In nome della laicità si pretende che la Chiesa non insegni più queste verità: evidentemente il laicismo vuol chiudere ogni possibilità di dialogo con i cattolici. Ma allo stesso tempo chiude le porte alla ragione e alla natura che per certi versi vengono tanto idolatrate.
La censura non colpisce solo i manifesti di Pro Vita & Famiglia… La dittatura del politicamente corretto non censura solo i nostri manifesti. Un cartellone pubblicitario che mette in guardia dall’assecondare il transgenderismo nei minorenni, a Los Angeles, è stato rimosso dopo un giorno e mezzo. L’affissione era stata regolarmente pagata da un gruppo di genitori e posizionato a un isolato di distanza dall’ospedale Kaiser West-LA, dove si pratica la chirurgia plastica per la “riassegnazione del sesso”. Il manifesto chiedeva: «Perché così tanti dei nostri giovani pensano di essere transgender?
Conosci i fatti prima di fare una scelta che cambia la vita. Leggi questo libro»; e vi era riprodotta un’immagine della copertina di Irreversible Damage : The Transgender Craze Seducing Our Daughters (Danno irreversibile: la follia transgender che seduce le nostre figlie) della giornalista Abigail Shrier. Lo stesso cartellone doveva esser esposto a Dallas, ma l’impresa incaricata all’ultimo si è tirata indietro e ha rotto il contratto.
… e certe notizie che non fanno notizia La stessa censura ha calato una spessa coltre di silenzio sulla sentenza dell’Alta Corte di giustizia britannica a favore di Keira Bell, che a 23 anni ha vinto la causa intentata contro il Tavistock Center di Londra per essere stata irrimediabilmente mutilata e danneggiata dagli ormoni e dalle operazioni subite quando aveva 16 anni e pensava di voler “diventare maschio”. Una sentenza
del genere, che dice chiaramente che i minori non possono manifestare validamente il consenso alle terapie ormonali per bloccare la pubertà e cambiare sesso, avrebbe dovuto fare scalpore… Invece negli Stati Uniti è stato dato un impressionate risalto mediatico all’outing dell’attrice Ellen Page, che ha detto di sentirsi maschio e di chiamarsi Elliott.
Diritti negati ai genitori cristiani In Australia, due coppie sono alla sbarra perché si oppongono all’ideologia omo-transessualista. Byron e Keira Hordyk sono stati dichiarati inadatti ad adottare perché hanno detto che se si fosse presentato il caso, avrebbero aiutato un figlio a superare la confusione sessuale: ciò, secondo l’agenzia per le adozioni, non garantisce un ambiente di vita sicuro per il bambino.
A un’altra famiglia australiana è stata tolta la figlia adolescente, presa in cura dai servizi sociali del Queensland, perché i genitori sono stati giudicati “abusatori e potenzialmente dannosi” per non aver acconsentito al trattamento ormonale della stessa per “cambiare sesso”. I due casi sono finiti in tribunale.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Cara Redazione, ho passato una vita in grandi e piccoli ospedali. Dalle nuove patologie, alle camere mortuarie, dall’interventistica, alla fisica nucleare, alla terapia radiante, alla diagnostica per immagini e i suoi diversi impieghi. Ho visto ogni sorta di pulsione di vita. Uomini anziani e non lottare per l’ultimo respiro. Donne, bimbi e feti lottare eroicamente per la vita. Le madri per quella dei loro figli. Mia moglie è stata una di quelle . Dopo tanta sofferenza, ora ho un figlio e tre nipoti stupendi. Ho visto avvilenti e devastanti pulsioni di morte. A queste pseudo-persone, io darei un vasetto coi resti di feti in formalina di ogni mese di gestazione e anche quelli aspirati e smembrati. Bisogna meditare e capire la disumanità delle leggi degli uomini , che ormai non son più uomini. Prego tutti di respingere e liberarsi dalle pulsioni di morte. Solo così si può essere felici e sereni. Lottiamo per aiutare i fratelli sfortunati che ne sono schiavi. Paolo
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Versi per la vita LA SILENZIATA GUERRA Benché nascosta è proprio vera guerra! La più maligna fatta tra le genti, perché diretta contro i più innocenti che cercan di arrivare sulla Terra. Per loro, è detto, con sogghigno tosto: «Dato il progresso, ormai, non c’è più posto. Disturba l’ecologico bilancio, è contributo per l’effetto serra» e lo si afferma con ardito slancio. Così la maledetta procedura, scorre, tranquillamente, come un fiume che porta tanti scarti alla sua foce. Continua nel suo corso, e non c’è una voce e neanche un minimissimo barlume di luce, ma un silenzio che perdura.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello
Come di consueto presentiamo ai nostri Lettori un resoconto delle principali attività svolte dai nostri circoli territoriali. Come sempre, il nostro grazie giunga a tutti i volontari che in tutta Italia hanno reso possibile trasformare la cultura della vita e della famiglia in azione. Il 30 novembre, Jacopo Coghe ha organizzato una diretta Facebook Omotransfobia: quando l’ideologia si trasforma in legge, con la partecipazione dell’avvocato Alessandro Fiore.
Sempre il 2 dicembre - A Crotone, anche grazie all’interessamento del nostro volontario Pasquale, il Consiglio Comunale della città ionica ha approvato una mozione contro la pdl Zan.
L’11 dicembre, Jacopo Coghe ha condotto, assieme a Benedetto Delle Site (Presidente UCID Giovani Lazio e Vicepresidente UCID Giovani nazionale) e Michael Severance (Direttore Affari e Relazioni Esterne presso l’Istituto Acton), il webinar La scuola è finita? Lockdown, diritto all’istruzione, libertà educativa, organizzato dal Gruppo Giovani dell’UCID all’interno del ciclo di incontri Osservare, giudicare, intervenire. Con la partecipazione di Suor Anna Monia Alfieri (Esperta di Politiche scolastiche e Delegata U.S.M.I. nel Consiglio Nazionale Scuola Cattolica), Gian Luca Galletti (Presidente nazionale UCID), Riccardo Pedrizzi (Presidente UCID Gruppo Regionale Lazio e Presidente Comitato Tecnico Scientifico UCID nazionale) e Mons. Paolo Selvadagi (Vescovo Ausiliare di Roma e Consulente spirituale UCID Gruppo Regionale Lazio).
Il 4 dicembre, PVF ha organizzato via Zoom, assieme alla piattaforma “Ricostruire” e all’associazione “Vera Lex?”, un web-pressing per difendere gli studenti disabili e le scuole pubbliche paritarie. È intervenuta Maria Rachele Ruiu.
Ma l’evento principale della fine dello scorso anno è stato l’inizio, il 7 dicembre, della campagna di affissioni e camion vela #dallapartedelledonne, contro la pillola abortiva RU486. Non possiamo non rendere un doveroso
Il 2 dicembre PVF ha organizzato via Zoom il primo di una serie di webinar dedicati esclusivamente agli amici più attivi di PVF: saranno incontri di formazione e di scambio di vedute, di domande e risposte per approfondire i temi bioetici di attualità e le nostre campagne. Il titolo del primo incontro è stato: RU486. Cosa succede?.
PRENDERESTI MAI DEL VELENO? febbraio 2021
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STOP ALLA PILLOLA ABORTIVA RU486: mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo.
#dallapartedelledonne
Campagna di sensibilizzazione promossa da Pro Vita & Famiglia Onlus per la tutela del diritto fondamentale alla vita (art. 2 Cost.) e del diritto alla salute (art. 32 Cost.) sui rischi della somministrazione della pillola RU486. Questa affissione costituisce espressione del diritto alla manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) finalizzata a suscitare un dibattito plurale e la riflessione critica. Non è idonea a ledere diritti e libertà positivamente previsti dalla legge. foto © photo-fitness - stock.adobe.com
grazie a tutti i volontari che in tutta Italia hanno prestato in modo ammirevole le loro energia per trasformare “la cultura della vita e della famiglia in azione”. A Bergamo, i volontari del locale Circolo di PVF hanno partecipato a una veglia di sostegno organizzata dalle Sentinelle in Piedi in seguito alla rimozione dei manifesti da parte del sindaco orobico Giorgio Gori. Stessa cosa è avvenuta il 21 dicembre a Milano. Il 14 dicembre, a Firenze, i volontari di PVF Toscana, assieme ai rappresentanti di altre associazioni pro-life e pro-family, hanno partecipato a un presidio nei pressi del Consiglio Comunale e firmato un comunicato sul caso dei progetti gender proposti fin dalle scuole primarie e finanziati con fondi pubblici tramite il programma “Le Chiavi della città”. Sempre il 14 dicembre, Francesca Romana Poleggi e Maria Rachele Ruiu, assieme al dottor Angelo Francesco Filardo, hanno partecipato a un dibattito pubblico via Zoom e diretta Facebook sulla RU 486, organizzato
dall’associazione Enzo Tortora - Radicali Italiani. Il confronto si è tenuto con Giulia Crivellini, avvocato e tesoriera dei Radicali Italiani; Sara Martelli, coordinatrice di “Aborto Al Sicuro”; Silvio Viale, ginecologo. Il 21 dicembre, si è tenuta una nuova edizione del progetto “Un Dono per la Vita”, con cui PVF consegna passeggini, culle, pannolini, ciucci e biberon ad alcune mamme che stanno affrontando o hanno affrontato una gravidanza in difficoltà, non solo dal punto di vista economico. Segnaliamo anche due interventi di Jacopo Coghe, il 7 dicembre su Byoblu e il 9 dicembre su Radio 24, a La Zanzara. IV edizione "Un dono per la vita"
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Il Camerun reagisce alla propaganda abortista
Don Clemente Eto Eto
La cultura della morte diffonde i suoi miasmi anche in Africa. Pubblichiamo la testimonianza di un sacerdote camerunense che serve come cappellano in un grande ospedale romano, il quale ci spiega come i giovani pro vita di Ebolowa stanno reagendo alla propaganda mortifera. Tanti Paesi del mondo concedono oggi il “diritto” di aborto alle donne. In Camerun, il progetto Advocacy for Comprehensive Abortion Care (ACAC) sta facendo una campagna a favore dell’aborto sicuro. Non importa che l’aborto procuri al feto una sofferenza insopportabile prima della morte precoce. Non importa che crei un dramma psichico e morale che le donne vivono anche molti anni dopo. Noi, poiché sappiamo che l’embrione è un essere umano, proponiamo ai giovani di Ebolowa, nel Sud Camerun, un’educazione e una formazione che prevengano “l’aborto sicuro” e favoriscono l’accoglienza della vita nascente. I giovani nativi digitali, essendo sempre connessi, risultano essere informati in molti campi della vita, e particolarmente rispetto alle abitudini sessuali diffuse negli altri Paesi. Ciò ha portato anche in Africa centrale a un incremento di alcune pratiche che non esistevano nella cultura tradizionale, come ad esempio i rapporti sessuali precoci e il ricorso all’aborto. Fino a pochi anni fa, la verginità
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era da preservare assolutamente prima del matrimonio e l’aborto era difficilmente praticato poiché un bambino era considerato dono prezioso di Dio. Anche nel caso di una gravidanza precoce la giovane veniva sostenuta e accompagnata da tutta la famiglia fino alla nascita del bambino, che diventava così “figlio dei nonni”: non di rado, era il nonno stesso a dargli il cognome. Nella cultura originaria dell’Africa centrale, le persone sono la prima ricchezza della società: è un vero prestigio avere una famiglia numerosa ed essere nati in tanti. Oggi la realtà è però mutata perché sono in aumento le gravidanze delle teenager e si sta diffondendo la pratica dell’aborto clandestino.
Le cause sono diverse: il consumo di droga, la povertà, la promiscuità, la mancanza di educazione e di lavoro... Oggi c’è una vera promozione dell’aborto nella maggioranza dei paesi del mondo. Viene presentato anche in Camerun come una pratica utile per “salvare” la vita delle donne altrimenti ricorrerebbero all’aborto clandestino. Nel marzo 2018, il Ministero della Salute Pubblica del Camerun ha pubblicato le Norme e standard in materia di salute riproduttiva: va notato che in Camerun, l’articolo 337 del codice penale del 4 marzo 2018 condanna l’aborto, salvo in alcuni casi e circostanze previste dall’articolo 339. Inoltre, uno studio
I giovani di Ebolowa
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Notizie Pro Vita & Famiglia
In Avortement La Loi Du Silence Documentaire 2015 - ARTE (visibile in francese a questo link: https://vimeo. com/123441942), quattro donne tedesche rompono la coltre di silenzio che ancora oggi circonda l’aborto. La regista, Renate Günther Greene ha avuto un aborto all’età di 25 anni. Dopo decenni di negazione del lutto, il suo ritorno nei luoghi dell’intervento l’ha sopraffatta con dolore. Ha quindi cercato donne con esperienze simili, ma ha incontrato un muro di silenzio. Perché, se negli anni Settanta avevano rivendicato a gran voce il diritto di disporre del proprio corpo, le donne trovano così difficile parlarne? La regista ha incontrato una donna che, da adolescente, è sprofondata nell’anoressia prima di scoprire che la sua sensazione di essere “gemella” non era pazzia, ma era verità: sua madre l’aveva abortita. Un’altra donna ha detto: «A sentirli, era innocuo come sottoporsi a un’operazione di appendicite» e invece… Frasi come: «Sprecherai il tuo futuro!» e il confortante vocabolario dei medici, che parlano di «grappoli di cellule embrionali» per designare il feto, negano alle donne il diritto di essere informate sulla verità dell’aborto. Su dieci pazienti che hanno abortito, quattro riscontrano uno stato di stress post-traumatico, sviluppano una vera patologia e necessitano di un follow-up psicologico. «Ho ucciso un bambino», ha detto una delle donne intervistate, che ne è venuta fuori mettendo su famiglia e facendo prevenzione nelle scuole.
demografico e della salute compiuto in un lasso di tempo che va dal giugno 2018 al gennaio 2019 dall’Istituto Nazionale di Statistica, in collaborazione con il Ministero della Salute ha rilevato che le gravidanze nelle adolescenti sono del 24%, di cui il 5% è costituito da prime gravidanze, mentre il restante 19% da ragazze che già hanno almeno un figlio. Il 28 settembre 2020, in occasione della celebrazione della Giornata mondiale del “diritto” all’aborto, è stato pubblicato dal quotidiano Cameroon Tribune, giornale ufficiale del Camerun, uno studio documentato circa tale problematica. Ginecologi e ostetrici che lavorano nelle strutture ospedaliere del Camerun testimoniano di ricevere ogni giorno donne in gravi condizioni a causa delle conseguenze di aborti praticati in modo precario e privo di sicurezza. Per la Society of Gynecologists and Obstetricians of Cameroon (Sogoc) l’unica soluzione a un tale problema sarebbe quella di diffondere l’idea nel popolo, soprattutto nei ceti meno abbienti, che vi è la possibilità di praticare l’aborto in piena sicurezza. Tale campagna a favore di un “aborto sicuro” è stata portata avanti dal suddetto progetto Advocacy for Comprehensive Abortion Care (ACAC), che si propone di offrire l’aborto facilmente e con pochi soldi. La diffusione di tale campagna è destinata soprattutto alle giovani che vivono nelle realtà più povere e rurali. Il governo, dal suo canto, cerca di sensibilizzare gli adolescenti a questo problema attraverso l’invito all’astinenza e all’uso dei preservativi. Ma vi è anche un’altra soluzione efficace da prendere in considerazione: quella di educare e formare i giovani. Ci proponiamo di formare dei militanti pro vita con un gruppo misto di 50 ragazzi della città di Ebolowa, nel Sud Camerun, che hanno dai 18 ai 25 anni e un livello di studio corrispondente almeno alla maturità. Con loro promuoveremo dei corsi di educazione alla relazione affettiva, alla gestione della propria sessualità in ordine ai grandi valori del matrimonio e della vita, oltre a far conoscere i metodi di
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Nathanson mostra "Il Grido Silenzioso"
regolazione della fertilità rispettosi della dignità umana e della integrità della persona. Ci impegneremo inoltre ad accompagnare, in caso di necessità, i giovani, e specialmente le giovani donne, nell’accogliere la vita nascente. Non possiamo rimanere indifferenti alle testimonianze sulla verità dell’aborto. Vediamo insieme L’urlo silenzioso (The Silent Scream) di Bernard Nathanson: il medico abortista che si convertì alla causa pro vita dopo che con l’ecografia fu possibile vedere la reazione, potremmo dire il tentativo di difesa disperata, del bambino aggredito nel grembo dagli strumenti che gli avrebbero tolto la vita. Nathanson fu quello che denunciò l’enorme menzogna che era stata pianificata a tavolino per indurre le femministe a schierarsi compatte a favore dell’aborto: inventarono di sana pianta “un milione di donne morte per aborto clandestino”.
Un altro filmato da vedere è: Aborto: la legge del silenzio, un documentario sulle conseguenze nascoste dell’aborto, che riporta quattro testimonianze di donne che hanno fatto ricorso all’aborto nella loro gioventù. Sono ancora vivide le loro espressioni di sentimenti di tristezza, di profondo senso di colpa, di vergogna e di disperazione, per avere sacrificato un bambino, che allora pareva “rovinare il loro futuro”. Non mancheremo
Proponiamo ai giovani di Ebolowa, nel Sud Camerun, un’educazione e una formazione che prevengano “l’aborto sicuro” e favoriscano l’accoglienza della vita nascente.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
poi di vedere Unplanned, la storia della conversione di Abby Johnson da direttrice di una clinica della Planned Parenthood a convinta testimone pro vita. È evidente che in Europa e in America la propaganda abortista non si è fatta scrupolo di mentire alle donne, alle istituzioni, alla società per imporre la sua agenda anti-vita. Oggi lo sta facendo anche in Africa. Parlare dell’aborto oggi implica la necessità di un discorso ampio che abbracci tanti ambiti di studio e di ricerca, non solo in ginecologia e ostetricia, ma anche nell’ambito del diritto, della filosofia, della psicologia, dell’antropologia, della sociologia, della teologia e della bioetica. Pensiamo che, con l’aiuto degli esperti e l’educazione e la formazione dei giovani, sia possibile promuovere l’accoglienza della vita lottando contro l’aborto procurato e favorendo una prevenzione anzitutto culturale, in linea con il magistero dell’Evangelium Vitae. L’educazione della sessualità deve integrare anche l’educazione all’accoglienza della vita concepita, da realizzare attraverso l’informazione sulla realtà dell’embrione nelle prime fasi della sua esistenza e la formazione all’agire responsabile della madre,
del padre, di medici, infermieri, politici, pastori, insegnanti, tutti devono assumersi le stesse responsabilità di fronte al fatto procreativo. L’embrione umano merita rispetto e considerazione fin dal giorno del concepimento, tenuto conto della sua natura e della sua identità. Non è una semplice massa cellulare, ma piuttosto una persona umana, perché «è già uomo colui che lo sarà», come diceva Tertulliano. La nostra proposta educativa parte dal presupposto che la vita umana è un valore supremo, non negoziabile, fin dall’istante del suo concepimento. La sua accoglienza presuppone il riconoscimento del suo valore intrinseco (della sua sacralità). L’accoglienza della vita si realizza attraverso il riconoscimento, la difesa, la cura e la promozione. La vita nascente va amata e rispettata. È in ultima analisi, un incalcolabile dono che Dio fa all’uomo e che l’uomo, da parte sua, accoglie, cura, ripara, protegge, e fa crescere. L’attuale contesto socio-culturale che fatica a riconoscere “persona” l’embrione impone a coloro che testimoniano la verità di operare per difendere la vita umana nel suo sorgere, contro tutto ciò che, culturalmente, legalmente, istituzionalmente la può minacciare.
I giovani di Ebolowa
Fino a pochi anni fa, la verginità era da preservare assolutamente prima del matrimonio e l’aborto era difficilmente praticato poiché ogni bambino era considerato dono prezioso di Dio.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Ringraziamo le femministe? Una nostra Lettrice di Bologna, la signora Carla Montanari, ci ha inoltrato la lettera che ha inviato, senza ricevere alcuna risposta, al presidente del Quartiere Santo Stefano. Nel testo la signora lamenta l’affissione, in una via di Bologna, di un manifesto che ritrae una figura incappucciata che fa un gesto volgare con la mano. E, guarda caso, dato che il soggetto non è il nostro “Michelino” concepito da 10 settimane, né il nostro appello affinché le donne vengano informate sui pericoli della RU-486, pare che tali manifesti non disturbino nessun altro, a parte la nostra Lettrice.
«Io, uomo faccio i miei comodi e poi tu ti arrangi: lascio a te sola la responsabilità di vita o morte. E lo Stato, sessista, tace e avalla».
Buongiorno. sono una cittadina bolognese e vorrei segnalare un fatto che ha urtato profondamente la mia sensibilità. Percorrendo viale Gozzadini mi sono imbattuta in una immagine esposta alla vista di tutta la cittadinanza (si veda la foto qui a lato, ndR). Al di là del contesto, sicuramente ha come scopo sensibilizzare l’opinione pubblica sui tanti temi affrontati in difesa delle donne dai vari movimenti femministi. Temi che però hanno fatto il gioco degli uomini: far passare come conquista l’ennesimo scaricabarile che la società sessista e maschilista fa sulla donna [con l’aborto, ndR] è vile. Io uomo faccio i miei comodi e poi tu ti arrangi: lascio a te sola la responsabilità di vita o morte. E lo Stato, sessista, tace e avalla. Lo Stato che si fa portatore di morte perché manca la volontà e la rettitudine, perché è più semplice avallare un omicidio mascherato da libertà che rimboccarsi le maniche e fare leggi che sostengono la vita. Io ero una femminista e lo sono ancora, ma una femminista senza prosciutto sugli occhi. Giusto aiutare le donne sul lavoro, in famiglia, dare anche a loro la possibilità di costruire un mondo migliore. Ma l’aborto non c’entra nulla con questo. Dio ha dato all’uomo il compito di amare e sostenere la donna e la famiglia. Gli uomini, tutti gli uomini, che con azioni od omissioni permettono questo scempio ne risponderanno davanti a Lui. Questa immagine in particolare rappresenta in realtà una sconfitta, in quanto l’aborto deve essere
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considerato per quello che è: una tragica scelta, spesso obbligata, che porta alla soppressione precoce di una vita umana. Che in tanti anni non si siano trovate alternative da proporre a quelle donne che con disperazione (e auspico mai con leggerezza) ricorrono a questo gesto capace di generare solo dolore e angoscia, è un interrogativo al quale non so dare una risposta. E le alternative sarebbero molto semplici, basterebbe dare alle donne la possibilità di una scelta vera, perché sostenute nei loro bisogni di avere una casa o un lavoro; un sostegno concreto e decisivo alla maternità, una compagnia che spezzi l’inferno della solitudine in cui spesso sono lasciate. In ogni caso non mi sembra opportuno inneggiare all’aborto come a una conquista e disegnare un bambino nel grembo (ucciso o da uccidere) come un trofeo. A mio parere l’Amministrazione dovrebbe dissociarsi, o per lo meno rimanere neutrale rispetto a una tematica che, più che toni trionfalistici, dovrebbe assumere toni quanto
mai dimessi, per l’argomento delicato che tratta. Mi chiedo poi se come cittadina ho diritto a chiedere che anche la mia sensibilità possa trovare ascolto o debbo girare la testa dall’altra parte perché c’è chi ha più diritto di me di mettere in piazza il suo pensiero? C’è infine qualcosa di taciuto in questa immagine. Una domanda silenziosa che qualsiasi donna potrebbe fare e che dovrebbe essere scritta proprio lì. La domanda è: «E se io volessi tenere il mio bambino… chi mi aiuta?» Ci si consenta una piccola nota a margine: come mai le femministe di fine Ottocento - primi del Novecento (Elisabeth Candy Stanton, Elizabeth Blackwell, la prima delle donne medico degli Stati Uniti, Susan B. Anthony) erano decisamente anti abortiste? Chi lo sa, chi lo dice, che il Naral (National Abortion Rights Action League) di Lader e Nathanson (due maschi) non riusciva a convincere il movimento femminista di Betty Friedan ad aderire alla battaglia per la legalizzazione dell’aborto, sicché inventò di sana pianta “un milione di donne morte” ogni anno per aborto clandestino? .
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Un appello dei medici svizzeri Tommaso Scandroglio
I cittadini svizzeri sono invitati a compilare le Disposizioni del paziente, ossia quelle che da noi vengono chiamate Dat, Disposizioni anticipate di trattamento. Con la recrudescenza del coronavirus avvenuta in autunno, la Federazione dei medici svizzeri (FMH) verso novembre ha rinnovato l’appello ai cittadini a compilare le Disposizioni del paziente, ossia quelle che da noi vengono chiamate Dat, Disposizioni anticipate di trattamento. Vedremo che questo documento da una parte può permettere le migliori cure per il paziente non cosciente, rifiutando altresì pratiche che potrebbero configurare accanimento terapeutico, e su altro fronte consente l’eutanasia. Analizziamo le sezioni salienti di questo documento. Al punto n. 1 è assente la verifica che la compilazione delle Disposizioni siano avvenute liberamente da parte del dichiarante e non sotto costrizione oppure in uno stato di non perfetta lucidità. In secondo luogo, il riferimento alla incapacità di discernimento, condizione che rende operative le Disposizioni, è espressione assai vaga, imprecisa. Anche una persona sotto i fumi dell’alcool o sotto effetto di sostanze psicotrope a volte è «incapace di discernimento». Inoltre, anche in questo caso, non vengono indicate le persone e le modalità per verificare questo stato di compromissione della coscienza. Aggiungiamo che per la redazione delle Disposizioni non è necessario il consulto o l’ausilio di un medico (cfr. punto n. 3).
Passiamo alle sezioni più rilevanti. Tra le varie opzioni che il dichiarante può vistare abbiamo la seguente, che così recita: «Con le mie disposizioni desidero innanzitutto ottenere che il trattamento medico serva soprattutto ad alleviare le sofferenze. Il prolungamento della mia vita a ogni costo per me non ha priorità. Sono cosciente del fatto che rinunciando a determinati trattamenti medici la mia vita
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potrebbe essere accorciata» (punto n. 2). Questa affermazione può esprimere il divieto di accanimento terapeutico, ma anche aprire le porte a pratiche eutanasiche. Infatti, nel rispetto delle volontà del dichiarante appena descritte, il medico potrebbe interrompere cure salvavita per evitare alcune sofferenze sopportabili a carico del paziente. In breve: uccidere il paziente per non farlo soffrire. Sempre al punto n. 2 il documento chiede al dichiarante di illustrare quali siano le sue convinzioni sulla vita, sulla qualità della stessa, sulla malattia, sull’agonia, sulla morte, quali le sue paure, «quali limitazioni o dipendenze farei fatica ad accettare». Insomma, sono proprio quelle domande che si fanno per capire se il futuro paziente è favorevole o meno all’eutanasia, quindi si sposano maggiormente con una visione pro-eutanasia piuttosto che con un approccio terapeutico. Proseguiamo. Il punto n. 3 esprime un evidente favore per le pratiche eutanasiche.
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In sostanza i medici svizzeri suggeriscono ai pazienti Covid di lasciarsi morire, così da liberare preziosi posti letto.
Infatti, una delle due opzioni che si possono scegliere è la seguente: «Nel caso in cui in seguito ad un evento acuto inatteso perdessi la capacità di discernimento e che, dopo le prime misure urgenti di soccorso e un’accurata valutazione medica, fosse appurata l’impossibilità o l’improbabilità che io riacquisti la mia capacità di discernimento, chiedo che si rinunci a ogni misura destinata unicamente a prolungare la mia vita e le mie sofferenze». In breve: se è prevedibile che io non possa più essere cosciente, non curatemi più e lasciatemi morire. Un inciso: questa opzione crea una equivalenza non provata
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tra mancanza di capacità di discernimento e sofferenza. Chi non è cosciente non è di per se stesso e sicuramente sofferente. In merito poi ad alimentazione e idratazione assistite, il punto n. 3 alla sezione III indica anche questa opzione: «Acconsento temporaneamente ad un apporto artificiale di liquidi e all’alimentazione artificiale, qualora ci si possa attendere che in questo modo vengano alleviati i dolori oppure che, più tardi, mediante aiuto, io riesca ad ingerire liquidi e alimenti in modo naturale». Dunque, se il paziente rimanesse in uno stato di sofferenza oppure se si prevedesse che l’assunzione di cibi e liquidi non potrebbe più avvenire in modo autonomo, si possono interrompere la nutrizione e l’idratazione assistita, procurando così la morte del paziente stesso.
La sezione IV sempre del punto n. 3 indica poi un’altra situazione in cui è possibile praticare l’eutanasia tramite una modalità omissiva: scegliere di non essere rianimato «in caso di un arresto cardiocircolatorio e/o arresto respiratorio». La scelta dei medici elvetici di rilanciare queste disposizioni in un periodo in cui le strutture ospedaliere erano al collasso a causa dell’emergenza coronavirus rivela chiaramente l’intento che si celava dietro questa scelta: suggerire ai pazienti Covid di non farsi ricoverare e morire a casa oppure, per quelli ricoverati, di non finire in terapia intensiva e, nel caso in cui fossero già in terapia intensiva, di non ostinarsi a rimanere lì, ma di lasciarsi morire così da liberare preziosi posti letto. Un esplicito invito, quindi, a chiedere l’eutanasia.
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Se solo si cambiasse prospettiva Anna Porrelli
Se la persona è al centro, l’eutanasia, inevitabilmente, si dissolve nella sua stessa terminologica contraddizione. In uno scenario costellato di rivendicazioni di libertà sempre più stringenti e discutibili, allestito sotto l’impulso pressante di richieste sociali di produttività, perfezione, ricerca spasmodica dell’approvazione di terzi, la raffigurazione del malato non autosufficiente non può che tingersi di colori cupi e il punto di fuga dell’intera rappresentazione diviene, tendenzialmente, eutanasico. Il pittore, al contempo artista e primo spettatore della sua creazione, imprime all’opera la sua profonda inquietudine: il tocco del pennello, deciso e fermo, traccia segni marcati e ripetuti di sofferenza. La tavolozza dei colori perde ogni gamma di sfumature. Si annullano le regole figurative e viene meno ogni schema cromatico. La paura del dolore e il terrore della disabilità si fondono in un connubio che non lascia scampo a fraintendimenti: protagonista è un oppressivo e terribile senso di “peso”. Inizia a insinuarsi, così, in modo tanto infido quanto erroneo, un asserito “diritto” a decidere della propria o dell’altrui morte. Il porre fine a un’esistenza segnata dalla malattia è l’aspirata e decretata “buona morte”. È l’evoluzione prevedibile di un’anomalia nel processo attentivo che, anziché focalizzarsi sul valore dell’essere, si proietta, pericolosamente, sulla qualità dell’esistenza. Emerge, cioè, in maniera lampante, l’errore prospettico.
Se il pittore, invece, ponesse al centro la persona vivente e non le sue compromesse funzioni? Che cosa accadrebbe se si recuperasse la visione antropologica? Quali i risvolti artistici di un razionale pensiero focalizzato sull’intima natura umana e, dunque, avulso da ragionamenti soggettivi ed opinabili? È il riconoscimento dell’ontologica dignità della persona vivente l’inevitabile punto di svolta del ragionamento e del conseguente agire; il centro di proiezione autentico per una rappresentazione realistica. Le capacità devono essere correttamente relegate a estrinsecazioni della persona, non a elementi fondativi della stessa. L’anima razionale, che informa il corpo, mai si corrompe a fronte del deterioramento delle capacità; ed è proprio per questo che la compromissione delle funzioni non può assolutamente scalfire il valore della persona; un valore inestimabile, nel pieno benessere come nella più grave e irreversibile disabilità.
Le capacità devono essere correttamente relegate a estrinsecazioni della persona, non a elementi fondativi della stessa..
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MARTA, 24 ANNI, SOFFRE DI ANORESSIA POTRÀ FARSI UCCIDER E SE FOSSE TUA SORE #NOEUTANASIA Campagna di sensibilizzazione promossa dall’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus contro la pratica illegale dell’eutanasia e per la tutela del diritto alla vita, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione e degli artt. 575, 579 e 580 del Codice penale. www.provitaefamiglia.it
L’essere umano necessita e si nutre di relazioni. Caregiver e malato si donano nella reciprocità, riconoscendosi parte di un tutto
A. RE. ELLA?
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L’anima razionale, che informa il corpo, mai si corrompe a fronte del deterioramento delle capacità. Gli elementi di disturbo iniziano, così, ad abbandonare la visuale. Il malato è lì, nella sua essenza più vera, nel suo immutato e immutabile valore che non necessita di conferme e che non ammette condizioni; è proprio lì, sopra quel letto divenuto la cattedra di una lezione magistrale di presa di cognizione, e conseguente rispetto, della sua - e dell’altrui - preziosità intrinseca. Una vita fisica che va difesa; una libertà mai esente da responsabilità. Per questo la deleteria autodeterminazione fine a se stessa su un’esistenza giudicata di bassa qualità rappresenta un contesto gnoseologico irragionevole e aberrante, dove la pietas è soppiantata da un fare pietistico; dove la compassione è falsità, perché lo sguardo, espressione di un desiderio dissimulato nei sotterfugi di un lessico ipocrita, non è teso al sollievo della sofferenza, bensì proiettato all’eliminazione del sofferente. Una sofferenza che può e deve essere alleviata; un “pallio” che può e deve coprire le sanguinanti ferite umane. «Sedare dolorem!». Questo il grido da percepire e recepire; questa la richiesta che dovrebbe annichilire le infondate ed insensate rivendicazioni eutanasiche. Quell’asserita libertà si scioglie nell’autoconfutazione, mostrando tutta la sua infondatezza anche
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nella paura di divenire, da malato dipendente, un peso per gli altri; poiché la paura è condizionamento, e il condizionamento è pura antinomia di libertà. L’essere umano necessita e si nutre di relazioni. Caregiver e malato si donano nella reciprocità, riconoscendosi parte di un tutto in cui ciascuno si esprime nella prossimità all’altro, in maniera unica e irripetibile: un caregiver che apprende nella dedizione e un malato che è lì a trasudare essenza autentica; quell’essenza vera capace di inondare, educare e arricchire. È in quell’incrocio di vite che la complementarità diviene forza, l’insegnamento una lezione appresa e feconda, il termine dell’esistenza un esito naturale da attendere e accogliere, senza esasperazioni né anticipazioni. Le aberrazioni ottiche allora si dipanano e gli inganni prospettici vengono meno; tutto riacquista il suo ordine. Si ridimensiona, totalmente, il punto di vista. Ecco che, improvvisamente, lo sguardo si allunga; la visione si amplifica; l’armonia cromatica si ristabilisce; la prospettiva cambia: la persona detiene la scena e l’eutanasia, inevitabilmente, si dissolve nella sua stessa terminologica contraddizione.
MARIA, 70 ANNI, HA UN TUMORE. POTRÀ FARSI UCCIDERE. E SE FOSSE TUA NONNA? #NOEUTANASIA Campagna di sensibilizzazione promossa dall’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus contro la pratica illegale dell’eutanasia e per la tutela del diritto alla vita, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione e degli artt. 575, 579 e 580 del Codice penale. www.provitaefamiglia.it
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Una festa a sorpresa
Stefano Martinolli
Riflessioni di un medico ospedaliero in tempo di Covid. Come tutti gli esseri umani di questo mondo, anch’io sto attraversando il “periodo di convivenza” con il Covid-19. I mass media hanno creato ad arte una narrazione precisa in cui prevalgono alcuni sentimenti: paura, diffidenza, distanziamento, isolamento, incertezza sul futuro. Ogni giorno non si parla d’altro e sembra che le nostre vite non abbiano senso e la nostra libertà sia stata irrimediabilmente coartata. A fare la parte del leone però sono la paura della malattia e della morte, fenomeni a noi noti, ma sempre allontanati perché convinti che “riguardino gli altri” e non possano coinvolgere le nostre esperienze esistenziali. Anche a me, lavorando in ospedale con i malati gravi e Covid positivi, un po’ di paura confesso - è venuta. Mi sono sempre considerato molto razionale ed equilibrato nei giudizi, critico verso un mondo dove prevale il “pensiero unico” e dove andare controcorrente è sempre più faticoso. Così, giocando con i miei pensieri e con le mie suggestioni, ho trovato due bellissime foto di mia nonna Nerina con i suoi fratelli e un’altra, ancora migliore, con mio padre Giovanni, piccolo, e mio nonno Giovanni, mai conosciuto, perché morto in giovane età a causa dell’odio delle ideologie. Infine ho posto in evidenza una foto dove siamo io
I mass media hanno creato ad arte una narrazione precisa in cui prevalgono alcuni sentimenti: diffidenza, distanziamento, isolamento, incertezza sul futuro e soprattutto paura della malattia e della morte.
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e mio fratello Marco (“partito” dieci anni fa) dopo una grande impresa in montagna. Ho osservato attentamente i loro sguardi, resi immobili dallo scatto fotografico. Mi sembrano vivi, espressivi, capaci di trasmettere, attraverso il tempo e lo spazio, sentimenti di affetto e di quella familiarità che si acquista con la frequentazione quotidiana. Mi sono immediatamente commosso e qualche lacrima ha rigato il mio viso. Nonostante la staticità di quelle immagini, guardando più attentamente si può percepire l’Infinito, si può vedere il “telo nero” (come ebbe a descriverlo magistralmente Dino Buzzati) che separa noi da loro. Non vedo malinconia, tristezza, sensazione di un tempo che non c’è più. È come se volessero parlarci, desiderassero avvisarci che di là ci aspetta qualcosa di meraviglioso, un orizzonte senza fine, dove potremo tutti incontrarci, increduli ed estasiati. È come quando ti organizzano una festa di compleanno a sorpresa: non te l’eri aspettata per nulla, sei rimasto impreparato, non hai saputo cosa dire e probabilmente avevi trascorso la tua giornata nella routine e nell’ordinarietà. Durante i festeggiamenti, ti accorgi che sono venuti tutti: i figli, il marito o la moglie, gli amici, i parenti, i colleghi. Proprio tutti, nessuno escluso. È proprio una grande festa e ti senti completamente appagato e felice. Non hai neppure il coraggio di chiedere come sono stati capaci di tenerti all’oscuro di tutto, perché alla fine non ti interessa. L’importante è essersi ritrovati e festeggiare assieme. Durante al serata, cerchi di parlare con tutti e di memorizzare i volti e le espressioni degli invitati. I loro occhi vogliono dire molto di più di quanto i tuoi sensi siano in grado di percepire. Oltre ai soliti canti e alle solite battute umoristiche sul tuo temperamento e sulle tue gaffes, ascolti con piacere tutti gli incoraggiamenti e gli auguri per una buona vita futura e una solida salute.
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Questo è per me il Paradiso e noi dobbiamo vivere, lasciandoci coinvolgere dalla Sorpresa Finale, dove incontreremo tutti e il Senso della nostra esistenza, di fronte a “Colui-che-è”. In questo tempo di pandemia dovremmo vivere con questo atteggiamento, consci che la malattia e la morte sono i momenti preparatori per questa grande Festa. La paura, pertanto, diventa facilmente dominabile e ogni gesto quotidiano appare avere finalmente un senso, inserito in un tempo che non passa. Solo attraverso l’incontro con Cristo si può realmente vivere: Lui ha avuto il coraggio di andare per primo, attraverso la sua Passione e la crocifissione. Con le parole di Giovanni Paolo II, «Non abbiate paura! Spalancate le porte a Cristo! Lui sa ciò di cui avete bisogno!», diventa chiaro quale strada seguire. È l’unica risposta saggia e realistica che possiamo dare, dimostrando che siamo fatti per un destino più grande e che anche la nostra salute è un dono, legato a doppio filo con il Creatore che ci aspetta fiducioso e sereno nel suo Regno, come figli prediletti, pensati dall’Eternità.
Quando ti organizzano una festa di compleanno a sorpresa: non te l’eri aspettata per nulla, sei rimasto impreparato, non hai saputo cosa dire. Ti accorgi che sono venuti tutti, proprio tutti, nessuno escluso. È proprio una grande festa e ti senti completamente appagato e felice.
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Il diagramma della coercizione Andrea Ingegneri
È interessante leggere della strategia usata dalla dittatura comunista per fare il lavaggio del cervello ai prigionieri di guerra senza usare la tortura fisica, ma solo attraverso una sottile forma di tortura psicologica. Ogni riferimento a fatti e circostanze attuali è puramente casuale… o no? «Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?». Con questa frase Morpheus interroga Neo nel celebre film di fantascienza Matrix, ponendo una domanda facilmente adattabile a vari contesti storici, antichi e nuovi, che hanno visto l’indottrinamento delle masse ad opera di regimi totalitari. Coloro che hanno vissuto tali periodi, cioè sotto dittatura e propaganda martellante, erano consapevoli di quello che stava accadendo? Comprendevano di essere dominati o di aver perso la libertà? Oppure
l’azione esercitata dall’ambiente circostante era talmente forte da far credere che quello fosse l’unico mondo possibile e, dunque, la normalità da accettare e benedire? È naturale domandarsi se sia veramente possibile condizionare le persone in questo modo. Lo studioso Albert D. Biderman, noto per il suo Diagramma della coercizione (Chart of Coercion), pare rispondere esaustivamente a molti dei nostri quesiti. In uno studio pubblicato nel 1957 dal titolo Communist attempts to elicit false confessions from air force prisoners of war (I
Il metodo di “rieducazione” descritto da Biderman è quello che subiscono tutt'oggi i dissidenti rinchiusi nei laogai, i campi di concentramento cinesi. Nei laodong gaizaodui, (campi di rieducazione attraverso il lavoro) molti prigionieri subiscono anche la tortura fisica. Ma tutti, ogni giorno, dopo 12 - 16 ore di lavoro forzato, devono partecipare alle “sessioni di studio” durante le quali devono imparare a confessare - in modo convincente - colpe mai commesse e i loro pensieri “sovversivi”.
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Laurence Fishburne è Morpheus, nel film Matrix che narra le le vicende di Neo, un giovane hacker che scopre che quella che lui crede sia la vita è solo una finzione, una realtà virtuale.
tentativi comunisti di suscitare false confessioni dagli aviatori prigionieri di guerra) egli afferma che il ricorso a un ambiente esterno controllato può manipolare il comportamento umano entro un certo margine d’azione. Un contesto gravemente limitato e frustrante costituirebbe, infatti, un condotto forzato attraverso il quale accompagnare una persona fino a ridurla alla completa accondiscendenza, che sarebbe vista come unica possibile via di uscita. Nella mente indebolita del prigioniero, arrendersi offrirebbe una prospettiva più dignitosa che continuare a resistere a oltranza in quelle condizioni. Per di più, accettare di ragionare nei termini del proprio aguzzino, e comprendere finalmente come vuole che ci si comporti, come e cosa si può pensare, rappresenterebbe l’unica possibile forma di gratificazione da conseguire per non perdere del tutto il controllo della propria psiche in quell’ambiente degradato. Sebbene lo schema sia il risultato di uno studio sui prigionieri di guerra, nel corso del tempo è stato soggetto a numerose interpretazioni, e pare sia stato adattato per spiegare anche situazioni di abuso domestico e pratiche di sopraffazione all’interno di sette religiose. Sembra dunque ragionevole che molte considerazioni restino valide nell’ambito più ampio dell’opera di indottrinamento e controllo operata da un regime, specie laddove ciò comporti situazioni di costrizione, confinamento e induzione all’obbedienza. Le considerazioni finora esposte ci pongono di fronte ad un importante cambio di impostazione. L’illustrazione delle tecniche adoperate per estorcere false confessioni dai prigionieri di guerra americani, che è oggetto del succitato lavoro, potrebbe infatti richiamare alla mente scenari di particolare violenza fisica, adoperata per piegare la vittima. Eppure, i comunisti hanno dimostrato di poter ottenere risultati addirittura
Coloro che hanno vissuto sotto dittatura e propaganda martellante, erano consapevoli di essere dominati e di aver perso la libertà? Oppure credevano che quello fosse l’unico mondo possibile e, dunque, la normalità da accettare e benedire?
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migliori senza dover torcere neppure un capello, agendo proprio su altri fattori capaci di garantire indubbi vantaggi nel plasmare al proprio volere la volontà del malcapitato. L’analisi esposta da Biderman suggerisce di distinguere due aspetti, funzionali l’uno all’altro. Metodo generale 1. Isolamento
Effetti • • •
2. Manipolazione della percezione
Il primo riguarda le misure impiegate per rendere il prigioniero condiscendente, minando la sua capacità di resistere. L’autore propone uno schema riassuntivo articolato in otto differenti strategie, che riproponiamo con un adattamento in lingua italiana senza apportare varianti.
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Varianti
Togliere il supporto sociale alla capacità di resistenza della vittima; sviluppare una forte apprensione per la propria persona; creare dipendenza della vittima dal suo interrogatore.
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Completo confinamento solitario; isolamento completo; semi-isolamento; isolamento di gruppo.
Fissare l’attenzione sulla situazione nell’immediato; incoraggiare l’introspezione; eliminare gli stimoli antagonisti di quelli controllati dal carceriere; osteggiare tutte le azioni non coerenti con l’accondiscendenza.
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Isolamento fisico; illuminazione fioca o inesistente; ambientazione desolata; restrizioni di movimento; alimentazione monotona.
Semi-digiuno; assideramento; impiego di ferite; indurre la malattia; privazione del sonno; imposizioni prolungate; interrogatori prolungati o scrittura forzata; sovraffaticamento
3. Debilitazione procurata; esaurimento.
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Indebolimento della capacità di resistenza fisica e mentale.
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4. Minacce
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Coltivare ansia e disperazione.
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Offrire motivazioni positive per dare accondiscendenza; ostacolare gli adattamenti alla deprivazione.
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6. Dimostrazioni di “onnipotenza” e di “onniscienza”
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Affermare l’inutilità di resistere.
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7. Degrado
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8. Imposizione di richieste banali
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Minacce di morte; minacce di non rimpatrio; minacce di isolamento e interrogatori senza fine; minacce vaghe; minacce contro la famiglia; misteriosi cambi di trattamento. Favori occasionali; fluttuazioni nell’atteggiamento dell’interrogatore; promesse; ricompense per la parziale accondiscendenza. Tentazioni. Confronti; pretendere che la cooperazione sia data per scontata; dimostrare totale controllo sul destino della vittima.
Far apparire il costo della resistenza più dannoso della resa in termini di autostima; ridurre il prigioniero a problematica di “livello animale”.
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Impedire l’igiene personale; ambiente sudicio e insalubre; punizioni umilianti; insulti e derisioni; negazione della privacy.
Sviluppare l’abitudine all’accondiscendenza
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Scrittura forzata; imposizione di regole minuziose.
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Tra i fatti degni di nota va rimarcato come la paura di subire violenza sia sempre presente e mantenuta viva col ricorso a vaghe minacce difficili da decifrare, ed abbia influito più della violenza fisica vera e propria nel determinare la sottomissione del prigioniero. Anche qui, come in altre occasioni, sembra che il peggior nemico da schierarci contro lo abbiamo dentro noi stessi. Un modo per ottenere un risultato del tutto simile, sperimentato dalla maggioranza degli aviatori prigionieri, consisteva nella singolare imposizione di restare sull’attenti, sostando in piedi o stando seduti, per periodi di tempo estremamente lunghi, talvolta esposti ad un freddo gelido. Nel nostro piccolo, un così grave impatto non dovrebbe stupirci. In occasione dell’emergenza Covid, abbiamo tutti sperimentato quanto sia estenuante attendere il proprio turno in piedi anche per ore lungo interminabili file, spesso al freddo, per poter accedere al supermercato, mantenendo viva l’attenzione per osservare la distanza di sicurezza dagli altri avventori, o per capire quando avanzare e poter finalmente entrare nel locale per effettuare gli acquisti. Nel caso del prigioniero, il permanere in piedi sull’attenti per un lungo periodo di tempo comporta l’introduzione di un nuovo fattore: la fonte di sofferenza non risiede più in un aguzzino esterno ma diviene la vittima stessa. Il contesto pone, in un certo modo, l’individuo contro se stesso. È precisamente in questo incontro interiore con il proprio io che la forza motivazionale del soggetto si esaurisce. Cosa che non pare manifestarsi altrettanto facilmente in situazioni di violenza
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fisica esercitata direttamente. Questo atteggiamento di porre invece il soggetto ad agire “contro se stesso” ha il vantaggio di portare ad ingigantire mentalmente il potere del proprio aguzzino, con tutte le paure e le fantasie catastrofiche che ne possono conseguire. Tale tecnica ha mostrato di essere efficace al punto che, secondo i rapporti, i reduci che l’hanno subita testimoniano che secondo loro nessun’altra esperienza potrebbe essere più straziante. L’uso di stratagemmi così sottili ha anche l’indubbio vantaggio di far apparire umanamente rispettosa la metodologia coercitiva, con indubbio credito in termini propagandistici per l’ideologia che ne fa utilizzo. Il secondo aspetto indicato da Biderman, contemporaneo e strettamente legato al primo, riguarda il dare forma all’accondiscendenza. Ciò viene inquadrato come una complessa procedura di insegnamento. Insegnare, dunque, al prigioniero in che modo obbedire attraverso un lento logorio, senza però che la lezione impartita sia palese. Le già viste condizioni di stress estremo esercitate dall’ambiente condurranno forzatamente il prigioniero ad apprendere e ad aderire al modello comportamentale desiderato dall’aguzzino, in ottemperanza alla visione delle cose che si desiderava imporre (ad es. l’ideologia comunista), manifestando persino rimorso e pentimento per azioni neppure realmente compiute, di cui assumersi la colpa con manifesta convinzione.
Le condizioni di stress estremo esercitate dall’ambiente condurranno il prigioniero ad aderire alla visione delle cose imposte (ad es. l’ideologia comunista). Il malcapitato manifesterà persino rimorso e pentimento per azioni che non ha compiuto, di cui si assumerà la colpa con manifesta convinzione.
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La sindrome del criceto Francesca Romana Poleggi
Abbiamo intervistato Alberto Contri in merito al suo ultimo libro, che indaga la condizione dell’uomo contemporaneo Con una carriera di oltre mezzo secolo ai vertici di media, multinazionali della comunicazione e delle associazioni del settore (è stato presidente di Pubblicità Progresso dal 1999 al 2019), Alberto Contri ora insegna Comunicazione Sociale all’Università IULM. Il suo sito web è www.albertocontri.it. Ha pubblicato McLuhan non abita più qui? (Bollati Boringhieri, 2017) e Comunicazione sociale e media digitali (Carocci, 2018).
Troppi, tra gli individui che fanno parte delle classi dirigenti, sono affetti dalla “sindrome del criceto"
Nel 2020 appena trascorso, infine, è uscito La sindrome del Criceto (Edizioni La Vela – 2020). A proposito si è gentilmente offerto di rispondere a qualche domanda. Professor Contri, è vero che l’influenza da Covid 19 è una malattia molto meno grave della “sindrome del criceto” che si è andata diffondendo da molto più tempo?
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Alberto Contri
«Il Covid 19 è un virus pericoloso per le persone più deboli, ma ancora più pericoloso per le reazioni sbagliate o fuori tempo poste in essere dai governi. Alla prima ondata tutti sono stati colti di sorpresa, ma alla seconda si è giunti altrettanto impreparati: se errare humanum, perseverare diabolicum. Il problema è che ci sono Governi troppo spesso formati da individui affetti dalla Sindrome del criceto, così ho intitolato il mio ultimo saggio». Che significa? «Il criceto è stato dotato dalla natura di uno scatto e una resistenza portentosi per sfuggire ai predatori. Ma ora che è diventato un animale da salotto, corre nella sua ruota per attivare le endorfine che gli impediscono di cadere in depressione. Se ci guardiamo intorno, quanti criceti vediamo correre nella loro ruota? Con uno sforzo e un impegno che serve solo a loro. Oltre a essere circondati da criceti, più in generale l’uomo di oggi si trova stretto in una inquietante tenaglia: da un lato la mitizzazione di un incessante progresso tecnologico i cui fautori auspicano un pianeta popolato da ominidi sempre più tracciati, manipolabili
ed eterodiretti. Dall’altro, una pressante e sconsiderata diffusione delle teorie gender che favoriscono la trasformazione delle persone in esseri neutri, senza storia né tradizione, unicamente in balia delle proprie voglie. Le pagine dei romanzi di George Orwell, Aldous Huxley e George Benson hanno cominciato a sostituire i fogli nel nostro calendario quotidiano, trasformando in realtà le loro previsioni distopiche». La tecnologia in sé non è né buona né cattiva: dipende dall’uso che se ne fa e dai fini che persegue. Oggi come viene usata? O meglio, come veniamo usati, grazie alla tecnologia? «Tecnologia e Intelligenza Artificiale consentono straordinari progressi in moltissimi settori. Quello che non è accettabile è immaginare di voler delegare all’Intelligenza Artificiale compiti tipici dell’intelligenza umana. Inoltre, i fautori della singolarità e del transumanesimo ritengono che l’Intelligenza Artificiale abbia già superato quella umana, e che il corpo si stia riducendo ad una macchina sempre più ibridata con protesi elettroniche e di origine informatica. Intanto i Gafa (Google, Facebook, Apple, Amazon, cui vanno aggiunti Microsoft, Ibm e molti altri) diventano sempre
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più ricchi e potenti utilizzando ad esempio gli algoritmi per schedarci, tracciarci, consigliarci negli acquisti e indirizzarci anche nelle scelte elettorali, come è già successo». Quali pericoli presenta invece la diffusione dell’ideologia gender? «Nel saggio cito papa Francesco, che viene sempre osannato quando afferma che occorre non discriminare e accogliere chi non si sente a suo agio nel proprio sesso. Ma è del tutto censurato quando afferma che “L’ideologia gender nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina… Il gender è la modalità più specifica con cui si manifesta il male oggi”». Quale ruolo hanno la famiglia e le altre formazioni sociali per immunizzarci - o guarirci dalla “sindrome del criceto”? «Famiglia significa innanzitutto educazione. Basta guardare un documentario di animali per vedere che il ruolo primario dei genitori è quello di insegnare ai cuccioli a cacciare per procurarsi il cibo. Il primo compito della famiglia umana, facendo attenzione all’antico metodo mens sana in corpore sano, è quella
di educare il cuore e la mente, far sviluppare il senso critico, far sviluppare le qualità analogiche che serviranno per padroneggiare qualunque tecnologia. E poi trasmettere i valori della propria tradizione, insegnare la dignità, il rispetto, il culto del bello, del giusto e del vero. Un bell’impegno, direi…». E la scuola? «La scuola dovrebbe agire in sintonia con la famiglia. Vorrei ricordare che esiste una risoluzione Onu del 1950, mai abrogata, che dice che i genitori hanno diritto di educare i figli secondo le proprie tradizioni culturali, filosofiche e religiose. Quindi la scuola dovrebbe rispettare questo impegno, invece di "rieducare i ragazzi che hanno avuto la sfiga di nascere in una famiglia oscurantista", come sostiene la senatrice Cirinnà! Dove per oscurantista è facile immaginare “cattolica”…». Alla fine del suo saggio, lei - insieme al filosofo Salvatore Veca - propone la costituzione dei Gru-Gruppi di Resistenza Umana. Di cosa si tratta? «In mezzo al degrado della politica, della pubblica amministrazione, della scuola e della società civile in generale (cui contribuisce non poco il degrado dei media e delle fonti di informazione e intrattenimento) ci sono moltissime persone che combattono una loro personale battaglia, nonostante tutto, in virtù dell’educazione che hanno ricevuto. Occorre raccogliere tutte queste energie sparse,
Non siamo soli: attraverso i Gru - Gruppi di resistenza umana possiamo sperare di riedificare le strutture portanti della società.
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L’uomo di oggi si trova stretto in una inquietante tenaglia: da un lato la mitizzazione di un incessante progresso tecnologico, dall’altro una pressante e sconsiderata diffusione delle teorie gender.
confidando come prima àncora di salvezza nella ricerca di amicizie con cui condividere la stessa visione del mondo. Da qui è nata l’idea di dare vita ai Gru (Gruppi di Resistenza Umana). La parola resistenza ricorda quei movimenti, armati e non, che si sono ribellati alle dittature. Ripudiando la violenza, si ritiene necessario fare in modo che la forza delle idee basate sullo studio, l’approfondimento, la condivisione del sapere e delle esperienze, il rispetto e la passione per il bello, il giusto e il vero, possano diventare strumento efficace contro il degrado imperante, dando uno spessore non retorico alla parola futuro. Senza intenti politici o partitici, senza desiderio di costruire movimenti occulti o società segrete, l’idea dei Gru si basa sul progetto di stringere amicizie, confrontarsi, riconoscersi, al fine di non sentirsi più isolati, ma consolati dal fatto che ovunque ci sono persone interessate a promuovere i valori della crescita dell’uomo sotto forma di un nuovo Rinascimento, in cui la scintilla della coscienza, la spiritualità dell’animo umano e il rispetto delle leggi di natura costituiscano sempre il primum movens. Per saperne di più è sufficiente visitare il sito www. resistenzaumana.org».
Ma c’è davvero una concreta speranza di invertire la rivoluzione antropologica in atto e il relativismo-nichilismo che dilaga? «In una situazione così disperata sia dal punto di vista economico che da quello morale, non resta che cercare di riedificare le strutture portanti della società che sono crollate o addirittura scomparse. Educare quindi come edificare. Nel fare questo, i diversi Gru che nasceranno intorno a determinate tematiche e interessi, verranno messi in contatto tra loro così da costituire quella rete capace di ricostruire come si deve il tessuto sociale. Indubbiamente è un compito immane, viste le forze contrarie che agiscono in ogni ambito della società, ma se ci si impegna non sentendosi più soli, si può tornare a scoprire di essere un popolo che non può essere ignorato, e dal quale possono uscire le future classi dirigenti».
Non è accettabile voler delegare all’Intelligenza Artificiale compiti tipici dell’intelligenza umana.
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Sdoganare la pedofilia Umberto Camillo Iacoviello
Intervista all’avvocato Emanuele Fusi, autore de La sinistra degli orchi. Per approfondire si può visitare il sito Atlantico Quotidiano (www.atlanticoquotidiano.it)
Emanuele Fusi nasce a Barga (LU) nel 1978. Avvocato presso il Foro di Lucca, è specializzato in diritto penale e diritto tributario. È autore di diversi romanzi e saggi: per Passaggio al Bosco Edizioni ha recentemente pubblicato il saggio La sinistra degli orchi in cui ricostruisce, a partire dagli anni Cinquanta il tentativo di sdoganare la pedofilia. Nel suo libro parla del tentativo di sdoganare la pedofilia, al grande pubblico può sembrare assurdo, ma c’è una parte del mondo accademico che da decenni cerca di infrangere questo tabù. Chi sono i pionieri della “normalizzazione della pedofilia”? «Tutto parte dalla rivoluzione sessuale degli anni Cinquanta e Sessanta, negli Stati Uniti d’America. Una figura importante, è sicuramente Alfred Kinsey (1894-1956), inizialmente assistente professore di zoologia presso l’università dell’Indiana, nel 1938 viene invitato a coordinare un corso sul matrimonio chiamato Marriage and Family da un’associazione studentesca femminile che si fa promotrice della proposta di inserire questo corso presso l’Università dell’Indiana. Da qui inizia l’interesse del professore per lo studio dei rapporti sessuali e inizia una raccolta di storie ed esperienze dai suoi stessi studenti. Fu il primo a fare esperimenti su infanti e bambini e riteneva - con lo psicologo John Money (19212006), il teorico dell’ideologia gender - che la sessualizzazione dei bambini e dell’intera società avrebbe portato la stessa ad essere più pacifica e tollerante. Per fare questo si dovevano quindi rompere i tabù del passato. In ambito accademico vi sono stati esponenti come John De Cecco (1925-2017), professore
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Secondo Overton qualsiasi idea, anche la più incredibile, per potersi sviluppare nella società ha una finestra di opportunità.
Per ascoltare e sostenere le famiglie che incorrono nei mostri della rete, l’Associazione Culturale San Michele Arcangelo e l’Associazione Pro Vita & Famiglia Onlus hanno lanciato una campagna per pubblicizzare il numero verde 800 455 270, servizio offerto dall’Associazione Meter Onlus di Don Fortunato Di Noto, attivo da lunedì a venerdì dalle ore 9.00 alle ore 12.30 e dalle ore 15.30 alle ore 18.00.
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di psicologia alla San Francisco State University e caporedattore del Journal of Homosexuality dal 1975 al 2009; fu anche membro editoriale della rivista olandese pro pedofilia Paidika. Nel 1977 elaborò una proposta di legge sui diritti sessuali dei bambini chiamata A Child’s Sexual Bill of Rights, secondo De Cecco i bambini dovrebbero avere dei diritti sessuali e riproduttivi, essere in grado di esplorare a fondo la loro sessualità ed essere liberi di scegliere relazioni amorose e sessuali anche con adulti, inclusi genitori, fratelli e adulti responsabili». Queste idee vennero accolte da diversi esponenti appartenenti ai movimenti di liberazione sessuale, ci fa qualche esempio? «Shulamith Firestone (1945-2012) è stata un’esponente del “femminismo lesbico” degli anni Settanta e inizio Ottanta. Nel 1970 pubblica La dialettica dei sessi, in cui sostiene che le donne sono sottomesse agli uomini per motivi biologici e strutturali della società. Secondo la Firestone, quindi, non basta liberarsi dal “privilegio maschile”, ma occorre anche eliminare del tutto la distinzione tra i sessi. Inoltre, sosteneva che proibire l’incesto e il sesso con i bambini voleva dire impedire la vera emancipazione della donna dall’uomo e che per abbattere il patriarcato si doveva quindi passare anche per la rottura di tutte quelle restrizioni legali e morali: in tal modo, liberata la sessualità in maniera totale, il maschio avrebbe perso il suo potere sulla donna e in particolare sulla riproduzione, e la donna
sarebbe stata l’unica a decidere in tal senso, mettendo fine al concetto di famiglia patriarcale. In Italia chi parlò esplicitamente della pedofilia come “pratica liberatoria” fu Mario Mieli (19521983), noto esponente del mondo Lgbt, morto suicida nel 1983, le cui tesi sono esposte nel saggio Elementi di critica omosessuale del 1977, pubblicato da Einaudi. Noto è il passaggio sulla pederastia: “Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una ‘vita’ latente. La pederastia, invece, ‘è una freccia di libidine scagliata verso il feto’ “. C’è un elemento che accomuna queste persone: appartengono tutti al mondo culturale della sinistra. Dal marxismo hanno preso in particolare la dialettica dello scontro tra due entità. Questa volta non si tratta della lotta di classe tra proletari e detentori dei mezzi di produzione, ma tra minoranze organizzate sessualmente caratterizzate, quali categoria di oppressi, contro
Il fenomeno di Bibbiano si fonda sull’idea che i figli non appartengono ai genitori bensì allo Stato e alle Istituzioni.
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Wilhelm Reich, ovvero lo sdoganamento di ogni perversione (a cura della Redazione)
Augusto Del Noce (1919 - 1989), in Rivoluzione, Risorgimento, tradizione, pubblicato postumo da Giuffrè nel 1993, spiega che «il comune sentimento del pudore si è notevolmente modificato negli ultimi anni; così che oggi l’uomo medio, ossia normale (cioè non nostalgico e non nevrotico) accetterebbe, senza reazioni morali, manifestazioni di sessualità, alcuni anni addietro neppure concepibili». Del resto «anche molti cattolici, persuasi che in un tempo in cui l’uomo è riuscito a dominare e a utilizzare a proprio vantaggio le forze della natura, e in cui i miracoli tecnologici permettono un benessere sempre più largo e diffuso, [pensano che] l’antico ideale di condotta ascetico e mortificante debba essere pensato irrevocabilmente perento. E questa è una semplice, anche se non piacevole, constatazione». Dice Del Noce che tutto l’essenziale sulla rivoluzione sessuale da cui discende questa deriva è stato detto, quarant’anni fa, dal dottor Wilhelm Reich (1897 -1957). La pornografia e lo sdoganamento di ogni perversione sono la piena attuazione del suo pensiero. «Il Reich, morto quasi del tutto dimenticato in un penitenziario americano nel 1957, allora condannato dall’ancor morale America, poi riscoperto dai vari movimenti beat e hippy, appartiene a quello che negli anni tra il Venti e il Trenta si autodefinì come movimento di liberazione europea, sorto in dipendenza della rivoluzione russa; ma alle categorie della borghesia e del proletariato, sostituì quelle degli assertori della morale repressiva e degli assertori della libertà sessuale; solo questa sostituzione e il conseguimento della felicità sessuale avrebbero portato alla scomparsa dello spirito autoritario e a un internazionalismo senza compromessi». Nota Del Noce che per Reich l’uomo si riduce a un insieme di bisogni fisici. «Quando essi siano soddisfatti — quando, insomma, sarà rimossa ogni repressione — egli sarà felice… : attraverso l’assoluta, illimitata libertà sessuale, l’uomo si libererà dalle nevrosi e diventerà pienamente capace di lavoro e di iniziativa. La sua struttura psichica sarà mutata e sarà reso altresì libero dalle tendenze militari e aggressive e dalle fantasie sadiche, tipiche — come l’esempio dello stesso Sade dimostrerebbe — dei repressi». Il primo e principale ostacolo a questa “liberazione” è la famiglia monogamica e la tradizione. «La Chiesa - spiega Del Noce - è tollerata soltanto nei limiti in cui non si pronuncia nel riguardo delle tesi morali derivate da una scienza intesa come l’unica forma valida di conoscenza» , e invece «i partiti comunisti occidentali non sono affatto entrati in guerra contro la nuova morale sessuale, e hanno anzi tenuto a distinguersi nella lotta contro ogni forma di censura. Non soltanto la nuova sinistra si è sessualizzata, ma i partiti comunisti occidentali le si sono, sotto questo riguardo, subordinati»: sapendo di andare a distruggere il tessuto sociale dei Paesi nemici, «i regimi comunisti hanno favorito la sessualizzazione dei costumi nell’Occidente nell’esatta misura in cui le sono stati contrari nei loro paesi».
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il maschio eterosessuale e la società patriarcale, che sarebbero gli oppressori da abbattere». Nel suo libro dedica un capitolo al Forteto e a Bibbiano, perché sono importanti questi due casi? «Perché rappresentano due casi tipici di ingegneria sociale e culturale proprie del pensiero della sinistra, secondo cui i figli non sono dei genitori ma della collettività. Il Forteto si insinua nella scia del pensiero sessantottino e catto-comunista, che si basa sulla necessità di costruire una nuova società pura e migliore, abbattendo quella precedente borghese, fondata sull’ingiustizia e si propone un nuovo modello: quello della “famiglia funzionale”, ossia di una famiglia che non si fonda sul legame di sangue ma su presunti affetti sconnessi dalla realtà. In verità poi si dimostrò con le inchieste giudiziarie e due commissioni di inchiesta regionali, che anche questa era a sua volta una “finzione”: si faceva finta che ci fossero delle famiglie all’interno, affinché il Tribunale dei Minori mandasse i ragazzi nella struttura, quando invece i sessi erano rigorosamente separati e l’omosessualità incentivata e incoraggiata dai fondatori. Il fenomeno di Bibbiano si fonda sull’idea che i figli non appartengono ai genitori bensì
allo Stato e alle istituzioni, contraddicendo il principio cardine della “sussidiarietà”, e lo Stato può farne ciò che vuole, se considera i genitori non all’altezza del compito educativo. Ci sono stati dei casi in cui i figli sono stati tolti ai genitori in quanto considerati “omofobi” e quindi non in grado di educarli al bene, ossia al pensiero progressista. Questo rappresenta un gravissimo precedente, perché un domani la sinistra potrebbe fare delle leggi che prevedono di togliere i figli ai genitori che “non rispettano la Costituzione”, cioè a quelli considerati “fascisti”, di destra, cattolici, conservatori». La finestra di Overton è stata aperta per sdoganare anche la pedofilia? «Secondo Overton qualsiasi idea, anche la più incredibile, per potersi sviluppare nella società ha una finestra di opportunità: essa passa dallo stadio di “impensabile” a quella di un pubblico dibattito, per fare sì che il cittadino comune si appropri di una certa idea e la faccia sua. Molte altre idee contemporanee sembravano assolutamente inconcepibili solo qualche decina di anni fa e sono poi diventate accettabili per la legge e agli occhi della società: aborto, immigrazione di massa, droghe “leggere” da liberalizzare, eutanasia, poliamore. Per andare sul
Tutto parte dalla rivoluzione sessuale degli anni Cinquanta e Sessanta, negli Stati Uniti d’America. Una figura importante, è sicuramente Alfred Kinsey
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Helmut Kentler e Uwe Sielert: esperti di “educazione” sessuale (a cura della Redazione)
L’associazione Iniziativa di protezione, Schutzinitiative, in Svizzera, ha lo scopo di proteggere i bambini dalla sessualizzazione nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, contrastando un tipo di educazione sessuale dalle basi non scientifiche, ideologica e considerata anticostituzionale. Nella sua pubblicazione n. 33 (ottobre – novembre 2020), Schutzinitiative denuncia: «Per decenni il professore e pedagogo tedesco Helmut Kentler († 2008) è stato considerato l’esperto della nazione nel campo dell’educazione sessuale di bambini e adolescenti. Recentemente è tuttavia emerso che a Berlino e in numerose regioni tedesche Kentler aveva intessuto una rete di pedofili e fatto in modo che orfani e adolescenti sotto tutela, per lo più ragazzi, fossero affidati a pedofili pregiudicati, con il benestare delle autorità. Un rapporto stilato da un’università restituisce un quadro desolante delle macchinazioni di Kentler. Pure di Kentler è l’idea che, fin dalla nascita, i bambini siano “esseri sessuali” con “diritti sessuali” da promuovere e incoraggiare. Oggi le sue tesi e quelle del suo discepolo nonché successore, il professore emerito Uwe Sielert, che hanno condizionato l’educazione sessuale nell’intera area germanofona, sono state smascherate svelandone le contaminazioni pedofile. Continuano però a riaffiorare con regolarità negli opuscoli sull’educazione sessuale.
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concreto, per esempio, nell’ottobre 2014, il giornale progressista New York Times pubblicava un editoriale chiarissimo: “Pedofilia: un disordine, non un crimine”. Si ebbe quello che nel mondo giornalistico si chiama “New York Times Effect”, l’eco tematico sul resto dei media. Ecco l’Huffington Post: “Sono un pedofilo, ma non sono un mostro” è il titolo di un articolo del 2015. Occhiello: “In una lettera online la confessione di un designer americano: ‘Non tutti facciamo del male’”. Dopo aver letto queste cose, il bravo cittadino democratico non può aver dubbi: “Meglio pedofilo che assassino”. Il dottor Klaus Michael Beier, medico, psicoterapeuta e sessuologo tedesco, ha rilasciato un’intervista al Times of India nel marzo del 2017: “La pedofilia è una realtà e le società sane devono imparare ad accettarla”, afferma il medico. Secondo Beier la perversione sessuale verso i bambini è da considerarsi un ‘destino’ e non una scelta. Per questo, quindi, dovremmo accettarla. Beier, al quale si è ispirata Mirjam Heine per la sua Ted Talk in cui ha dichiarato che “la pedofilia è un orientamento sessuale naturale”, oltre a essere direttore del dipartimento di sessuologia dell’Ospedale universitario della Charité di Berlino, dirige anche un discusso programma di prevenzione per pedofili sempre all’interno dell’ospedale. L’iniziativa si chiama “Kein Tater Werden”, che tradotto dal tedesco significa “Non offendere”. L’obiettivo del corso è insegnare ai pedofili come controllare i loro impulsi sessuali nei confronti dei bambini. Al programma partecipano potenziali
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criminali sessuali e anche coloro che hanno commesso reati sessuali, ma sono riusciti a farla franca con la giustizia tedesca. “La pedofilia non è curabile”, aveva spiegato Beier al quotidiano inglese, “ma può essere trattabile”. Secondo il medico, quindi, un pedofilo può imparare a controllare i suoi impulsi. Il progetto si fonda infatti sul principio che l’attrazione sessuale verso i bambini è sì un problema medico ma, come ha affermato Beier, ”non è un crimine” fino a quando non si abusa. Si inizia a discutere della questione come “possibilità” anche se vista ancora in maniera
In Italia chi parlò esplicitamente della pedofilia come “pratica liberatoria” fu Mario Mieli (1952-1983), noto esponente del mondo Lgbt, a cui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale che riceve finanziamenti pubblici e dal 2006 svolge interventi strutturati di contrasto al bullismo nelle scuole secondarie di secondo grado.
negativa. Ma, una volta che la fase della possibilità si sarà radicata, col tempo, piano piano, si passerà alla fase successiva, ossia all’accettabilità. Del resto, recentemente, il grande pubblico si sta abituando: il film Cutes, su Netflix, mostra movimenti sensuali, erotici e ammiccanti, di bambine di 10 anni, e Netflix non ha subito poi censure o processi, se non qualche disappunto da parte del mondo cattolico (a dir il vero, nemmeno tutto: per esempio Avvenire ha giustificato il film): il tutto è passato come se fosse una cosa possibile. Come si vede, la legge del piano inclinato funziona anche in questo caso».
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Il mondo antiorario Claudio Vergamini
Oggi, alle volte, il mondo gira “al contrario”. Ma come funzionerebbero le cose, se non fosse così? E che ruolo ha ognuno di noi in questo meccanismo?
Che meraviglia il creato, la natura: un complesso di ingranaggi, piccoli e grandi, che, girando, ognuno nel suo verso, scandendo ogni secondo dell'esistenza, fanno sì che il mondo vada avanti e proceda regolarmente. Che cosa faremmo se i meccanismi si inceppassero, oppure prendessero a girare alla rovescia? Immaginate che, per esempio, il sole sorga a ovest e tramonti ad est, che la pioggia vada dal basso verso l’alto, che quando fa caldo nevichi e che quando fa freddo non si respiri, o che il vento invece di soffiare aspiri: non sarebbe proprio una bella situazione. Chiudete gli occhi e provate a immaginare, per esempio, una realtà dove chi passa col rosso ne vada fiero, se ne vanti, mentre chi aspetta che per passare ci sia il verde, stia rintanato, silenzioso, timido; oppure se chi non cede ad anziani, donne incinte, disabili, il posto sull’autobus, fosse baldanzoso, disinvolto, spigliato nel parlare di questo suo comportamento, mentre coloro che il posto lo cedono regolarmente, abbiano paura a farlo, a rivendicare la giustezza e la
bontà di ciò; oppure se chi avesse fatto a botte coi colleghi in ufficio stesse sempre a ostentare ad alta voce le sue “performances”, mentre chi, con i colleghi, andasse d’accordo, non potesse non avere qualcosa che non va, sicuramente non abbia capito bene, o magari sia “un ipocrita”, «chissà che cosa ha in mente certa gente», «se uno si comporta bene, non può non avere qualcosa da nascondere, no?». E invece… succede, oggi, a scuola: chi prende brutti voti non se ne vergogna affatto, anzi, la cosa, per loro, è una medaglia da appuntarsi al petto, mentre, invece, guai se osi prendere 7, 8, o addirittura 9: roba da vergognarsi. Sei il “secchione”, il “lecchino” dei professori. Vuoi che una ragazza preferisca un brutto “secchione” a un affascinante tamarro che colleziona 2, 3, massimo 4?
Certe volte il mondo gira alla rovescia, purtroppo.
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Quindi, certe volte, il mondo gira alla rovescia, purtroppo. Divorzio, o separazione: anche qui gli ingranaggi girano alla rovescia, e finiscono con il farci girare anche gli altri, come un virus che rapidamente si diffonde se non esistono validi anticorpi a contrastarlo e a evitare che, una volta entrato, faccia sfaceli, lasciando a lungo segni profondi. La separazione o il divorzio vengono approvati e visti come scelta di libertà, a prescindere da come sono andate le cose. Quando si va alla porta d’uscita è sempre una bella cosa, e guai a chi si azzarda solo ad avanzare il benché minimo dubbio: nella migliore delle ipotesi diventa il “retrogrado”, il “medievale”, il “bigotto”. Personalmente ormai questi aggettivi li ritengo delle vere e proprie onorificenze, ne vado fiero, e quando mi vengono rivolti ringrazio e faccio notare che ho anche dei difetti. Il “complimento” che amo di più è quello di “maschilista”: per me ha un po’ l’effetto dello scudetto sulla maglia di chi ha vinto il campionato e il profumo inebriante del piatto del giorno per il quale si fanno i complimenti allo chef. Chi, tra di noi, “collezionisti di medaglie”, non ha mai avuto a che fare con domande banalotte, del tipo: «Ma se un marito torna a casa col lanciafiamme, incenerisce la moglie e, dopo averla incenerita, la fa a fette, la violenta, e poi la dà in pasto al coccodrillo che tiene nel giardino, e tira su col naso gli ultimi granelli di cenere..., mica vogliamo lasciare tutto così»? È piuttosto deprimente voler andare sempre a cercare il caso limite. Nessuno, sano di mente, può ritenere che una qualsiasi situazione, un qualsiasi legame sia sempre buono o sempre cattivo. Nessuno, del resto, può approvare situazioni da codice penale o da film splatter. Possiamo intanto dire, senza paura che arrivi il solito intollerante a scatenarci addosso la sua professione di fede (avete notato che, in questo campo, la permalosità è a livelli preoccupanti?), che la grande maggioranza delle separazioni non avviene in situazioni dove ci sono morti e feriti o ci sono situazioni patologiche gravi, irrimediabili (penso anche a chi, preso dal demone del gioco, sperpera tutti i risparmi della famiglia). In generale, dove si litiga o si discute non ci sono mai situazioni irreversibili. Se si prova a dirlo, subito si diventa quelli che “non capiscono”. Avete mai provato a mettere in dubbio il fatto che i bambini preferiscono sempre una coppia, anche se “peperina”, piuttosto che una famiglia sfasciata? Ovviamente non si trova nessuno disposto a prendere in considerazione che, forse, può essere così. Diventa sempre più difficile trovare persone sposate da anni che rivendicano con orgoglio il loro essere rimasti insieme, il loro
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aver messo da parte l’orgoglio e le ambizioni personali per il bene comune, il cercare di vedere le cose anche da un altro punto di vista, per avere meno motivi per litigare e andarsene. Anzi, le persone separate non hanno nessun problema a raccontare di quando hanno rifilato quell’apprezzamento pesante, di quando hanno minacciato di mandare l’altro per stracci, o di quando hanno rifiutato la telefonata. Ecco gli ingranaggi che girano alla rovescia. Questo mondo è destinato a vedere aumentati gli ingranaggi che girano al contrario? Secondo me no, purché chi è nel giusto la smetta di mantenersi sulla linea timida del “quieto vivere”, troppo preoccupato di fare arrabbiare quelli “alla moda”. Chi razzola bene, deve anche predicare bene. Gli ingranaggi in “modalità reverse”, se proprio non si riesce a far loro invertire il verso, è bene che vengano lubrificati, non tanto per farli girare più agevolmente, bensì per renderli silenziosi. Si può combattere come delle tigri, forti, decise, incuranti dei pericoli, decise a dominare ogni situazione, oppure si può farlo in maniera soft, semplicemente dicendo «Non sono d’accordo»; si può cominciare a essere orgogliosi del proprio esempio, e metterlo a disposizione di tutti, l’importante è cominciare a introdurre nel dibattito le cosiddette “note stonate”, in modo che le tantissime persone in buona fede possano avere il beneficio del dubbio. Dobbiamo cominciare a “suonare le nostre campane”, e a dare agli altri la possibilità di ascoltarle, e di rendersi conto di ciò che è bontà e giustezza. I posteri ci chiedono questo e noi abbiamo questo dovere nei loro confronti.
Dobbiamo cominciare a “suonare le nostre campane”, e a dare agli altri la possibilità di ascoltarle, e di rendersi conto di ciò che è bontà e giustezza
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Il principio di uguaglianza e la parità scolastica Gianfranco Vanzini Torniamo sull’importante tema della scuola, che abbiamo trattato il mese scorso, per fare un focus sulle scuole pubbliche paritarie. Dopo oltre 70 anni dalla sua entrata in vigore, qualcuno non ha ancora ben capito che cosa dice la Costituzione italiana a proposito della parità scolastica. Ci si ostina, quasi sempre, a citare solo l’art. 33 dandone, fra l’altro, una interpretazione restrittiva e sbagliata. Leggiamo gli articoli che la Costituzione dedica al tema in oggetto senza pregiudizi ideologici. Art. 3 - «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge… È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
Aiutare le famiglie a istruire ed educare i propri figli è un dovere della Repubblica.
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...». È fuori discussione che la Scuola sia un ambito privilegiato e indispensabile per il pieno sviluppo della persona umana, e allora occorre che tutti possano accedervi liberamente e alle stesse condizioni. Art. 29 - «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Art. 30 - «È dovere e diritto dei genitori [cioè della famiglia, ndR] mantenere, istruire ed educare i figli...».
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Art. 31 - «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». Abbiamo appena letto che fra i compiti della famiglia c’è quello di istruire ed educare i figli e che lo Stato è impegnato ad agevolare, anche con misure economiche, l’adempimento di questo dovere/diritto dei genitori. Da questo deriva che aiutare le famiglie a istruire ed educare i propri figli è un dovere della Repubblica. Andiamo avanti e arriviamo al tanto discusso art. 33, quello del «senza oneri per lo Stato», sul quale tanto è stato detto e scritto, spesso a sproposito. Art.33 - «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento… Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato...». Non mi risulta che enti, istituzioni o privati abbiano mai chiesto contributi per istituire delle scuole, se lo avessero fatto è giusto non avere dato alcun contributo. Dalla lettura dei cinque articoli suindicati, che vanno letti insieme e non separati derivano, invece, alcuni principi molto chiari che dovrebbero portare a convincimenti e a comportamenti altrettanto chiari ed inequivocabili.
Lo Stato per rispettare sia lo spirito che il dettato costituzionale, non solo può, ma anzi deve predisporre un sistema di provvidenze
a) ha istituito il sistema di istruzione nazionale, pubblico e aperto a tutti, e ne sostiene i relativi costi; più o meno 7/8 mila euro all’anno per ogni alunno; b) concede contributi, a vario titolo e modo, per facilitare l’accesso degli studenti alla istruzione. Questi concetti sono espressi chiaramente nella Costituzione, basta leggerla senza pregiudizi ideologici. In un Paese libero e democratico può succedere, come in effetti è successo, che qualche cittadino anziché servirsi della scuola che lo Stato gli offre, desideri, per mille motivi, ovviamente legittimi, istituire una propria scuola, una scuola paritaria, che va a fare parte e a integrare il sistema di istruzione nazionale come ha correttamente regolamentato la legge 10 marzo 2000 n. 62 del ministro Luigi Berlinguer. In questo caso i genitori, titolari del dirittodovere di istruire ed educare i loro figli, hanno la possibilità di scegliere se:
1) È diritto-dovere dei genitori educare e istruire i propri figli,
a) mandare i propri figli alla scuola statale, gestita e pagata dallo Stato, oppure
2) È dovere dello Stato:
b) mandarli in una scuola paritaria, gestita da qualcun altro (ente privato, religioso, ecc.).
a) riconoscere la pari dignità dei cittadini e dare a tutti le stesse opportunità,
b) aiutare quegli stessi cittadini ad adempiere i propri doveri, compreso quello di istruire ed educare i propri figli.
Per assolvere questi doveri lo Stato:
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Qui, però, nasce il problema perché: a) la scuola pubblica è gratuita (perché è lo Stato che ne sopporta i costi); b) la scuola paritaria è a pagamento (perché lo Stato interviene solo in minima parte), per cui i
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genitori che la scelgono per i loro figli devono pagare una retta mensile. È evidente che le due situazioni sono molto diverse tra loro. Nel primo caso è lo Stato (cioè tutti noi attraverso le tasse) che paga i costi della scuola. Nel secondo caso invece, sono quei genitori che, scegliendo per i loro figli una scuola paritaria, devono pagare una retta, pur avendo già contribuito a pagare i costi della scuola statale, che non utilizzano. In sintesi pagano due volte, contro ogni logica e buon senso. Se tutto quello che abbiamo appena tratto dalla nostra Costituzione, agli articoli 3, 29, 30, 31 e 33 viene letto con la dovuta onestà intellettuale, si evince chiaramente che lo Stato per rispettare sia lo spirito che il dettato costituzionale, non solo può, ma anzi deve
predisporre un sistema di provvidenze per rendere le due situazioni uguali, o almeno molto simili tra loro. Vediamo come si potrebbe fare. Il sistema più semplice, ed efficace, per raggiungere questo risultato è l’istituzione di un “buono scuola” a favore dei genitori degli alunni delle scuole paritarie. Che non contrasta affatto con i principi costituzionali, anzi li applica. Lo Stato, le Regioni, i Comuni, inoltre, sono ovviamente liberi di scegliere il sistema che ritengono più opportuno, purché si ottenga lo stesso risultato. Il sistema delle convenzioni, per esempio, se studiato bene, può funzionare ottimamente.
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Lasciamo libera la fantasia di tutti, quello che è certo è che qualcosa bisogna fare se si vuole cercare di rendere i cittadini un po’ più uguali tra loro (fra chi paga una volta e chi paga due volte).
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verità, e la verità va sempre proclamata in ogni occasione. [Nota della Redazione: quanto affermato dall’Autore nel presente articolo potrebbe essere, a nostro avviso, applicabile anche rispetto alle scuole parentali o all’homeschooling.]
Tuttavia, al fine di raccogliere tutte le voci che si rincorrono avanzando proposte diversificate, a me sembra opportuno concentrare tutte le forze “amiche delle scuole paritarie” verso una unica proposta da portare avanti in tutte le istanze e in tutte le occasioni: un buono scuola annuale pari a ⅓ (33%) di quello che lo Stato ha speso nell’anno precedente per i suoi scolari/ studenti nelle varie fasce di età. Buono Scuola intestato ai ragazzi beneficiari, che i genitori possono spendere presso qualsiasi scuola paritaria. ● È molto facile da calcolare. ● Altrettanto facile da applicare. ● Limite per la fruizione del beneficio: Reddito Isee non superiore a euro 70.000 (settantamila) ● È chiaro che in questo modo lo Stato aiuta i genitori ad assolvere il loro dovere educativo e risparmia. Anzi, estremizzando il concetto, più aumentano le iscrizioni alle scuole paritarie, più lo Stato risparmia. Da ultimo, non va dimenticato, anzi è bene ricordarlo e sottolinearlo, che tutti i genitori che hanno mandato i loro figli alle scuole paritarie, hanno fatto risparmiare alle casse dello Stato oltre sei miliardi di euro (12.000 miliardi di vecchie lire) ogni anno, che in 70 anni corrispondono a oltre 400 miliardi di euro (non mi sembra poco). E questo, poiché certa gente si ostina a non voler capire, va detto, ridetto ed evidenziato ogni volta che se ne presenta l’occasione. Non si tratta di autocelebrazione, si tratta di
I genitori che hanno mandato i loro figli alle scuole paritarie, hanno fatto risparmiare alle casse dello Stato oltre sei miliardi di euro (12.000 miliardi di vecchie lire) ogni anno
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In cineteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Father Titolo: Father Regia: Mohammadreza Kheradmandan e Mohamad Lotfali Visualizzabile su YouTube con il titolo: Father - 1 minute Emotional Award Winning Iranian Short Animation Film Animated Questo mese non consigliamo un film, come di consueto, bensì un cortometraggio di neanche due minuti di durata, ma che trasmette un’idea semplice e bella del ruolo paterno. Scritto da Mohammadreza Kheradmandan e dallo stesso diretto assieme a Mohamad Lotfali, Father ha vinto numerosi premi, tra cui quello per il Miglior Corto Animato al 9° Festival Internazionale Film 100, quello per la Migliore Idea per un Corto d’Animazione al 30° Festival del Cortometraggio di Teheran e quello per il Miglior Corto Animato all’International Film Festival City. Questa piccola chicca iraniana spiega in pochi, densi secondi quale sia l’essenza della paternità; quale sia, tra gli altri, uno dei compiti peculiari e fondamentali del padre in una famiglia: l’abbraccio che avvolge tutti e protegge, lo scudo contro le intemperie esterne, il difensore dei più piccoli e dei più fragili. È un filmato che coinvolge tutti, perché tutti, di qualsiasi religione, razza, idea, hanno (o dovrebbero avere) un padre...
Aleteia scrive che Kheradmandan ha avuto l’ispirazione quando sua madre aveva il cancro e suo padre ha sopportato stress ed enormi sacrifici per sostenere la famiglia in difficoltà. Il regista ha raccontato di aver ricevuto poi un messaggio da una donna in Svezia che, commossa dal film, ha richiamato suo padre dopo tre anni che non lo sentiva e si è riconciliata con lui. Questo corto, a nostro giudizio, è anche molto adatto agli adolescenti, soprattutto maschi: trasmette infatti l’idea di una virilità piena, sana, seppur vissuta in chiave di sacrificio e servizio.
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In biblioteca Svegliarsi con Lina Maurizio Munzi Gondolin
Accetto la sfida Giulia Fornasier Fede & Cultura
È uscita da poco la ristampa di un romanzo «frutto di un sogno che è rimasto incancellato» che l’autore ha deciso di mettere per iscritto «con l’intenzione di fare cultura cristiana con il mezzo piacevole del romanzo. Si possono fare incontri e dibattiti sull’Humanae vitae oppure far passare il messaggio della bellezza del fidanzamento e del matrimonio cristiano aperto alla vita con un racconto coinvolgente». Le vicende che si susseguono inquadrano personaggi molto reali, giovani, nonni, genitori, che incontriamo tutti, a qualsiasi latitudine. È scritto con uno stile fresco e piacevole, mai noioso, nonostante i messaggi valoriali importanti che trasmette in modo molto chiaro.
Rebecca non accetta compromessi o soluzioni di comodo: diventa ostetrica per passione. E, dopo una serie di disastri dal lato sentimentale, impara a mettere Dio al primo posto per conquistare la felicità vera. Il libro è di agevole lettura, ma non è banale: si ride e si sorride, ci si commuove e si riflette insieme alla protagonista, una giovane donna tenace, rompiscatole, sensibile, orgogliosa. Il lettore condivide il suo percorso di crescita umana e cristiana: la crescita di una donna che ha accettato le sfide della vita. Una vita che è bella nonostante gli ostacoli e le difficoltà, una vita che regala ogni singolo giorno, «un regalo troppo immenso per perdere tempo lamentandomi», dice Rebecca.
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Diretto da Maurizio Belpietro